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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del senatore Francesco Cossiga.
Presidente Cossiga, ella era da noi molto atteso per l'autorevolezza della sua parola, e per parola intendo le circostanze che fino a questo momento abbiamo registrato perché a lei riferite.
Abbiamo una nota del il Velino del 3 febbraio 2002 dove si dice: «Cossiga non ha mai fatto mistero di sapere che la Casa bianca non aveva gradito la riconferma agli esteri di Lamberto Dini nel Governo presieduto da Massimo D'Alema. Il segretario di Stato USA, Madeleine Albright, non si fidava dell'allora titolare della Farnesina soprattutto per come Dini aveva schierato il nostro paese.»
Sono a noi precluse ragioni di scelta politica, per cui diamo inizio al nostro incontro chiedendole: vi era altro riconducibile alla nostra inchiesta su Telekom-Serbia?
FRANCESCO COSSIGA. No. Avvertii il Presidente D'Alema (e lo feci nell'interesse del Governo, dato che il piccolo partito da me costituito nel tentativo di rivivere la giovinezza supportò - credo meritoriamente - la costituzione e l'attività del Governo presieduto dall'amico Massimo D'Alema) lo informai anzi che gli americani non gradivano la nomina a ministro degli esteri dell'amico Dini, al quale ero e sono legato da vincoli di amicizia da quando era direttore generale della Banca d'Italia da me nominato in qualità di Presidente del Consiglio, per lo schieramento che Dini confermò. Un atteggiamento contrario non all'America, ma alla pressione nei confronti del Governo dell'ancora esistente Repubblica federale, non più federativa, di Jugoslavia. Tanto è vero che, come loro ricorderanno, vi fu anche un grosso incidente al momento del bombardamento della sede della televisione serba di Belgrado, in occasione di una riunione del Consiglio NATO a New York o a Washington, allorché l'amico ministro degli affari esteri arrivò dopo il Presidente del Consiglio dei ministri, e fece una dichiarazione durissima contro il bombardamento, mettendo tutti in chiara difficoltà.
Non vi era invece nel mio intervento nessun riferimento alla questione Telekom-Serbia che, tra l'altro, in quell'epoca non era ancora nota.
PRESIDENTE. Presidente, Il Velino del 9 luglio 2002 nell'edizione n. 177 riporta un altro spaccato di politica che non ripeterò, perché sarebbe un modo surrettizio di riproporre nuovamente la questione, ed un suo inciso che per noi riveste un particolare interesse. Lo cito: «Un segnale di discontinuità con il passato - spiegò il senatore a vita a D'Alema - c'erano anche delicatissimi problemi di
finanza internazionale»; si riferisce, inutile dire, all'escalation della crisi di Milosevic e via dicendo.
FRANCESCO COSSIGA. Sì. Mi dispiace, ma soltanto davanti ad una Commissione parlamentare dirò certo tutta la verità che posso dire, perché una parte non la posso dire. Premetto che tacerò una fonte - salvo poi riferirla a lei, signor presidente - perché è un privilegio riconosciuto in tutti i Parlamenti del mondo quello per cui i membri del Parlamento stesso non sono tenuti a dire chi gli ha fornito informazioni, altrimenti si «essicca», per così dire, una delle fonti principali dell'esercizio della funzione di controllo. Poiché però conoscere la mia fonte potrebbe essere utile alla Commissione, dirò a lei questo nome in modo che, se lo riterrà, potrà sentirla.
Circolavano due serie di voci. La prima era quella dell'affare Telekom-Serbia, non con riferimento specifico al ministro degli affari esteri, ma in cui venivano messi in un unico calderone, ovviamente, il ministro degli affari esteri, il sottosegretario agli affari esteri, l'amico Fassino, l'allora ministro del tesoro, il presidente di Telecom ed il direttore generale del tesoro. Vi era poi, purtroppo - si tratta di una cosa dolorosa, ma di cui parlo perché ne discussi con l'interessato - relativa in parte ad una serie di pettegolezzi e in parte - ahimè - a cose che hanno interessato anche la magistratura, relativa alle imprese economiche della signora Dini in Costa Rica. Conosco bene gli Stati Uniti - anche se oggi sono schierato su posizioni opposte e ancor più lo sarò nelle prossime ore - e so che mentre vi è una grande tolleranza per il modo con cui si fanno i quattrini da parte di chiunque, non vi è nessuna tolleranza, non solo per il modo con cui si fanno i quattrini, ma anche per il fare i quattrini da parte di politici o di familiari di politici. È il vecchio spirito puritano. Chi di noi a scuola non ha copiato i compiti o non ha passato la copia del compito? Ecco, nella civiltà anglosassone, questo è un grave atto di slealtà: copiare il compito o passarlo equivale a dire una menzogna o indurre gli altri a dirla!
PRESIDENTE. È la regola dei quaccheri.
FRANCESCO COSSIGA. Nel Regno Unito, Profumo non fu nominato ministro della difesa non per la sua relazione con la Kill, ma per aver mentito al Parlamento! Così, l'accanimento oltre ogni misura contro Clinton non fu per qualcosa di cui forse si è reso responsabile anche il 102 per cento dei membri del Congresso, ma perché mentì! Un uomo pubblico non può mentire neanche per difendersi: c'è certo l'appello al Quinto Emendamento e non si è considerati neanche presunti colpevoli se ci si appella ad esso, ed una sentenza che traesse dall'appello al Quinto Emendamento non dico la presunzione, ma un elemento di colpevolezza sarebbe nulla; ma chi ricopre una carica pubblica e si appella al quinto emendamento è un uomo politico finito.
Non c'era un'accusa specifica o un riferimento specifico per Telekom-Serbia; mi intendo un poco di «tangenti» perché da Presidente del Consiglio dei ministri mi dovetti occupare di due grossi fatti di «tangenti»: il caso ENI-Petromin ed il pagamento di una mediazione per una vendita all'Iraq delle famose fregate che non furono poi ritirate. So di cosa si tratta...
PRESIDENTE. Praticamente la sua affermazione verteva su voci riguardanti un familiare del ministro degli affari esteri, nel caso specifico la moglie.
FRANCESCO COSSIGA. Innanzitutto, nel Governo cominciavano i sussurri sul caso Telekom-Serbia e sarebbe stato meglio non «imbarcare» nessuno cui anche infondatamente, come nel caso, si facesse riferimento; perché non dimentichiamo che il Governo D'Alema era guidato da una persona proveniente da un partito a suo tempo guidato da chi - morto quasi tragicamente! - aveva fatto della moralità il programma politico del suo partito. Ed
io, che molto mi ero esposto, non potevo lasciar impallinare il Governo da me sostenuto con convinzione grande!
C'è da aggiungere che esistevano anche dei pettegolezzi, ma in politica purtroppo anche il pettegolezzo conta per avere o non avere voti.
PRESIDENTE. Onorevole Presidente, le chiedo se rientri nella stessa logica e filosofia il seguente inciso tratto da la Padania del 21 febbraio: «Quanto a Dini, ha concluso Cossiga, se la debolezza che tanti guai ha dato a Massimo D'Alema durante le operazioni del Kosovo fosse stata determinata dalla necessità di coprire questo affare, tutto sarebbe più grave.» È un'esplicitazione dello stesso principio oppure vi sono elementi di novità?
FRANCESCO COSSIGA. No, non vi è nessun elemento. Come loro ricordano, vi era stato un duro attacco personale alla famiglia Dini da parte di due parlamentari del Montenegro; addirittura erano circolate fotocopie di giornali montenegrini contenenti questo attacco, insomma era una situazione imbarazzante ed erano state dette anche cose improprie, ossia che un fratello della signora Dini aveva delle partecipazioni in società di telecomunicazione che potevano essere state danneggiate dai bombardamenti alleati! In verità, non danneggiavano nulla perché le centrali furono bombardate con la graffite e con la polvere di carbonio, che servivano ad immobilizzare, non a distruggere; e poi il fratello della signora Dini non aveva partecipazioni in nessuna società...
PRESIDENTE. Se chi le pone gli interrogativi ha capito, ciò nuoceva all'immagine del nostro paese indipendentemente dalla consistenza della voce: di qui lo stato di allerta.
FRANCESCO COSSIGA. Esattamente.
PRESIDENTE. L'Ansa del 16 gennaio, nel momento in cui riporta una serie di sue immagini - che noi tutti abbiamo sempre apprezzato almeno per l'originalità - ...
FRANCESCO COSSIGA. Forse soltanto per l'originalità!
PRESIDENTE. No, almeno per l'originalità. Dicevo, forse è importante un suo chiarimento, perché quando lei parla degli zelanti dice che «rischiano di essere coperti gli eventuali, reali malandrini». Possiamo avere qualche esplicitazione ulteriore in argomento?
FRANCESCO COSSIGA. Chi siano i malandrini non lo so; quando vengono presi a capri espiatori... per esempio, se domani si volesse iniziare un «processo» (lo dico fra virgolette) al ministro del tesoro dell'epoca, la cosa mi preoccuperebbe oltre che per le gravissime implicazioni istituzionali a tutti chiare, anche per la manovra diversiva che si potrebbe dubitare ravvisare in queste accuse! Nei processi, gli avvocati meno onesti cercano di accumulare prove «false» su altri, magari innocenti, per distogliere dal proprio difeso, che sanno colpevole: il che è contro la deontologia professionale, ma è purtroppo praticato.
Il ministro del tesoro dell'epoca non ha bisogno di difese da parte mia; il ministro del tesoro dell'epoca è persona così «innocente» (lo dico tra virgolette), come carattere, come persona, e così poco esperto nelle cose della politica e proviene da un ambiente di tale rigore morale... Ho dei parenti in Banca d'Italia e posso dire che i «ragazzi» della Banca d'Italia vengono educati a pensare e dire che noi politici siamo tutti dei coglioni; che i politici sono o coglioni o disonesti e che loro, i «ragazzi» di Bankitalia sono i più bravi di tutti. Credo che il ministro del tesoro dell'epoca se ne sia liberato, perché fortunatamente è stato ministro del tesoro e anche Presidente del Consiglio. Sono educati a questo: gli amministratori di banche sono più ladri che coglioni; i politici più coglioni che ladri.
Immaginate se un uomo così «innocente» poteva pensare anche lontanamente di dar mano ad una qualunque cosa. Si sarebbe scandalizzato anche alla pratica - che, se lei permette, signor presidente, illustrerò -
di pagare la tangente, che è almeno stata lo strumento normale del commercio estero italiano nei confronti dei paesi africani e mediorientali. Quando non vigeva ancora la libera circolazione della moneta, nell'elenco dei motivi per cui dal Ministero del commercio con l'estero si poteva avere valuta estera era inserita la voce «mediazione» e cioè, in realtà, «tangenti». Chi pensa di andare a vendere roba in Medio Oriente senza pagare la tangente è meglio che stia a casa...
PRESIDENTE. Se abbiamo capito, visto il concetto che hanno quelli di Bankitalia...
FRANCESCO COSSIGA. Anzitutto come persona l'ex ministro del tesoro è un uomo «innocente»; come ulteriore motivo per dire che è innocente e che queste cose non le può neanche pensare, affermo che anche lui è stato educato ad uno standard di moralità in base al quale noi politici siamo tutti ladri!
PRESIDENTE. Visto il loro concetto a forbice tra la morale e l'anatomia, diciamo che soffrono del complesso del samurai.
FRANCESCO COSSIGA. I Governatori di Bankitalia hanno il «complesso di Dio»; sono incerti sul fatto di essere la Prima, la Seconda o la Terza Persona della Trinità. Sostanzialmente temo molto che Antonio Fazio sia quasi eretico, perché certamente crede di essere tutte e tre le Persone insieme!
PRESIDENTE. Presidente, l'Ansa del 17 ottobre 2002 pone un quesito che rivolge a noi come se lo avesse formulato lei: «Perché la Commissione d'inchiesta non si chiede quale ente o istituto, e da chi autorizzato, abbia fornito i biglietti di banca o anzi, per essere più esatti, i milioni di dollari che a quanto si dice erano contenuti in sacchi di iuta e trasportati da un aereo privato e consegnati nell'aeroporto di Atene o di Cipro agli emissari del presidente Milosevic, non si sa bene se in veste di presidente della Jugoslavia o di presidente del partito post comunista?» Poiché ce lo stiamo chiedendo e ci stiamo arrovellando su questo, può darci un aiuto, un'istruzione per l'uso?
FRANCESCO COSSIGA. Questo problema mi fu posto da persona onesta, di grande onestà e molto esperto negli affari finanziari, che oggi occupa una posizione importante nello Stato, discorrendo con me di queste cose, per le quali mi preoccupavo come cittadino, perché fare all'estero la figura dei soliti imbroglioni è brutto, ed anche perché la politica avvelenata dal sospetto e dalla possibilità del ricatto è ancora più brutta.
Questa persona che conosce il mondo - di cui non intendo rivelare il nome, se lei in sede riservata lo vorrà, potrà anche dirglielo - alle mie domande pose il problema. Quando mi raccontò che, a quanto ne sapeva lui, il trasporto della mediazione non era stato fatto attraverso conti bancari ma in questo modo, la cosa non mi meravigliò. Quando ho assunto la carica di ministro dell'interno ed è cambiato il capo della polizia, il nuovo capo è venuto da me allibito perché aveva trovato una magnifica parure di smeraldi nella cassaforte del ministero. Gli risposi che probabilmente qualche confidente aveva chiesto di essere pagato in pietre preziose e il capo della polizia di allora aveva fatta acquistare il collier dalla propria moglie o da altri; ma poi l'operazione non era andata, e tanti saluti e grazie... Gli dissi di tenere lì il collier, che forse sarebbe stato passato al Ministero degli affari esteri per donarlo alla moglie di qualche capo di Stato estero oppure al servizio di intelligence per «corrompere» qualcuno all'estero.
Se è vero che sono stati forniti i soldi, il problema è chi poteva dare somme così ingenti. Bisogna interrogare qualcuno delle banche. Chi, dall'oggi al domani, dispone di somme di questa natura in contanti e, pare, in «verdoni»? Non perché questo qualcuno sia corresponsabile, perché per esempio, come ministro dell'interno, avevo diritto di prelevare dall'Ufficio italiano dei cambi le somme che volevo, nelle valute che volevo, con una semplice dichiarazione firmata dal capo di gabinetto.
Quando stava per scoppiare lo scandalo SISDE, rilasciai un'intervista a Il Corriere della sera in cui dicevo di non aver mai visto tanti soldi in contanti in vita mia! Quando diventai ministro dell'interno, tra le consegne vi fu quella di fondi riservati in contanti - quelli del gabinetto e quelli della direzione generale della pubblica sicurezza - e rimasi allibito dalle mazzette di denaro allineate in armadi corazzati. Per operazioni segrete non si può prelevare denaro in banca. Durante il terrorismo avevamo alcuni sottufficiali di polizia infiltrati negli ambienti dell'autonomia di Bologna, iscritti all'università - la maggior parte dei quali si sono poi laureati! - ai quali era proibito avere contatti con le autorità di pubblica sicurezza dell'intera Emilia per non correre rischi: per pagare i loro stipendi e le loro indennità non venivano prelevati denari in banca, per evitare che qualcuno potesse collegare le due cose. Lo stesso valeva per le operazioni all'estero, per cui bisognava interrompere qualsiasi rapporto con la banca, così che i denari venivano prelevati prima.
PRESIDENTE. Alla luce della sua esperienza, delle notizie raccolte, delle confidenze avute e del rispetto di certe fonti che non devono essere bruciate, che idea si è fatto dell'operazione Telekom-Serbia: opta per il contante trasportato o per l'accredito all'estero?
FRANCESCO COSSIGA. Non sono in grado di dirlo.
Ricordo - ho gli atti che poi le lascerò - che erano forti le pressioni, soprattutto da parte dei radicali, sulla questione della tangente pagata al famoso arabo ... non si sa a chi. Ingenuo com'ero, quando diedi l'ordine - come Presidente del Consiglio dei ministri e insieme al ministro delle partecipazioni statali - alla Banca commerciale italiana, che ne era stata incaricata dall'ENI, di non versare più su un conto cifrato dell'Unione delle banche svizzere la tranche che ci eravamo impegnati a pagare sul petrolio fornitoci dall'Arabia saudita ad un prezzo straordinariamente basso (che aveva messo in allarme i servizi inglesi e quelli francesi!), la Banca commerciale rispose che avevano già pagato. Tra l'altro, poiché i soldi della tranche non furono ritirati, credo che se li sia beccati la banca, perché il nostro era un mandato a pagare non revocabile! So soltanto che, sette giorni dopo, il contratto fu disdetto e l'Arabia saudita sostenne che l'avevamo (mi scusino le signore, ma il mio arcivescovo sostiene che si possono usare tutte le parole che sono nel Tommaseo e che c'è più malizia nel fare circonlocuzioni che ad usare le parole, purché siano nel Tommaseo) sputtanata e ci tagliò il rifornimento di petrolio a prezzo privilegiato.
Questo per dire il valore. Si sapeva a che cosa servivano questi soldi, che andavano in parte a principotti arabi e in parte servivano per finanziare la resistenza palestinese.
Sulla base della mia esperienza, posso dire che quando ci fu questa pressione chiesi al Presidente della Camera, onorevole Iotti, di poter organizzare una riunione segreta delle Commissioni competenti della Camera dei deputati. Ci fu un episodio famoso, perché un deputato portò un registratore in questa seduta segreta e ne rese noto il contenuto. La signora Iotti lo sospese dai lavori per quindici giorni ma, cosa ancor più grave, l'Ufficio di Presidenza all'unanimità, interdisse a Crivellini, così si chiamava, persino l'ingresso nel Palazzo.
Spiegai in quella sede come funzionava il tutto, ossia che tutto il commercio estero era basato sul pagamento delle cosiddette mediazioni; una parte di quelle ai paesi arabi sarebbe finita nelle casse dei «principotti», un'altra parte sarebbe servita per il finanziamento della resistenza palestinese. Si parlò della moralità dei commerci internazionali ed io indicai alcuni casi, perché in queste cose non sono imbroglioni: per esempio, per vedere il ministro dell'economia si pagano 50 mila dollari, versati i quali, il giorno dopo c'è l'appuntamento.
PRESIDENTE. È una specie di cachet!
FRANCESCO COSSIGA. Sì, descrissi il caso di una fornitura di scarpe ed un paese del Medio Oriente.
Dissi: se volete che l'Italia sia apostola della moralità dei commerci internazionali, andate in Aula, fate una mozione, io l'accetto e cancelliamo la voce «mediazione»; poi però nessuno si lamenti se qualche fabbrica chiude. Se volete, in privato, vi fornisco l'elenco delle persone che fanno lavorare pagando tangenti. Non se ne parlò più...
Così avvenne per quanto riguarda le «fregate irachene»: anche in quell'occasione bloccai il pagamento della tangente (50 miliardi di allora), perché con il Vicepresidente della Repubblica irachena di allora avevo, in qualità di Presidente del Consiglio, firmato proprio un accordo per l'acquisto delle fregate. Quando il carissimo amico Rocco Basilico, allora presidente di Fincantieri, mi disse che bisognava pagare 50 miliardi, gli dissi: «Tu sei matto». Se fosse stata un'operazione privata, mi sarei girato dall'altra parte, ma qui si trattava di pagare 50 miliardi per la vendita di navi militari, sulla base di un accordo firmato da me con il governo iracheno. Non pagammo e non ritirò le fregate! Il povero Spadolini, poi, fu convinto a pagare, ma finì davanti alla commissione per i reati ministeriali, dove spiegammo che noi, io e Manca, eravamo stati un po' leggeri ad impedire il pagamento...
Quindi, se è stata pagata una somma per fare un buon affare, il fatto non mi meraviglia; se hanno pagato in buona fede per fare un pessimo affare, vuol dire che sono da condannare come amministratori non perché hanno pagato, ma perché hanno fatto un pessimo affare (come sembra). Se i denari per fare l'affare in un regime come quello di Milosevic sono stati pagati a Milosevic il dittatore, non mi scandalizzo col senno del poi. Non infatti dobbiamo dimenticare che è stato il cocco di mamma di Francia, Stati Uniti e Germania per lungo tempo. Come Saddam Hussein è stato il cocco di Bush padre e la Banca nazionale del lavoro ci è finita in mezzo perché gli americani, per finanziare il riarmo, si sono avvalsi di finti prestiti per l'agricoltura - avallati dal comitato per l'agricoltura presieduto dal Presidente degli Stati Uniti - di una piccola filiale di una non grandissima banca e così ci hanno fregato! È ben noto che Saddam Hussein è stato riarmato dagli Stati Uniti d'America per poter fronteggiare l'Iran...
Quindi, se anche si dovesse dimostrare - questa è la mia opinione e non difendo nessuno - che i soldi sono stati dati al partito di Milosevic, dobbiamo ricordare che allora Milosevic era trattato benissimo; il presidente di una delle più importanti banche del nostro paese che, tra gli applausi generali, sta dando la scalata alle Assicurazioni generali, si è fatto fotografare mentre gli stringeva la mano e ha fatto diramare anche un comunicato in proposito...
FRANCESCO COSSIGA. Questo non interessa. Potrei dirle di leggere Milano finanza, ma mi dicono che la cosa sia pericolosa...
PRESIDENTE. Quindi non lo leggerò...
FRANCESCO COSSIGA. Il fatto grave sarebbe se si fosse detto - come si sospettava per ENI-Petromin - di pagare 100 miliardi di tangente e poi, invece, risultasse che la tangente era soltanto di 80 miliardi e 20 sono rimasti all'aeroporto... Oppure, ci si fosse messi d'accordo con Milosevic, che ne avrebbe poi restituiti una parte. Questo sarebbe grave. Nel nostro caso, semmai, si può incolpare qualcuno di essere stato un cretino, di avere pagato troppo Telekom e di essersi fatto fregare, avendo pagato una tangente per comprare ad un prezzo eccessivo un'azienda che costava di meno, ma non di avere pagato Milosevic, che era - lo ripeto! - il cocco di mamma di tanti Governi, così come Saddam Hussein, truce assassino, è stato il cocco di mamma dell'Amministrazione americana quando c'era il pericolo iraniano, al quale è stato allora preferito il «pericolo» iracheno!
Possiamo dire che sono una massa di sprovveduti, che il presidente di Telecom è un cretino, che il direttore commerciale è un imbecille, ma niente altro. Voi potete
d'altronde dare solo del cretino, perché non è vostra competenza dare del disonesto.
PRESIDENTE. Signor Presidente, la stessa nota de il Velino riporta una sua espressione: «Vado in Croazia per informarmi meglio». C'è stato un seguito?
PRESIDENTE. Lei non si è recato in Croazia?
FRANCESCO COSSIGA. Probabilmente mi sono recato in Croazia.
PRESIDENTE. Ma non ha dato seguito...
FRANCESCO COSSIGA. Probabilmente ho chiesto, ma non mi hanno saputo dire nulla.
PRESIDENTE. Non c'è nulla di apprezzabile.
FRANCESCO COSSIGA. No, anche perché teniamo presente che i croati hanno bisticciato con tutti, però hanno sempre detto che alla fine si sarebbero messi d'accordo con i serbi, perché altrimenti avrebbero combattuto per l'eternità.
GIUSEPPE CONSOLO. Presidente Cossiga, lei ha detto che è alla sua 72 audizione in commissioni d'inchiesta.
FRANCESCO COSSIGA. Tra autorità giudiziaria, commissioni d'inchiesta e tribunale dei ministri. Vorrei arrivare a cento...
GIUSEPPE CONSOLO. Vorrei approfittare della sua presenza per porle alcune domande, nell'interesse del perseguimento degli scopi che questa Commissione si prefigge. La prima riguarda un punto sul quale la Commissione non riesce a fare chiarezza: gli amministratori di Telecom e di STET (mi riferisco al dottor Agnes e al dottor Pascale) portarono dei conti economici straordinari, con degli utili da record. Erano stati nominati dal Governo di centro-sinistra, del quale lei fece autorevolmente parte, e, a pochi mesi dall'operazione Telekom alla quale non si erano manifestati favorevoli, furono silurati dal medesimo centro-sinistra. Che spiegazione fattuale e politica ci può dare di questo episodio?
FRANCESCO COSSIGA. Anzitutto direi che può darsi che sia l'applicazione della perenne legge: «levati tu che mi ci metto io», che valgono per il centro-sinistra e per il centro-destra e rappresentano una delle grandi leggi della politica. Quando Massimo D'Azeglio nominò ministro dell'agricoltura Cavour, Vittorio Emanuele II lo chiamò e gli disse «Tu sei matto; questo ti fa fuori», cosa che poi è avvenuta, certo per il bene dell'Italia. Certamente tutti e due gli amministratori erano prodiani di ferro.
GIUSEPPE CONSOLO. E il Presidente del Consiglio era Prodi.
FRANCESCO COSSIGA. Sì, ed erano tutti e due prodiani di ferro e furono fatti fuori! Pensiamo che fu fatto fuori Fabiano Fabiani, che mi annunziò che per incarico dello stesso Prodi sarebbe sceso in campo. Poi, fu convocato il mattino e gli fu detto di dimettersi altrimenti sarebbe stato cacciato via. Si voleva cambiare; si volevano accontentare altri o può darsi che Pascale e Agnes avessero detto che l'operazione era una «frescaccia» mentre le superiori autorità ritenevano che tale non fosse. Ripeto che si può parlare di cretini e di vittime, ma non di disonesti.
GIUSEPPE CONSOLO. Però Presidente, mi permetto di ricordarle che all'epoca si trattava di denaro pubblico. Lei come pubblicista, oltreché come parlamentare, sa bene che il pubblico denaro è soggetto, ai sensi dell'articolo 100 della Costituzione, al controllo della Corte dei conti.
FRANCESCO COSSIGA. Non le società delle Partecipazioni statali.
GIUSEPPE CONSOLO. Pubblicista nel senso di esperto di istituzioni di diritto pubblico.
FRANCESCO COSSIGA. Pubblicista è il mio protetto Franco Mauri.
GIUSEPPE CONSOLO. Giornalista è un'altra cosa, Presidente.
FRANCESCO COSSIGA. Il denaro che abbiamo pagato per avere il petrolio era pubblico, perché era dell'ENI; il denaro che abbiamo pagato (non io ma la gestione politica successiva, perché io, scottato dalla vicenda ENI-Petromin, non ho voluto pagare nulla) per vendere le fregate all'Iraq era pubblico; i denari che ho usato come ministro dell'interno per fare determinate cose, erano pubblici. Il problema è che noi eravamo piccoli; la nostra bolla speculativa nel campo delle telecomunicazioni è stata la Serbia e, mentre altre volte è stato necessario un fortunale per farla scoppiare, per la nostra bolla è bastato uno spillo...
GIUSEPPE CONSOLO. Lei ci ha ricordato che durante la sua attività si è occupato di determinati episodi ed ha richiamato la vendita delle fregate all'Iraq e le mediazioni da parte della Fincantieri per l'acquisto...
FRANCESCO COSSIGA. Per far acquistare.
GIUSEPPE CONSOLO. E il pagamento di tangenti per l'affare ENI-Petromin.
FRANCESCO COSSIGA. La voce era «mediazione».
GIUSEPPE CONSOLO. Qui si è parlato di «facilitazioni» e i mediatori sono stati chiamati «facilitatori»: lo abbiamo appreso in questa Commissione.
FRANCESCO COSSIGA. Alcune industrie pubbliche straniere hanno la figura del mediatore o «facilitatore». Vi è la trattativa sul piano puramente tecnico, ma poi il contratto viene stipulato da qualcuno che non fa parte della società e che viene pagato a cachet, nel quale è inserito anche il compenso per l'altra parte...
GIUSEPPE CONSOLO. Nelle operazioni che ella ha richiamato, Presidente, vi era un vantaggio.
FRANCESCO COSSIGA. Devo riconoscere che in quelle due operazioni vi era un estremo vantaggio.
GIUSEPPE CONSOLO. Lei ha richiamato l'esempio del prezzo vantaggiosissimo del petrolio.
FRANCESCO COSSIGA. Tant'è vero che vi è stato un momento in cui abbiamo avuto timore che lo scandalo fosse stato montato dai servizi di paesi esteri amici (queste porcherie si fanno tra amici) i quali erano molto interessati a capire come mai noi spuntassimo un prezzo simile (mi sembra che fosse 7 dollari e mezzo al barile). Come dicevo, abbiamo avuto il timore - ma non le prove - che la campagna scandalistica in Italia fosse stata montata da questi servizi per far saltare in aria l'accordo: cosa che nei fatti, poi, appunto avvenne. Devo dire che questi meccanismi, specialmente con i paesi arabi, funzionano così bene che né l'autorità giudiziaria, né i servizi di informazione, né le Commissioni d'inchiesta parlamentari sono mai riusciti ad accertare nulla. Quello che ho accertato è che quando diedi l'ordine di non pagare, il contratto una settimana dopo fu disdettato. Mi offrii di andare in Arabia Saudita, ma mi respinsero dicendo che avevo offeso quel paese!
PRESIDENTE. Siccome vorrei passare alla cronaca, per quell'equa distribuzione dei tempi che lei ci ha insegnato parlando di Tommaso Moro, vorrei permettermi di chiederle se posso avere il privilegio di «imbrigliarla», nel senso di contingentare i tempi, perché con risposte più asciutte potremo avere più tempo per le domande.
GIUSEPPE CONSOLO. Fatte le doverose premesse, nel nostro caso abbiamo avuto - questo è stato accertato dalla
Commissione - una valutazione di 1.500 miliardi, che in realtà si è ridotta a 800 miliardi; abbiamo avuto una due diligence che non è stata effettuata; abbiamo avuto un'operazione, definita «sciagurata», che se fosse andata bene avrebbe portato un utile in una valuta, il dinaro, che comunque non era negoziabile. Queste sono le differenze tra le operazioni che lei ha ricordato e questa.
Alla luce della leale collaborazione tra Commissioni parlamentari e parlamentari - e lei è un autorevolissimo parlamentare in carica a vita, oltre che un Presidente emerito della Repubblica -, come possiamo indirizzare la nostra indagine, se addirittura una persona del suo rango ci dice che non può fare i nomi? Signor Presidente, qual è la persona che le ha detto che i corrispettivi sarebbero stati messi in sacchi di iuta? Qual è la persona che le ha detto che i corrispettivi sarebbero stati portati in aerei privati? Le risulta che Milosevic avrebbe detto - lo abbiamo trovato virgolettato sulla stampa - «Non diamo più soldi a quei mafiosi degli italiani»?
FRANCESCO COSSIGA. Lo ha detto una persona estremamente autorevole, però io rimango fermo al manuale che detta le norme di condotta del Parlamento britannico, per cui un parlamentare, salvo che si tratti di un reato, non dice mai chi sono le sue fonti, perché altrimenti si preclude la futura conoscenza di fatti su cui esercitare la funzione di controllo. Se è utile, lo dirò al vostro presidente, pregandolo di convocare questa persona in tempi e modi tali da non consentire di fare un collegamento con me. Si tratta di una persona estremamente seria - altrimenti non avrei detto queste cose! - e quando gli ho chiesto se sapeva qualcosa, lui mi ha raccontato ciò che ho riferito e mi ha detto che il vero problema da porsi era chi fosse in grado di fornire la valuta in quel momento. Sono disposto a dire il nome al presidente con le garanzie che ho indicato; ho ripetuto ciò che lui mi ha detto e che può certo essere anche oggettivamente una «diceria». La domanda è molto tecnica: chi era in grado di mettere a disposizione degli eventuali mediatori moneta contante in quel modo e in quella quantità?
GIUSEPPE CONSOLO. Forse è stato un lapsus, ma lei ha ricordato i dollari, mentre a noi risulta che si trattasse di marchi tedeschi.
FRANCESCO COSSIGA. Ho indicato una valuta di pregio, ma in effetti in quell'area, fino all'entrata in vigore dell'euro, si usavano i marchi; quando andavo in Croazia o in Slovenia portavo i marchi. D'altro canto l'allargamento dell'Unione europea, per chi conosce quei paesi, è l'allargamento della grande Germania. Non conosco il boemo, ma se non parlo l'inglese e parlo il tedesco a Praga, mi capiscono tutti; una persona di media cultura a Zagabria parla il tedesco; Kafka scriveva in tedesco, così come Musil.
GIUSEPPE CONSOLO. E sull'affermazione di Milosevic?
FRANCESCO COSSIGA. Dubiterei che il mondo fosse tondo se Milosevic lo affermasse.
MICHELE LAURIA. Nel corso di questa audizione abbiamo ascoltato interessanti squarci di storia ed abbiamo avuto un quadro del contesto nel quale sono costretti ad operare gli Stati, a volte nolenti o finti nolenti, per le leggi internazionali, tant'è vero che molti di noi in questa Commissione dicono che bisogna distinguere tra la bontà dell'affare, le mediazioni e le tangenti nel caso in cui siano state pagate a politici italiani. Se parliamo delle altre cose si tratta solo di fumo e non concludiamo niente.
FRANCESCO COSSIGA. Il giudizio grave può essere: «Tu lo hai stornato e te lo sei messo in tasca». Per il resto si può solo dire: «Sei un cretino; sei un cattivo amministratore; ti sei fatto fregare dai dirigenti di Telekom-Serbia»: questa è la mia tesi.
MICHELE LAURIA. Sono emersi tre elementi, anche nelle giuste domande del senatore Consolo e del presidente. È stato evocato il nome di Dini e, a quanto ho capito, si tratta solo di voci e pettegolezzi che lasciano il tempo che trovano.
FRANCESCO COSSIGA. Chi conosce il funzionamento dell'amministrazione italiana, a parte la politica estera in senso stretto, sa che il nostro Ministero degli esteri è quello che meno si occupa di politica economica nel mondo. Quindi, un'operazione di questo genere poteva essere fatta e «forse» l'ambasciatore lo sapeva. Durante la guerra del Golfo, mentre tentavamo di portare via gli italiani, senza dirci nulla l'ENI pensava a portarsi via i suoi tecnici, senza che l'ambasciatore lo sapesse.
MICHELE LAURIA. Rispetto a Ciampi abbiamo ascoltato uno spaccato socio-psicologico e, anche con queste motivazioni, non risulta un suo coinvolgimento.
FRANCESCO COSSIGA. Un gran buon uomo.
MICHELE LAURIA. L'altra questione sollevata giustamente dal collega Consolo riguarda il trasporto dei soldi in sacchi di iuta: non si sa se sia vero o meno.
GIUSEPPE CONSOLO. Lo ha riferito il Presidente, non io.
MICHELE LAURIA. Il Presidente ha detto di averne ricevuto notizia da una fonte privilegiata. Volevo precisare questo punto perché poi vi è il rischio che uscendo da qua si dica che è certo che il trasporto sia avvenuto in sacchi di iuta, mentre si tratta di un elemento da appurare e verificare.
FRANCESCO COSSIGA. Se il denaro è passato attraverso le banche non è difficile sapere dalla Telecom di quali banche si tratti. Altrimenti, è stato portato in sacchi di iuta o con una valigia Samsonite.
MICHELE LAURIA. L'ultima domanda riguarda la rimozione di Agnes e Pascale, al di là delle rimozioni ricorrenti ad ogni cambio di stagione politica.
GIUSEPPE CONSOLO. Peccato che all'epoca non cambiò la stagione politica: erano sempre loro.
MICHELE LAURIA. No, da pochi mesi erano cambiati e c'era una polemica sulla concezione di concorrenza e privatizzazione: basta leggere i giornali dell'epoca.
Ringrazio il Presidente per il contributo e per le interessanti parentesi di carattere storico.
FRANCESCO COSSIGA. So che uno dei motivi che fu portato per motivare la rimozione, come nel caso di Fabiano Fabiani, era che essi erano contrari al progetto di dismissioni, fatte non nel quadro di una nuova politica economica ma soltanto per «far cassa», per poter ripianare il disavanzo di bilancio e raggiungere parametri per entrare nell'euro sistema. In quel periodo gli uomini politici si sarebbero venduti la moglie se fosse stato necessario per entrare nell'euro...
PRESIDENTE. Infatti, in quel momento, erano preferiti i «celibi»...
GUSTAVO SELVA. Farò il cronista prima che il parlamentare. Il Presidente Cossiga ci ha fatto una magistrale lezione di quale sia l'etica americana e di quale sia la colpa di cui si macchia un ministro qualora menta di fronte al Parlamento. Sono testimone che il ministro Dini ha mentito in Parlamento: lo ha fatto perché nella relazione sul caso Telekom-Serbia, in seguito alla presentazione fatta dall'allora Polo di una mozione in cui si chiedevano spiegazioni su questa operazione, il ministro Dini disse di aver saputo delle trattative e delle conclusioni soltanto dai giornali della Serbia. Avevo già in mano la documentazione dalla quale risultava che tanto il ministro Dini quanto il sottosegretario Fassino non potevano non sapere,
ma attesi che fosse il ministro a confermare o a smentire e il ministro Dini disse di non sapere assolutamente nulla.
In questa Commissione sono venuti dei funzionari, in particolare il capo della segreteria dell'allora sottosegretario Fassino, il quale ha confermato che il sottosegretario era perfettamente al corrente ed ha anche confermato che il ministro Dini...
GIUSEPPE CONSOLO. Come non è vero?
GUSTAVO SELVA. Il problema che ponevo è che il capo della segreteria del sottosegretario Fassino era informato. Del resto, il sottosegretario Fassino - ho posto la questione più volte - o non ha letto le lettere che l'ambasciatore Bascone gli ha inviato personalmente, e in questo caso si tratterebbe di inadempienza ai doveri di ufficio, o non poteva non sapere, perché l'ambasciatore sconsigliava, sulla base di quanto aveva saputo, di concludere questo accordo.
Quale responsabilità hanno, secondo lei, il ministro Dini ed il sottosegretario Fassino sulla base dell'etica che lei giustamente ritiene un punto centrale della vita politica americana? Sarebbero passibili...
FRANCESCO COSSIGA. Vuole che glielo dica?
PRESIDENTE. Presidente, scusi, ma la domanda è improponibile.
FRANCESCO COSSIGA. Se vuole io rispondo.
PRESIDENTE. Lei è libero di rispondere, ma io ho il dovere di dirle che la domanda è improponibile.
FRANCESCO COSSIGA. Un ministro o un sottosegretario per gli affari esteri, prima di fare dichiarazioni che potrebbero esporre a turbamenti le nostre relazioni con uno Stato estero... Torquato Accetto ha scritto un bellissimo libro, Della dissimulazione onesta: talvolta la bugia non è tale ma è sottacere la verità, che è cosa diversa.
GUIDO CALVI. Era solo un modo per riproporre una vecchia questione ormai superata.
PRESIDENTE. Il Presidente Cossiga, sebbene fosse stato avvertito che poteva non rispondere, lo ha fatto dandoci una lezione sul dolus bonus e sulla dissimulazione onesta. Mi pare che sul tema si possa concludere.
Do la parola al senatore Calvi.
GUIDO CALVI. Vorrei porre due brevissime domande di carattere politico-istituzionale.
La prima riguarda la stagione antecedente e successiva all'embargo: lei ha più volte sottolineato, peraltro facendo anche un paragone con le vicende politiche di Saddam Hussein, che nella storia dei rapporti con la Serbia all'epoca del conflitto nell'ex Jugoslavia c'è stato un momento di passaggio - lei lo ha ricordato molto bene poco fa - che ha visto una grande tensione internazionale che ha portato all'embargo nei confronti della Serbia. Successivamente l'embargo è stato superato, le cose sono ulteriormente cambiate, il regime di Milosevic è terminato ed egli si trova davanti ad un giudice internazionale.
FRANCESCO COSSIGA. Avrei molto da dire sul termine «giudice», salvo che lei non lo pronunci tra virgolette.
GUIDO CALVI. D'accordo, giudice tra virgolette.
La mia domanda attiene a questa fase intermedia, perché è il momento che riguarda la nostra indagine, vale a dire il periodo in cui è intervenuto l'embargo e prima che ricominciasse lo stato di tensione che ha portato la Serbia al crollo cui abbiamo assistito. Va detto peraltro che si è trattato di un crollo anche interno, dopo le elezioni nel Montenegro; ma questa è storia. Le domando se, nel momento in cui è finito l'embargo, vi sia stata o meno - mi
sembra che lei vi abbia accennato, ma vorrei che la sua risposta fosse un po' più ampia - una sorta di corsa in soccorso di Milosevic, del suo partito e della Serbia, perché quel paese rappresentava per l'occidente una sorta di punto di riferimento «democratico» per la ripresa di una situazione di normalità in Jugoslavia.
FRANCESCO COSSIGA. Più che «democratico», Milosevic era visto come un elemento di stabilità. Quando una persona ha ricoperto le cariche che ho ricoperto io, ma per caso, perché in quel momento non c'era un altro che potesse farlo, continua ad occuparsi di politica... Io, ex Capo dello Stato, in Italia non mi sento tale, ma se mi reco in Croazia mi trattano da ex Presidente della Repubblica; se mi reco a Lubiana mi trattano nello stesso modo; se stasera volessi partire per Baghdad credo che probabilmente farei meno anticamera dell'inviato del Papa (scusate la mia presunzione).
GUIDO CALVI. Anche perché è un paese musulmano.
FRANCESCO COSSIGA. Mi sono sempre molto occupato di politica, e ricordo benissimo che da Presidente della Repubblica «forzai la mano» al Governo per il riconoscimento della Croazia e della Slovenia, in un momento in cui anche gli Stati Uniti erano contrari; erano tutti a favore della Serbia! Per un certo periodo, Milosevic è stato salutato ed ossequiato, e tutti noi ricordiamo la fotografia di una calorosa stretta di mano tra un inviato del Papa e Milosevic. Non è una prova, ma basta prendere i giornali dell'epoca per vedere gli orientamenti delle grandi potenze occidentali, compresi gli Stati Uniti: la signora Albright si recava spesso da Milosevic, perché era considerato un fattore di stabilità, e quando si è trattato di risolvere le gravi questioni del Kosovo, prima dei bombardamenti si aveva fiducia in Milosevic. Personalmente ritengo che Milosevic sarà assolto, in quanto verrà un momento in cui le grandi potenze interverranno su questo pseudo giudice e lo faranno assolvere. I giudici sono fatti per l'actio finum regundorum; quando si va un po' più su, è giustizia politica e non più giustizia...
Guardate, il fatto che si pensasse di dare denari al partito di Milosevic non avrebbe scandalizzato neppure la CIA, che ha dato soldi a tutti.
GUIDO CALVI. La seconda domanda, alla quale in parte ha già risposto, riguarda sempre lo stesso periodo, in particolare il 1997, ma in un contesto interno; infatti, l'Italia stava per entrare in Europa e si poneva il problema della privatizzazione. Il presidente Chirichigno ci ha illustrato un quadro molto preciso di questo momento, mentre il dottor Agnes e il dottor Pascale, alle domande perché furono «dimissionati» e se fossero stati dimissionati perché magari erano contrari all'acquisto di Telekom-Serbia, fatto storicamente impossibile in quanto successivo, hanno risposto in modo un po' ambiguo, affermando di aver pensato successivamente anche a questa possibilità. Io vorrei invece che lei riportasse la nostra attenzione sul fatto che in quel momento il passaggio...
FRANCESCO COSSIGA. Mi hanno comunicato in questo momento che è morto il Primo ministro serbo, vittima di un attentato.
PRESIDENTE. Noi non c'entriamo, Presidente! Eravamo con lei...!
FRANCESCO COSSIGA. Questo lo dirà alla procura della Repubblica di Potenza!
GUIDO CALVI. Presidente, io lì preferisco andarci come avvocato!
Tornando alle domande, il fatto di passare da Pascale e Agnes al professor Guido Rossi aveva un significato in relazione alla gestione delle privatizzazioni o era invece connesso ad altri motivi, che noi non conosciamo, e che magari lei potrà illustrarci?
FRANCESCO COSSIGA. Io posso dare un giudizio personale. Se si volevano fare
operazioni anche solo oblique, la scelta di Guido Rossi era la peggiore possibile, perché Guido Rossi era uomo estraneo alla politica, allevato da una madre che, per mantenerlo all'università, lavava le scale dei palazzi dei nobili milanesi...
Adesso noi cominciamo a pagare un prezzo (non voglio far colpa a nessuno): io da euroentusiasta, provenendo da una famiglia notoriamente antifascista - essere antifascisti significava essere per necessità europeisti, ed io ho trovato un solo antifascista vero, combattente, nazionalista sfegatato ed antijugoslavo, per Fiume italiana, per Pola italiana, per Zara italiana, per Spalato italiana, vale a dire Valiani, una persona che, se avesse potuto, sarebbe scesa in piazza con il Tricolore nelle famose «giornate radiose» - sto diventando euroscettico. Infatti, la nostra politica delle nazionalizzazioni e delle dismissioni è stata fatta soltanto per «battere cassa», ed oggi noi ci troviamo esposti all'assalto di tutti. La Francia è entrata in Europa ma si è tenuta EDF e France Telecom, la Germania si è tenuta Deutsche Telekom, e potremmo dire tante altre cose... In quel momento il Governo si era posto come obiettivo quello di entrare nel primo giro dell'eurosistema a qualunque costo, ed occorreva vendere tutto il possibile! Così la Telecom ha cambiato padrone già tre o quattro volte, e ora stiamo vendendo a pezzi l'ENEL, mente sbarca EDF, il grande ente monopolistico francese che si occupa di energia convenzionale e nucleare civile e militare, che ha come presidente un prefetto con un glorioso passato nei servizi segreti.
PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Nan.
ENRICO NAN. Presidente Cossiga, nel suo racconto, che a mio giudizio costituisce un contributo importante, tra le altre cose ha detto che ci fu un momento in cui si gridò allo scandalo da parte di due parlamentari del Montenegro in merito a quest'operazione. In quei giorni lei ebbe occasione, proprio a seguito di queste notizie giornalistiche, di parlare personalmente di quanto dicevano con il ministro Dini o con qualche altro ministro?
FRANCESCO COSSIGA. Assolutamente no. Io appresi queste notizie da una rassegna stampa relativa ai giornali esteri, dove tali notizie erano regolarmente riportate.
ENRICO NAN. Una domanda più generica, riferita anche alla sua lunga esperienza: è vero che questa era un'operazione finanziaria, però non era solo questo, se consideriamo che si trattava di un paese alle soglie di una guerra; era un'operazione che in qualche modo influiva sui rapporti diplomatici, che serviva a Milosevic per finanziare una guerra, anche se in parte. Secondo lei, anche tenendo in considerazione che prima della fusione tra STET e Telecom vi erano nel consiglio di amministrazione della STET due rappresentanti di due dicasteri, quelli del tesoro e delle poste e telecomunicazioni, era possibile che il Governo, o almeno questi due ministeri competenti, non fossero informati che era in corso un'operazione di questo tipo?
FRANCESCO COSSIGA. L'unico ministero certamente informato di queste cose era quello del tesoro, perché tutte queste operazioni sono state fatte dal ministero del tesoro (i cambiamenti, i licenziamenti e così via). Ricordo che il povero Mario Draghi, mio amico, aveva il tragico compito di chiamare alle sette-otto del mattino i presidenti e gli amministratori delegati per dir loro che alle dieci si sarebbe tenuta l'assemblea e che avrebbero dovuto presentare subito la lettera di dimissioni, altrimenti sarebbe stato costretto a dire al rappresentante del tesoro di non riconfermarli. Parlo di cose che so. Molte volte queste operazioni vengono fatte per fini di carattere diplomatico, ma questo significherebbe credere che in Italia noi abbiamo una politica estera globale portata avanti dal Ministero degli affari esteri. La politica estera del nostro paese è stata fatta sempre da una molteplicità di enti, come l'ENI, ai cui presidenti io in altri periodi avrei dato il rango di ministro
degli affari esteri. Erano certamente molto più importanti del ministro degli affari esteri, in certi periodi.
Un'operazione politica di questo genere non la vedo in maniera assoluta, anche perché in Italia, salvo qualche piccolissima frazione politica, persone favorevoli al regime di Milosevic non ve ne erano o lo erano tutti nella misura in cui erano favorevoli gli americani, gli inglesi, i francesi.
FRANCESCO COSSIGA. Realpolitik, come adesso, poiché il nostro Governo è titubante in materia di guerra all'Iraq. Alla Spagna non è sembrato vero di schierarsi subito per «fregarci» il posto. Se disgraziatamente scoppierà la guerra, che l'America vinca non vi è dubbio alcuno, e Aznar dirà che Berlusconi ha avuto qualche esitazione, ma lui no.
ENRICO NAN. Lei ha parlato del dottor Draghi: egli parlava in nome del ministro, in sostanza. Ma come faceva ad avere questa autorevolezza?
FRANCESCO COSSIGA. Parlava in nome del Governo. L'«innocente» era innocente allora, come dalle sue manifestazioni esterne si vede che è «innocente» anche oggi...
PRESIDENTE. Do la parola al senatore Eufemi.
MAURIZIO EUFEMI. Il Presidente prima ha ricordato la politica delle privatizzazioni, ma in questo caso si trattava di un acquisto da parte di Telecom, di una situazione un po' diversa; non si trattava di una dismissione, tanto che ha creato problemi per questa ragione. Ritiene possibile che un'operazione del genere, per l'importo della stessa e della cosiddetta facilitazione, potesse essere realizzata senza avallo dell'autorità politica? Il management di un'azienda, seppure ancora di proprietà dello Stato, poteva svolgere quell'operazione avente tali riflessi finanziari, come ha prima ricordato?
FRANCESCO COSSIGA. Se lei mi chiede se sia possibile che da un punto di vista formale i politici non sapessero, le rispondo che non è possibile. Se mi chiede se i politici, tutti, compreso l'«innocente», avessero capito di cosa si trattasse, le rispondo che può darsi benissimo che non lo avessero capito o che avessero considerato l'operazione come una pratica normale.
PRESIDENTE. La ringrazio.
Avverto che il Presidente Cossiga ha versato alla Commissione una documentazione concernente i lavori parlamentari sulla vicenda ENI-Petromin, da lui richiamati nel corso dell'audizione. Tale documentazione è classificata libera.
Si conclude così l'audizione del Presidente Cossiga, che invito a passare solo un istante nel mio studio per fornire quell'indiscrezione che risulta essere, a questo punto, un segreto istituzionale.
La seduta termina alle 15.30.
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