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Seduta del 5/11/2003


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Esame testimoniale del signor Giovanni Garau.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del signor Giovanni Garau, già ascoltato in audizione libera l'11 giugno 2003.
Avverto il signor Garau dell'obbligo di dire tutta la verità e delle responsabilità previste dalla legge penale per i testimoni falsi o reticenti.
Lei risulta generalizzato in atti, quindi possiamo procedere con le domande.
Signor Garau, le devo fare un premessa non formale, che attiene alla civiltà dei rapporti. Lei ha reso una dichiarazione, che è stata seguita da altra dichiarazione di soggetto delle istituzioni, il quale ci ha rassegnato una serie di circostanze secondo le quali lei dovrebbe sapere molto di più delle cose che ha detto. Non si senta vincolato alle risposte che ha dato, perché esse possono essere ampliate, precisate, annullate; noi abbiamo soltanto il dovere di proporle e lei ha il dovere di collaborare nell'ambito della lealtà che si conviene, non solo istituzionale, e quindi di integrare tutte le possibili omissioni che ci sono state la volta scorsa o le eventuali correzioni che lei riterrà opportuno fare.
È inutile dire che il documento che ci è stato fornito dal testimone, il quale ha integrato il documento stesso con una dichiarazione, sarà il testo che utilizzeremo per le domande che le rivolgeremo.
Lei parta in condizioni di serenità assoluta: ognuno dei commissari non deve dare la caccia a nessuno, ma collaborare all'accertamento dei fatti.
Signor Garau, la sua attività lavorativa in Serbia era regolata da un contratto di distacco e la sua residenza contrattuale era Belgrado. Ci può dire ogni quanto rientrava in Italia e con lei gli altri dirigenti distaccati?

GIOVANNI GARAU. Quando siamo arrivati all'organico completo di circa 30 unità, 15 tornavano per un week end e 15 per quello successivo; quindi ogni 15 giorni rientravamo in Italia, ferme restando le problematiche sopravvenute dopo la guerra di Belgrado: l'aeroporto era chiuso, quindi avevamo problemi per andare a Budapest e poi per tornare in Italia, per cui a volte restavamo anche 3 settimane senza tornare a casa. Normalmente


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tornavamo il venerdì sera e ripartivamo la domenica sera o il lunedì (più in quest'ultimo giorno perché l'Alitalia volava solo il lunedì).

PRESIDENTE. La prego, se può, di rispondere in sintesi per dare la possibilità ai commissari di articolare le loro domande.
Parliamo del dinaro non convertibile: se ipoteticamente vi fossero stati utili, cosa avreste esportato in Italia, considerando che la banca centrale jugoslava aveva solo 200 miliardi in cassa e non avrebbe potuto cambiare i dinari in dollari?

GIOVANNI GARAU. Non c'era nulla da esportare in quel momento, perché il dinaro fino a quando sono andato via non era convertibile, quindi non vi era la possibilità di fare dei passaggi nel caso di utili.

PRESIDENTE. Quindi era moneta stagnante?

GIOVANNI GARAU. Purtroppo sì.

PRESIDENTE. Il suo collaboratore Righi... dico bene: Righi?

GIOVANNI GARAU. Sì, l'ingegner Claudio Righi.

PRESIDENTE. ...scoprì che il traffico internazionale veniva dirottato su conti esteri. Cosa fece? Chi informò, che lei sappia?

GIOVANNI GARAU. Informò me e simultaneamente, a Roma, la direzione internazionale che si occupava del traffico.

PRESIDENTE. Quindi la circostanza risponde a verità?

GIOVANNI GARAU. Come no! Abbiamo scritto più volte su questo punto.

PRESIDENTE. Quale materiale venne spedito dall'Italia per attrezzare gli uffici (mobili, automobili)? Chi lo fornì e che fine fece al vostro rientro in Italia?

GIOVANNI GARAU. Nessun materiale è mai stato portato in Serbia per gli uffici di Telekom-Serbia (parlo delle dotazioni d'ufficio).

PRESIDENTE. Lo avete acquistato sul posto?

GIOVANNI GARAU. Lo abbiamo trovato sul posto e pagavamo l'affitto alla PTT, che era la proprietaria di tutti gli immobili utilizzati dagli impiegati e che rientravano non negli asset di Telekom-Serbia, ma in quelli di PTT. Quindi ogni mese noi pagavamo l'affitto per mobili, macchine (non di tipo industriale) e servizi vari.

PRESIDENTE. A seguito dei bombardamenti della NATO quali danni ebbe Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Non abbiamo mai saputo la realtà dei danni dal punto di vista economico, anche se l'abbiamo più volte richiesta. Vi fu un consiglio d'amministrazione pochi giorni dopo il termine della guerra (il 5 o il 6 luglio 1999) e fu posto il segreto di Stato da parte del Governo sulla valutazione dei danni effettivi. Da quello che risulta da accertamenti fatti in maniera artigianale da me e dai miei collaboratori, i danni sono stati pochi rispetto a quelli che poi sono stati vantati dai serbi. Il danno più grosso ha riguardato una centrale satellitare che è stata bombardata in una località a circa 150 chilometri da Belgrado; altri danni che abbiamo rilevato dalle documentazioni che ci hanno presentato i serbi al nostro rientro riguardavano i bombardamenti, che avevamo visto in televisione, di alcuni ponti, in particolare fra Belgrado e Novi Sad, che avevano prodotto l'interruzione di giunzioni e di cavi, per cui è stata necessaria la loro rimessa in opera.


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Però non hanno mai voluto fare una quantificazione economica, perché stavano facendo un discorso di Governo per poi chiedere i danni all'ONU (danni che non riguardavano solo le telecomunicazioni).

PRESIDENTE. Nella precedente audizione, lei ci ha detto che il business plan puntava in particolare sull'«esplosione» telefonica del Kosovo.

GIOVANNI GARAU. Esatto.

PRESIDENTE. Ho cercato di saperne di più e così ho appreso che il Kosovo ha un territorio montuoso, un'agricoltura di sussistenza, è privo di industrie, ha due milioni e duecentomila abitanti. Non le sembra un po' poco dal punto di vista della realizzazione di un'azienda come Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Le do solo un dato: quando andammo in Telekom-Serbia, la penetrazione telefonica (parlo di fisso, perché radiomobile non c'era in Telekom-Serbia) era del 22 per cento in tutta la Serbia; nel Kosovo era del 5 per cento. Ciò significa che c'era un 40 per cento nella restante Serbia e un 5 per cento nel Kosovo. È vero che qui non esistevano industrie, ma c'erano le miniere e i più grossi imprenditori albanesi.
Cito un altro esempio: il traffico internazionale dell'allora Serbia, compreso il Kosovo, era pari a 100; la media del traffico nel Kosovo era superiore alla media del traffico in Serbia. Come lei sa, gli albanesi sono in tutto il mondo e quindi il business era il traffico che veniva generato in quella regione. Ecco perché puntavo nel business plan proprio sul Kosovo; fra l'altro, si tratta della regione più ricca perché ci sono gli albanesi che si occupano di commercio.

PRESIDENTE. Quando lei parla del 5 per cento nei confronti di un 40 per cento...

GIOVANNI GARAU. È la realtà che ho trovato.

PRESIDENTE. Non sto dicendo che la stia inventando, dico che abbiamo due cifre: il 40 per cento globale...

GIOVANNI GARAU. No. Il 40 per cento riguarda la parte restante della Serbia, perché la media era del 29 per cento.

PRESIDENTE. Prendiamo in considerazione quel 40 per cento, rispetto al quale il Kosovo è penalizzato perché ha un 5 per cento.

GIOVANNI GARAU. Esatto.

PRESIDENTE. Allora, per alzare questo 5 per cento in termini di numeri e di utenze, avete fatto degli studi, degli approfondimenti, una proiezione?

GIOVANNI GARAU. Certo.

PRESIDENTE. E questa proiezione che risultati ha dato?

GIOVANNI GARAU. Portava ad alzare a circa il 60 per cento nel triennio la densità telefonica della Serbia, portando al 35 per cento, sempre nel triennio, la densità telefonica del Kosovo.

PRESIDENTE. Dal 5 al 35 per cento.

GIOVANNI GARAU. Esatto.

PRESIDENTE. Avete avuto pressioni da parte di aziende americane per l'installazione di apparati?

GIOVANNI GARAU. No. Che a me risulti direttamente, no.

PRESIDENTE. Il ministro serbo delle telecomunicazioni, Boris Tadic, lo ricorda?

GIOVANNI GARAU. Vagamente.

PRESIDENTE. Tale ministro sostiene, in un'intervista a la Repubblica, di averla incontrata e di «aver espresso tutta l'insoddisfazione per il livello tecnico dello


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staff manageriale nella sua totalità» dicendo che «il suo unico incarico sia quello di trasferire gli utili in Italia»: di quali utili parla visto che l'azienda si presenta subito disastrata?

GIOVANNI GARAU. Non so di quali utili parli Tadic, glielo dissi anche quell'unica volta che lo incontrai.

PRESIDENTE. Esattamente che gli disse?

GIOVANNI GARAU. Gli chiesi di quali utili stesse parlando e lui disse che nel famoso accordo di compravendita c'era il management fee, cioè il famoso 3 per cento che ci sarebbe stato dovuto da Telekom-Serbia per il nostro apporto professionale. Lui era convinto che noi avessimo percepito il management fee, ma noi - almeno fino a quando sono andato via da lì - non abbiamo mai incassato il management fee. Questa è la spiegazione che mi diede quel giorno.

PRESIDENTE. Il management fee, che è un istituto premiale, non è una cosa straordinaria né scandalosa. Voi non l'avete incassato non per tardività dell'incasso, ma perché non c'era utile...

GIOVANNI GARAU. Esatto.

PRESIDENTE. Ciò significa che l'operazione non forniva utili?

GIOVANNI GARAU. In quel momento, quando siamo andati via, non forniva utili.

PRESIDENTE. Storicizzi, in quale momento non forniva utili?

GIOVANNI GARAU. Quando sono andato via ancora non eravamo in utile.

GIUSEPPE CONSOLO. Può indicare le date?

GIOVANNI GARAU. Maggio 2001.

PRESIDENTE. A maggio 2001 non c'erano utili?

GIOVANNI GARAU. Non c'erano utili da consentire il pagamento del management fee o eventuali dividendi agli azionisti.

PRESIDENTE. La forbice è 10 giugno 1997-maggio 2001, ci siamo?

GIOVANNI GARAU. Per ciò che riguarda me, 26 giugno 1997-maggio 2001, quando sono andato via.

PRESIDENTE. Quattro anni senza utili, possiamo dire questo?

GIOVANNI GARAU. Sì. Non ci sono stati utili; se ci fossero stati utili, non avremmo avuto bisogno di chiedere il prestito agli azionisti e tutti gli altri problemi che ci sono stati.

PRESIDENTE. Si è detto che SIN, Siemens e Alcatel erano concorrenti di Telekom-Serbia: noi sappiamo che sono due aziende fornitrici di hardware, ci può chiarire l'equivoco?

GIOVANNI GARAU. A me non risulta che fossero concorrenti di Telekom-Serbia: erano stati i primi fornitori - che ho trovato lì - per un accordo fatto nel 1996, quindi un anno prima che andassimo lì; avevano fatto un accordo di fornitura di centrali e di strumenti di centrali, di trasmissione, eccetera. Parlo per sentito dire: c'erano delle società francesi e tedesche che, aiutate da Siemens e Alcatel, volevano concorrere all'acquisizione della partecipazione della PTT. Ripeto, questo per sentito dire.

PRESIDENTE. Per quello che ha sentito dire, sarebbero delle società che rappresentavano fittiziamente - diciamo - gli interessi delle altre due?

GIOVANNI GARAU. Questo per sentito dire.


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PRESIDENTE. Perfetto. Ha mai parlato con il suo collaboratore Tebrio Rosati?

GIOVANNI GARAU. Come no, era il vice direttore della direzione business.

PRESIDENTE. La domanda non è ingenua: c'erano rapporti di collaborazione, di fiducia, di stima reciproca?

GIOVANNI GARAU. Ottima.

PRESIDENTE. Il dottor Rosati ci ha detto che vi era un elenco di dieci punti per i quali era - uso la sua espressione - «antieconomica l'acquisizione di Telekom-Serbia per cercare di capire come uscire fuori da questo vicolo cieco». Cosa ci può dire in più?

GIOVANNI GARAU. Lei mi sta parlando del Tebrio Rosati acquisitore, però.

PRESIDENTE. Sì.

GIOVANNI GARAU. Il Tebrio Rosati nel momento in cui ha partecipato all'acquisizione non lo conoscevo neanche. Posso dare un giudizio sul Tebrio Rosati come mio collaboratore di gestione.

PRESIDENTE. Io le ho dato lo spunto di partenza, lei è libero di dire che Rosati aveva ragione o che aveva torto.

GIOVANNI GARAU. Mi sono già espresso in libera audizione, mi esprimo oggi da testimone: non sono un esperto di acquisizioni, nei miei trentotto anni di attività ho sempre fatto il gestore operativo sul territorio, quindi non so dare un giudizio da acquisitore.
Come dissi allora da gestore, probabilmente se avessimo avuto tempi più lunghi e non avessimo avuto il problema della fine 1998 e primi 1999, cioè la guerra in Kosovo, forse a tempi lunghi quel tipo di investimento avrebbe potuto portare qualcosa. Questa è la mia opinione da gestore non esperto di acquisizioni.

PRESIDENTE. Agli atti non risulta la due diligence che ci permette di conoscere lo stato delle centrali pubbliche, della rete, degli impianti telefonici pubblici, dei locali di proprietà di Telekom-Serbia e di quant'altro servisse per far funzionare l'azienda Telekom-Serbia. Visto che non aveva una mappa, come si è mosso al fine di orientare la sua operatività? Ha presentato una serie di priorità su cui muoversi? Ad esempio, prima la ristrutturazione dei locali e poi la sostituzione delle centrali pubbliche o altre priorità?

GIOVANNI GARAU. In base all'accordo, Telecom diventava proprietaria della parte industriale di PTT, cioè centrali, centrali di trasmissioni, centrali automatiche o semiautomatiche o analogiche o cose del genere. Questo rappresentò uno dei primi punti di scontro che non ci permise di capire (se si ricorda, dissi che da qui venne il problema del bilancio del 1997, perché dalla mappatura fatta da noi il valore degli asset risultava diverso da quello attribuito nell'accordo). Quindi abbiamo incontrato difficoltà al punto che alla fine del 1997 chiesi a ...

GIUSEPPE CONSOLO. Che cosa significa «diverso»? In più o in meno?

GIOVANNI GARAU. In meno dal punto di vista del valore, come ho già detto l'altra volta. Proprio per il discorso della mappatura, non avendo nella mia organizzazione e alle mie dipendenze la direzione competente per questa attività (tanto che mi sarei dovuto rivolgere ai serbi) chiesi al consiglio di amministrazione, e quindi al rappresentante di Telecom Italia, di creare una commissione mista (italiani, serbi e greci azionisti non dipendenti) per rifare la mappatura di tutto il territorio, delle nostre proprietà e di quelle per le quali pagavamo l'affitto.

PRESIDENTE. Questo perché mancava la due diligence?

GIOVANNI GARAU. Esatto. Questo è quello che feci, cioè rivolgermi all'azionista per una più veritiera mappatura.


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PRESIDENTE. Quali centrali pubbliche e di quale tecnologia furono installate in Serbia, secondo quanto lei ricorda?

GIOVANNI GARAU. Quando arrivammo lì, la gran parte delle centrali - come tecnologia - era Siemens ed Alcatel, poi vi erano varie centrali che i tecnici definivano «pezze a colori» perché la guerra durata cinque anni, dal 1992 al 1996, aveva prodotto parecchi danni ed essendoci l'embargo alcune centrali avevano un pezzo proveniente dalla Ericsson, un altro dalla Siemens, e così via. Non c'era omogeneità non avendo la possibilità di ottenere i pezzi di ricambio, ma la base che noi trovammo proveniva in prevalenza dalla Siemens e dall'Alcatel.

PRESIDENTE. Avete previsto il passaggio dall'analogico al digitale?

GIOVANNI GARAU. Certo, da quel momento in poi tutto quello che potevamo fare di investimenti e di nuove acquisizioni di centrali era sul digitale; abbiamo trovato anche un accordo già fatto, come dissi l'altra volta, perché vi era un impegno 1996-2002 Alcatel, Siemens e PTT riguardante l'implementazione delle centrali della PTT di allora.

PRESIDENTE. Lei aveva richiesto preventivi per il rifacimento della rete?

GIOVANNI GARAU. Sì; non li avevo chiesti io ma le direzioni competenti.

PRESIDENTE. Quando dico lei significa nell'interesse dell'azienda. I preventivi erano stati visionati dall'ingegner Gerarduzzi?

GIOVANNI GARAU. No; l'ingegner Gerarduzzi li ha visti, se li ha visti, quando sono stati discussi in consiglio di amministrazione per il breve periodo in cui è stato consigliere di amministrazione.

PRESIDENTE. L'ingegner Gerarduzzi non era il responsabile della rete?

GIOVANNI GARAU. No, nel momento in cui io sono andato in Telekom-Serbia era responsabile della divisione rete di Telecom Italia. Lui è venuto in Telekom-Serbia solamente nelle occasioni del consiglio di amministrazione, quando io ero lì.

PRESIDENTE. Quindi, non ha svolto le analoghe funzioni che svolgeva in Telecom Italia?

GIOVANNI GARAU. No, non c'era questo tipo di rapporto. Lui era nostro consigliere di amministrazione ed è venuto due o tre volte come consigliere di amministrazione.

PRESIDENTE. I tecnici italiani avevano facilmente accesso ai locali in cui erano installate le centrali pubbliche, o vi erano resistenze da parte dei serbi?

GIOVANNI GARAU. I tecnici italiani non avevano nessun accesso, perché non erano di nostra pertinenza. Le centrali erano gestite, ai miei tempi, dall'ingegner Mitrovic che era un serbo; il direttore della rete era un serbo e noi non avevamo nessuna possibilità di entrare nell'attività di rete, di centrali, eccetera. L'unica dove entravamo era la centrale internazionale ...

PRESIDENTE. Quando volevate avere qualche notizia in più, che cosa facevate?

GIOVANNI GARAU. Dovevamo chiederla.

PRESIDENTE. Comunque era una notizia sempre riferita.

GIOVANNI GARAU. Sempre riferita.

PRESIDENTE. Poiché erano in vigore sanzioni internazionali nei confronti della Serbia, che cosa avete fatto per accedere ai crediti visto che nelle casse di Telekom-Serbia non vi era nulla?

GIOVANNI GARAU. Abbiamo più volte sollecitato il consiglio di amministrazione


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per due motivi: innanzitutto, non avevamo la possibilità di convertire il dinaro e quindi non potevamo approcciarci al pagamento dei debiti pregressi (per esempio, con Siemens ed Alcatel); non potevamo stipulare il contratto quando è avvenuto il momento del radiomobile con la Ericsson, perché non avevamo la possibilità di avere divisa. Un anno dopo circa è stato stipulato un intervento da parte degli azionisti - se ricordo bene intorno a 127-130 milioni di marchi pro capite in base alla partecipazione azionaria -, per cui abbiamo ottenuto denaro fresco da Telecom e da OTE dato che la parte PTT, che era la più grossa, veniva scontata dai pagamenti mensili che facevamo a PTT per i servizi (affitto, macchine, eccetera). Quella è stata la prima volta in cui abbiamo avuto un ingresso di denaro fresco in divisa, per la parte del prestito di 127-130 miliardi fatta fra i tre azionisti.

PRESIDENTE. Nella sua precedente audizione ci ha detto di essere stato l'ultimo italiano a lasciare la Serbia. Quando ritornò in Italia, ha fatto la conta dei danni subiti a causa dei bombardamenti sulle installazioni di proprietà di Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Quando sono rientrato in Italia la guerra era iniziata da sei giorni. Ci fu anche proibito per motivi plausibili, da parte del Ministero degli esteri, durante circa i novanta giorni di guerra, di avere contatti con i nostri collaboratori serbi perché in quel momento non era il caso di telefonare ai serbi per sapere che cosa stesse succedendo.
Noi trenta siamo stati alloggiati presso la sede della direzione internazionale ed abbiamo approfittato per fare studi al fine di capire - leggendo i giornali e vedendo la televisione - quali fossero (una volta ritornati in Serbia) gli interventi da fare e che tipo di programma scegliere. Lavoravamo molto con la fantasia e con quello che vedevamo alla televisione e leggevamo sui giornali.

PRESIDENTE. Quindi non erano dati probanti?

GIOVANNI GARAU. Erano previsioni.

PRESIDENTE. Quante centrali pubbliche vi erano in Kosovo?

GIOVANNI GARAU. Come centrali presidiate vi erano tre grandi centrali, una a Pristina, una a Pec e l'altra non ricordo dove; poi vi erano tante piccole cosiddette centrali non presidiate, cioè quelle da cento o cinquanta numeri. La centrale madre era quella di Pristina che, ricordo, aveva allora circa 7 mila linee.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda il radiomobile, era stata effettuata qualche installazione? E di quale tipo di tecnologia?

GIOVANNI GARAU. Nel Kosovo non avevamo ancora iniziato nessun tipo di programma. Nel Kosovo era però già presente il nostro concorrente Mobtel. Quando andai in Kosovo subito dopo la guerra, per parlare con la Nato utilizzavo lo 063 - come si chiamava allora - della Mobtel nostra concorrente.

PRESIDENTE. I ponti radio furono sostituiti?

GIOVANNI GARAU. Non avevamo ponti radio in Kosovo.

PRESIDENTE. Mi riferivo alla Serbia.

GIOVANNI GARAU. In Serbia pian piano furono sostituiti.

PRESIDENTE. In Serbia il radiomobile godeva salute?

GIOVANNI GARAU. In Serbia, dopo un avvio molto stentato, il radiomobile aveva avuto un boom; a detta dell'ambasciatore italiano - l'unico italiano insieme ai suoi collaboratori rimasto a Belgrado nel periodo della guerra - il nostro 064 era l'unico ad aver funzionato a Belgrado. Tra


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la fine del 1999 ed il 2000 sentivo spesso l'ingegner Cristofoli lamentarsi con il direttore generale perché la rete era satura e cominciavamo ad avere problemi non potendo ampliare la rete. È andato molto bene perché siamo partiti da zero con un concorrente che allora aveva 350 mila clienti e noi alla fine del 1999 eravamo arrivati intorno ai 500 mila; poi, addirittura, siamo arrivati ad un milione perché noi per primi abbiamo utilizzato la cosiddetta scheda prepagata, già utilizzata in Italia.

PRESIDENTE. Annulli un mio dubbio: voi partite da zero e sviluppate una politica di penetrazione con la quale arrivate ad un milione di clienti: come si concilia tutto ciò con la sua affermazione secondo cui si permaneva sempre a zero introiti, tanto che vi era crisi di cassa?

GIOVANNI GARAU. Io ho detto quale era il nostro problema, ossia di partire con 800 milioni di dinari in meno in cassa già impegnati per il futuro.

GIUSEPPE CONSOLO. Vuole trasformare questa cifra in marchi?

GIOVANNI GARAU. Qualcuno ha scritto 300 miliardi, a me pare di aver detto l'altra volta 800 milioni di dinari che equivalgono a 244-245 miliardi di lire italiane; 240 milioni di marchi a 990 equivalgono a circa 240 miliardi di lire: questo era l'impegno che purtroppo gravava su di noi. Siamo partiti con un accordo che prevedeva 60-70 miliardi di debiti già scaduti con Siemens ed Alcatel e, non pagandoli, questi debiti hanno continuato ad aumentare; in più avevamo questo impegno capestro del contratto Siemens ed Alcatel - in particolare Siemens - che ci portava fino al 2002.
In più abbiamo avuto il problema di alcuni piccoli contratti in dinari con imprese in loco. Avevamo dei contratti capestro, perché il valore era scritto in dinari ma era calcolato in base al marco e come il dinaro svalutava rispetto al marco noi dovevamo pagare di più. Ecco perché ho calcolato circa 800 milioni di dinari come debito più l'impegno scritto. Si possono vedere i verbali del consiglio di amministrazione: più volte come presidente del comitato esecutivo ho chiesto agli azionisti di incontrare Alcatel e Siemens per rivedere l'impegno, perché troppo oneroso e poco mirato all'effettivo serbatoio (il discorso che io avevo in testa del Kosovo). Non mi interessavano certe centrali in certe località, come era stato firmato, me ne interessavano altre.

PRESIDENTE. La prego di chiarire un mio ulteriore dubbio. La svalutazione del dinaro si era verificata e voi avevate debiti contratti dai vostri predecessori con le altre società. Su questi debiti maturano degli interessi, che sono un ulteriore capestro: se posso usare un'espressione giornalistica direi che siete incaprettati. Quale è il vantaggio di questa operazione? Lo domando perché ancora non ho constatato un dato di relativa positività.
La volta scorsa lei ci disse «se fossero stati denari miei, non l'avrei fatto»: insiste su questa proposizione?

GIOVANNI GARAU. Con il senno del poi sì, per tutto quello che è avvenuto. Come gestore ripeto: la nostra società Telekom-Serbia è nata nel peggior periodo di Telecom Italia. Parlo per me: sono stato vicedirettore generale di Telekom-Serbia per quattro anni, dal 26 giugno 1997 al 10 maggio 2001; in quattro anni il vertice di Telecom Italia è cambiato cinque volte. Io personalmente ho cambiato cinque volte il mio direttore degli internazionali.
Ho cambiato otto volte il mio uomo di Telecom Italia addetto al coordinamento di Telekom-Serbia. Ogni volta che si iniziava un programma o si faceva un progetto non riuscivamo ad andare avanti perché dovevamo cominciare daccapo. Faccio un solo esempio. Sono stato nominato il 26 maggio; il presidente era Rossi e l'amministratore delegato era il dottor Tommasi. Ho visto quest'ultimo solo il 27 giugno, quando sono rientrato a Roma, per salutarlo; sono riuscito a vederlo di nuovo la vigilia di Natale rientrando a


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Roma per le ferie e per fargli gli auguri perché c'era sempre il problema che era impegnato nel «giro per le azioni», il cosiddetto road show: era il momento della privatizzazione, quindi non poteva ricevermi e dovetti rivolgermi ad altri. Finalmente, in dicembre, ho chiarito con il dottor Tommasi tante cose che avevo già manifestato ai miei superiori e che non riuscivamo a portare avanti; il dottor Tommasi si impegnò personalmente e fece convocare una riunione in cui intervenne, in Grecia, alla presenza di tutti e tre gli azionisti. Mettemmo a punto una strategia ed il giorno dopo il dottor Tommasi tornò in Italia e fu rimosso dal suo incarico.
Per un anno esatto non ho più avuto contatti con il nuovo direttore degli internazionali. Quando, dopo un anno, sono stato chiamato a Roma perché dovevo essere licenziato essendomi permesso di dire ad un giornale che le cose non andavano male, dissi all'allora direttore: lei mi chiama dopo un anno per presentarmi una contestazione scritta in cui si paventa il licenziamento; per un anno lei ha saputo che c'era Telekom-Serbia? Non mi sono occupato di Telekom-Serbia, è stata la risposta.

PRESIDENTE. Non lo sapeva.

GIOVANNI GARAU. No. Mi ha fatto capire...

GIUSEPPE CONSOLO. Chi le disse questo?

GIOVANNI GARAU. L'allora direttore degli internazionali, il dottor Stecco: ma è normale. Cambiando il vertice ogni anno, con il cambio del relativo sottovertice, ci siamo sentiti completamente abbandonati. È allora difficile per me dare una valutazione. Col senno del poi, i miei soldi non li avrei investiti. Però è difficile dire che se fosse capitato questo tipo di investimento... Non voglio valutare, non so...

PRESIDENTE. Questo l'ha detto.

GIOVANNI GARAU. La conduzione è stata fatta in modo tale che non siamo riusciti - poi c'è stata la sventura della guerra - a portare a termine una strategia.

PRESIDENTE. Si può dire che l'azienda non era un modello gestionale?

GIOVANNI GARAU. Era un'azienda statale. Sapevamo a quali difficoltà andavamo incontro: dovevamo privatizzare un'azienda statale, che si trovava in un regime. Quindi, certe difficoltà le conoscevamo; non conoscevamo tutto il resto: purtroppo lo abbiamo appreso stando sul posto.

PRESIDENTE. Mi dia una chiave di interpretazione. Se ci fosse stata la due diligence, sarebbe stato un grande vantaggio per voi? Vi avrebbe liberato da una serie di sorprese?

GIOVANNI GARAU. Ci avrebbe reso le idee più chiare al momento della partenza.

PRESIDENTE. Il che vuol dire che una mancanza di due diligence è stata essenziale in negativo, nel momento in cui voi non avevate elementi di controllo preventivo per stabilire le difficoltà: è così?

GIOVANNI GARAU. Lei parla di mancanza: ma una due diligence c'era, molto «veloce», molto affrettata, ma c'era.

PRESIDENTE. A noi hanno detto che ce ne era una abborracciata, «tanto per...»

GIOVANNI GARAU. L'ho detto.

PRESIDENTE. Perfetto. Quando parlo di due diligence intendo dire quello che tecnicamente deve essere: seria, ponderata e...

GIOVANNI GARAU. Io non l'ho vista.

PRESIDENTE. Lei non l'ha vista perché non c'era.


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GIOVANNI GARAU. Non l'ho vista.

PRESIDENTE. Si è mai attivato a sostituire o a fornire riparazioni alle nostre centrali?

GIOVANNI GARAU. Come italiani mai, perché non ci occupavamo di centrali, a meno che non si trattasse di quella internazionale.

PRESIDENTE. E su questa non ci sono state riparazioni?

GIOVANNI GARAU. Su quella internazionale sì: come ho detto, è stata bombardata quella satellitare e la centrale internazionale, e quest'ultima la abbiamo rifatta nuova alla fine del 2000. L'ingegner Righi, con il mio avallo, si è occupato del rifacimento e dell'ampliamento della centrale internazionale di Belgrado.

PRESIDENTE. Le faccio un'ultima domanda. Su la Repubblica del 4 marzo 2001 c'è questo titolo: «Liti, favoritismi, spese folli: lo sfascio di Telekom-Serbia». «Un dirigente italiano contatta la Ericsson per la fornitura di stazioni base per la rete mobile. Offerta: 48 milioni di marchi. Seconda offerta, tra i 32 e i 33 milioni di marchi. Interviene Drasko Petrovic e dalla Svezia strappa un prezzo decisamente più basso: 23 milioni di marchi. Ora il presidente Petrovic rischia il posto per aver firmato in quanto, se si eccedono i 5 milioni di marchi, deve deliberare il consiglio di amministrazione». Lei conosce il nome del dirigente italiano che aveva chiesto il preventivo?

GIOVANNI GARAU. Io: l'ho chiesto, ma non il 4 marzo 2001. L'ho chiesto nel periodo di vacatio in cui il direttore generale precedente, ingegner Nesovic, si era dimesso. Per 50 giorni, con l'assenso del vicepresidente del Governo Covic, ho assunto la carica di direttore generale. Ricevendo le lamentele, come dicevo prima, dell'ingegnere Cristofoli in merito alla saturazione della rete, ho chiesto un preventivo alla Ericsson per l'ampliamento della stessa. Quando questo preventivo è arrivato, quello dei 48 milioni di marchi, ho scritto una lettera pesantissima ad Ericsson Italia e ad Ericsson Svezia - spero che sia agli atti da qualche parte e che voi l'abbiate trovata - in cui dicevo che ci stavano prendendo in giro in quanto l'ingegner Cristofoli mi aveva detto che erano prezzi esorbitanti, dal momento che calcolavano il rischio paese. In quel momento è subentrato l'ingegner Petrovic, nominato dal Governo direttore generale, e da allora in poi non mi sono più occupato della questione: l'ingegner Petrovic ha condotto la trattativa. L'ho avvisato che esisteva una delibera del consiglio di amministrazione che mi dava la possibilità, come vicedirettore generale, di firmare fino ad un milione di marchi e a lui fino a cinque milioni di marchi, e che per una cifra superiore si doveva chiedere il permesso. Mi rispose di farmi e gli affari miei: firmò e poi ci fu una polemica.
L'altra volta lei mi chiese: lo volevano licenziare? No, nacque questa polemica perché il consiglio di amministrazione ha stigmatizzato il suo comportamento in quanto aveva firmato quel contratto in mancanza dell'assenso.

PRESIDENTE. Lei informò Telecom Italia?

GIOVANNI GARAU. Ho sempre informato Telecom Italia: penso che avranno dalle 500 alle 600 lettere mie e dei miei collaboratori su tutti gli argomenti che potevano nuocere all'immagine di Telecom Italia e al nostro rapporto in Telekom-Serbia.

PRESIDENTE. Tra cui anche una su questo tema specifico.

GIOVANNI GARAU. Certo: si sono anche svolti incontri a Roma perché, se l'ingegner Petrovic è riuscito firmare a 23 miliardi, è stato proprio per l'intervento di alcuni esponenti dell'azionista italiano presso la Ericsson, che sono andati a premere per far abbassare il prezzo e ridimensionare la strumentazione. Ma l'intervento


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è stato di Telecom Italia su Ericsson, non di Telekom-Serbia, perché non avevamo rapporti.

PRESIDENTE. Concludo le mie domande chiedendole: lei conosce - trovandosi sul posto - il giornale Nasha Borba?

GIOVANNI GARAU. Sì, è uno dei tanti.

PRESIDENTE. È un giornale qualificato?

GIOVANNI GARAU. È simile ad alcuni tabloid inglesi.

PRESIDENTE. Questo giornale parla di un prestito proveniente dall'Italia di 63 miliardi a Telekom-Serbia: lei ne sa qualcosa?

GIOVANNI GARAU. Ricordo il prestito nel 1998 di 127 o 130 miliardi: se lei divide il 51 per cento di questa somma fa 65, che era la parte di PTT; l'altro 65 era diviso tra 29 per cento di Telecom Italia e 20 per cento di OTE. Forse potrebbero essere quelli.

PRESIDENTE. Almeno in via di interpretazione, 63 miliardi può essere una cifra corretta, però nella misura del 29 per cento verso di noi e del 20 per cento alla OTE.

GIOVANNI GARAU. Esatto: questo è l'unico prestito che conosco.

PRESIDENTE. Ho concluso. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre a loro volta domande.

GIUSEPPE CONSOLO. Dottor Garau, lei arriva in Serbia il 26 giugno 1997 ed assume le vesti di vicedirettore generale e responsabile del comitato esecutivo.

GIOVANNI GARAU. Esatto.

GIUSEPPE CONSOLO. Lei trova una situazione, sotto il profilo tecnologico, in cui una società di comunicazioni agiva con il sistema digitale o analogico?

GIOVANNI GARAU. Analogico.

GIUSEPPE CONSOLO. Questo fu per lei una sorpresa?

GIOVANNI GARAU. No.

GIUSEPPE CONSOLO. Ormai sappiamo tutti che il sistema analogico era superato.

GIOVANNI GARAU. In Italia si stava finendo di superare: è stato superato definitivamente nel 1997-1998.

GIUSEPPE CONSOLO. A quel punto lei presentò un programma per potenziare e trasformare questo sistema in digitale?

GIOVANNI GARAU. Siamo riusciti a fare per la prima volta un programma così consistente solo nel 1998.

GIUSEPPE CONSOLO. Per arrivare al digitale e potenziare la linea lei chiese istruzioni a Telecom Italia?

GIOVANNI GARAU. No. Avvisai Telecom Italia che da parte dei dirigenti serbi responsabili del passaggio da analogico al digitale non c'era ancora nessun programma.

GIUSEPPE CONSOLO. Mi può dire a chi si rivolse di Telecom Italia?

GIOVANNI GARAU. Nel settembre 1997 io, l'ingegner Cristofori, il dottor Calzavara, l'ingegner Rosati e l'ingegner Righi andammo a Roma ed avvisammo tutta la direzione internazionale delle varie precarietà che avevamo trovato, fra le quali anche il problema delle centrali analogiche.

GIUSEPPE CONSOLO. Siccome «tutta la divisione internazionale» è cugina


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prima di «Telecom Italia», nel senso che per noi è un'entità astratta, mi può dire a chi faceva capo?

GIOVANNI GARAU. All'ingegner Oscare Cicchetti, coadiuvato da vari settori, dal budget, dal traffico, eccetera.

GIUSEPPE CONSOLO. Non so se il presidente ammetterà la mia domanda, ma essa ha uno scopo. Che retribuzione mensile globale percepiva per la sua attività?

GIOVANNI GARAU. La stessa retribuzione che percepivo come direttore regionale della Campania-Basilicata.

GIUSEPPE CONSOLO. Che in lire vuol dire?

GIOVANNI GARAU. Circa 30 milioni lordi, più l'indennità di trasferta.

GIUSEPPE CONSOLO. Per un totale approssimativo?

GIOVANNI GARAU. In che senso?

GIUSEPPE CONSOLO. In totale quanto percepiva di retribuzione?

GIOVANNI GARAU. Circa 30 milioni lordi di lire italiane...

GIUSEPPE CONSOLO. Più l'indennità, pari a un totale di ...?

GIOVANNI GARAU. L'indennità era di 11 mila dollari.

GIUSEPPE CONSOLO. Possiamo dire che lei percepiva sui 50 milioni al mese lordi?

GIOVANNI GARAU. Ventidue erano netti, perché erano in dollari, dal momento che erano un rimborso: con quei soldi dovevo pagare l'alloggio, i viaggi per tornare in Italia, il vitto, eccetera.

GIUSEPPE CONSOLO. Non voglio trasformarmi in un agente del fisco, anche perché è tutto ufficiale: voglio arrivare alla conclusione che lei era un manager da 50 milioni al mese.

GIOVANNI GARAU. Ma anche di più per la Telecom, perché i 30 milioni lordi significano altri soldi.

GIUSEPPE CONSOLO. I dati che avevo io parlavano di circa 60-70 milioni al mese lordi.

GIOVANNI GARAU. Settanta no...

PRESIDENTE. Comunque, se si fosse accontentato di meno, avrebbe fatto il parlamentare...!

GIUSEPPE CONSOLO. Lei ha appena detto che la Telekom-Serbia nacque nel peggior momento di Telecom Italia.

GIOVANNI GARAU. Da un punto di vista organizzativo sì, lo confermo.

GIUSEPPE CONSOLO. Le faccio presente che dal punto di vista economico la Telecom Italia nel 1997 conseguì risultati record: quindi lei si riferiva all'aspetto manageriale-organizzativo?

GIOVANNI GARAU. Ho parlato di aspetto organizzativo.

GIUSEPPE CONSOLO. D'accordo. Torniamo indietro. Lei informò la divisione, nelle persone che ci ha detto, circa la necessità di trasformare la rete da analogica in digitale e diede un suo progetto da tecnico.

GIOVANNI GARAU. Non sono un tecnico: ho dato un suggerimento.

GIUSEPPE CONSOLO. Va bene. A quel punto lei ha contattato aziende italiane o straniere per porre in essere queste iniziative?


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GIOVANNI GARAU. No, perché non era di mia competenza.

GIUSEPPE CONSOLO. Le faccio presente che negli atti di questa Commissione c'è una circostanza - non le posso fornire il nome perché è segretato -, una notizia dell'8 maggio 2003, poi confermata dall'ufficiale dei servizi segreti, secondo cui ci fu una sovrafatturazione funzionale al rientro dei capitali in Italia e relativa all'acquisto di beni e servizi per la modernizzazione dell'impianto Telekom-Serbia.

GIOVANNI GARAU. Risulta anche a me perché mi ha reso più comprensibili certe sue domande dell'11 giugno: grazie al giornale la Repubblica, dove hanno detto che sono a capo di un progetto criminoso. Mi hanno aiutato ad essere più sereno oggi, perché mi hanno reso più comprensibili certe sue domande che l'altra volta mi avevano sbalordito.

GIUSEPPE CONSOLO. Lasciando stare i commenti, perché noi come parlamentari in audizione non possiamo permetterceli, che ha da dire su questa circostanza?

GIOVANNI GARAU. Quello che ho già detto l'altra volta.

GIUSEPPE CONSOLO. Però questa volta risponde cognita causa.

GIOVANNI GARAU. Sulla base delle mie deleghe non potevo assolutamente occuparmi di quello che voi chiamate sovrafatturazioni. Anzi, io chiesi ed ottenni, dal punto di vista procedurale, che ogni contratto portasse almeno le firme di 5 direzioni: la direzione che chiedeva, e che quindi faceva le specifiche e le consegnava alla direzione acquisti, l'unica autorizzata a trattare con i fornitori italiani, tedeschi, eccetera.

GIUSEPPE CONSOLO. Vale anche per me l'esigenza della sintesi: insomma, lei dice che non è così perché aveva bisogno di cinque firme.

GIOVANNI GARAU. No, nel senso che non ho mai partecipato ad una trattativa economica con chicchessia fornitore italiano, tedesco, francese o altro.

GIUSEPPE CONSOLO. Ma prescindendo dalla sua partecipazione, era a conoscenza della circostanza?

GIOVANNI GARAU. È una cosa non fattibile e le spiego perché. Che cosa intende lei per sovrafatturazione? Perché possono essere di due tipi...

GIUSEPPE CONSOLO. La sovrafatturazione viene definita in ogni manuale come quell'escamotage attraverso cui...

PRESIDENTE. Scusi, senatore Consolo, invece di riferirci a manuali, parliamo del caso specifico. Ci è stato riferito di un certo palo: contesti quella circostanza e vediamo se possiamo arrivare a qualcosa.

GIUSEPPE CONSOLO. La circostanza è che un palo il cui valore sarebbe stato pari a X in realtà sarebbe stato fatturato Y, intendendo con ciò X più una certa parte di sovrafatturazione.

GUIDO CALVI. Per ragioni di correttezza e di garanzia occorre ribadire al nostro teste, senza fare nomi, che un audito da questa Commissione, ufficiale dei servizi, ha riferito che un confidente di cui non ha inteso fare il nome gli avrebbe riferito: siamo quindi di fronte a questo passaggio. È ben chiaro che si ha una fonte confidente, di cui non sappiamo il nome, che ha riferito a questo ufficiale il quale a sua volta ha riferito alla Commissione esattamente quello che le sta contestando il senatore Consolo.

GIUSEPPE CONSOLO. Riferisce che un palo la cui sigla è BG 17 Aerodrome...

GIUSEPPE FANFANI. Questa è una domanda non ammissibile perché, dal momento che de relato ci serviamo del codice di procedura penale, le dichiarazioni non


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sorrette da una prova di supporto non sono assolutamente utilizzabili se sono anonime.

PRESIDENTE. Onorevole Fanfani, affinché io possa ammettere o meno la domanda è necessario che ne ascolti la formulazione.

GIUSEPPE FANFANI. L'avevo ben intesa.

PRESIDENTE. Lei ha questa fortuna di prevedere: io non sono preveggente e cerco di ascoltare la domanda per intero.

GIUSEPPE FANFANI. No, lei comprende molto più di me: sono dichiarazioni di un ufficiale di polizia giudiziaria...

PRESIDENTE. Ascoltiamo prima la domanda, poi decideremo.

GIUSEPPE CONSOLO. Le risulta, dottor Garau, che un palo per le trasmissioni la cui sigla è BG 17 Aerodrome sia stato sovrafatturato? Per conoscenza dei colleghi, la domanda è più che ammissibile.

PRESIDENTE. Credo che il giudizio di ammissibilità, per la parte minimale, spetti anche al presidente. Così fatta la domanda è proponibile, poiché si chiede non se abbia conoscenza diretta ma se abbia avuto notizie, voci o altro. A questo il teste può rispondere.

GIOVANNI GARAU. Prima di rispondere, l'unica cosa che vorrei chiedere all'onorevole Consolo è di che palo si trattasse.

PRESIDENTE. Lo ha indicato.

GIOVANNI GARAU. No, ha parlato di un palo di trasmissioni e pali di trasmissioni non ne esistono. Era un palo per le linee telefoniche?

GIUSEPPE CONSOLO. Era un palo relativo alla installazione d'antenna avente sigla BG 17 Aerodrome.

GIOVANNI GARAU. Chiedo scusa. Per questo ho chiesto chiarimenti, perché lei aveva parlato di un palo di trasmissioni, che non esiste. Invece, il palo di cui lei parla era, probabilmente, uno di quelli che reggevano le antenne delle stazioni del radiomobile.

GIUSEPPE CONSOLO. Sì, esatto.

GIOVANNI GARAU. Non mi sono mai occupato di queste questioni tecniche, perché non erano mia materia. Ricordo che l'altra volta il presidente mi fece una domanda su un palo K 17 ed io dissi di non conoscerlo, proprio perché...

PRESIDENTE. Noi invece abbiamo una cultura su tutti i pali...

GIOVANNI GARAU. Sono contento per voi (Commenti). No, io non dico che sia una balla, però non è mia conoscenza... (Commenti del senatore Calvi). Io non mi potevo occupare di queste cose. Ma, guardi, dopo quello che ho letto sui giornali, non mi meraviglia più niente.

PRESIDENTE. La risposta lei l'ha data: non era sua competenza.

GIOVANNI GARAU. Grazie.

GIUSEPPE CONSOLO. Risponde al vero, signor Garau, la richiesta del dicembre 2000, sempre da parte di Telekom-Serbia, di una partita di cellulari indirizzata ad Ericsson Italia? Per sua scienza, la richiesta sarebbe stata formulata da lei medesimo, signor Garau, e dal signor Cristofoli.

GIOVANNI GARAU. Una richiesta di fornitura o una richiesta...

GIUSEPPE CONSOLO. Una partita di cellulari.

GIOVANNI GARAU. Una fornitura, una acquisto di cellulari?


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GIUSEPPE CONSOLO. Sì, l'acquisto di una partita di cellulari.

GIOVANNI GARAU. In questo caso devo dire che non ricordo, perché lei mi ha parlato di una data, dicembre 2000, in cui io svolgevo le funzioni di direttore generale. Probabilmente, può darsi che abbia firmato, con la firma di Cristofoli, anche una richiesta del genere, però in questo momento non ricordo il caso specifico di questa richiesta di cellulari. Però è strano, perché noi non compravamo cellulari Ericsson, perché costavano troppo e per noi era poi una remissione venderli in Serbia. In Serbia utilizzavamo dei cellulari di minor valore dei cellulari Ericsson. Però, può darsi di sì.

GIUSEPPE CONSOLO. Su questo lei è possibilista.

GIOVANNI GARAU. Perché nel dicembre 2000 ero direttore generale, per cui probabilmente tutta la corrispondenza era firmata da me.

GIUSEPPE CONSOLO. Tornando al palo BG 17 Aerodrome, le dico, naturalmente se può esserle utile, che la località in cui questo parlo di supporto fu installato era la Surcinska. Non le ricorda nulla?

GIOVANNI GARAU. Confermo quanto ho risposto nella audizione alla domanda del presidente Trantino, cioè che non conosco questa località.

GIUSEPPE CONSOLO. Noi abbiamo - glielo dico, così lei può regolarsi - delle note che mi impongono, se il presidente lo autorizza, di formularle nuovamente la domanda relativa a suoi conti detenuti in Svizzera, di cui alla precedente audizione. Quella volta, infatti, noi non avevamo visto o, perlomeno, io non avevo preso visione di una nota che era stata trasmessa da tale Claudio Righi ad Archimede Del Vecchio ed a lei per conoscenza. Cosa ha da dirci riguardo a questi conti esteri, leciti, per carità, dal punto di vista della normativa dell'epoca, in clearing, cioè entrate laterali rispetto a quelli ufficiali?

GIOVANNI GARAU. Allora, come già spiegai l'altra volta, noi ci accorgemmo nel 1998, cioè l'ingegner Righi si accorse nel 1998 che la CYPTT, società che coordinava già da prima le attività postali e di telecomunicazioni di Serbia e Montenegro, aveva presso una banca svizzera, mi sembra di ricordare che fosse la UBS, un conto in cui c'erano le entrate e le uscite anche del traffico telefonico di tutte le società internazionali che avevano un contratto con noi. Chiedemmo al consiglio d'amministrazione che oltre alle quattro firme che già erano in questo conto, cioè quelle del presidente e del vicepresidente della CYPTT, della presidentessa e del direttore generale della PTT, fossero aggiunte anche le firme del direttore generale e del nostro capo della finanziaria, che era un greco. Il consiglio d'amministrazione, invece, deliberò che fossero aggiunte le firme del direttore generale e quella mia, del vice direttore generale. Questa è la conoscenza che noi abbiamo avuto di questo conto.
L'utilizzo di questo conto da parte nostra - dico «nostra» in maniera impropria, perché non credo di aver firmato più quattro o cinque mandati di pagamento in questo conto, perché normalmente erano firmati dal direttore generale - era quando dovevamo fare dei pagamenti in divisa, quindi aziende estere tipo Siemens, Alcatel o Ericsson quando è subentrata. Noi utilizzavamo i fondi di questo conto per pagare queste ditte. Questa è la mia conoscenza di questo conto.

GIUSEPPE CONSOLO. Quando lasciò la carica, lei firmò il cambiamento della firma su quel conto, oppure fu esautorato, cosa che, peraltro, appare inspiegabile alla Commissione?

GIOVANNI GARAU. No, come già dissi l'altra volta, io non firmai nulla, perché non avevo firmato io. Io avevo solo fatto


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il mio spacement che era stato mandato da Telekom-Serbia, dalla segreteria del consiglio d'amministrazione alla banca.

GIUSEPPE CONSOLO. Ma lo spacement, che si chiama spacement or replacement, cioè lo spacement della firma, cioè la dicitura della firma a vantaggio di quello che occuperà poi la sua carica, lei ricorda... Questo è un punto inspiegabile ed indico a lei ed ai colleghi della Commissione il perché: non firmando quella chiusura di conto a favore del subentrante, il signor Garau non può aver visto il saldo o, comunque, l'andamento della movimentazione sul conto svizzero.

GIOVANNI GARAU. No, ogni mese il responsabile della direzione finanziaria mi dava la situazione del nostro conto in divisa. Quindi, al momento in cui io ho lasciato Telekom-Serbia, che, poi, non ho lasciato subito, perché sono stato affiancato dall'ingegner Aceto, che mi ha sostituito, 15 giorni prima della mia uscita e un mese dopo della mia uscita io ero a Belgrado ed ero a disposizione dell'ingegner Aceto per aiutarlo a conoscere tutte le cose...

GIUSEPPE CONSOLO. Quindi, sul conto svizzero lei non sa cosa dirci. Non è in condizione di dirci niente.

GIOVANNI GARAU. No, non sono in condizione di dirvi niente. Speravo che me l'avreste detto voi. Dall'11 giugno ad oggi avete controllato quello che è successo. Siete stati anche in Serbia! Io non mi posso muovere...

GIUSEPPE CONSOLO. Io sto parlando del conto svizzero.

GIOVANNI GARAU. Esatto. Però in Telekom-Serbia avranno agli atti l'eventuale delibera del consiglio d'amministrazione che ha insediato un'altra persona. Se hanno continuato ad utilizzare quel conto, avranno dato la firma all'ingegner Aceto.

GIUSEPPE CONSOLO. Lei conosce Maurizio Tucci, della Ericsson Italia?

GIOVANNI GARAU. L'ho conosciuto nel febbraio 1998, perché, mentre era in trattative per problemi dell'Ericsson, venne a trovarmi per comunicarmi quella che allora ritenevo una bella notizia, a nome del padre, che era stato mio direttore generale e che è l'attuale presidente degli anziani italiani. Il quale padre, che mi ricordava bene, mi comunicava che il 1o maggio del 1998 sarei stato nominato - le sembrerà strano - maestro del lavoro. Ecco l'occasione in cui ho conosciuto Tucci.

GIUSEPPE CONSOLO. Era solo o c'era anche qualcun altro?

GIOVANNI GARAU. Era accompagnato - lo dissi anche l'altra volta - da una signora di cui non ricordo il nome. Era una signora napoletana, che era l'esperta nelle trattative economiche della Ericsson.

GIUSEPPE CONSOLO. Se io le dico dei nomi, a lei possono dire qualcosa?

GIOVANNI GARAU. Certo.

GIUSEPPE CONSOLO. Ingegner Bragagni?

GIOVANNI GARAU. No, questo nome non mi dice nulla.

GIUSEPPE CONSOLO. Tali altri signori: Benvenuti, Calabrò, Cenedese, Fariello?

GIOVANNI GARAU. No.

GIUSEPPE CONSOLO. E la trattativa, per caso, ebbe ad oggetto il potenziamento della rete di telecomunicazioni, nello spirito di quello che lei ha detto in risposta alla prima o seconda domanda che le ho posto?


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GIOVANNI GARAU. Io non ho mai fatto nessun tipo di trattative, in particolare trattative tecniche, perché non sono all'altezza, non sarei capace.

PRESIDENTE. Ha dato questa risposta anche la volta scorsa.

GIUSEPPE CONSOLO. Ultima domanda. Nell'audizione dell'11 giugno mi pare che il presidente le pose una domanda circa i motivi per cui la società di auditing Cooper Lybrand non certificò il bilancio di Telekom-Serbia, e lei rispose perché c'era un'incongruenza di valore. Anzi, le parole da lei usate furono esattamente «in quanto c'era un incongruenza tra il valore che era stato dato ad alcuni asset al momento della acquisizione e che noi gestori avevamo riscontrato al momento di fare il bilancio». Può, per piacere, essere più preciso su queste differenze?

GIOVANNI GARAU. Più preciso in che senso? Erano inferiori...

GIUSEPPE CONSOLO. Cooper Lybrand rifiuta, contrariamente al proprio mestiere, perché questi vivono di auditing...

PRESIDENTE. Lasciamo da parte i commenti.

GIUSEPPE CONSOLO.... di certificare il bilancio relativo al 1997, sostenendo, come lei ha detto in Commissione, che c'era un'incongruenza tra il valore che era stato dato ad alcuni asset, quindi ad alcuni cespiti patrimoniali, in relazione al bilancio e «noi gestori» - è lei che parla, signor Garau - «avevamo riscontrato questa differenza». Può essere, per piacere, più preciso su questa circostanza?

GIOVANNI GARAU. Faccio un esempio. Mi è stato riferito, come presidente del comitato esecutivo - perché non mi occupavo della parte «edile» o «centrali», laddove, poi, è nato il caso, cioè la diversa valutazione dell'asset edile o dell'asset di strumentazione - nel comitato esecutivo, dicevo, mi sono state portate alcune cifre che erano inferiori a quelle che risultavano nella valorizzazione che esisteva nell'accordo degli asset.

GIUSEPPE CONSOLO. Quindi posso dire, senza volerle mettere in bocca le risposte, cosa che non mi permetterei mai di fare, che i presupposti contrattuali che avevano portato ad una valutazione del 29 per cento di quasi 900 miliardi non corrispondevano a quanto poi Cooper accertò?

GIOVANNI GARAU. Non ho detto questo. Io ho detto che mi sono trovato di fronte a dei valori che non corrispondevano. Cioè, per me questa bottiglia che ho davanti risultava, in quel momento, costare 100 lire; nell'accordo c'era scritto 110; io, come presidente del comitato esecutivo, ho detto di mandare a rivedere il bilancio.

GIUSEPPE CONSOLO. Ricorda le differenze, più o meno, in che ordine di grandezza si aggiravano?

GIOVANNI GARAU. No, lei mi sta chiedendo qualcosa...

GIUSEPPE CONSOLO. Parlo dell'ordine di grandezza, non le chiedo i numeri.

GIOVANNI GARAU. È difficile ricordare quello che è successo sei anni fa, con il discorso della svalutazione... perché facevamo i conti maniera diversa.

GIUSEPPE CONSOLO. Ma io non chiedo cifre, signor presidente. Io chiedo, e vorrei che ella lo facesse presente al teste Garau, di darmi una indicazione dell'ordine di grandezza. Ad esempio: mi fu chiesto un prezzo che non ricordo ma che era di due volte il valore. Oppure...

GIOVANNI GARAU. No, non parlo di due volte. C'erano delle differenze. Alcune di queste sono state rese più evidenti perché c'erano due modi di fare la valutazione del bilancio.


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PRESIDENTE. Mi scusi, si fermi lì. In queste differenze che sono state rese più evidenti, che sarebbero quelle del picco più alto, che lievitazione c'era?

GIOVANNI GARAU. Il 10-12-13 per cento.

PRESIDENTE. Va benissimo.

GIOVANNI GARAU. Ma sto andando «a spanne», onorevole.

PRESIDENTE. Sì, va bene.

GIUSEPPE CONSOLO. Io ho finito.

PRESIDENTE. La parola al senatore Lauria.

MICHELE LAURIA. Sarò brevissimo, presidente, anche perché ho visto che in molte domande ci siamo spostati al dopo negoziato, diversamente da altre volte. Dunque, anche se risulta da diverse fonti, in questo momento mi rivolgo al teste: per quanto a sua conoscenza, per ovvi motivi di politica industriale, sinergie con fornitori e quant'altro, erano interessati a Telekom-Serbia (secondo voci che giravano anche sui giornali serbi) anche i tedeschi e i francesi?

GIOVANNI GARAU. Sì, così ho sentito dire e si leggeva sui giornali serbi, come ha detto lei.

MICHELE LAURIA. Non a caso ho citato quelli. Altra breve domanda, alla quale chiedo una risposta breve, andando alla sostanza del problema, che, poi, è quella che poneva il presidente e che io voglio ripuntualizzare nei punti essenziali: senza la guerra (con tutto quello che comporta dal punto di vista economico) il mercato serbo in prospettiva avrebbe potuto dare degli utili, data la scarsa incidenza di diffusione del traffico. Mi pare di aver capito che, senza la guerra, era un mercato che potenzialmente avrebbe potuto dare degli utili: è così oppure no?

GIOVANNI GARAU. Io ritengo che tutti i paesi dell'est in quel periodo erano potenzialmente appetibili.

MICHELE LAURIA. Ricorda anche lei, come manager del gruppo, che su Praga o su Budapest furono fatte da parte di altri colossi telefonici operazioni analoghe di acquisizione, pagate addirittura...

GIOVANNI GARAU. Quattro volte.

MICHELE LAURIA. Quattro volte rispetto a Telekom-Serbia. Mi pare che abbiamo un ricordo in comune.

GIOVANNI GARAU. Noi ci siamo ritirati da due tentativi di acquisizione, in Polonia e in Romania, proprio perché, mentre era nelle nostre intenzioni, presa Belgrado e conoscendo i discorsi dell'Unione europea, che si allargava all'est, di puntare, appunto, all'est, cioè Polonia e Romania... Noi abbiamo partecipato, questo mi risulta personalmente, anche se non ho partecipato io, a Polonia e Romania ma poi avendo visto l'impennata, molto strana, in particolare in Romania, abbiamo ceduto ad altri e dico anche a chi, alla OTE, ai nostri soci greci a Belgrado, di andare in Romania, perché a noi sembrava che il prezzo fosse diventato troppo esoso.

MICHELE LAURIA. Le rivolgo ancora una domanda, essendo lei addentro al settore. In quell'epoca, pur essendo l'Italia tra i paesi più avanzati nelle telecomunicazioni...

GIOVANNI GARAU. Eravamo il quinto gestore del mondo.

MICHELE LAURIA. Però c'era ancora una fase di transizione dall'analogico al digitale.

GIOVANNI GARAU. Sì, nel 1998 abbiamo terminato la fase di digitalizzazione.


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MICHELE LAURIA. Mentre era un terreno sostanzialmente vergine, con grandi potenzialità, per quello che poi di fatto è avvenuto, lo sviluppo del mobile in Serbia. Lì erano previste diverse possibilità.

GIOVANNI GARAU. Quella era la cosa che, probabilmente, ha più attirato i responsabili di Telecom Italia ad andare in Serbia, proprio lo sviluppo del radiomobile, che ancora adesso è il business effettivo.

MICHELE LAURIA. Un'ultima cosa, presidente, e ho finito. Quindi, sostanzialmente ci fu una mancanza di raccordo tra i responsabili nominati in Serbia, cioè lei, e i vertici italiani. Tra l'altro, lei ricorda che nel dicembre 1997 (massimo della sfortuna) ebbe delle assicurazioni da Tomaso Tommasi...

GIOVANNI GARAU. Che poi andò via.

MICHELE LAURIA. ...che dopo sei mesi...

GIOVANNI GARAU. No, dopo un mese e mezzo.

MICHELE LAURIA. Intendevo dire che dopo sei-sette mesi dall'operazione Telekom-Serbia è andato via, come Pascale, Agnes e Chirichigno. Anzi, forse lui è andato prima. Grazie, non ho altre domande, presidente.

PRESIDENTE. La ringrazio. Voglio ricordare ai colleghi che dopo il presidente Cantoni, cui ora darò la parola, sono iscritti a parlare i colleghi Vito, Forlani, Montalbano, Bonavita, Petrini, Chirilli e Zancan, con il che chiudo le iscrizioni, perché andremo ad altra seduta. Se intendessero iscriversi anche altri, non finiremmo mai.

MICHELE LAURIA. Non faccio nomi, presidente, perché ho rapporti di amicizia con tutti, ma credo che lei dovrebbe formulare un invito ai consulenti affinché non facciano suggerimenti plateali, con bigliettini, di domande, non importa a quale parte politica.

PRESIDENTE. In via di principio.

MICHELE LAURIA. In via di principio, per carità di patria. Perché ne ho già visti due.

PRESIDENTE. Io direi per ragioni di immagine.

MICHELE LAURIA. Anche per ragioni di immagine. Perché, forse, le polemiche che abbiamo fatto sinora non avremmo dovuto subirle, se non si è capita la lezione.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda i consulenti, senatore Lauria, non c'è stata lezione alcuna. La sua richiesta è assolutamente corretta per quanto attiene alla cosiddetta platealità. I consulenti servono per essere consultati; qualunque parlamentare deve rivolgersi ai consulenti...

MICHELE LAURIA. Presidente, lei ha capito.

PRESIDENTE. Sì. Proprio per questo evitiamo di proseguire su tale argomento.
Signor Garau, lei è in condizione di tornare il 27 novembre prossimo?

GIOVANNI GARAU. Va bene, presidente. Come vuole lei.

PRESIDENTE. Do la parola al senatore Cantoni, ricordando che alle 15,55 le Commissioni sono sconvocate per concomitanti votazioni presso l'Assemblea della Camera.

GIAMPIERO CANTONI. La prima domanda, che può sembrare ingenua, è che stando alle mie informazioni la Telecom Italia ha comprato STET, SIN, Telekom-Serbia, ma in realtà il potere di gestione era totalmente in mano ai serbi. È così?

GIOVANNI GARAU. No. In che senso?


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GIAMPIERO CANTONI. Chi aveva potere di gestione nella società Telekom-Serbia?

GIOVANNI GARAU. Da un punto di vista operativo, i dirigenti che erano presso Telekom-Serbia; da un punto di vista...

GIAMPIERO CANTONI. I dirigenti erano serbi?

GIOVANNI GARAU. No. C'era un direttore generale serbo.

GIAMPIERO CANTONI. Quindi, il potere era del direttore generale, serbo.

GIOVANNI GARAU. Esatto. E io ero vicedirettore generale su sette direzioni.

GIAMPIERO CANTONI. La mia domanda precisa è: chi aveva il potere? Il direttore generale?

GIOVANNI GARAU. Il potere come capo azienda era del direttore generale, Milos Nesovic.

GIAMPIERO CANTONI. Quindi, noi abbiamo acquistato un'azienda e il potere lo hanno continuato ad avere i serbi.

GIOVANNI GARAU. Ma in tutte le acquisizioni...

GIAMPIERO CANTONI. Abbiamo comprato il 29 per cento, poi c'è la parte dei greci e tutto il resto. Noi non avevamo alcun potere: contavamo come il due di picche, questa è la realtà!

GIAMPAOLO ZANCAN. Questa è un'offesa nei confronti dei nostri interlocutori!

GIAMPIERO CANTONI. No, nessuna offesa. Poiché nessuno mi può insegnare come si possano gestire delle aziende, io sono nella facoltà di esprimere un mio parere, suffragato da esperienza, che non si può comprare il 49 per cento di un'azienda e non avere alcun potere, perché questa è la realtà di Telekom-Serbia.

PRESIDENTE. Senatore Cantoni, questo è un apprezzamento, questa è una valutazione. Formuli la domanda.

GIAMPIERO CANTONI. La domanda è: chi aveva il potere...

GIUSEPPE FANFANI. Lei ha il potere di fare quante domande vuole, ma non di esprimere pareri che poi diventano suggestioni...

GIAMPIERO CANTONI. Io non accetto... Io ho posto la domanda (Commenti)...

PRESIDENTE. Colleghi, l'ho già precisato. Se da parte di tutti i colleghi ci fosse un indice di attenzione in più avreste sentito che io ho detto al presidente Cantoni che questo è un apprezzamento e non una domanda. Quindi, aspetto la domanda.

GIAMPIERO CANTONI. Io ho posto una precisa domanda.

GIUSEPPE FANFANI. Sono state fatte delle premesse suggestive che poi necessariamente influiscono sulla qualità della domanda (Commenti).

PRESIDENTE. Evitiamo le premesse.

GIAMPIERO CANTONI. Io ho posto una precisa domanda, vale a dire chi avesse il potere in Telekom-Serbia. La risposta è stata: i dirigenti. La mia controdomanda è stata: chi era il direttore generale e chi aveva potere? La risposta è stata: il direttore serbo. Quindi, mi sembra che sotto l'aspetto etico la domanda sia corretta ed è chiaro che noi non avevamo poteri.
In secondo luogo, lei aveva premesso di non essere un valutatore, però è anche vero che lei faceva il business plan.


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GIOVANNI GARAU. Ho detto di non essere un acquisitore.

GIAMPIERO CANTONI. Un acquisitore o un valutatore. Ritengo siano la stessa cosa. Però, nel verbale mi ha colpito un suo chiarimento; lei ha detto testualmente: «Se posso esprimere un mio parere personale, le posso dire che non so se il valore al momento dell'acquisizione degli 878 miliardi fosse congruo o meno, perché - ripeto - non sono un esperto di acquisizioni. Però le posso dire che se non fosse subentrato il problema Kosovo e quindi l'esproprio del Kosovo» - e qui parla della guerra - «noi in cinque anni avremmo portato quell'azienda ad una situazione che avrebbe giustificato probabilmente quel primo investimento da 900 milioni». Quindi, c'è una precisa valutazione sul fatto...

GIOVANNI GARAU. Valutazione personale e come gestore, e la confermo.

GIAMPIERO CANTONI. Ma a noi importa. Lei ha dichiarato anche che non c'era la due diligence e quindi avete comprato al buio.

GIOVANNI GARAU. È l'azienda che ha comprato al buio.

GIAMPIERO CANTONI. Se vuole, l'azienda ha comprato al buio, ma lei era un dirigente ben remunerato...

GIOVANNI GARAU. Che si occupava di un'altra attività, in quel momento, come ho già precisato. Ero il direttore regionale...

GIAMPIERO CANTONI. Ma lei faceva il business plan, lei aveva la responsabilità.

GIOVANNI GARAU. Io facevo il business plan in Telekom-Serbia.

GIAMPIERO CANTONI. È chiaro. Noi stiamo parlando della valutazione di Telekom-Serbia e lei ha espresso ovviamente una sua opinione personale ed io ricordo questa sua opinione personale e non faccio niente di più. Però abbiamo parlato di valutazioni, di cifre a spanne, e lei in ogni caso ha dato una sua precisa valutazione.

GIOVANNI GARAU. Certo.

GIAMPIERO CANTONI. Cioè che nel momento in cui è stata acquistata, la società non aveva questo valore, per sua opinione personale, ma che in cinque anni, dato che in quel momento si trattava di una penetrazione pari solo al 5 per cento, l'avreste portata probabilmente al valore dei primi investimenti di 900 miliardi. Quindi, è una valutazione estremamente chiara ed importante, perché è stata fatta da un tecnico del settore e per di più gestore, colui che può fare una valutazione. Pertanto possiamo dire che questa è una valutazione abnorme e quindi non era la valutazione di acquisizione al prezzo giusto.

GIOVANNI GARAU. Questo lo sta dicendo lei (Commenti)!

PRESIDENTE. Questa è una deduzione. Signori, non mi pare che la gestione collegiale porti chiarezza.

GIAMPIERO CANTONI. Ripeto per coloro che non vogliono capire. Io sto sempre in silenzio, ma ognuno può fare le domande (Commenti del senatore Petrini). Bisogna prima capire e poi parlare.

PRESIDENTE. Noi non possiamo imputare a domanda la deduzione.

GIAMPIERO CANTONI. No. Io sto dicendo ed è a verbale...

PRESIDENTE. Ha risposto il teste che conferma...

GIOVANNI GARAU. Io confermo, in qualità di teste, quanto asserito nella mia precedente audizione.

GIAMPIERO CANTONI. Vorrei sapere in cosa siano consistite le sue difficoltà,


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perché di questo lei ha parlato nella sua audizione dell'11 giugno, nel post closing. È una domanda chiara?

GIOVANNI GARAU. Chiarissima. Le mie difficoltà erano nella situazione debitoria, in particolare per l'impegno fino al 2002 per la parte acquisizione centrali. Difficoltà ho incontrato nell'amalgama con i cinque dirigenti greci assegnati alle mie dipendenze; difficoltà ho incontrato nella legislazione serba, che spesso era molto lontana dalla nostra mentalità aziendale, che era già permeata, anche se non lo avevamo portato a compimento, di una mentalità privatistica. Queste sono le prime difficoltà che ho avvertito quando sono arrivato da solo in Telekom-Serbia; dopo due mesi, quando ho avuto la fortuna di avere i primi quattro collaboratori, facendo degli esami ho visto che avremmo avuto difficoltà ad introdurre il radiomobile, difficoltà perché c'era il discorso - che non era di nostra pertinenza - dell'acquisizione delle nuove centrali, difficoltà perché fino al dicembre di quell'anno non avemmo deleghe, in base alla legislazione serba, e avvennero poi degli incontri ai vertici più alti proprio per il problema delle deleghe; infatti, fino a dicembre 1997 sia io sia i miei dirigenti, ma anche dirigenti greci, non avevamo deleghe perché la normativa serba prevedeva l'unico potere di delega, di firma, solo ed esclusivamente per il direttore generale. Sono state queste le difficoltà dell'impatto nel primo semestre e che avevo illustrato, come ho già detto, al dottor Tommasi nel dicembre 1997 e che avevamo superate nella famosa riunione ad Atene nel gennaio 1998, ma dopo quel programma fu cambiato e si ricominciò da capo.

GIAMPIERO CANTONI. Che tipo di verifica è stata effettuata nel post closing?

GIOVANNI GARAU. Ci sono stati più incontri tra esponenti degli azionisti sulle priorità e sulle precarietà riscontrate da noi ma anche dai greci.

GIAMPIERO CANTONI. Anche perché, non essendoci stata due diligence, voi eravate totalmente al buio.

GIOVANNI GARAU. Io non ho detto che non c'è stata due diligence, ho detto che ho trovato una due diligence ma non quella che forse mi avrebbe confortato di più.

PRESIDENTE. Degna di chiamarsi tale.

GIAMPIERO CANTONI. Non era una due diligence.

GIOVANNI GARAU. Lo sta dicendo lei. Io non ho detto questo, ho detto che ho trovato una due diligence...

GIAMPIERO CANTONI. La mia domanda è diversa: a suo avviso si trattava di una due diligence corretta, esaustiva e quindi accettabile?

PRESIDENTE. Approfondita, più che altro.

GIOVANNI GARAU. Avrei preferito che fosse più esaustiva.

GIAMPIERO CANTONI. Non è una risposta, perché avrebbe preferito non significa...

GIOVANNI GARAU. Per poter lavorare meglio.

GIAMPIERO CANTONI. Era corretta o no?

PRESIDENTE. Senatore Cantoni, su questo ha già risposto, perché ha detto che era una due diligence approssimativa. Non era quello il tipo di due diligence che accompagna questi affari. È già acquisito agli atti.

GIOVANNI GARAU. Lo ha già detto.

GIAMPIERO CANTONI. Benissimo.
Sono state riscontrate difformità rispetto ai dati o agli elementi presi in considerazione nel closing?

GIOVANNI GARAU. Sono state riscontrate diversità nella valutazione degli asset.


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GIAMPIERO CANTONI. In questo caso, quali erano le difformità più evidenti?

GIOVANNI GARAU. Quelle che ho detto prima. C'era la valutazione di alcuni asset - centrali, impianti, edifici - che erano diverse rispetto alle valutazioni che erano state fatte al momento dell'accordo.

GIAMPIERO CANTONI. Questo è un fatto molto grave. C'erano difformità rispetto ai cespiti immobiliari, se ho capito bene.

GIOVANNI GARAU. C'erano difformità anche rispetto al fatto che c'erano due modi di fare queste valutazioni: c'era la valutazione cosiddetta internazionale e quella cosiddetta jugoslava. Rispetto a quest'ultima, era tutto perfetto; rispetto al modo di fare la valutazione internazionale, c'erano queste differenze e per questo non fu approvato...

GIAMPIERO CANTONI. Sì, ma nei contratti internazionali si tiene conto delle valutazioni internazionali o di quelle localistiche?

GIOVANNI GARAU. Come ho già detto, io non sono un esperto di contratti internazionali, però penso che si tenga conto delle valutazioni internazionali.

GIAMPIERO CANTONI. Possiamo asserire che, quando si procede ad acquisizioni, si tengono gli standard internazionali.

GIOVANNI GARAU. Non ho esperienza, ma ritengo sia così.

GIAMPIERO CANTONI. Quindi, c'erano anche delle difformità rispetto alle tipologie di impianti. So che lei ha già risposto.

GIOVANNI GARAU. La diversità non è rispetto alle tipologie di impianti, è rispetto alla valutazione degli impianti.

PRESIDENTE. È un tema nuovo.

GIOVANNI GARAU. È la prima volta che parliamo di tipologie. Diversità di tipologie non c'erano.

GIAMPIERO CANTONI. Dunque, lei ritiene che gli impianti non avessero difformità.

GIOVANNI GARAU. Da quanto a mia conoscenza, però ricordo che la parte impiantistica non era nelle mani degli italiani, ed era difficile, per noi italiani, entrare nel dettaglio a conoscenza di questo argomento.

GIAMPIERO CANTONI. E in che mani erano?

GIOVANNI GARAU. Serbe.

PRESIDENTE. E noi eravamo preclusi da questa attività di controllo, come ha già spiegato.

GIOVANNI GARAU. Esatto.

GIAMPIERO CANTONI. Quindi, noi eravamo preclusi.

GIOVANNI GARAU. Sì, perché l'organizzazione prevedeva la presenza di un direttore serbo sulla parte rete, sulla parte pianificazione, vale a dire su quelle parti più qualificanti dal punto di vista tecnico.

GIAMPIERO CANTONI. MI sa dire chi ha effettuato il post closing da parte di Andersen?

GIOVANNI GARAU. Vuol sapere il nome?

GIAMPIERO CANTONI. Il nome o il team, perché normalmente si trattava di un team. Erano italiani, serbi, americani?

GIOVANNI GARAU. Se ricordo bene, erano dell'est, mi sembra si trattasse della Price Waterhouse.


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GIAMPIERO CANTONI. Andersen è già una concorrente della Price Waterhouse. Era per caso la BCExcell?

GIOVANNI GARAU. Sì.

GIAMPIERO CANTONI. Sa di quale nazionalità erano costoro?

GIOVANNI GARAU. Quelli che sono venuti lì, a detta dei miei collaboratori, che li incontravano, erano dell'est; se ricordo bene, dovevano essere cecoslovacchi.

GIAMPIERO CANTONI. Dobbiamo appurarlo.

GIOVANNI GARAU. Comunque, BCExcell la ricordo.

GIAMPIERO CANTONI. Signor presidente, ritengo importante stabilire chi abbia fatto questo post closing.
Mi sa riferire l'organigramma di Telecom Italia in Telekom-Serbia a Belgrado tra il giugno 1997 e il 2001, vale a dire chi si occupava della divisione business, chi della rete fissa, chi di quella mobile e chi era preposto agli acquisti?

GIOVANNI GARAU. Certo.

PRESIDENTE. Andiamo per ordine. È il periodo in cui lei c'era e quindi ne ha avuto una diretta percezione...

GIAMPIERO CANTONI. Si tratta dell'organigramma del giugno 1997.

GIOVANNI GARAU. Il primo organigramma prevedeva la figura del direttore generale, che era Milos Nesovic. Alle dipendenze di Nesovic vi erano alcuni settori: le cosiddette relazioni esterne, il cui capo era un serbo, Ivan Djurovic; la direzione legale, a capo della quale vi era un serbo, Despotovic (il nome non lo ricordo); la direzione acquisti, a capo della quale era un serbo, l'ingegner Simovic; la rete, vale a dire la parte centrali e così via, con a capo l'ingegner Mitrovic; la direzione pianificazione e strategia, con a capo l'ingegner Radovanovic; sempre alle dipendenze della direzione generale vi era la cosiddetta direzione logistica, quella che in Italia chiamiamo dei servizi generali (per esempio l'economato), con a capo il dottor Panic.

GIAMPIERO CANTONI. Quindi, nessun italiano.

GIOVANNI GARAU. In queste direzioni, no. Purtroppo, questa è l'organizzazione. Quante direzioni ho citato?

GIAMPIERO CANTONI. Volevo arrivare alla mia prima domanda.

PRESIDENTE. Non occorre verificare quante ne ha citate, perché di italiani non ce ne potevano essere.

GIOVANNI GARAU. Il senatore voleva conoscere tutto l'organigramma. Comunque, c'erano degli italiani; dipendevano da me.

PRESIDENTE. Non tra queste 7 direzioni.

GIOVANNI GARAU. Le direzioni erano 16, di cui 9...

ACCURSIO MONTALBANO. Di queste direzioni, 7 dipendevano direttamente dal presidente...

GIAMPIERO CANTONI. Nelle società è il direttore generale a detenere il potere di gestione su tutti, quindi non possiamo fare confusione dicendo che dipendevano dal presidente o altri.

GIOVANNI GARAU. No, da noi non esisteva la figura del presidente. Il capo azienda era il direttore generale.

GIAMPIERO CANTONI. Di nazionalità serba, e sotto di lui ci sono delle direzioni.

GIOVANNI GARAU. Delle 16 direzioni, 9 dipendono da lui e 7, che dipendono ugualmente da lui, sono coordinate da me.


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GIAMPIERO CANTONI. Parliamo di quelle con a capo degli italiani.

GIOVANNI GARAU. Da me dipendevano: alla direzione personale e organizzazione dopo quattro mesi è venuto il signor Moruzzi, poi sostituito da Fiorini; alla direzione clienti privati c'è stato per due anni l'ingegner Giovanni Tommasini e poi per altri due anni l'ingegner Abbagnale; alla direzione internazionali, l'ingegner Righi; alla direzione business vi era un greco, il cui nome ora non ricordo, e come vicedirettore Tebrio Rosati; alla direzione amministrazione vi era un greco, Christodopulos; alla direzione finanza un greco, Pasmasis; alla direzione budget e controllo un italiano, il dottor Calzavara. Poi c'era un vicedirettore greco, alla direzione clienti privati, sotto Tommasini ed Abbagnale.
Dovrei parlare delle due direzioni con a capo i serbi.

GIAMPIERO CANTONI. È sufficiente così. La ringrazio.

PRESIDENTE. Poiché l'ufficio di presidenza ha stabilito di far intervenire per primi i capigruppo, do ora la parola al senatore Zancan.

ACCURSIO MONTALBANO. Non conoscevo questo accordo intervenuto in sede di ufficio di presidenza.

PRESIDENTE. Chi non fa parte dell'ufficio di presidenza può non sapere queste cose, ed io ho il dovere di ricordarle.

ACCURSIO MONTALBANO. Chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori.

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