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Seduta del 22/1/2003


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Audizione del presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Enzo Boschi, e del dirigente di ricerca, Antonio Meloni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Istituto di geofisica e vulcanologia, Enzo Boschi, e del dirigente di ricerca, Antonio Meloni.
Ricordo che, secondo quanto concordato in sede di programmazione dei lavori dall'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, la Commissione procederà nell'odierna seduta all'audizione del professor Enzo Boschi e del dottor Antonio Meloni in ordine ai compiti ed ai profili di attività dell'Istituto concernenti le materie oggetto dell'inchiesta. L'audizione potrà altresì costituire l'occasione per acquisire elementi informativi sullo stato di attuazione della vigente normativa in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti e sulle problematiche connesse con le funzioni esercitate dall'Istituto in tale specifico settore.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento al professor Enzo Boschi per la disponibilità manifestata, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine della sua relazione, gli do senz'altro la parola.

ENZO BOSCHI, Presidente dell'Istituto di geofisica e vulcanologia. Grazie, presidente.
Desidero in primo luogo illustrare il percorso dell'Istituto, che nasce nel 2001 dalla somma di tante istituzioni precedenti che lavoravano in maniera separata: l'Istituto nazionale di geofisica di Roma, organizzato in tre sezioni che si occupano di rischio sismico e delle attività che discuteremo oggi, una sezione a Napoli concentrata soprattutto sul Vesuvio e sulle attività connesse con i vulcani presenti in Italia (ora parte dei ricercatori è coinvolta nella questione di Stromboli), la sezione di Catania che anticamente si chiamava Istituto internazionale di vulcanologia e apparteneva al CNR, la sezione di Palermo, coinvolta nello studio di Lipari e dell'Etna (prima si chiamava Istituto di geochimica dei fluidi), l'Istituto di ricerca del rischio sismico di Milano e due strutture, il Gruppo nazionale di difesa dai terremoti e il Gruppo nazionale di vulcanologia, che servono a far sì che coloro che si occupano di queste problematiche al di fuori dell'istituto possano trovare un'organizzazione.
Noi ci occupiamo di tutti i problemi che concernono la geofisica, dal centro della terra alla sismologia, alla pericolosità e al rischio sismico, alla geodinamica. Facciamo misure geoelettriche e telerilevamento; ci occupiamo di geochimica dei


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fluidi, di magnetismo terrestre, di fisica dell'alta atmosfera, di climatologia dinamica e di vulcanologia. La legge ci affida il compito di monitorare tutto il territorio nazionale per i problemi che abbiamo citato e in particolare per il rischio sismico e vulcanico. Di tutte le sezioni che ho indicato, quella coinvolta oggi è la sezione che chiamiamo Roma 2: stiamo ancora cercando i nomi e trovare il nome per questa sezione sarà molto difficile perché si occupa di questioni che, seppure connesse tra di loro, sono estremamente diverse: geomagnetismo, fisica dell'alta atmosfera, paleomagnetismo, ricerche interdisciplinari geomarine, climatologia dinamica e una serie di attività concentrate a L'Aquila nel nostro osservatorio geofisico.
L'attività che concerne il nostro incontro di oggi è svolta presso il laboratorio di geofisica ambientale, che ha come compito lo studio e il monitoraggio dei campi elettromagnetici ambientali, le osservazioni sui fondali marini in maniera sistematica (hanno un'importanza notevole per questioni che esulano dal tema odierno), la prospezione del sottosuolo con tecniche magnetiche, elettriche ed elettromagnetiche, largamente utilizzate per lo studio dell'inquinamento sotterraneo, specialmente per l'individuazione di fusti tossici e discariche interrate.
A questo punto, se il presidente è d'accordo, passerei la parola al dottor Meloni che ha seguito personalmente questo tipo di misure.

ANTONIO MELONI, Dirigente di ricerca. Vi vogliamo presentare oggi il lavoro che, nell'ambito delle attività di geofisica che si svolgono in Istituto, è diretto al problema più di vostro interesse, quello cioè delle prospezioni geofisiche in campo ambientale. Per farlo, sarà proiettata una serie di lucidi, che commenterò di volta in volta.
La nostra esperienza è basata su diversi interventi che negli ultimi anni abbiamo fatto a questo scopo e che adesso spiegherò con un po' di dettaglio.
L'esplorazione e il monitoraggio del sottosuolo sono attività che possiamo svolgere con metodi indiretti. Infatti, a parte la perforazione, non c'è altro modo per sapere cosa ci sia nel sottosuolo se non utilizzando metodi che noi chiamiamo «indiretti» cioè rilevando in superficie alcuni parametri, che sono poi relativi agli effetti che eventuali corpi presenti nel sottosuolo possono produrre nell'ambiente circostante. I vantaggi di queste tecniche geofisiche sono la rapida indagine di vaste aree, soprattutto con la possibilità di utilizzare metodi non invasivi, evitando le costosissime perforazioni, e l'esecuzione di scavi e sondaggi in località ben precise, una volta che i metodi indiretti che usano parametri geofisici abbiano permesso l'identificazione di aree molto limitate in vaste estensioni di superficie. I costi di indagine sono relativamente bassi, considerando che gli strumenti geofisici che adoperiamo non sono particolarmente costosi.
Parlerò fondamentalmente di tre metodi tipici delle nostre indagini: i metodi elettromagnetici (georadar, uno degli strumenti che negli ultimi quindici anni è stato sviluppato per questo tipo di metodologia), quelli geoelettrici e quelli magnetici.
Per quello che riguarda i metodi elettromagnetici, il georadar è fondamentalmente un radar che guarda verso il basso (siamo abituati all'idea del radar come strumento che intercetta corpi in mare o in aria) e invia impulsi elettromagnetici, a questo punto vengono osservate le riflessioni a contatto tra materiali che hanno differenti proprietà elettromagnetiche. Si tratta di un metodo che somiglia ai metodi sismici, solo che in questi ultimi le proprietà che permettono di osservare una differenza nel cammino delle onde sismiche sono quelle elastiche del terreno, mentre nel nostro caso sono la resistività elettrica e la costante dielettrica.
Lo schema che vediamo proiettato mostra un operatore che trascina delle antenne che hanno dimensioni fisiche comparabili con la lunghezza di uno o due metri, a seconda del tipo di frequenza che si usa, e che, con un'elaborazione del segnale, permettono di ricostruire, con


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rappresentazioni simili a quelle mostrate nel grafico, la risposta del sottosuolo all'invio dei segnali. I risultati ottenibili sono in relazione all'individuazione di fusti, serbatoi, anche non metallici perché la costante dielettrica è un parametro che può variare indipendentemente dalla conducibilità elettrica, e quindi oggetti interrati di varia natura, depositi di rifiuti, cavità, che intervengono anch'esse come una discontinuità nel parametro geofisico che ci interessa e disomogeneità del terreno. Vi è il vantaggio di avere la possibilità di usare questi metodi anche in aree antropizzate laddove altri metodi potrebbero subire dei disturbi.
Il lucido mostra un georadar con un'antenna da 400 megahertz, che riesce ad indagare una profondità massima di 3 metri. L'apparecchiatura di campagna è molto semplice: un'unità centrale, un monitor e una tastiera per l'elaborazione dei dati. L'operatore può utilizzare anche antenne diverse e chiaramente, man mano che si scende in frequenza, aumenta la lunghezza d'onda del segnale inviato e quindi è possibile raggiungere profondità sempre maggiori. L'operatore, nel caso del lucido che vediamo, ha in mano un'antenna da 300 megahertz che può arrivare fino a 8-9 metri, ma si possono superare anche i 10 metri di profondità con l'impiego di antenne ancora più grosse, come quella da 100 megahertz.
State vedendo ora un esempio di applicazione del georadar che abbiamo effettuato per una ricerca di interramenti di amianto in un impianto industriale. È stata utilizzata un'antenna da 400 megahertz (l'impianto è stato liberato per l'occasione) e dalla zona anomala di propagazione si è potuto vedere un rimaneggiamento del suolo e quindi è stato possibile individuare, in un'area di qualche migliaio di metri quadrati, una zona ben precisa su cui intervenire.
Qui vi sono alcuni esempi dei tracciati georadar registrati e le aree dove poi, con la post elaborazione, sono stati trovati i cosiddetti settori anomali.
Passiamo ora al metodo geoelettrico, con il quale la risposta del sottosuolo viene misurata con la risposta del suolo al passaggio di una corrente elettrica immessa in superficie. Le misure in questo caso sono finalizzate principalmente alla determinazione della resistività elettrica del terreno. In questo caso si fanno degli stendimenti elettrici - quindi non si tratta di un georadar che si muove - con un sistema multielettrodico, cioè si mettono degli elettrodi che vengono alimentati e immettono corrente nel suolo; con un corrispondente sistema di elettrodi indipendente, viene raccolta la risposta. In base al parametro della resistività, vi è la possibilità di capire se all'interno del sottosuolo ci siano resistività elettriche di tipo anomalo che possono essere associate a qualche intervento di natura antropica. I risultati ottenibili anche in questo caso sono relativi all'individuazione di discariche dismesse o abusive, localizzazione di inquinanti, monitoraggio spazio-temporale del sottosuolo.
Un altro aspetto molto interessante di questo tipo di tecniche consiste nella possibilità di effettuare il monitoraggio ripetendo l'analisi in tempi separati.
Il lucido in visione mostra un esempio di come l'indagine può essere effettuata in un terreno: vi sono l'impianto di elettrodi, una linea che connette i vari elettrodi, l'unità di gestione e l'unità centrale per l'immissione e la raccolta della corrente.
Vedete ora un esempio di tomografia elettrica: con la profondità e la distanza, in questo piccolo diagramma vengono rappresentate, con la variazione della resistività elettrica, le zone che possono identificare un terreno rimaneggiato e le zone con presenza di fusti metallici.
Quello che vedete è un altro esempio che abbiamo avuto da alcuni nostri collaboratori con i quali sviluppiamo la strumentazione per il controllo di fuoriuscite di percolati o di discariche, in questo caso, di RSU. Potete vedere il profilo di resistività e la profondità che può arrivare, con questi metodi, ad una decina di metri o anche qualcosa in più.
Eseguendo una serie di profili di tomografia elettrica si possono ottenere rappresentazioni del suolo anche di carattere


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tridimensionale, a partire da diagrammi bidimensionali muovendosi in una certa direzione, e quindi valutare la diffusione di un inquinante: questo è uno dei problemi più importanti per quello che riguarda l'evoluzione temporale di un fenomeno. Nel caso che vedete, vi sono strisciate di tomografia elettrica che vengono fatte a distanza l'una dall'altra.
Il metodo geoelettrico permette l'individuazione, e quindi in prospettiva un monitoraggio, dell'inquinamento sotterraneo, identificando un'area campione e ripetendo nel tempo l'analisi.
I metodi magnetici misurano le variazioni spaziali del campo magnetico terrestre che, in condizioni normali, vengono conosciute per quello che riguarda la struttura del campo naturale, ma che possono essere alterate dalla presenza nel terreno di corpi magnetizzati, in particolare ferromagneti come i fusti abbandonati, che generano un campo magnetico che si sovrappone a quello terrestre. Come vedete nella diapositiva, vi è un isolamento dell'anomalia provocata dai fusti rispetto al campo magnetico terrestre. Abbiamo utilizzato questo metodo per l'individuazione di discariche sepolte, per la definizione spaziale delle discariche - che chiaramente possono essere limitate spazialmente anche se in superficie non è possibile conoscerne a priori i confini -, per la ricerca di oggetti metallici sepolti, per l'individuazione di fusti metallici interrati.
Le indagini che abbiamo eseguito ormai riguardano uno spettro temporale che si avvicina al decennio (dal 1994) e concernono in particolare, per la nostra esperienza, un'area prevalentemente concentrata nel centro Italia, perché è la sezione di Roma 2 che si occupa di questo tipo di attività. Abbiamo effettuato indagini che sono state incrementate nel tempo fino al 2002 e che si esprimono in una decina di interventi (quelli che riusciamo a sostenere con il personale dedicato a questo tipo di attività). Abbiamo lavorato quasi sempre su richiesta di forze dell'ordine: comando dei Carabinieri tutela ambiente, Corpo forestale, Polizia di Stato, Guardia di finanza, con incarichi della Commissione parlamentare della XIII legislatura, del commissariato della regione Campania e della prefettura di Caserta, unità di crisi.
Le misure normalmente vengono eseguite da un operatore in movimento sul terreno; spesso è necessario prendere precauzioni perché non si sa esattamente quale sia il tipo di materiale interrato. Potete vedere nel lucido l'utilizzo di un magnetometro al cesio, che può acquisire dati con un passo di campionamento abbastanza elevato (quindi vengono raccolti molti dati mentre l'operatore cammina). Nell'esempio dell'individuazione di una discarica abusiva in un terreno di circa un ettaro, potete vedere nel lucido la rappresentazione a colori e tridimensionale dell'effetto magnetico prodotto dalla discarica in un ambito delimitato dall'asse delle X su 140 metri e dall'asse delle Y su 80 metri. L'effetto riportato con una scala sia colorata sia tridimensionale mostra come all'interno dell'area sia immediatamente localizzabile la zona sulla quale effettuare un eventuale scavo per intervenire.
Vedete ora l'esempio pratico di una ricerca di fusti tossici in una ex cava di tufo: dopo avere effettuato l'indagine, viene realizzata una mappa delle anomalie magnetiche e vengono individuate le zone sulle quali poi è possibile intervenire. Sulle zone che vedete è stato effettuato lo scavo - con la tutela della Polizia che, una volta individuate le aree poteva intervenire direttamente con mezzi propri - e sono fuoriuscite le cause dell'anomalia magnetica di tipo artificiale prevista dall'indagine geofisica.
L'esempio che vedete ora mostra un'area agricola e l'anomalia magnetica evidenziata da scale di colori. La struttura bipolare tipica del contrasto blu-rosso ci permette di individuare le zone da considerare sospette rispetto ad una situazione ambientale naturale, e da esse, con scavi, si può tirare fuori la sorgente dell'anomalia, cioè normalmente contenitori di sostanze inquinanti di varia natura.
Queste metodologie sono applicabili in vari ambiti; nel caso dei laghetti di Castel Volturno le forze dell'ordine sospettavano che fossero stati nascosti dei rifiuti in


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bidoni, cioè elementi di carattere ferromagnetico, per cui l'indagine si è svolta con dei magnetometri collegati ad alcuni battelli e una strumentazione idonea. I dispositivi sono stati trascinati a distanza da una struttura, poiché vi è il problema dei disturbi magnetici del motore. Il metodo di indagine è analogo al precedente, nel senso che invece che un operatore che cammina abbiamo utilizzato dei battelli e abbiamo realizzato l'indagine (non possiamo rivelarne i risultati in questo momento perché si stanno ancora analizzando i dati).
I rilievi magnetici possono essere effettuati in aree più grandi anche da elicotteri. La strumentazione in questo caso può essere agganciata tramite un cavo e normalmente viene tenuta a distanza sempre per il problema dei disturbi che possono essere causati dal motore. In questo modo si possono fare rilievi su aree molto vaste in tempi brevi e vi è la possibilità di indagare siti particolarmente inquinati o di difficile accesso. Questa è una delle tecniche che abbiamo portato in Italia da indagini che il nostro Istituto svolge nel quadro del programma nazionale di ricerche in Antartide, dove questa metodologia viene utilizzata frequentemente data la difficoltà di operare in un ambito estremo come quello antartico.
Potete vedere ora una carrellata di immagini che riguardano i ritrovamenti effettuati mediante indagine geofisica di tipo magnetico e che vi fanno capire come, una volta svolta l'indagine, il committente possa intervenire direttamente. Nell'immagine proiettata siamo a cinque o sei metri di profondità: dopo aver effettuato lo scavo, vengono tirati fuori, schiacciati sia dalla pressione del terreno sia probabilmente dalla macchina che li ha presi, dei bidoni che contenevano sostanze pericolose smaltite abusivamente. L'indagine che vedete ora è stata condotta con il Corpo forestale dello Stato; si tratta di bottiglie contenenti materiali inquinanti chiaramente contenuti in fusti di metallo. L'esempio che vedete mostra alcune sostanze individuate con l'indagine geofisica e poi rilevate dallo scavo diretto da parte delle forze dell'ordine.
In questo momento stiamo perfezionando alcuni accordi che permetteranno all'Istituto di fare interventi più sistematici con il comando dei Carabinieri tutela ambiente e il Corpo forestale dello Stato. Il nostro Istituto sta cercando di stabilire una collaborazione tecnico-scientifica-operativa per indagini geofisiche in campo ambientale con la specializzazione che per ora abbiamo sviluppato, che è quella volta all'individuazione di rifiuti e sostanze inquinanti nel sottosuolo.
Sono a disposizione per eventuali richieste di chiarimento.

LUCIO ZAPPACOSTA. Il metodo geomagnetico, se utilizzato ad esempio a Priolo in Sicilia, cioè in una vasta area terracquea, sarebbe efficace per l'individuazione dell'inquinamento da mercurio, piombo o altri metalli ferrosi?

ANTONIO MELONI, Dirigente di ricerca. Noi crediamo che la forza del nostro metodo sia nell'integrazione di più tecniche. Spesso l'utilizzo di una sola tecnica non permette di arrivare direttamente ad una soluzione. Nel caso, per esempio, di inquinanti che non siano all'interno di contenitori ferromagnetici, avremmo difficoltà ad individuarli solo con il magnetismo, ma ci vengono in aiuto le altre tecniche, come il georadar, che permette di individuare contrasti di conducibilità elettrica. Quindi, con quei metodi, integrati con il metodo magnetico, anche in quel caso saremmo riusciti ad individuare qualcosa.

LUCIO ZAPPACOSTA. Quindi con l'integrazione dei tre metodi si è in grado di rilevare l'entità e la vastità del tipo di inquinamento di cui hanno riferito i giornali?

ANTONIO MELONI, Dirigente di ricerca. Sicuramente l'integrazione dei tre metodi e la possibilità di utilizzarli su larga scala ce lo avrebbe permesso, ma


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bisogna vedere le condizioni ambientali, perché spesso gli effetti antropici possono essere troppo prevalenti. Generalmente l'integrazione dei tre metodi permette anche di superare l'effetto antropico, perché spesso un metodo è indipendente da questo tipo di perturbazione.

PRESIDENTE. A tal proposito tutti i gruppi hanno rappresentato l'esigenza di un approfondimento partendo dalla questione Priolo. Nel corso della riunione dell'ufficio di presidenza di domani offriremo una valutazione alla Commissione che spero possa coinvolgere anche l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, nel senso che partendo da alcuni casi di specie, che ovviamente non possono essere innumerevoli, dobbiamo cercare di individuare un metodo campione in grado di tracciare un percorso per addivenire ad un approfondimento di tipo normativo da parte della Commissione ma soprattutto della Camera e del Senato.

DONATO PIGLIONICA. Mi pare di capire che il metodo descritto abbia valore soprattutto per l'immissione nel suolo e nel sottosuolo di materiale all'interno di contenitori; credo che l'immissione di inquinanti direttamente nel mare porti ad una diluizione tale che soltanto metodiche chimiche sarebbero in grado di rilevarli, valutando le concentrazioni degli inquinanti nell'acqua. Quando una sostanza come il mercurio viene dispersa nell'acqua non credo che le tecniche geofisiche siano in grado di rilevarla, se non quando vi sia una certa concentrazione in una determinata zona del sottosuolo o anche del mare, perché spesso credo che si valuti la differenza della risposta elettrica di un territorio rispetto all'altro. Quando la sostanza è riversata in una grande massa liquida la diluizione fa sì che la risposta elettrica sia omogenea senza che questo voglia dire che non ci siano inquinanti.

ANTONIO MELONI, Dirigente di ricerca. Nel caso in cui l'inquinante non sia in un contenitore individuabile, il fenomeno deve essere affrontato ancora di più in maniera integrata. Se il rimescolamento del suolo è stato utilizzato per nascondere inquinanti non contenuti in fusti, noi con il georadar siamo in grado di individuarli (come spesso è avvenuto) perché il suolo perde la compattezza e l'iniziale struttura di conducibilità elettrica. Certamente in quel caso i metodi elettrici, come la tomografia, possono essere più di aiuto. È utile in questi casi monitorare nel tempo l'evoluzione del fenomeno perché dalle variazioni della struttura di conducibilità possiamo capire se vi sia stato rimaneggiamento indipendentemente dal tipo di contenitori.

PRESIDENTE. Quindi, rispetto ad uno spandimento in liquido, cioè nella fattispecie in mare, prevalgono i metodi chimici?

ANTONIO MELONI, Dirigente di ricerca. Sì. I metodi di indagine geofisica possono essere finalizzati all'individuazione di parametri geofisici precisi.

PRESIDENTE. Ringrazio il professor Boschi e il dottor Meloni, al di là del dato formale, per il contributo che hanno offerto e per la disponibilità a fornire collaborazione e supporto per eventuali iniziative che la Commissione dovesse assumere nell'affrontare questo tipo di vicende. Dispongo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione da loro illustrata.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 14.40.

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