Back

Seduta del 3/5/2005


Pag. 3


...
Audizione di Fabio Dattilo, dirigente del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Vicenza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Fabio Dattilo, dirigente del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Vicenza. La Commissione, nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, intende acquisire dati ed elementi conoscitivi sullo stato di attuazione della vigente normativa in materia di gestione del ciclo dei rifiuti. La Commissione ha convenuto sull'opportunità di procedere all'odierna audizione in ordine alle problematiche afferenti alle attività di controllo dei materiali radioattivi e a quelle relative, per quanto di sua conoscenza, alla vicenda dei rifiuti speciali pericolosi ed in particolare dei fumi di acciaieria lavorati nello stabilimento Portovesme Spa.
L'ingegner Fabio Dattilo è accompagnato dall'ingegner Emanuele Pianese, esperto molecolare presso il dipartimento dei Vigili del fuoco di Roma. Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, darei ora la parola all'ingegner Dattilo, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del suo intervento.

FABIO DATTILO, Dirigente del Comando provinciale dei Vigili del fuoco di Vicenza. Non abbiamo la competenza istituzionale per quanto attiene ai rifiuti, tuttavia siamo stati involontari protagonisti di un intervento di contaminazione radioattiva - l'unico accaduto con il quadro legislativo vigente -, con l'introduzione di circa 250 tonnellate di polveri contaminate a seguito della fusione di una sorgente radioattiva all'interno di un'acciaieria di Vicenza. Come può una sorgente radioattiva finire all'interno di un forno che produce acciaio? Partiamo dal concetto di «sorgente orfana», cioè una sorgente radioattiva di cui non sono più identificati il detentore, il luogo di detenzione e le modalità di utilizzo, cosa che, invece, il decreto legislativo n. 241 del 1990 stabilisce come obbligatoria. Quindi, non si tratta di un rifiuto polveroso, ma di una sorgente sigillata, abbandonata, smarrita, rubata, erroneamente collocata o trasferita senza che l'autorità preposta ne sia venuta a conoscenza.
Secondo una stima dell'Unione europea in Europa esistono circa 30 mila «sorgenti orfane» e provengono da strutture sanitarie dismesse - quindi, si tratta di sorgenti radioattive ad uso terapeutico o diagnostico che vengono dismesse negli ospedali, soprattutto in quelli dell'est europeo - o da fabbriche o impianti dismessi. Queste sorgenti sono estremamente presenti nel nostro tessuto perché, anche se abbiamo votato un referendum contro l'energia nucleare, l'impiego pacifico


Pag. 4

delle sorgenti radioattive è molto diffuso in tutto il mondo e, di conseguenza, anche in Italia. Purtroppo, tali sorgenti, pur occupando un piccolissimo volume, hanno un'elevatissima energia. Alcune foto che provengono dall'APAT di Roma mostrano possibili «sorgenti orfane», quindi rintracciate, che presentano una potente attività e, soprattutto, tempi di dimezzamento estremamente elevati: ad esempio, il cesio 137 - peraltro, è il nostro caso - dimezza l'energia che viene irradiata in 30 anni, il cobalto 60 in 5 anni e l'americio-berillio in 432 anni.
Il ritrovamento di una sorgente radioattiva nel rottame ferroso non è infrequente e si stima che, su 7 milioni di tonnellate lavorate in Italia, circa l'un per cento possa essere contaminato o contenere sorgenti radioattive. La sorgente radioattiva che vediamo nella fotografia, peraltro, era scampata al forno perché rilevata, attraverso un sistema di detenzione, proprio nella fabbrica dove una del tutto simile - anzi, secondo le nostre ricostruzioni, una gemella - finì nel forno. Per quale motivo una sorgente può venire o meno rilevata dai portali? Nel caso di questa sorgente, con ogni probabilità quel foro che vediamo a destra allinea il contenitore, che è fatto di piombo, con la sorgente stessa e, quindi, consentendo l'emissione del raggio, viene captato dalla sorgente che ne rileva l'energia: se fosse stato, come normalmente è collocato durante il trasporto o in posizione di riposo nessun rilevatore, tranne uno sensibilissimo, sarebbe stato in grado di rilevarne l'energia. Quindi, una «sorgente orfana» sigillata può entrare tranquillamente anche in stabilimenti dove esistono delle guardianie contro l'ingresso di sorgenti radioattive.
Che cosa è accaduto a Vicenza? L'8 gennaio dello scorso anno un semirimorchio carico di polveri provenienti dall'acciaieria, passando attraverso i portali dell'azienda, ha allarmato la centralina (quest'ultima misura un numero di impulsi che, se aumentano, rivelano energia radioattiva all'interno del carro). Ciò significava che quelle polveri, uscite da un ciclo di formazione dell'acciaio come residuo, erano radioattive. La ditta ha preso le polveri, le ha portate all'esterno dello stabilimento, le ha misurate e solo dopo ha chiamato l'autorità competente dalle 8 alle 15 del pomeriggio tramite fax, cioè dopo parecchie ore. Peraltro, la legge prevede che se ne dia immediata comunicazione: per quanto ci riguarda, abbiamo catechizzato l'azienda che la parola immediata significa subito, non tramite fax, con i numeri 115 o 118, a cui ci si rivolge normalmente quando si verifica un'emergenza.
Nelle illustrazioni presenti nella documentazione che vi ho fornito vediamo il grande parco rottami dell'azienda, di circa 20.000 metri quadrati, con l'acciaio che proviene da tutta Europa attraverso carri ferroviari o trasporto su gomma. Quindi, una volta depositata la parte di acciaio all'interno del parco rottami, non pescando solo da una parte, quando va in colata diventa impossibile individuarne la provenienza. Ovviamente, non esiste alcuna cernita del materiale prima che venga introdotto nel forno di fusione. Con un fotomontaggio del parco rottami ho ricostruito le modalità con cui viene presa la massa ferrosa e si può notare che una sorgente di quelle dimensioni non consente all'operatore che si trova in quella zona di avere la benché minima idea che, insieme alla massa ferrosa, stia recuperando anche una sorgente radioattiva. Questa massa ferrosa viene inserita all'interno di grandi secchioni - un uomo è molto più basso di uno di loro - e tre di loro finiscono nel forno di fusione, dove si raggiunge la temperatura 1.500 gradi. Qualsiasi schermatura già presente all'interno dell'acciaio, che sia costruita in piombo - come normalmente accade - o in altro modo, è fusa insieme all'acciaio. In tal modo, si producono, oltre allo stesso acciaio, scorie dovute soprattutto agli additivi che si impiegano nella fusione per ottenere le diverse qualità di questo metallo.
Ovviamente, quando si bruciano questi materiali, che non sono certamente puliti, si ottengono polveri e fumi i quali sono


Pag. 5

aspirati e filtrati attraverso batterie filtranti. In questo caso, le batterie erano costituite da 7 mila maniche che, tuttavia, non erano state progettate per il materiale radioattivo ma per limitare l'emissione di polveri in atmosfera. In ogni modo, le maniche filtranti hanno consentito di limitare le emissioni in aria delle polveri, che sono fuoriuscite nella misura soltanto dell'1 per cento da un camino alto 30 metri, con portate anche notevoli, pari a un milione di normal metri cubi. Per la loro gran parte, quindi, le polveri sono state stivate in un magazzino dal quale, per mezzo di una benna, sono state caricate su un camion e trasportate, nel caso di specie, presso la società Portovesme, affinché potesse essere recuperato il metallo in esse contenuto, in particolare lo zinco. Dalla fusione non si perde alcunché perché anche le scorie sono recuperate e triturate. Soltanto il recupero dell'acciaio dopo la triturazione già compensa i costi dell'operazione. Tutto ciò che rimane, previa analisi chimica, può essere utilizzato come materiale inerte per calcestruzzo, per sottofondi stradali o per sottofondi di urbanizzazione. In sintesi, dalla fusione si ottengono l'acciaio, le scorie e le polveri delle quali si ricavano gli altri metalli; solo l'un per cento delle polveri finisce nell'aria.
Che cosa accade se una sorgente radioattiva, evidentemente a causa di un incidente, finisce in questa fusione? In virtù della diversa tipologia della sostanza radioattiva può verificarsi la contaminazione delle scorie, la contaminazione dell'acciaio, la contaminazione dell'aria dovuta alla dispersione delle polveri del camino, la contaminazione delle polveri trattenute nei filtri e, infine, la contaminazione complessiva di tutto l'impianto. Ad esempio, il cobalto 60 provocherebbe principalmente la contaminazione dell'acciaio. In letteratura si ricorda un incidente avvenuto a Brescia, a seguito del quale fu contaminato l'acciaio, che divenne radioattivo. Nel nostro caso, la radioattività ha contaminato le polveri, divenute radioattive, escludendo sia l'acciaio sia le scorie.
Le polveri subiscono un trattamento di bagnatura affinché siano leggermente compattate, evitando così che si disperdano, perché sono molto sottili, impalpabili. Attraverso la spruzzatura di acqua, quindi, se ne ottiene una consistenza simile a quella del riso soffiato. Tramite autoarticolati sono trasportate, via nave, allo stabilimento della società Portovesme, che si trova a Portoscuso, che da esse estrae i vari metalli e, in particolare, lo zinco.
Ho cercato di approfondire la mia scarsa competenza sull'argomento e ho chiesto alla società AFV Beltrame di consegnarmi la scrittura privata - che potete acquisire agli atti - nella quale sono indicate alcune condizioni contrattuali per il prelevamento di queste polveri. In sostanza, la società Portovesme si impegna a prelevare le polveri non soltanto dallo stabilimento della AFV Beltrame di Vicenza ma anche da un suo altro stabilimento, che si trova in Piemonte, purché non siano radioattive ai sensi del decreto del 17 marzo 1995, n. 230. In proposito, aggiungerò qualcosa in seguito. Al fine di una verifica del livello di radioattività medio di queste polveri, la società AFV Beltrame deve adempiere alcuni obblighi di sorveglianza, ovvero deve far effettuare le misurazioni dall'ARPAV di Vicenza. Tuttavia, nel contratto si afferma che le analisi di riferimento per eventuali contestazioni sono quelle effettuate dalla Portovesme Srl.
Una postilla si riferisce alla definizione del grado di radioattività del materiale. La radioattività esiste in tutti i materiali, anche in quelli naturali. L'Euratom, con una serie di norme, ha stabilito, per ciascun tipo di sostanza, i limiti al di sotto dei quali il rifiuto non è da considerarsi radioattivo. I limiti che la commissione presieduta dal prefetto di Vicenza ha assunto, soprattutto grazie alla consulenza dell'APAT di Roma, è quello di 380 becquerel per chilogrammo. Non ne sono certo ma, ascoltando i tecnici dell'ARPAV di Vicenza, ho appreso che anche alla Portovesme sono utilizzati questi parametri per definire il limite tra ciò che può


Pag. 6

essere lavorato e ciò che deve essere restituito al mittente quale sorgente pericolosa.
Una piccola parte delle polveri, come ricordavo, fuoriesce da quel camino. Per noi, quindi, il lavoro si è focalizzato su questi passaggi: mettere in sicurezza il sito contaminato; individuare, mediante alcune misurazioni, la zona all'interno della quale si può entrare soltanto debitamente equipaggiati, definita come zona controllata o sorvegliata; stimare quali fossero le possibili ricadute di polveri dai camini; infine, bonificare il sito, con la collaborazione di imprese specializzate. In questo caso, è intervenuta una società, denominata Nucleco, partecipata dall'ENEA nella misura del 50 per cento, e l'onere è stato sopportato dalla stessa impresa. Quanto alla messa in sicurezza, i nostri Vigili del fuoco hanno coperto con teli le parti dove vi fossero fori. La zona interessata era piuttosto grande; è stata individuata e sono state effettuate misurazioni in aria e valutazioni delle possibili ricadute dal camino nelle zone circostanti il territorio di Vicenza. Peraltro, la AFV Beltrame è ubicata in un'area estremamente vicina al centro di Vicenza e dista circa un chilometro dalla fiera orafa che, proprio quel giorno, apriva i battenti. Anche il profilo della protezione civile, quindi, ha costituito una difficoltà, in quei momenti.
Inoltre, abbiamo effettuato i controlli sui lavoratori che avrebbero potuto essere stati contaminati dalle polveri in quanto si trovano all'interno dell'impianto. In particolare, si poteva ipotizzare un rischio di contaminazione interna di cesio il quale è sia beta emittente, sia gamma emittente. Questi lavoratori sono stati inviati alla ASL competente. Purtroppo, abbiamo scoperto in quella occasione che in Italia solo a Bologna e a Roma vi è la possibilità di effettuare il cosiddetto whole body counter, cioè l'esame delle persone che sono state contaminate. Per fortuna, Vicenza è abbastanza vicina a Bologna.
Abbiamo provveduto, quindi, alla decontaminazione dei materiali, che sono diventati rifiuti radioattivi. È stato necessario prelevarli, misurarli e stivarli all'interno di una serie di fusti, non prima di averli inseriti in grandi sacchi di plastica blu, definiti big bag, molto resistenti. Sono stati suddivisi per categoria, in base alla misura dei becquerel per chilogrammo. Ricordo che, nel periodo immediatamente precedente, vi era stata una querelle relativa al deposito unico delle sorgenti radioattive. Noi abbiamo creato condizioni tali per cui questo deposito, pur non essendo un deposito definitivo, possa essere trattato in estrema sicurezza e le polveri vi possano permanere finché anche nel nostro paese si individuerà per esse una destinazione finale.
Inoltre, in ragione della peculiarità dell'area, contigua a fiumi ad alto rischio di esondazione, i fusti di acciaio sono stati «calettati», ovvero calati in ulteriori fusti in calcestruzzo. In altre parole, si è dato luogo ad una tripla protezione (sacchettone di plastica, fusto di acciaio avvitato, ed infine fusto in calcestruzzo) idonea a garantire ai rifiuti una permanenza in stato di sicurezza lunghissima nel tempo. Quanto alla provenienza della sorgente di cesio, l'ipotesi apparsaci più probabile era che la materia fosse scaturita da un cantiere dismesso, utilizzato a Napoli durante gli anni novanta da un'impresa edile. Eseguite le opportune misurazioni per avere un'idea di quale fosse l'energia in gioco, con l'interessamento dei carabinieri del Noe, e anche grazie al ritrovamento - avvenuto pochi giorni prima - di una sorgente di materiale analogo all'interno dello stabilimento, pervenimmo, così, alla conclusione definitiva. In altri termini, un'impresa di leasing avrebbe reso disponibile ad un'impresa edile un certo macchinario, il quale sarebbe servito, insieme ad altri, a realizzare il tunnel di una strada ferrata. Evidentemente, la misurazione dello spessore di calcestruzzo della volta del tunnel sarebbe stata eseguita proprio attraverso le sorgenti radioattive. A motivo della natura identica del materiale radioattivo rinvenuto presso lo stabilimento e di quello introdotto nel forno (cesio), ci è apparso opportuno e lecito ritenere che la sorgente radioattiva potesse essere quella. Durante gli anni novanta,


Pag. 7

quella stessa sorgente, raccolta dalla ditta Italrecuperi di Napoli, è stata poi venduta come acciaio alla società Beltrame, che ha provveduto, infine, alla fusione del materiale.
In conclusione, non è assolutamente infrequente che sorgenti radioattive cosiddette orfane possano raggiungere forme di fusione in acciaierie. Il solo fatto di aver collocato due portali a Vicenza, da qualche anno, ha consentito almeno di rilevare la presenza di quattro o cinque sorgenti o carichi inquinanti sotto il profilo radioattivo. Le conseguenze, evidentemente, potrebbero risultare molto gravi per la salute della popolazione e degli operatori: nel caso di Vicenza, fortunatamente la zona contaminata è rimasta circoscritta a quella - ben individuata - dell'impianto di filtrazione, sebbene le sole emissioni da camino avrebbero potuto provocare effetti molto preoccupanti se spalmati sul territorio.
Per i motivi precedentemente evocati, è tuttavia ragionevolmente difficile poter effettuare controlli preventivi in ingresso, soprattutto nel caso di sorgenti sigillate. Suggerimento vorrebbe l'utilizzo di una maggiore attenzione nella raccolta preventiva e nella cernita dei metalli, le cui origini dovrebbero essere approfondite. Per rifiuti ospedalieri o materiali di fabbrica - dove si accerti, per problemi di natura costruttiva e di realizzazione, la presenza di sorgenti radioattive -, lo scrupolo dovrà essere maggiore, così come dovrà esserlo la cernita da effettuare prima di avviarli a fusione. È ovvio che operazioni simili comporterebbero un aumento delle materie prime e quindi, probabilmente, anche del metallo, sebbene non sia in grado di apprezzare le variazioni conseguenti delle loro condizioni di mercato. Appare comunque essenziale eseguire controlli sistematici sui prodotti in lavorazione e in uscita, sulle polveri in particolare ma anche sugli acciai: sarebbe infatti spiacevole trovarsi all'interno di un'auto costruita con un acciaio speciale al cobalto 60, e venire irradiati per tutta la vita da questa sostanza radioattiva.
Un'ulteriore considerazione riguarda infine i costi: il costo di smaltimento di una singola sorgente, attualmente, è pari a circa duemila euro, contro ben 8 milioni di euro che l'azienda, compresi i tempi morti del lavoro e gli effetti sul mercato, ha dovuto sopportare.
Manifestando tutta la mia disponibilità a rispondere ad eventuali domande sulla vicenda, lascio a disposizione della Commissione il documento relativo alla scrittura privata intercorsa tra la società Portovesme e la società Beltrame di Vicenza.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il dottor Dattilo per il suo prezioso contributo, vorrei rivolgergli una prima domanda di chiarimento. Lei ritiene che lo strumentario normativo a disposizione degli operatori in questa materia e rispetto alla vicenda in discussione sia sufficiente, o piuttosto occorrerebbe una revisione, un miglioramento della performance del sistema attuale? Quali sono a suo parere i punti di criticità e le eventuali ipotesi di soluzione rilevati dal suo straordinario punto di osservazione?

FABIO DATTILO, Dirigente del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Vicenza. Premesso che si è trattato del primo incidente avvenuto durante il periodo di vigenza del decreto legislativo n. 241 del 1990, occorre evidenziare come la disciplina in commento divida in due periodi le operazioni da effettuare: una prima fase di soccorso, di «emergenza», e una successiva di ripristino delle condizioni di normalità. Per effetto di un'interpretazione legislativa, ad opera dei soggetti competenti, la norma è stata intesa nel senso di ritenere conclusa la fase di emergenza solo allorché il prefetto, o l'autorità preposta al rilascio dell'autorizzazione, concluda con atto formale l'autorizzazione della pratica alla detenzione. Ciò significa, però, dilatare un'emergenza anche quando emergenza non vi è più. La legge dovrebbe piuttosto prevedere una fase intermedia tra l'emergenza vera e propria, che potrà durare alcune settimane, e la bonifica del sito prima che il materiale diventi rifiuto,


Pag. 8

e che quindi il prefetto rilasci, applicando la norma, l'autorizzazione all'allontanamento delle sostanze sotto i 380 becquerel per chilogrammo, nel rispetto di certe modalità di stoccaggio fino a che non vengano portati a destino. Attualmente, invece, rispetto all'incidente avvenuto nel 2004, secondo la legge saremmo ancora in stato di emergenza, non avendo ancora concluso la fase di pratica.

PRESIDENTE. È possibile, secondo lei, che alla Portovesme siano pervenute o ancora pervengano polveri contaminate, per esempio dall'acciaieria del Piemonte, ed è sufficiente la presenza di un portale a rilevare la radioattività?

FABIO DATTILO, Dirigente del comando provinciale dei Vigili del fuoco di Vicenza. Non sono in grado di esprimermi in dettaglio riguardo al caso piemontese. Che potenzialmente possano arrivare anche da quell'area sostanze radioattive è però possibile. Tuttavia, reputo che, pur non rappresentando uno straordinario strumento, i portali offrano una sufficiente garanzia se correttamente utilizzati. Analoga assicurazione, ovviamente, non potrà darsi qualora siano manomessi, spenti o cortocircuitati.
Un ulteriore punto fondamentale da tener presente riguarda, infine, l'importanza di non mescolare i prodotti. Mescolare una massa ancorché consistente, ma non radioattiva, con una anche molto piccola caratterizzata da energie in gioco notevoli, tale da rappresentare rifiuto radioattivo, produrrà infatti il risultato di ottenere un materiale finale mediamente alterato, non più qualificabile come rifiuto. Operazioni simili sono potenzialmente possibili, atteso che, allo stato attuale, è al vaglio soltanto ciò che esce e non ciò che entra all'interno dello stabilimento o ciò che può essere lavorato a Portovesme, vicenda di cui, peraltro, non conosco bene i dettagli.

PRESIDENTE. Ringrazio l'ingegner Dattilo, accompagnato dall'ingegner Pianese, non solo per la squisita disponibilità manifestata, ma anche per l'attenta e comprensibile relazione offerta a questa Commissione. Il suo intervento e il materiale depositato presso i nostri uffici costituiranno per noi elemento di ulteriore approfondimento rispetto ad una vicenda che appare emblematica del rischio - sempre in agguato - da sorgenti radioattive, soprattutto quando non sempre malafede, ma sovente superficialità offrono straordinarie opportunità di illegalità.
Non essendovi altri interventi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14,50.

Back