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Seduta del 27/11/2003


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Seguito dell'esame testimoniale del signor Giovanni Garau.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame testimoniale del signor Giovanni Garau, iniziato nella seduta del 5 novembre 2003.
Ricordo che avevano chiesto di parlare ancora l'onorevole Alfredo Vito, i senatori Forlani, Montalbano, Bonavita, Petrini e Chirilli e l'onorevole Fanfani.
Avverto il signor Garau dell'obbligo di dire tutta la verità e delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti.

ALFREDO VITO. Dottor Garau, noi l'abbiamo già ascoltata in altre occasioni ed è stato molto preciso nelle sue risposte. Vorrei ora approfondire alcune questioni particolari.
Quando lei ha assunto la carica di vicedirettore generale della Telekom-Serbia esisteva già un servizio radiomobile in Serbia?

GIOVANNI GARAU. Esisteva un'altra azienda che si chiamava Mobtel.

ALFREDO VITO. C'era un rapporto tra la Mobtel e Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Telekom-Serbia è nata in quel momento: Mobtel si avvaleva della PTT, cioè della società dalla quale abbiamo scorporato le telecomunicazioni ed è nata Telekom-Serbia.

ALFREDO VITO. Quindi era una concorrente o una possibile fornitrice di servizi?

GIOVANNI GARAU. Era una concorrente.

ALFREDO VITO. Ci è stato detto che ad un certo momento, nella trattativa ai fini della definizione del prezzo, si pagò da parte di Telecom Italia un prezzo maggiore perché è intervenuto l'accordo sul radiomobile, nel senso che sarebbe stato fornito anche questo servizio: quali furono le procedure? Perché si è arrivati alla Ericsson?

GIOVANNI GARAU. Gli accordi di acquisizione erano due e separati, uno per il fisso e l'altro per il mobile. Si è arrivati alla Ericsson quando Telekom-Serbia ha cominciato a programmare il lavoro per l'eventuale immissione di un'altra società di radiomobile; si sono valutate le offerte di alcune società e TIM - che nell'ambito


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di Telecom si occupava del problema del radiomobile - ha scelto come piattaforma tecnologica quella di Ericsson, che già usava in Italia e nelle altre parti del mondo in cui la stessa TIM lavorava.

ALFREDO VITO. Ci interessa stabilire proprio questo. Possiamo dire che risponda al vero la notizia per cui Telecom Italia ha acquisito nel tempo una serie di partecipazioni - tra le quali Telekom-Serbia, ma non solo - e che dovunque sono state fatte queste acquisizioni si sia organizzato anche il servizio radiomobile?

GIOVANNI GARAU. Non sono certo - perché non mi occupavo di queste cose - che dovunque siamo andati abbiamo messo il radiomobile; ma laddove lo abbiamo organizzato, al 90 per cento TIM ha utilizzato come piattaforma sempre quella Ericsson.

ALFREDO VITO. Di fatto quindi Ericsson è stata la società che ha gestito gli appalti di radiomobile all'estero...

GIOVANNI GARAU. Che ha fornito in Italia e prevalentemente all'estero il servizio, ma non so molto di più perché ho sempre lavorato in Telecom e non in TIM. Al 90 per cento, laddove è entrata TIM, come piattaforma tecnologica è entrata quella della Ericsson, come avveniva già in Serbia, perché la nostra concorrente aveva quella piattaforma.

ALFREDO VITO. Questi lavori ad un certo punto furono fatti: si partì da una base iniziale dell'ordine di 60 miliardi e poi lei stesso dice: credo che con il tempo, con postazioni o con altre cose, si sia arrivati a circa 200 miliardi, cioè un importo abbastanza rilevante.
Lei nella sua prima audizione ha dichiarato che questo settore non rientrava nelle sue competenze.

GIOVANNI GARAU. Come ho spiegato al suo collega che mi aveva rivolto questa domanda, rientrava nelle competenze del direttore generale.

ALFREDO VITO. L'ingegner Nesovic?

GIOVANNI GARAU. Esatto.

ALFREDO VITO. Tuttavia lei era responsabile del settore amministrazione, finanze, bilancio e budget. Mi interessa sapere materialmente come venisse pagata la Ericsson.

GIOVANNI GARAU. Veniva pagata tramite il famoso conto estero in divisa, tramite la direzione finanziaria e con l'avallo del direttore generale. La trattativa veniva iniziata dalla direzione acquisti; il settore radiomobile faceva le cosiddette specifiche alla direzione acquisti, la quale trattava, insieme con la direzione legale, con la ditta fornitrice (una prassi che vale non solo per Ericsson ma per tutte le ditte), dopodiché si arrivava alla firma del contratto, che al 99 per cento era effettuata dal direttore generale con l'avallo di cinque direzioni: quella richiedente, la direzione legale, la direzione acquisti, la direzione budget e controllo e la direzione finanze.

ALFREDO VITO. In sostanza, poiché anche la piattaforma utilizzata dalla Mobtel era quella della Ericsson, quest'ultima veniva a trovarsi in situazione di vantaggio nella trattativa perché la piattaforma era sempre e solo sua. Ai fini dell'imposizione del prezzo e delle condizioni contrattuali la Ericsson aveva una posizione di vantaggio. Anche in Serbia fu fatta una trattativa privata con Ericsson?

GIOVANNI GARAU. Quando si è partiti con il primo contratto so che ci fu un incontro a Roma, nel dicembre 1998, fra Ericsson, l'azionista di maggioranza PTT e il direttore generale di Telekom Serbia, ingegner Nesovic.

ALFREDO VITO. A questo incontro, secondo me abbastanza stranamente, parteciparono anche Vitali e Maslovaric, e si


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tenne all'Anagnina, nella sede della Ericsson. La delegazione serba, Maslovaric e Vitali...

GIOVANNI GARAU. Non so se facessero parte della delegazione serba o della delegazione Ericsson. So che quella mattina fummo convocati a Roma...

ALFREDO VITO. Cioè è probabile che fossero consulenti Ericsson?

GIOVANNI GARAU. Vitali penso di sì; Maslovaric l'ho sempre visto come facente funzioni di portavoce per la Serbia, quindi penso che lui fosse il consulente serbo e Vitali quello di Ericsson.

ALFREDO VITO. Emerge un dato di grande interesse, per cui Vitali sarebbe stato consulente...

MAURIZIO EUFEMI. Un doppio consulente!

GIOVANNI GARAU. È una mia impressione: come ho detto già la volta scorsa, partecipai solo all'incontro presso la sede di Telecom Italia la mattina - un incontro che riguardava i problemi di Telekom-Serbia - mentre il pomeriggio si svolse l'altro incontro, al quale non volli partecipare, presso la sede della Ericsson.

ALFREDO VITO. Da un'altra audizione abbiamo saputo che Vitali intratteneva con alcuni personaggi della Ericsson rapporti familiari. Vorremmo sapere da lei qualcosa in più su questo argomento.

GIOVANNI GARAU. Già ho detto in audizione che Vitali l'ho conosciuto a novembre o dicembre 1997, quando, dopo le mie lamentele presso Telecom Italia su un problema di deleghe e di mancati pagamenti da parte di enti statali di bollette arretrate di anni, questo signore venne a Belgrado in compagnia di un consigliere di amministrazione e mi fu presentato come consulente di Telecom Italia. Egli svolse degli incontri con il ministro Beko, che era l'uomo che aveva mediato durante l'accordo. In quell'occasione conobbi Vitali. Poi, per circa un anno non l'ho più rivisto fino a quel 14 dicembre, a via Flaminia, nell'incontro tra Telecom Italia, PTT e Telekom-Serbia. Questo è quanto so. Circa suoi rapporti con la Ericsson, direi stupidaggini; non li conosco, ma so che era vicino alla Ericsson: altro non potrei dire ed in qualità di testimone non me la sento di dirlo.

ALFREDO VITO. Sa che aveva rapporti familiari, di frequentazione, aveva fatto anche il compare d'anello a qualche personaggio della Ericsson?

GIOVANNI GARAU. Questo non mi risulta. Che avesse buoni rapporti sì, l'ho visto in quegli incontri.

ALFREDO VITO. È già agli atti delle nostre audizioni precedenti. Comunque, chi era il personaggio che trattava per conto della Ericsson?

GIOVANNI GARAU. Ci sono state più fasi. All'inizio veniva l'ingegner Maurizio Tucci, ma dopo pochi mesi non l'ho più visto; in seguito è venuta una signora napoletana di cui non ricordo il nome - l'ho già detto la volta scorsa - ed un signore romano che qualcuno di voi mi ha ricordato si chiamava Gentili. Questi sono i nomi che ricordo.

ALFREDO VITO. Quindi la trattativa fu avviata quando il responsabile dei rapporti internazionali di Ericsson era l'ingegner Tucci?

GIOVANNI GARAU. All'inizio. Ricordo che mi venne a trovare a nome del padre, che era stato il mio direttore generale, verso febbraio 1998, ma non credo che fosse in carica ancora a dicembre 1998: comunque, non sono sicuro, perché non ho partecipato a quegli incontri. Mi pare che fosse già andato via, alla Nortel.


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ALFREDO VITO. Torniamo al problema precedente, cioè alle modalità di pagamento utilizzate da Telekom-Serbia per la Ericsson. Lei ha parlato del conto internazionale.

GIOVANNI GARAU. È l'unico conto in divisa che avevamo, presso la UBS.

ALFREDO VITO. Quello di cui abbiamo parlato la volta scorsa relativamente...

GIOVANNI GARAU. Un mio conto cifrato che invece era a sei firme.

ALFREDO VITO. Ammesso che si sia trattato di 200 miliardi, sono usciti da questo conto?

GIOVANNI GARAU. Quando io sono andato via dovevamo ancora pagare parecchio: eravamo in arretrato con i pagamenti. L'unico modo per pagare, però, era in divisa e l'unico conto che avevamo in divisa, a mia conoscenza, era quello presso UBS.

ALFREDO VITO. La Ericsson fatturava a Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Certo.

ALFREDO VITO. Quindi, anche se non dipendeva direttamente dal suo settore, come ci ha detto, avendo la responsabilità delle finanze e del bilancio lei probabilmente conosce le procedure. La fatturazione veniva poi controllata?

GIOVANNI GARAU. Prima arrivava il contratto; poi, quando arrivava il materiale, c'era una procedura molto particolare, perché quest'ultimo doveva restare fermo in dogana serba, e questo a volte durava anche per un mese, perché a fronte di ogni prezzo citato nel contratto dovevamo pagare qualche cosa. C'era quindi una procedura continua di sblocco; quando acquisivamo il materiale, ci arrivava anche la fattura, che veniva esaminata dalla direzione acquisti e da quella che aveva fatto le specifiche, che dava l'avallo, e poi finiva alla direzione finanziaria. Quest'ultima, se c'erano pagamenti immediati, provvedeva all'emissione dell'eventuale mandato di pagamento presso questa banca, e normalmente andava alla firma del direttore generale. Questa era la procedura di pagamento.

ALFREDO VITO. La Ericsson ha fatto solo fornitura di materiale oppure si è occupata anche del montaggio, della messa in opera, eccetera?

GIOVANNI GARAU. Si è occupata anche della messa in opera. La Ericsson Italia e la Ericsson Svezia avevano una sede a Belgrado, e forse anche questo ha facilitato un approccio più veloce con noi e con Mobtel rispetto ad Alcatel e Siemens. Loro si occupavano anche della prima installazione e del collaudo, perché volevamo che il materiale fosse già collaudato. C'era quindi del personale in sede, che veniva dalla Svezia o dall'Italia a seconda degli strumenti da collaudare, per il collaudo, oppure nel caso in cui si dovessero effettuare manutenzioni particolari.

ALFREDO VITO. Sempre in un'altra audizione lei ci ha detto che quando arrivò c'erano Alcatel e Siemens...

GIOVANNI GARAU. Come impianti di centrali.

PRESIDENTE. Onorevole Vito, lei è molto preciso, ma la pregherei di non essere ripetitivo nelle domande.

ALFREDO VITO. Per me questo interrogatorio è importante, presidente.

PRESIDENTE. Certo.

ALFREDO VITO. Dicevamo di Alcatel e di Siemens.


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GIOVANNI GARAU. Si trattava di centrali analogiche o automatiche e non del radiomobile: la prevalenza era di Alcatel e Siemens.

ALFREDO VITO. I rapporti esistenti tra l'ingegner Cristofoli e la Ericsson erano continui? C'erano stati anche in altri paesi del mondo? Che cosa le risulta?

GIOVANNI GARAU. In Italia sicuramente perché Cristofoli, prima di andare in pensione e quindi prima di venire a Belgrado, era stato un importante tecnico della TIM, uno di quelli che aveva costruito la rete radiomobile in Italia nel 1990. Quindi, sicuramente avrà avuto altri rapporti, avendo utilizzato la piattaforma Ericsson. È chiaro che a Belgrado egli era l'interfaccia della Ericsson per qualsiasi problema relativo al radiomobile.

ALFREDO VITO. Volendo ricercare tutte le fatture, gli attestati relativi alle forniture, ai lavori, eccetera tra Telekom-Serbia e Ericsson, dove dovrebbero essere in questo momento?

GIOVANNI GARAU. L'originale del contratto ed una copia dovrebbero sicuramente trovarsi presso la direzione acquisti; una copia e la fatturazione dovrebbero trovarsi presso la direzione finanziaria, e una copia del tutto anche presso la direzione radiomobile, vale a dire le tre direzioni che hanno seguito la faccenda. Sicuramente però la base dell'accordo si trova presso la direzione acquisti, mentre per quanto riguarda i pagamenti avvenuti si dovrebbe cercare nella direzione finanziaria.

ALFREDO VITO. È possibile rintracciare anche in Italia copia di questa documentazione, presso la Telecom, oppure lei lo esclude? Lo chiedo ai fini di una ricerca più sollecita.

GIOVANNI GARAU. No. L'unica cosa che ci può essere in Telecom Italia sono gli originali di ogni delibera del consiglio di amministrazione, perché ogni volta la segreteria del consiglio mandava le decisioni ai tre azionisti. Sulle pratiche, sulle fatture, Telecom Italia non entrava.

ALFREDO VITO. Naturalmente tutte le decisioni sugli affidamenti di lavori alla Ericsson sono state assunte dal consiglio di amministrazione.

GIOVANNI GARAU. Come mi è stato già chiesto, non ricordo in quale audizione, c'è stato solo uno «sgarro» rispetto alle deleghe. Le nostre deleghe erano tali per cui il direttore generale poteva firmare contratti fino a cinque milioni di marchi e io fino ad un milione di marchi; se superavamo questi importi dovevamo avere la previa autorizzazione del consiglio di amministrazione. La deroga c'è stata, ed è nato anche un caso, nell'ultima fornitura, mi sembra nel marzo o aprile 2001, quando il nuovo direttore generale, nonostante gli avessi ricordato che bisognava chiedere il permesso, decise di firmare ugualmente un contratto di 23 o 24 milioni di marchi. Da questo nacquero polemiche con il consiglio di amministrazione.

ALFREDO VITO. Era relativo alla Ericsson?

GIOVANNI GARAU. Sì. Comunque, di chiunque si trattasse, sarebbe stato sicuramente stigmatizzato dai componenti del consiglio di amministrazione e ci fu un momento di tensione per questo motivo. Fu l'unico caso di deroga.

ALFREDO VITO. La ringrazio.

PRESIDENTE. Secondo il principio dell'alternanza, dovrebbe ora intervenire il senatore Montalbano. Poiché non è presente, si intende che vi abbia rinunziato. Do la parola al senatore Eufemi.

MAURIZIO EUFEMI. Mi limiterò a poche domande, perché molti quesiti sono stati già posti nelle sedute dell'11 giugno e


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del 5 novembre; si rischia di essere ripetitivi rispetto ad un dibattito che è stato spezzato: in questo caso, consideri la mia domanda come un approfondimento.
Lei, dottor Garau, aveva la carica di vicedirettore generale di Telekom-Serbia; quindi era esponente di punta della rappresentanza italiana in quella struttura. Avrebbe quindi dovuto controllare e relazionare su tutte le vicende e su tutti gli elementi che avrebbero potuto determinare un danno o difficoltà per l'azienda, fino a ridurla rispetto al valore originario.
Ci può descrivere la traccia che rinveniamo di questa attività di controllo e di difesa dell'investimento?

GIOVANNI GARAU. Da parte mia?

MAURIZIO EUFEMI. Certo. Abbiamo bisogno di sapere che cosa è stato fatto da parte dell'esponente più elevato per la difesa dell'investimento: parliamo di una società che era ancora a partecipazione pubblica.

GIOVANNI GARAU. Per essere sintetico, visto l'invito del presidente, le posso dire che quando iniziò la querelle su Telekom-Serbia dopo le denunce di un giornale nel 2001, i sindaci di Telecom Italia chiesero all'internal auditing della direzione internazionale di preparare un dossier. Mi hanno raccontato che in quest'ultimo sono state raccolte circa 450 lettere mie o di miei collaboratori ai vari referenti di Telecom Italia - purtroppo se ne sono susseguiti molti in quattro anni - nelle quali illustravamo che cosa stesse succedendo e che cosa poteva o meno farsi. Più di questo non potevamo fare dal punto di vista del rapporto con Telecom Italia. Altro abbiamo fatto, sia io che i miei colleghi, attivandoci nei confronti dei serbi e dei greci, ed assumendoci anche qualche pericolo. Il nostro problema non è stato infatti solo quello di contrastare eventuali anomalie da parte dei serbi; come ho già detto in altre occasioni, a volte ci siamo trovati a combattere non con il 49 contro il 51 per cento ma con il 29 contro il 71 per cento. Era più facile un'alleanza greco-serba che un'alleanza italiano-greca.
Le faccio un esempio. Quando dopo la guerra il presidente del consiglio di amministrazione, un certo Vucelic, fuggì (o fu espulso: io so che è fuggito, ma i serbi dissero che fu espulso) gli stessi serbi mi chiesero di sostituirlo. Il direttore generale mi fece un nome che dovevo comunicare a Telecom Italia; quando mi fece quel nome, mi venne in mente qualcosa, ma comunque spettava a loro designare il presidente del consiglio di amministrazione. Improvvisamente, la notte stessa, ebbi la fortuna di ricordare chi fosse quella persona: pochi giorni prima, mentre eravamo in Italia, durante la guerra, erano state pubblicate sul giornale le fotografie delle cinque persone wanted che apparivano sui manifesti preparati dagli Stati Uniti sui ricercati. Si trattava del ministro dell'interno. Rischiando in prima persona, ho fatto porre il veto da parte del nostro consiglio di amministrazione sulla nomina di questo personaggio. Sono stato minacciato anche per questo, perché non volevo che l'immagine di Telecom fosse danneggiata per il fatto di avere come presidente del consiglio d'amministrazione un signore che, come poi avrete letto sui giornali, pur di non andare a L'Aja si è sparato davanti alla sede del Parlamento.
Questo è solo un esempio per dire che tutto quello che potevamo fare lo facevamo, ma ribadisco quanto ho già detto: la nostra difficoltà riguardava i serbi, ma anche la possibilità di avere un dialogo con Telecom Italia che ha cambiato cinque volte i vertici. Ogni volta che si dava inizio ad un progetto si doveva interrompere tutto e ricominciare daccapo con altre persone che volevano essere informate; poi, quando vedevano che la patata era bollente, per sicurezza ci dicevano: d'accordo, decantiamo. Quindi, parlare del controllo dei nostri atteggiamenti è molto difficile.


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MAURIZIO EUFEMI. Ho capito perfettamente. Lei ha detto di aver scritto 500 lettere.

GIOVANNI GARAU. Dicono che ci sono 450 lettere agli atti di Telecom Italia.

MAURIZIO EUFEMI. Scritte a chi? Indirizzate a chi? Abbiamo bisogno di identificare a chi siano arrivate queste lettere.

GIOVANNI GARAU. A tutti.

MAURIZIO EUFEMI. A tutti chi? Abbiamo bisogno di conoscere i destinatari.

GIOVANNI GARAU. I destinatari sono i cinque direttori degli internazionali che si sono alternati nei cinque anni, gli otto responsabili del coordinamento di Telekom-Serbia che si sono alternati nello stesso periodo. Non posso ricordare tutti i nomi: la vostra interlocutrice è Telecom, non io.

MAURIZIO EUFEMI. Lei dovrebbe dirci: ho scritto dieci lettere a Tizio, il quale non ha risposto. Questo ci deve dire. Noi vogliamo sapere a chi sono state inviate queste lettere.

GIOVANNI GARAU. L'ho già detto: sono state scritte ai cinque direttori degli internazionali che si sono succeduti negli anni in cui sono stato vicedirettore generale. Le ripeto i nomi che ho già fatto l'altra volta: il primo era Oscare Cicchetti; il secondo era l'ingegner Stecco; il terzo era l'ingegner Masini; poi è tornato Cicchetti, poi c'è stato un certo ingegner Bruno Francesco Saverio, una cosa del genere. Questi sono i cinque direttori. Vuole poi che passi al resto? L'ingegner Del Vecchio... Ce ne sono stati a pacchi: basta chiedere a Telecom e vedere i suoi organigrammi.

MAURIZIO EUFEMI. Noi abbiamo bisogno di chiedere a lei, non a Telecom.
In ogni caso, nella precedente audizione lei ha parlato del Kosovo, una regione con una penetrazione del 5 per cento senza una struttura industriale...

GIOVANNI GARAU. Non ho detto io: l'ha detto il presidente.

MAURIZIO EUFEMI. Sì; una regione con un'economia agricola e senza possibilità di apporto da parte di un'azienda come Telekom-Serbia. Rispetto a questo la sua valutazione è sempre quella di una situazione che non si poteva modificare?

GIOVANNI GARAU. Ho detto il contrario. Ho detto che nel mio business plan pensavo di portare dal 5 per cento di penetrazione telefonica su due milioni e centomila abbonati del Kosovo al 35 per cento in tre anni. È vero che non è una regione con industrie, ma ci sono miniere; ho anche detto - e può controllarlo sul verbale - che gli albanesi sono in tutto il mondo. Quindi, in percentuale, nella media del traffico internazionale, la punta più alta veniva proprio dal Kosovo. Il business delle telecomunicazioni non è il telefonino o il telefono, ma il traffico; per noi era molto importante ampliare la possibilità di traffico in quella regione, perché gli albanesi erano quelli che avevano più ramificazioni nel mondo e più traffico internazionale.

MAURIZIO EUFEMI. Tuttavia quello che lei sta dicendo è in contraddizione con quanto ci ha detto il suo collaboratore Rosati, secondo il quale si trattava di un investimento senza speranza di ritorno.

GIOVANNI GARAU. Un investimento dove?

MAURIZIO EUFEMI. In Serbia.

GIOVANNI GARAU. Stiamo parlando del Kosovo, mi scusi.

MAURIZIO EUFEMI. L'operazione riguardava tutta l'area dei Balcani.


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GIOVANNI GARAU. Lei mi ha fatto una domanda precisa: mi ha parlato del 5 per cento in Kosovo. È una risposta che ho già dato al presidente: ho detto che rispetto al 29 per cento, che era la media, le percentuali erano del 5 e del 40 per cento: io volevo portarle al 60 per cento per tutta la Serbia di cui il 35 per cento per il Kosovo, perché - l'ho detto e risulta dal verbale - gli albanesi erano gli unici ad avere i soldi.

PRESIDENTE. Ma la domanda forse era riferita alla Serbia.

MAURIZIO EUFEMI. Il discorso è complessivo: tutto partiva dalla Serbia e per questo veniva costituita una società in Serbia.

GIOVANNI GARAU. Ripeto quanto ho sempre detto: non sono un esperto di investimenti o di acquisizioni, ma come gestore ritengo che se non ci fosse stata la guerra, in tempi medio-lunghi, quell'investimento sarebbe stato decente. Questa è la mia impressione.

MAURIZIO EUFEMI. Lei ha mai avuto occasione di parlare o di informare Tommasi della situazione che si determinava a Belgrado?

GIOVANNI GARAU. Ho già detto che il giorno della vigilia di Natale ho incontrato per la prima volta dopo sei mesi il dottor Tommasi approfittando dello scambio di auguri. Sono riuscito a dirgli quello che avevo già esposto ai suoi collaboratori ma non a lui, che era impegnato nella privatizzazione. Il dottor Tommasi ha preso a cuore la questione; ha voluto lui stesso che si svolgesse una riunione in Grecia a gennaio o ai primi di febbraio del 1998. In questa riunione sono state discusse tutte le precarietà che avevo messo in luce e che il dottor Tommasi aveva condiviso e si elaborò un progetto comune tra italiani, serbi e greci. Pochi giorni dopo il dottor Tommasi non era più l'amministratore delegato dell'azienda; ne è arrivato un altro. Di tutto ciò che si era deciso quel giorno ad Atene non si è fatto nulla e tutto è iniziato da capo.

MAURIZIO EUFEMI. Poco fa lei ha detto che la percentuale greca molte volte si spostava insieme con gli altri; quindi il nostro 29 per cento non era determinato da un sindacato di blocco con la OTE.

GIOVANNI GARAU. Non c'era alcun sindacato di blocco; c'erano un 29 per cento e un 20 per cento che avrebbero dovuto portarci ad un'alleanza pari al 49 per cento, ma su alcune operazioni...

MAURIZIO EUFEMI. Il 29 per cento rimaneva solo: vuole dire questo?

GIOVANNI GARAU. In alcune occasioni è stato così perché noi ragionavamo in maniera privatistica mentre greci e serbi - aziende statali - ragionavano diversamente.

MAURIZIO EUFEMI. Quindi in sostanza il 29 per cento non contava nulla.

GIOVANNI GARAU. Contava per il 29 e non per il 49.

MAURIZIO EUFEMI. Tuttavia già la nostra posizione era minoritaria perché avevamo il 49 contro il 51 per cento; se anche il 20 per cento dei greci si scorporava, di fatto il nostro 29 per cento non contava nulla.

GIOVANNI GARAU. È normale che in certe discussioni o situazioni professionali si possano manifestare mentalità diverse.

MAURIZIO EUFEMI. Nelle precedenti audizioni è stato detto che i tecnici italiani non avevano accesso alle centrali urbane, così come non era stato possibile visionarle nella fase di due diligence, perché sappiamo che quest'ultima è stata effettuata in modo raffazzonato.


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GIOVANNI GARAU. Io non ho detto questo; non mi piace che mi si facciano dire cose che non ho sostenuto. Ho detto che nella mia gestione, e non nella due diligence, nessun tecnico italiano aveva responsabilità e competenza sulle centrali urbane ed automatiche. Di conseguenza, alla domanda del presidente se dovevamo chiedere ai serbi per quanto riguardava le centrali, ho risposto in senso affermativo. Il presidente ha continuato: quindi voi sapevate su cose riferite? Io non ho mai parlato di due diligence e di come sia stata fatta.

MAURIZIO EUFEMI. Scusi, ma lei mi ha...

GIOVANNI GARAU. Lei ha usato il termine due diligence.

MAURIZIO EUFEMI. Ho detto due cose e lei le ha unite.

GIOVANNI GARAU. Allora le chiedo scusa.

MAURIZIO EUFEMI. Io le sto dicendo un'altra cosa: i tecnici italiani non avevano accesso alle centrali.

GIOVANNI GARAU. I tecnici italiani non avevano competenza e responsabilità sulle centrali automatiche urbane; avevano competenza solo sulla centrale internazionale.

MAURIZIO EUFEMI. D'accordo. L'altra questione emersa durante le precedenti audizioni è la seguente: non era stata fatta la visione delle centrali...

GIOVANNI GARAU. Non l'ho detto io.

MAURIZIO EUFEMI. No, lo sto dicendo io come premessa. Non era stata effettuata una visione dettagliata delle centrali che doveva supportare il lavoro della due diligence. È ipotizzabile, alla luce di queste due premesse - lo dico perché lei era sul posto e aveva responsabilità diretta -, che il regime di Milosevic avesse installato sistemi per controllare l'opposizione interna e pertanto non gradiva che estranei - in questo caso italiani - avessero accesso alle centrali? Questa è la domanda che pongo.

GIOVANNI GARAU. Lei sta parlando con un testimone. Non posso rispondere del sentito dire: le rispondo da testimone che io ed i miei collaboratori non sappiamo se esistevano queste cose. Tutto qui.

PRESIDENTE. Aveva chiesto di parlare il senatore Bonavita. Poiché non è presente si intende che vi abbia rinunziato. Do ora la parola al senatore Chirilli.

FRANCESCO CHIRILLI. Nelle precedenti audizioni lei ha parlato delle difficoltà che ha dovuto affrontare nella gestione finanziaria della Telekom-Serbia. Ha parlato della situazione debitoria, delle difficoltà di trovare un'intesa con gli altri dirigenti, di interpretare la legislazione serba, di introdurre il radiomobile. Non le sembra vi sia una contraddizione in termini tra il fatto di aver previsto, come lei dice, tempi medio-lunghi per raggiungere gli utili, e il fatto che il business delle telecomunicazioni avrebbe dovuto garantire un utile in tempi quanto meno medio-brevi?

GIOVANNI GARAU. Nella mia esperienza non ho mai visto un investimento in telecomunicazioni che abbia dato ritorni in tempi brevi.

FRANCESCO CHIRILLI. Ho parlato di tempi medio-brevi.

GIOVANNI GARAU. Sui tempi medi sono d'accordo, mentre i ritorni sul medio-breve sono difficili. Se si pensa alla normale installazione di un telefono in un domicilio, al tempo in cui facevo il gestore a Napoli, in Sicilia o altrove, essa costava ad un'azienda due o tre milioni. Per incassare una cifra equivalente sul telefono normale ci volevano dagli otto ai


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dieci anni. Quindi, normalmente nel campo delle telecomunicazioni gli investimenti non sono mai a tempi medio-brevi ma medi o medio-lunghi. L'unico investimento che può dare un ritorno in termini brevi, una volta affermato, è stato quello sul radiomobile. Se lei ricorda, in una mia precedente audizione ho detto che siamo partiti da zero e, nonostante la guerra, alla fine del 1999, con l'introduzione della scheda prepagata eravamo riusciti ad arrivare ad un milione di abbonati al servizio radiomobile.

FRANCESCO CHIRILLI. Nel frattempo però si producevano grossi debiti.

GIOVANNI GARAU. Non li abbiamo prodotti. Come ho già detto, in parte li abbiamo trovati e non avendo disponibilità purtroppo sono anche aumentati per un problema di interessi. Se controllate i bilanci del 1998, però, la situazione era già nettamente migliore rispetto al 1997, in quanto avevamo ottenuto il prestito da parte degli azionisti, avevamo effettuato alcun investimenti, avevamo pregato gli stessi azionisti di cercare di modificare quel contratto-capestro che ci ha causato tanti debiti con la Siemens.

FRANCESCO CHIRILLI. Al momento dell'acquisizione conoscevate il debito con Siemens?

GIOVANNI GARAU. Agli atti esisteva una documentazione che parlava di 60-80 milioni di marchi di debito scaduti con la Siemens.

FRANCESCO CHIRILLI. Quindi conoscevamo questi debiti.

GIOVANNI GARAU. Sì. Ma forse non è stato ben considerato che questo contratto, oltre ai debiti scaduti, andava dal 1996 al 2002 e comportava precisi impegni. Per di più, per quanto riguarda gli 80 milioni di marchi di debito scaduti, fino al 1998 non avevamo soldi in divisa, quindi sono aumentati.

FRANCESCO CHIRILLI. Naturalmente poi ci sono stati gli interessi.

GIOVANNI GARAU. Sono stati gli interessi a costarci di più. Ripeto però che rimango dell'avviso che nonostante questi debiti, se non ci fosse stata la guerra, se fosse caduto qualcuno, e si fosse arrivati alla normalità, in cinque anni avremmo avuto qualche risultato migliore.

FRANCESCO CHIRILLI. Insomma, non è stato un grande affare. Sapevamo già in partenza che era gravato da difficoltà serie.

GIOVANNI GARAU. Gli investimenti hanno sempre difficoltà. Da un punto di vista «epidermico», investire all'est in quel momento poteva rappresentare un grande business. Siamo partiti con alcune difficoltà; altre le abbiamo trovate e non ce le aspettavamo.

FRANCESCO CHIRILLI. Lei ha parlato di contratti ai quali è subentrata la Telecom.

GIOVANNI GARAU. Siemens e Alcatel: non è subentrata Telecom ma Telekom-Serbia.

FRANCESCO CHIRILLI. Come è stato possibile che il subentro nella posizione contrattuale sia intervenuto automaticamente senza una preventiva valutazione da parte di tutti, come di solito si fa in ambito giuridico?

GIOVANNI GARAU. Non ho partecipato all'acquisizione. Se si legge l'accordo si trova una frase secondo la quale tutti i contratti di telecomunicazione della PTT sarebbero stati in portati a casa da Telekom-Serbia.

FRANCESCO CHIRILLI. Senza verifica?

GIOVANNI GARAU. Non lo so.


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FRANCESCO CHIRILLI. A lei non risulta che siano state fatte verifiche?

GIOVANNI GARAU. Io mi auguro di sì, ma più di questo non posso dire.

FRANCESCO CHIRILLI. Tuttavia lei non ha mai trovato una traccia scritta di queste verifiche?

GIOVANNI GARAU. No.

PRESIDENTE. La parola al senatore Petrini.

PIERLUIGI PETRINI. Al momento dell'ingresso di Telecom Italia, quanti abbonati aveva Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Erano circa due milioni le utenze fisse.

PIERLUIGI PETRINI. Qual era il prezzo pro capite stabilito nel prezzo di acquisto? In altri termini, qual era la stima di Telekom-Serbia per linea telefonica, in base alla quale fu pagato il prezzo di acquisto del 29 per cento, in confronto al numero di abbonati?

GIOVANNI GARAU. Non lo so, ma non credo che questo fosse al centro della valutazione del prezzo.

PIERLUIGI PETRINI. Diciamo che è un parametro.

GIOVANNI GARAU. Comunque, non lo so.

PIERLUIGI PETRINI. Quale era l'incidenza del numero di abbonati sulla popolazione?

GIOVANNI GARAU. Era pari al 29 per cento di penetrazione telefonica per tutta la Serbia.

PIERLUIGI PETRINI. Per penetrazione, cosa intende?

GIOVANNI GARAU. Quante linee telefoniche esistono rispetto al numero di abitanti. All'epoca questi ultimi erano circa 10 milioni e la nostra penetrazione era pari al 29 per cento.

PIERLUIGI PETRINI. Quindi, le linee dovevano essere più di quelle che lei ricorda.

GIOVANNI GARAU. Io ricordo due milioni, due milioni e duecento, ma - attenzione - in un ministero, che è considerato come unico abbonato, magari ci sono 150 linee. Lei ha parlato di linee telefoniche, per questo mi sono riferito a due milioni, due milioni e duecento ...

PIERLUIGI PETRINI. Se ragionassimo in termini di abbonati probabilmente l'ammontare sarebbe inferiore, mentre parlando di linee telefoniche la cifra è superiore.

GIOVANNI GARAU. Esatto, io ho parlato di penetrazione telefonica.

PIERLUIGI PETRINI. Il livello di penetrazione era da considerare alto, basso, c'erano spazi di sviluppo oppure no?

GIOVANNI GARAU. Come media era decente, anche se consentiva un grosso sviluppo. Quando sono andato lì la penetrazione telefonica in Italia era dell'80 per cento, mentre in Serbia era del 29 per cento, il che consentiva un grosso sviluppo, lo ripeto. Era sbagliata la distribuzione sul territorio della penetrazione, perché una città come Belgrado aveva il 45-50 per cento di penetrazione, mentre Novi Sad aveva il 20 per cento: c'erano sperequazioni rilevanti nate purtroppo dalla diversa situazione politico-amministrativa creatasi in Serbia alla fine del 1996, quando le cosiddette elezioni amministrative - cioè quelle locali e provinciali - furono vinte dall'opposizione. La PTT, che era una società governativa, collocava malvolentieri i telefoni nelle città dove il regime amministrativo era pilotato dall'opposizione.


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Queste differenze erano legate alla forte vittoria amministrativa, non politica, della cosiddetta opposizione e comportavano una sperequazione in alcuni settori (telefonia, strade, eccetera).

PIERLUIGI PETRINI. Possiamo ragionevolmente affermare che c'era una quota di mercato non trascurabile...

GIOVANNI GARAU. Assolutamente non trascurabile.

PIERLUIGI PETRINI. ...e delle prospettive di sviluppo altrettanto non trascurabili.

GIOVANNI GARAU. Un altro elemento che allettava era il basso costo del lavoro. Vi erano parecchi fattori positivi che spingevano verso l'Est in generale.

PIERLUIGI PETRINI. Qual era il livello di produttività?

GIOVANNI GARAU. Era bassissimo. Consideri che il giorno prima di andare in Serbia ero direttore regionale per la Campania e la Basilicata, avevo 2 milioni e trecentomila abbonati e cinquemila dipendenti; in Serbia per gestire due milioni e duecentomila abbonati ci sono stati imposti dall'accordo 13.500 dipendenti, con l'obbligo di non licenziare nessuno per i primi cinque anni.

PIERLUIGI PETRINI. In una prospettiva di sviluppo questo parametro sarebbe stato corretto, perché l'introduzione di tecnologie più sofisticate ...

GIOVANNI GARAU. Certo, c'era un grosso recupero di produttività.

PIERLUIGI PETRINI. La prospettiva era, quindi, nel senso di correggere gli elementi di produttività.
Lei sa quale era il rapporto tra la stima operata su Telekom-Serbia e il suo fatturato?

GIOVANNI GARAU. Mi spieghi meglio, per cortesia.

PIERLUIGI PETRINI. Purtroppo non sono in grado di spiegare meglio; posso dirle però che esiste un parametro molto diffuso nel mercato azionario per valutare la congruità di un'azione.

GIOVANNI GARAU. Ho capito, ma non sono un esperto di acquisizioni, le direi una bugia; non saprei che cosa rispondere.

PIERLUIGI PETRINI. Le sue valutazioni prescindono dagli aspetti macroeconomici, posso esprimermi in questi termini?

GIOVANNI GARAU. Certo. Le mie valutazioni derivano dalla realtà vissuta.

PIERLUIGI PETRINI. Si può dire che attengono alla sua esperienza gestionale, giusto?

GIOVANNI GARAU. Esatto.

PIERLUIGI PETRINI. La sua esperienza gestionale la porta ad affermare che se non ci fosse stata la guerra...

GIOVANNI GARAU. E se ci fosse stato l'attuale non regime in Serbia, come c'è stato dopo il 24 ottobre 2000, probabilmente avremmo lavorato con più tranquillità.

PIERLUIGI PETRINI. Probabilmente queste prospettive si sarebbero inverate e l'investimento si sarebbe rivelato fruttifero, anche se non possiamo quantificarne i livelli.

GIOVANNI GARAU. Questa è la mia personale opinione.

PIERLUIGI PETRINI. Se interpreto correttamente la sua risposta, il termine di cinque anni può essere considerato assolutamente ragionevole; non è lungo...


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GIOVANNI GARAU. È medio-lungo.

PIERLUIGI PETRINI. Quindi, in tempi medi sareste riusciti a realizzare le prospettive di sviluppo indicate nel momento in cui vi siete insediati?

GIOVANNI GARAU. Sì.

PIERLUIGI PETRINI. È sufficiente, grazie.

PRESIDENTE. L'ultimo iscritto a parlare è l'onorevole Fanfani che, essendo assente, si intende che vi abbia rinunciato.
Ringrazio il dottor Garau, i colleghi intervenuti e dichiaro concluso l'esame testimoniale.

La seduta termina alle 14,50.

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