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Seduta del 23/6/2005


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Audizione del dottor Massimo Converso, presidente dell'Opera nomadi, della professoressa Renata Paolucci, responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi, e del signor Kasim Cizmic, capo famiglia Rom.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'infanzia in stato di abbandono o semiabbandono e sulle forme per la sua tutela ed accoglienza, l'audizione del dottor Massimo Converso, presidente dell'Opera nomadi, della professoressa Renata Paolucci, responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi, e del signor Kasim Cizmic, capo famiglia Rom.
Ringrazio il presidente Converso e gli altri ospiti per la loro presenza. Vorrei che nell'ambito dell'audizione odierna venissero affrontati una serie di temi, a cominciare dall'accordo intervenuto fra Governo e Opera nomadi, del quale desidereremmo conoscere meglio i vari aspetti.
Invito inoltre il presidente Converso ad affrontare in questa sede un problema che è all'attenzione dell'opinione pubblica italiana. Mi riferisco al fenomeno per cui alcuni campi nomadi, perlomeno quelli situati presso le grandi città, sono diventati il ricettacolo di tutto: si va dall'immigrazione clandestina, fuori controllo, alla protezione di persone che commettono reati.
Il problema è rappresentato dallo stato di allarme che si sta creando nei cittadini, che nuoce alla nostra politica verso l'immigrazione e non favorisce una corretta integrazione di queste persone nella nostra società. Sarebbe invece auspicabile l'instaurazione di un corretto rapporto tra i cittadini e i nomadi di stirpe Rom i quali, sia pure nelle loro varie sfaccettature, hanno da sempre convissuto, in maniera autonoma e lavorando, con i vari popoli che li hanno accolti in vista di una loro integrazione. È interessante sapere che tipo di lavoro svolgono oggi questi nomadi per mantenere la loro identità ma anche per potersi sostenere.
Infine, vorremmo conoscere le modalità con le quali avviene l'integrazione dei bambini nella scuola. In altre parole, come si riesce a garantire a questi bambini il loro diritto all'istruzione? Ricordo che il nostro obiettivo è rappresentato dalla tutela del superiore interesse del fanciullo e che è necessario comprendere come tale interesse possa essere perseguito e assicurato.
Do quindi la parola ai nostri ospiti.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Premetto che, nel corso di questa consiliatura, il numero delle audizioni svoltesi con il Governo è stato in assoluto superiore a quelle dei precedenti 35 anni di vita dell'Opera nomadi. Finalmente il primo risultato concreto è rappresentato


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dalla stipula del protocollo d'intesa nazionale tra MIUR e Opera nomadi sulla scolarizzazione dei bambini Rom/Sinti, che d'ora in poi chiameremo sempre in questo modo posto che il seminomadismo è circoscritto soltanto ad alcuni gruppi di giostrai, i Sinti giostrai, al gruppo dei Camminanti siciliani, cioè gli ex arrotini e ombrellai, e al gruppo dei Rom Kalderasha, cioè i Rom naturalizzati italiani, giunti da Fiume nel 1941 dopo l'arrivo dei soldati nazifascisti, che ne eliminarono 20 mila. Questi sono gli ultimi gruppi di seminomadi ed ammontano a non più di 15 mila persone, in pratica il 10 per cento dei 150 mila presenti; in una scheda, che è a vostra disposizione, abbiamo sintetizzato tutti questi dati.
All'interno della medesima scheda è contenuta anche una valutazione su un'operazione che per noi ha rappresentato uno degli esempi più negativi nella storia dei Rom/Sinti italiani. Mi riferisco all'operazione «spezza catene». Abbiamo saputo che questa Commissione ha ricevuto il funzionario di polizia responsabile dell'operazione, il quale però, a nostro giudizio, è stato indirizzato male. I bambini coinvolti in questa operazione sono stati inseriti - per pura combinazione - nelle scuole del paese di mia moglie, in Calabria, per cui ho avuto modo casualmente di incontrarli e tutti, a gran voce, hanno chiesto di ritornare nelle proprie famiglie.
Vi parlo di questo episodio perché nessuna istituzione ha provato a fare della prevenzione per questi bambini che, vi assicuro, non erano stati torturati. Certamente essi svolgevano un'attività immorale per tutti noi, cioè chiedevano l'elemosina, ma a riprova di questa loro attività sono stati portati i sacchetti contenenti gli spiccioli, la testimonianza di una creatura di 9 anni e alcune fotografie scattate ai semafori: dovremmo, quindi, arrestare e sottrarre alle famiglie dai 20 ai 40 mila bambini in Italia, posto che il fenomeno, ormai, presenta queste dimensioni.
Nella scheda ho anche riferito che il fenomeno dell'evasione scolastica, il più grave di tutta Europa, è di almeno 20 mila minori, quasi tutti rumeni e dell'ex Iugoslavia. Vi faccio subito notare che i bambini della ex Iugoslavia sono tutti nati in Italia, anzi, abbiamo migliaia e migliaia di capi famiglia Rom nati in Italia. Come saprete, però, il nostro paese non riconosce lo ius soli bensì lo ius sanguinis. Per questo motivo, l'emarginazione e la mancanza di integrazione aumentano.
L'Opera nomadi svolge un tipo di politica particolare. Non a caso si tratta dell'unico ente morale fra le associazioni, di gran lunga la più antica. Abbiamo 27 sezioni su tutto il territorio italiano, dalla Sicilia fino a Bolzano, città dove, nel 1966, è nata l'Opera. La nostra politica è quella della solidarietà e delle regole.
Quando critichiamo operazioni indiscriminate di polizia, nello stesso tempo riconosciamo le responsabilità soggettive. Cito ancora l'operazione di Cosenza perché si è trattato di un fenomeno di sottrazione di massa dei bambini alle famiglie. Questi bambini, in una città dove c'erano più regole, come Napoli (sembrerà strano, ma il sindaco Jervolino e i suoi predecessori hanno attuato un progetto di scolarizzazione per questi bambini) erano scolarizzati. Abbandonata Napoli a causa della guerra di camorra che ha colpito i Rom, questi ultimi, «rifugiatisi» a Cosenza, si sono trovati di fronte ad un impeccabile funzionario di polizia che li ha seguiti per un anno e mezzo, lanciando una campagna stampa di odio verso questa comunità. Alla fine, ci siamo ritrovati nella situazione che tutti sappiamo.
Cito questo esempio perché non era quello il modo di procedere. Tra le proposte che troverete all'interno della nostra scheda, c'è quella di attuare immediatamente il protocollo di intesa, che non ha una base finanziaria. Abbiamo proposto una conferenza delle direzioni scolastiche regionali per il 7 dicembre 2005 presso il MIUR, in modo che questo problema non venga affidato da una parte alla polizia e dall'altra a qualche assessore alla pubblica istruzione di buona volontà: di fronte ad un fenomeno di 20 mila bambini che


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evadono totalmente l'obbligo scolastico, serve una dimensione nazionale e non ci si può più affidare alla buona volontà.
È vero - siamo noi i primi ad ammetterlo - che questi bambini, nella stragrande maggioranza, sono dediti alla questua e, molto spesso, al furto in appartamento e al borseggio, mentre il fenomeno, di cui si è parlato molto, dei Rom bulgari e della compravendita è veramente limitato a 10-15 casi in tutta Italia, quindi sarebbe sbagliato generalizzarlo. Quando i giornalisti di Rai 3 ci hanno chiamato per l'episodio, altrettanto orribile, dei giovanissimi Rom stupratori di Milano, abbiamo notato come in realtà ci si occupi di questo problema solamente in negativo. La conferenza stampa di ieri, in cui l'amministrazione comunale di Roma ha presentato il progetto esecutivo di raccolta differenziata dei metalli, ha avuto risalto solamente nelle cronache locali.
Il nostro monito, allora, è il seguente: collaboriamo, istituiamo quell'ufficio centrale del Governo italiano per il problema dei Rom/Sinti che nel nostro paese, unico Stato in Europa, non esiste: manca, infatti, un ufficio che coordini gli interventi in questo campo. Spesso vengono dilapidati milioni di euro in iniziative non verificate, non controllate, a volte solo per favorire qualche associazione amica cui consentire di sopravvivere, ma i risultati sono scarsissimi. Per questo motivo, ribadiamo che occorrono solidarietà, contributi all'integrazione ma anche regole da concordare con i capi famiglia.
L'ospite di oggi, il signor Kasim Cizmic, rappresenta il classico esempio di un ragazzino che, arrivato in Italia, a Milano, nel 1966, nel momento in cui cominciava a crollare la società contadina jugoslava e, quindi, i mestieri dei Rom non servivano più alla struttura economica portante - loro che esercitano sempre mestieri ad integrazione della struttura economica principale - tuttora non si vede riconosciuta la cittadinanza italiana. I suoi figli e nipoti sono tutti nati in Italia e lui non riesce ancora ad ottenere un suo diritto.
Insomma, c'è un patto sociale che dobbiamo stringere con le popolazioni Rom ma, nello stesso tempo, lo Stato deve mostrare la sua presenza non solo attraverso gli organi di polizia. Questo non significa che l'ufficio minori stranieri della questura di Cosenza non dovesse fare il suo dovere; bisognava, però, prima incontrarsi con le istituzioni e verificare se questi bambini fossero scolarizzati. Mentre erano in atto le riunioni per la scolarizzazione dei bambini, una bella mattina, preceduta da una serie di articoli sulla stampa - quindi, concordata adeguatamente con la stampa per dare visibilità e maggior risalto in televisione a tutto l'intervento - questa operazione ha preso piede. I bambini, dal canto loro, ci hanno confermato di non essere stati mai picchiati e vogliono tornare presso le loro famiglie.
Permettetemi ora di passare in rassegna le proposte dell'Opera nomadi. Innanzitutto, occorre creare un ufficio nazionale in cui siano presenti uno o due mediatori che, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinino le varie attività dei ministeri in merito. Rispetto al resto d'Europa, abbiamo pochissimi laureati (in Italia ce ne sono due, fra cui il nostro segretario nazionale) in grado di lavorare in ufficio.
In secondo luogo, con la dottoressa Carlà, all'epoca dirigente del dipartimento immigrazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ma poi, purtroppo, allontanata, dopo due riunioni con i rappresentanti di tutti i Rom/Sinti italiani era stato concordato, insieme alle prefetture, un censimento qualitativo e quantitativo delle presenze. In mancanza di questo, dei dati reali, è impossibile stabilire una politica di intervento. Molti, infatti, purtroppo negano la propria identità; invece, è bene conoscere chi si è integrato e avere un quadro chiaro.
In terzo luogo, bisogna attuare il protocollo sulla scolarizzazione. L'Opera nomadi, per prima, non vuole vedere bambini ai semafori o portati via con le auto della polizia perché sorpresi a borseggiare o a rubare negli appartamenti. Se ne parla poco ma, purtroppo, ci sono stati anche quattro o cinque casi di bambini deceduti


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mentre rubavano negli appartamenti perché sono caduti dai cornicioni, o il caso di Tartan Sulic, il bambino di Padova che purtroppo è stato colpito da un carabiniere.
In quarto luogo, esiste la questione abitativa, che veniva segnalata dal presidente. Solo l'Italia ha campi nomadi; in nessun altro paese d'Europa esistono campi nomadi. I finanziamenti europei vengono quindi utilizzati male. Si controllino i progetti europei: milioni di euro vengono spesi per indagini, balletti, cinema e altre cose futili. In Germania, Francia, Paesi Bassi, Inghilterra, Belgio, il Rom viene accolto immediatamente in casa. Certamente il Belgio è il più avanzato dei paesi occidentali perché propone anche l'avviamento al lavoro e le licenze di commercio. In Germania, Francia, Inghilterra ci si limita a dare a queste persone una casa e un sussidio, purché non circolino per strada.
Per quanto riguarda i paesi dell'est, il problema è un altro: queste persone vengono solo dalla Bulgaria e dalla Romania. Dalla Iugoslavia, ormai, non arriva più nessuno, almeno da dieci anni. Questo accade perché i Rom sanno benissimo che la Romania e la Bulgaria entreranno ben presto nell'Unione. Abbiamo effettuato una visita ufficiale in Ungheria l'anno scorso: questo paese, il cui 5 per cento della popolazione è Rom, vanta una politica sociale così avanzata da garantire un sussidio minimo di sopravvivenza a tutti i Rom. Abbiamo visitato anche l'estrema periferia del paese e abbiamo trovato centinaia di Rom che lavoravano nelle cooperative agricole. Questo potrà stupire, ma i Rom si adattano a fare tutto, da sempre.
La nostra politica dei campi nomadi è dunque una politica di addestramento dei minori alla devianza. Questo punto deve essere molto chiaro. Il blocco stradale di circa un mese fa da parte dei cittadini Rom di Reggio Calabria era dato dal loro rifiuto di andare a vivere in un quartiere dove c'erano già 60 famiglie Rom. Essi vogliono vivere in nuclei di cinque o sei famiglie al massimo: superato questo numero, si entra nel circuito terribile non solo della microcriminalità, ma anche della macrocriminalità.
I campi nomadi vanno pertanto eliminati gradualmente. Occorre una politica della casa che deve essere distribuita sul territorio. Non dico che a Roma dovrebbero vivere 12 mila Rom. Ci sono centinaia di paesi che potrebbero accogliere queste persone, come è dimostrato dalla bella esperienza di Casalecchio di Reno, dove i Rom serbi, che sono quelli più a rischio, si sono inseriti dal punto di vista sia lavorativo, sia abitativo.
L'Opera nomadi è a disposizione, come sempre, dei ministeri, dello Stato, degli enti locali per portare esempi pratici e arrivare ad un sistema di solidarietà e regole. La solidarietà senza le regole non funziona, così pure le regole senza la solidarietà e l'avviamento al lavoro.
Concludo a questo punto il mio intervento e rimango a disposizione per eventuali chiarimenti.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Intervengo nella mia qualità di presidente dell'Opera nomadi di Padova e di consigliere nazionale dell'Opera nomadi. Mi collego al discorso del presidente dell'Opera nomadi, Massimo Converso, per quanto riguarda il problema dei campi nomadi. Da anni, stiamo sostenendo la necessità dello smantellamento di questi campi e chiediamo, in alternativa, non l'inserimento in abitazioni bensì la creazione di microaree nelle quali le famiglie possano vivere, soprattutto le famiglie Sinti. Non dimentichiamo, infatti, che gli zingari - come sono definiti comunemente - si distinguono in Sinti e Rom e che le famiglie Sinti, per ragioni culturali, preferiscono vivere nelle famiglie allargate e non accettano di entrare in appartamenti in cui sarebbero smembrate. Pertanto, chiediamo che siano create microaree che, peraltro, già esistono nel nord e centro Italia.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Quest'anno sono state


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inaugurate alcune microaree costruite dal comune, una delle quali a Bolzano.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Generalmente sia i Rom sia i Sinti, se ne hanno la possibilità, acquistano le microaree; chiedono invece aiuto all'amministrazione comunale quando non hanno la possibilità economica di acquistare questi piccoli terreni. Le persone inserite in queste aree non creano alcun problema alla popolazione e non hanno bisogno di essere gestite. L'unico problema fondamentale da affrontare è quello del loro inserimento scolastico. Per quanto riguarda la vita e l'integrazione, quindi, non creano problemi di sorta.
Secondo me, manca la volontà politica di smantellare i campi nomadi. Lo affermo per esperienza personale. A Padova, e nel Veneto in generale, ci sono state amministrazioni di centrodestra e anche amministrazioni di centrosinistra. Da molti anni lottiamo affinché i campi nomadi siano smantellati e ancora, nonostante l'amministrazione sia di centrosinistra, manca questa volontà politica; anzi, si cerca di estenderli e, al più, di inserire alcune innovazioni al loro interno. Si tende a mantenere i campi nomadi perché in questo modo gli zingari possono essere più facilmente controllati e quando si devono effettuare azioni di polizia si è in grado di estenderle a tutte le persone presenti nel campo.
Questa considerazione è piuttosto importante perché se non iniziamo un percorso di vera integrazione per quanto riguarda i Rom e i Sinti non risolveremo mai il problema. Se ancora non abbiamo attuato politiche di sistemazione per queste persone già presenti da anni in Italia, come potremo risolvere il problema di tutti coloro che stanno premendo alle frontiere, dalla Romania e dalla Bulgaria, e che entreranno in Italia?
Che cosa si può fare per risolvere il problema dei Rom e dei Sinti? Innanzitutto, è necessario avviare progetti di scolarizzazione per i bambini e, quindi, impegnare risorse economiche a questo scopo. Altrimenti, non è possibile realizzare alcun progetto e non è possibile nemmeno affidarli esclusivamente al volontariato perché, in questo modo, si risolve poco e si ottiene un intervento di tipo essenzialmente assistenziale.
Sono necessari anche progetti seri, perché si tratta di servizi sociali, da realizzarsi ad opera di persone preparate affinché si possa consentire, finalmente, ai bambini Rom e Sinti di seguire un serio percorso scolastico nella scuola dell'obbligo. Si aggiunga che questi bambini devono poter frequentare anche le scuole superiori o corsi di specializzazione, per essere poi avviati al lavoro.
Inoltre, è necessario risolvere il problema dell'habitat in cui vivono queste persone, come già ricordavo, attraverso il loro inserimento in abitazioni o l'individuazione di quelle microaree di cui si è detto, per coloro che ne facciano richiesta.
È indispensabile, poi, un avviamento ad un lavoro che sia consono alla loro indole: non è detto, infatti, che tutti i Rom e i Sinti debbano essere inseriti nelle fabbriche; potrebbero essere impiegati in cooperative che si occupino del verde, di riciclaggio di materiali ferrosi o quant'altro, secondo l'esempio dell'Opera nomadi di Roma o di Reggio Calabria. Inevitabilmente, se queste persone non riescono a trovare lavoro, e se non si interviene in sinergia con le istituzioni, continueranno a compiere azioni ai limiti della legalità oppure a vivere basandosi sull'assistenzialismo e sull'accattonaggio.
Vorrei operare un'altra distinzione tra Rom e Sinti italiani e stranieri. Voi vi state occupando di infanzia in stato di abbandono o di semiabbandono: ebbene, tra i Rom e i Sinti italiani questo fenomeno non esiste. Da anni, ormai, nessuno manda più i figli a chiedere l'elemosina. Bisogna capire questo, altrimenti si rischia di generalizzare. L'accattonaggio è praticato soprattutto dai figli dei Rom - e non da tutti - provenienti dalla Romania e dalla Bulgaria; un tempo, anche da quelli provenienti dalla Serbia ed in genere dall'ex Jugoslavia. Comunque, questa pratica sta cessando anche tra loro perché quasi tutti


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mandano i figli a scuola e li stanno avviando al mondo del lavoro. Ciò non significa, tuttavia, che la nostra società debba tendere alla totale assimilazione di queste persone. Noi non vogliamo questo, essi devono mantenere le loro usanze e la loro cultura. Questo compito spetta alla scuola, la quale deve attivare una didattica interculturale e valorizzare la loro lingua e cultura, senza cercare in tutti i modi di applicare rigidamente i programmi ministeriali anche nei confronti di queste persone, appunto perché sono di cultura diversa. Se si riuscirà a valorizzarla, certamente queste persone continueranno a conservare le loro usanze - come è giusto - pur inserendosi nel nostro contesto sociale.

KASIM CIZMIC, Capo famiglia Rom. Vorrei ringraziare i presenti e la Commissione per l'attenzione che ci è stata rivolta. Sono un Rom khorakhanò, ossia musulmano, proveniente dall'ex Jugoslavia, terra che lasciai nel 1966 insieme ai miei genitori. La gente Rom è parte di un unico popolo: dovremmo dunque parlare non di Sinti, giostrai o camminanti ma piuttosto di diverse provenienze geografiche. Come un cittadino italiano può essere romano, milanese, torinese o genovese, a seconda della provenienza, così accade che i nostri componenti si siano stabiliti in aree territoriali differenti, pur appartenendo ad un popolo identico.
In qualità di capo famiglia Rom e di rappresentante dell'Opera nomadi, da circa 25 anni intrattengo rapporti di collaborazione con numerosi organismi; nella mia veste di mediatore culturale, ho avuto occasione di rappresentare le istanze della mia gente anche dinanzi al Parlamento europeo, esponendo i problemi del popolo Rom, per cercare di migliorare le sue condizioni, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Le nostre difficoltà sono molteplici e voi certamente conoscerete i numerosi disagi che vorremmo superare. Come ha spiegato il presidente Massimo Converso, siamo assolutamente favorevoli al miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie Rom, soprattutto dei bambini, e siamo contrari a qualsiasi forma di sfruttamento nei loro confronti. Ma abbiamo bisogno di aiuto per agire concretamente: senza il sostegno di coloro che abbiano limitate od estese responsabilità istituzionali, certamente non saremo in grado di ottenere alcun esito sperato.
Massimo Converso ha poi giustamente osservato che i problemi non si risolvono con i soli progetti: crediamo, piuttosto, che collaborando adeguatamente con le istituzioni, con il Governo italiano, potremmo ottenere risultati importanti. Da soli, infatti, non disponiamo delle forze o del potere necessario per intervenire, sebbene possiamo far molto con la nostra gente, entrando nei campi nomadi e parlando con le famiglie che conosciamo.
Vorrei anche far presente che non è abitudine né uso della gente Rom adoperare violenza nei confronti dei minori; il fenomeno ha semmai iniziato a comparire - in forme sinora limitate - solo da pochi anni: prima di allora, uno zingaro non immaginava neppure che cosa fosse il traffico degli organi di bambini, perché aveva a cuore il benessere dei propri figli. Io che vivo in un campo nomadi di mille persone, e sto in mezzo alla mia gente, conosco da vicino la nostra realtà e mi oppongo a quello che sta accadendo. Abbiamo costituito anche una commissione, un congresso, per comprendere le ragioni di questo nuovo fenomeno e facciamo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per capirne le dinamiche, riunendoci e discutendo frequentemente.
La criminalità, tuttavia, non affonda le proprie radici tra la nostra gente, la criminalità non è Rom, è piuttosto trasversale, ed esistono criminali di diverse etnie. Tra di noi, onorevole presidente, c'è anche molta gente onesta. È per questo che chiediamo aiuto e sebbene, spesso, attorno a noi ci sia il buio, ci opponiamo a tutte le forme di sfruttamento: qualcuno sicuramente capirà la nostra intenzione di aiutare noi stessi, i nostri figli e l'intera collettività.
Avrei molto altro da dire, ma sono certo che voi già conosciate in modo approfondito i motivi delle nostre preoccupazioni,


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disponendo della documentazione e di tutto ciò che riguarda i problemi del popolo Rom. Collaborando insieme, istituendo un tavolo - atteso da tanti anni, in Italia ed in altri paesi balcanici e dell'Europa occidentale -, otterremo miglioramenti certi, come dimostra quanto avvenuto in Spagna, dove il tavolo è stato realizzato, inaugurando una fase di confronto e di collaborazione, e dove il Governo interviene concretamente per risolvere i problemi esistenti. Addirittura, nel luogo da cui provengo gli zingari sono nel Governo, collaborano, e questo consente di ottenere validi risultati. Chiediamo da voi un aiuto: se arriverà - noi lo crediamo e di questo vi ringraziamo - otterremo risposte proficue per entrambe le parti.
Prima di concludere, vorrei accennare brevemente all'Unirsi (Unione nazionale e internazionale Rom e Sinti in Italia), un'associazione che abbiamo costituito insieme con Opera nomadi, per soccorrerci, per aiutarci reciprocamente e garantire una chance alla nostra gente. Ribadiamo la comune volontà di collaborare con voi, per salvaguardare i bambini che vivono nelle città italiane, per tutelarli dal traffico di organi o da altre forme di sfruttamento esistenti.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il prezioso contributo ai nostri lavori: il loro intervento ha suscitato in noi perplessità, domande, richieste di chiarimenti che mi auguro saranno soddisfatte nel corso dell'audizione odierna.
Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei formulare alcune osservazioni. Voi parlate di Rom e, nel farlo, sembrate comprendere quasi tutti coloro che, entrati in Italia, circolino nei cosiddetti campi nomadi. Presumo, però, che non tutti siano Rom: disponete forse di un censimento dei Rom italiani? In quale maniera controllate l'ingresso di Rom europei o di non Rom?
Il popolo italiano è accogliente per sua natura, come dimostra il caso di una regione in cui mi sono a lungo fermata, l'Abruzzo, che intrattiene da sempre un rapporto piuttosto positivo con la comunità Rom locale, la quale si è integrata sul territorio anche stabilendosi in appartamenti (sebbene in uno di essi, di soli 60 metri quadrati, risultassero inserite circa 30-40 persone...!). Voi però siete un popolo incline a spostarsi e questo implica di per sé una serie di difficoltà, soprattutto per la vita dei vostri figli. Un bambino ha bisogno di stabilità, di cure sanitarie ed educative; l'integrazione scolastica è poi essenziale per la sua formazione: voi parlate di integrazione «vera», ma alla luce di queste considerazioni, vi domando cosa intendiate con questa espressione.
Inoltre, anche in Italia esistono cittadini più sfortunati, costretti a vivere sotto la soglia di povertà, ed ogni regione cerca di affrontare i problemi esistenti per migliorare la situazione di questa fascia della popolazione, in gran parte ex contadina. In altri termini, esiste un'emergenza abitativa popolare anche per gli italiani. Avete ragione a parlare di abitazioni e a richiedere sistemazioni diverse dal ricovero in un campo nomadi, però vorrei far presente che la vostra domanda deve sottendere una volontà reale di integrazione - anche sotto forma di inserimento nel mondo del lavoro -, di assunzione di responsabilità e di controllo degli individui.
Infatti, se noi blocchiamo i rumeni, i peruviani, i colombiani, i cechi che entrano in Italia in base alla legislazione sull'immigrazione, non possiamo consentire che i Rom vi giungano indiscriminatamente: commetteremmo un'ingiustizia dal punto di vista sociale nei confronti di popolazioni tutte egualmente spinte dal bisogno. Infatti, non si viene dal Perù in Italia per fare vacanza; si viene in Italia perché nel proprio paese si muore di fame. Vi è quindi anche questa necessità di controllo da parte vostra, in qualità di organismo centrale.
Inoltre, voi parlate del fenomeno dei bambini al semaforo; noi parliamo anche di bambini in grembo a donne o uomini: proprio nei pressi della Camera dei deputati vi è stato il caso, passato per le mie mani, di una donna con un bambino di


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circa tre anni ricoperto di lividi. Ho fatto personalmente intervenire la polizia municipale, presso il cui centro (che è un bel centro nel quale si risparmia al bambino il trauma di essere portato in questura) è stato controllato lo stato di salute di quel bambino. Quella stessa donna, che in teoria è stata fermata per accertamenti alla fine di luglio, era in questa zona nei primi giorni di settembre, con un bambino che palesemente non poteva essere suo figlio.
Voglio dire che si tratta di aspetti che voi, in qualità di Opera nomadi, dovete affrontare fortemente; altrimenti, l'accattonaggio effettuato tramite i bambini più piccoli, che è un fenomeno che ripugna, crea nella popolazione una barriera di sospetti, anche nei riguardi di coloro che magari si sono integrati. Occorre quindi controllare i Rom e i Sinti, con riferimento al problema delle quote di ingresso.
Per quanto riguarda il mantenimento delle usanze, voglio segnalare il caso di una scuola di Roma che ha integrato 110 etnie diverse: si tratta della «Daniele Manin», che integra in modo intelligente. Tuttavia esiste anche l'usanza dell'infibulazione, che non vi riguarda direttamente. Vi sono cioè usanze che possono essere mantenute ed altre che invece devono essere eliminate; fanno certamente parte di un bagaglio culturale, ma il nostro paese ha sottoscritto la Convenzione di New York, documento in cui si parla di superiore interesse del fanciullo. Se per voi esiste un'usanza secondo la quale potete tenere un bambino con i capelli lunghi, il fiocco da bambina, le unghie smaltate e gli abiti femminili, questa è un'usanza che non può essere accettata e non può essere difesa. Voi dovete essere al nostro fianco nella difesa della legalità e della protezione di quel bambino, magari contro quei genitori. Sappiamo infatti che le principali violenze avvengono nelle famiglie, non solo Rom. Pertanto, come noi ci scagliamo contro le nostre famiglie che commettono violenze nei riguardi dei nostri bambini, voi dovreste fare altrettanto nei riguardi delle famiglie che compiono violenze verso i vostri bambini.

MARIDA BOLOGNESI. Vorrei in primo luogo ringraziare i rappresentanti dell'Opera nomadi intervenuti, sperando che questo non rimanga un incontro isolato. Credo che le problematiche evidenziate, anche se l'occasione è utile a compiere un'indagine a tutto campo sull'infanzia in stato di abbandono permanente, meriterebbero probabilmente un lavoro distinto.
Infatti, nel grande tema che comprende le vicende dei bambini di Chernobyl in soggiorno temporaneo, la chiusura degli istituti, il tema dell'affido familiare e quello del semiabbandono permanente, che non consideriamo soltanto legato alla etnia Rom, quest'ultima in generale rappresenta una fattispecie che nella società di oggi sta emergendo e che comunque non è inquadrabile in una fattispecie giuridica riconosciuta in Italia.
Nel nostro ordinamento infatti si parla di bambino in stato di abbandono o di bambino in famiglia, qualsiasi essa sia. La nostra è una riflessione di carattere generale sull'istituto dell'affido familiare in relazione a progetti esistenti di sostegno all'infanzia: padrinaggio, madrinaggio, aiuti tra famiglie che vanno oltre l'esistenza di una sola famiglia, che non è garanzia di per sé assoluta rispetto alla tutela dei diritti dell'infanzia.
Vi sono violenze in famiglia, ma anche un abbandono scolastico prematuro e atteggiamenti di abbandono generalizzato rispetto alla crescita e alla formazione in una società complessa come la nostra, con stati crescenti di povertà. In sofferenza non è soltanto il livello centrale, come sede di «piattaforma», ma anche quelli locali, perché questi ultimi hanno registrato una serie di tagli delle risorse.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Il «cancro» è rappresentato dai progetti europei!

MARIDA BOLOGNESI. Le amministrazioni locali faticano a mantenere alcuni servizi. Abbiamo udito il comune di Milano e quello di Roma e forse sarebbe opportuna una riflessione con l'ANCI per comprendere come si possa operare, in


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una fase di ristrettezza delle spese, senza considerare tale questione come un ramo da potare, perché in questo caso vi sarebbe una ricaduta negativa su altre attività e si pregiudicherebbe il lavoro effettuato in precedenza.
Tuttavia, in termini di contributo all'indagine conoscitiva, l'intera tematica potrebbe meritare, chiusa questa fase della legislatura, un nostro impegno in termini morali, in un certo senso «seminando» rispetto al futuro. Pertanto, indipendentemente dalla campagna elettorale che si aprirà fra quattro o cinque mesi, come Commissione abbiamo il dovere di puntualizzare alcuni aspetti e di verificare se può essere utile coinvolgere diverse realtà.
Alcuni profili sono stati evidenziati dal presidente; altri non li condivido, come per il tema delle quote. Tuttavia, concordo sicuramente sulla riflessione dell'onorevole Burani Procaccini circa le modalità attraverso le quali, nelle pieghe di questa diversa realtà, sia possibile eliminare confusioni che incrementano l'incertezza e la difficoltà del controllo; controllo non considerato come opera di polizia - purtroppo serve anche quello, in alcuni casi - bensì dal punto di vista sociale, quale capacità di capire quello che si sta muovendo.
Penso infatti che il futuro dei nostri figli vedrà popolazioni differenti. L'immigrazione è ormai un fatto naturale e storico e anche se oggi, più o meno giustamente, possiamo essere gelosi della nostra cultura, sono convinta che per le generazioni future non sarà più così: l'immigrazione è un fenomeno che richiede solo di essere governato. Proprio per questo motivo ritengo che dovremmo ragionare in maniera specifica su come il contributo vostro e di altre associazioni possa essere più utile, magari nell'ambito di un tavolo di riflessione per individuare le modalità di un maggior controllo sociale.
In questo senso, come possiamo - personalmente, ritengo che la risposta stia nel censimento - attuare tale controllo sociale sugli spostamenti delle famiglie, a scapito di eventuali infiltrazioni di soggetti altri che dentro le vostre comunità possono trovare un riparo e nascondersi? È chiaro che questo diventa un problema di coinvolgimento, seppure indiretto, anche delle comunità Rom che hanno seguito e stanno seguendo percorsi diversi.
Personalmente, pur provenendo da una regione come la Toscana, che molto ha fatto in favore delle comunità Rom, continuo a vedere anche da noi i campi nomadi. Vorrei sapere se esistano tavoli regionali di cui voi siate a conoscenza, o realtà pilota a livello locale che possano offrire un contributo alla risoluzione del problema.
Penso che, nell'ambito di un federalismo che presenta anche aspetti positivi, sarebbe utile capire come allargare al resto della collettività le esperienze migliori. Avete iniziative o idee da proporre per attuare un controllo sociale tale da impedire il sorgere di situazioni promiscue, magari al limite della legalità, che genererebbero solo sentimenti di ostilità e rifiuto nelle comunità locali, scatenando una guerra fra poveri?
Inoltre, vorrei sapere perché parlate di una migliore integrazione solo in appartamento. Per quale ragione affermate che un appartamento di 100 famiglie si tradurrebbe, senza meno, in una scuola di criminalità? Bisognerebbe capire perché tali famiglie, se divise - come succede per alcune realtà - non producono lo stesso fenomeno. Vi invito ad approfondire e chiarire meglio questo aspetto. Forse la vicinanza di famiglie troppo numerose rischia di favorire fenomeni di clandestinità, offrendo esse maggiore riparo e protezione ad eventuali elementi pericolosi? Comunità troppo numerose potrebbero coprire, sia pure involontariamente o indirettamente, simili realtà?
Inoltre, vorrei approfondire il tema dei mestieri verso cui i membri delle vostre comunità manifestano una maggiore vocazione. Spesso succede che gli italiani stessi non vogliano più svolgere alcuni mestieri per i quali, invece, esiste una vocazione da parte di molti membri appartenenti alle comunità Rom.


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Un'ulteriore questione riguarda l'abbandono scolastico. Ritengo che, laddove affermate che ormai tutte le famiglie mandano a scuola i loro bambini, presentiate dei dati un po' troppo ottimistici.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Siamo stati fraintesi!

MARIDA BOLOGNESI. A me, infatti, sembra che l'obbligo scolastico venga largamente evaso. Conosco molti insegnanti e, provenendo io stessa dal mondo della scuola, posso affermare che anche in realtà come quella toscana, dove su alcuni servizi sono stati compiuti passi da gigante, tale fenomeno è preoccupante: pur esistendo un pulmino che porta i bambini a scuola, non si riesce a far sì che essi la frequentino con un minimo di regolarità. Sicuramente la scuola stessa dovrebbe essere più pronta ad accogliere e ad interessare questi bambini, ma è altrettanto vero che ciò vale ormai anche per quei bambini che provengono da altri paesi in cui, al contrario, si frequenta la scuola. Forse si potrebbe ragionare, anche a livello locale, per preparare meglio i maestri, magari attraverso iniziative formative, con il vostro aiuto o con quello dei mediatori.
Personalmente, credo molto al tema dei mediatori culturali, che potrebbe essere recepito dalle amministrazioni locali; tuttavia queste ultime scontano sempre un problema di costi e spesso fanno fatica a mantenere in piedi iniziative del genere.
D'altra parte, bisogna anche ammettere che il problema di cui trattiamo è tutto europeo; soprattutto con l'allargamento, esso riguarderà non solo l'Italia ma tutta l'Europa. In questo senso, trovo molto interessante il vostro contributo perché potrebbe essere utilizzato anche nell'ambito di strategie comuni.
Recentemente abbiamo incontrato il commissario europeo per i diritti umani, recatosi in Italia la scorsa settimana, ed insieme abbiamo riflettuto sul problema e chiesto una sua opinione in merito. Egli ha manifestato disponibilità ed interesse ad accogliere sollecitazioni ed idee; per questo vi invito a proseguire sulla strada dei contatti e dei rapporti già intessuti.
Da parte nostra, potremmo cercare di stimolare la ripresa di un tavolo con il Governo, soprattutto per quanto riguarda l'iniziativa del censimento che incredibilmente è stata interrotta e che dovrebbe, invece, essere ripresa (potremmo assumere una posizione come Commissione, invitando direttamente il Governo a riprendere questa iniziativa). Infatti, non è possibile alcuna forma di prevenzione se manca una fotografia della realtà; in mancanza di un censimento, continueremo a ragionare in astratto.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. È stato presentato un progetto per il censimento.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. La risposta è stata l'allontanamento di un impeccabile funzionario.

MARIDA BOLOGNESI. Signor presidente, forse potremmo presentare un atto di indirizzo al Governo e invitarlo presso la Commissione per cercare di riprendere questa iniziativa.
Come ho già affermato, non può esistere alcuna prevenzione in mancanza di una conoscenza dei dati. Temo, purtroppo, che andando verso la campagna elettorale questi ed altri temi possano essere utilizzati in modo strumentale. Spero che il nostro senso di responsabilità ci spinga a non considerare il periodo elettorale del 2006 come un facile momento per propagandare temi popolari. Siamo parlamentari di lungo corso e sappiamo che la nostra responsabilità deve venire prima di questo; quindi, senza aspettare fino al 2006, se invitassimo quanto prima il Governo - magari attraverso una risoluzione - a rispondere sull'interruzione del censimento, potremmo dare spazio a qualche buona iniziativa per il futuro.
Infine, se sul tema dell'abbandono scolastico c'è stato un malinteso, ora chiarito,


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vorrei però invitarvi a non pensare alla famiglia come ad un luogo di protezione indiscriminato per i bambini. Purtroppo, nella società moderna ciò non è più vero e questo vale anche per le famiglie italiane. Occorre che i diritti e gli interessi dell'infanzia prevalgano comunque, a prescindere dall'appartenenza. Ritengo che questo sia un punto che ci accomuna e ci rende riconoscibili.
Penso sia giunto il tempo, anche per voi, di non giocare più in difesa. Purtroppo, giocando in difesa non si allontana il razzismo; al contrario, esso aumenta. Dobbiamo giocare d'attacco ed essere ambiziosi in termini di obiettivi; poi, forse, potremmo accontentarci di giocare un po' in difesa. Però, all'inizio dobbiamo andare all'attacco, perché è interesse collettivo restituire al mittente alcuni messaggi che si moltiplicano, che fanno paura e che hanno influenza sulla popolazione. Questo vale per la comunità Rom ma anche per quella degli immigrati che vive e magari è integrata e lavora in Italia. Purtroppo, molti sono costretti al lavoro nero a causa di leggi che limitano l'integrazione lavorativa e che dobbiamo osservare; però, dobbiamo combattere questi messaggi. Credo che questo ci possa accomunare ed aiutare in futuro.

TIZIANA VALPIANA. Ringrazio i nostri ospiti per questo interessantissimo incontro. Credo che su questo tema non si sia mai riflettuto abbastanza perché, in realtà, le sfaccettature sono molte. Tralascio quanto è stato già detto dalle colleghe e su cui sono d'accordo: si tratta di questioni che anch'io mi ero posta.
Mi collego a quanto ha affermato il presidente dell'Opera nomadi, Massimo Converso, relativamente al fatto che uno dei passaggi importanti consisterebbe nella istituzione di un ufficio centrale per coordinare gli interventi sui nomadi. Inoltre, credo che sarebbero necessari un ufficio regionale, un ufficio provinciale e un ufficio comunale, fino ad arrivare a un tavolo di confronto all'interno delle circoscrizioni, nelle città e nei piccoli paesi. I problemi sono macroscopici, certamente, ma consistono anche nella convivenza e nel confronto tra le popolazioni. Mi riferisco alla realtà che conosco meglio, quella di Verona - ma credo che in quasi tutte le città accadano le stesse cose - dove una popolazione Rom e Sinti è stata trasferita da un campo all'altro; in realtà, per molti anni è stata spostata da un posteggio ad un altro, da un'area asfaltata ad un'altra, sempre sotto il sole. Ovunque sia stata collocata dall'amministrazione comunale, ha incontrato una aprioristica ostilità da parte della popolazione.
Il primo problema di cui dovremo occuparci - sia in Parlamento sia presso le comunità locali - è quello di far conoscere alla popolazione italiana le problematiche delle popolazioni Rom e Sinti. È necessario mettere le persone a confronto, conoscersi e pervenire ad un patto sociale di condivisione del territorio sul quale si deve e - mi auguro - si vuole convivere. Vorrei sapere se esistano esperienze di tavoli di confronto tra le popolazioni, non soltanto all'interno delle amministrazioni o ad opera delle persone più sensibili; vorrei sapere se ci sia stato un confronto nei quartieri, per esempio, quanto al modo in cui convivere, condividere gli spazi e integrarsi.
Un'altra questione che mi interessa particolarmente è capire insieme a voi - anche se credo sia un tema molto difficile - fin dove possa arrivare l'integrazione che vorremmo realizzare, impedendo che diventi assimilazione. In altri termini, bisogna individuare un confine tale per cui le giuste abitudini siano preservate e lasciate nella disponibilità di ciascuna persona, pur dovendo condividere la vita e pervenire alla integrazione di usi e costumi diversi. Da questo punto di vista, constato che molto spesso le abitudini di queste popolazioni sono assolutamente sconosciute o misconosciute; perciò, alcune difficoltà gratuite sono prodotte dalla nostra ignoranza.
Ad esempio, frequento abitualmente il carcere della mia città, dove incontro Rom e Sinti mescolati ad altre popolazioni; essi non hanno diritto alla visita delle loro mogli perché sono sposati secondo un rito


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non riconosciuto. Questo significa che, magari per quattro o cinque anni, non incontrano i loro figli e in tal modo noi creiamo degli spostati proprio in quei bambini che non hanno contatti con i loro padri. Un altro esempio può essere quello di una donna Sinti con la quale parlavo alcuni giorni fa e che sgridavo perché ha smesso di allattare suo figlio (posso permettermelo perché sono in confidenza con loro). Questa donna mi raccontava che, essendo stata inserita in un progetto realizzato dal comune di Verona, ha dovuto accettare la regola secondo cui le donne inserite nel campo di Boscomantico non possono chiedere la carità; quindi va a chiederla a Padova, lasciando a casa il bambino. In definitiva, questa donna deve allontanarsi per un maggior numero di ore sia per acquistare il latte in polvere - che ha un costo - sia per andare a Padova. Si consideri che, essendo il marito in carcere, è priva di sostentamento e, allo stesso tempo, il comune la obbliga a non chiedere la carità.
Molte volte, pur spinti da buona volontà, creiamo problemi dovuti alla mancanza di conoscenza e di rispetto delle regole altrui. Ritengo, infatti, che un matrimonio, soprattutto quando ci sono bambini, debba essere rispettato, qualunque sia il rito e a prescindere dalla trascrizione nella Repubblica italiana. Evidentemente, ne va delle relazioni tra le persone e soprattutto - visto che questo tema ci interessa maggiormente - delle relazioni con i bambini.
Un altro tema che deve essere analizzato è quello dei progetti relativi ai campi Rom. Penso che, in realtà, in questi campi vivano persone adulte e maggiorenni che non hanno bisogno di alcuna tutela e sanno vivere benissimo senza la necessità di essere gestite. Forse, hanno bisogno di essere ascoltate e di non essere obbligate a fare cose che non intendono fare. Nell'esperienza che conosco, ci sono alcune famiglie provenienti dalla Romania che vivevano in casa; dal momento che ci hanno detto di essere Rom, abbiamo assegnato loro una roulotte. Se qualcuno mi obbligasse a vivere in tali condizioni, probabilmente avrei notevoli problemi, mi troverei in difficoltà per lavarmi e ne deriverebbe una serie di conseguenze che noi condanniamo nelle altre popolazioni. Perciò, un altro tema che mi interessa moltissimo è quello relativo alla casa (stante la considerazione in precedenza espressa dalla presidente Burani Procaccini). Ne abbiamo dibattuto anche in Assemblea in occasione della discussione del decreto sulla emergenza abitativa: il dramma della casa in Italia esiste per chi non abbia grandi mezzi di sostentamento ed esiste per tutti, anche per i nomadi.
Vi domando pertanto quale tipo di progetto potremmo realizzare, secondo la vostra esperienza e alla luce di quanto è stato attuato altrove, se volessimo impostare, presso una comunità locale, un programma di integrazione e non di assimilazione.
Passando ad un'altra esperienza personale, ricordo che una associazione, di cui sono presidente, gestisce, in un campo nomadi, uno spazio per mamme e bambini, al fine di seguire l'allattamento. Lo definisco un nido ma non è assolutamente tale: si tratta di uno spazio nel quale i bambini possono rimanere fintantoché le loro madri vanno a fare la questua, anche ai semafori. Vi abbiamo trovato una grande collaborazione da parte delle donne Rom, che hanno infatti dimostrato un forte desiderio di partecipazione attiva. Insieme abbiamo pensato, ad esempio, alla possibilità di realizzare un progetto - attualmente sospeso, a causa dei permessi non ancora ottenuti - finalizzato alla creazione di un laboratorio di sartoria per confezionare gonne tradizionali da vendere in città (sarei io stessa una delle prime acquirenti), sfruttando le straordinarie abilità delle donne Rom, capaci di realizzare bellissimi capi di abbigliamento femminile.
Sarebbe utile recuperare queste conoscenze appartenenti alla vostra antica tradizione, in parte abbandonata anche a causa delle condizioni di vita delle donne Rom all'interno dei campi nomadi e alla mancanza di incentivi che le inducano a dedicarsi a certe attività. A tale scopo,


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apprezzeremmo davvero che, in futuro, quello spazio destinato a madri e bambini venisse gestito direttamente dalle donne del campo e fosse aperto anche ai nostri figli, liberi di frequentarlo e di giocare lì nei loro pomeriggi.
Forse non vedremo mai compiuto questo percorso: ugualmente, vi chiedo di indicare quali siano i passi migliori da intraprendere, perlomeno per avviarlo. Come possiamo progressivamente creare condizioni abitative e di convivialità all'interno di un campo, tali da favorire la promozione di soddisfacenti forme di autogestione, riconoscendo ad un Rom la stessa possibilità - che ognuno di noi pretende - di vivere dignitosamente e in forma autonoma la propria esistenza?

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Vorrei rispondere all'ultima domanda posta dall'onorevole Valpiana sui progetti realizzabili nei campi. In realtà - credo di averlo già detto precedentemente - ritengo che i campi debbano essere smantellati e che sia determinante, semmai, individuare soluzioni ad essi alternative, non necessariamente coincidenti con l'inserimento in abitazione. Una soluzione valida, infatti, potrebbe anche consistere nell'individuazione di microaree, cioè terreni di modeste dimensioni dove inserire i gruppi di famiglie allargate, installandovi case mobili o roulotte. Del resto esistono casi di microaree con i servizi igienici esemplari...

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Stiamo parlando di un gruppo specifico...

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. No, questo modello è valido anche per i Rom italiani: anche alcuni di loro vorrebbero vivere così.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Sono una minoranza, in realtà.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Personalmente ritengo che ascoltando i Rom-Sinti potremmo trovare delle soluzioni alternative. In genere, la nostra società si limita ad imporre a questa gente le proprie condizioni senza possibilità di scelta, eppure credo che sia possibile individuare qualcosa di diverso dai campi nomadi, promuovendone l'integrazione nella nostra società, rivelatasi sinora dominante.
È dimostrato che i bambini sistemati in strutture abitative decorose, una volta inseriti a scuola, riescano più facilmente ad integrarsi con i loro coetanei, con riflessi positivi anche al di fuori dello stesso ambiente scolastico (come, ad esempio, la possibilità di condividere il tempo libero con i loro compagni, essere invitati ad una festa...), ciò che difficilmente avverrà finché la loro vita sarà confinata all'interno dei campi nomadi, in assenza dei presupposti di base per la loro integrazione sociale. Vivendo in una casa, o al limite in una roulotte sistemata in un piccolo terreno, all'interno appunto di una microarea, ciascun bambino potrà migliorare le proprie condizioni di vita e diverrà, così, molto più agevole estendere al di fuori delle mura scolastiche quell'interscambio culturale che intendiamo promuovere.
Dobbiamo, inoltre, aggiungere un'osservazione di fondamentale importanza. Esiste anche una forte diffidenza - sebbene non sia mai stato detto - da parte delle famiglie Rom-Sinti nei confronti della nostra società. Intanto, ci considerano quasi tutti dei pedofili, dei venditori di organi. Solo la scuola, dunque, potrà permettere di cambiare la situazione esistente, abbattendo il muro tra la nostra società e la loro e superando diffidenze e pregiudizi reciproci.
In risposta all'onorevole Valpiana, vorrei peraltro assicurare che la nostra volontà di mediazione non ci impedisce di riconoscere fatti di gravità estrema - allorché si verifichino - che siamo i primi a condannare e a voler reprimere, come avviene in tutti i casi di violazione dei


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diritti umani, soprattutto dei minori. Un'associazione che miri statutariamente - come la nostra - alla tutela dei diritti dei Rom e dei Sinti verrebbe meno ai propri obiettivi laddove non cercasse di garantire soprattutto i diritti dei minori. Ci rifiuteremmo di svolgere una funzione mediatrice che, di fronte a quelle ipotesi di violazioni gravi, particolarmente dirette contro i diritti dell'infanzia, pretendesse di difendere certe situazioni, al limite della stessa tollerabilità. Il nostro obiettivo primario rimane assolutamente quello di tutelare i bambini e le donne. Vorrei che questo fosse ben chiaro a tutti voi.

PRESIDENTE. Comprendo perfettamente le sue parole, come pure l'entità del problema di cui stiamo discutendo. Ci sono stati casi particolarmente gravi, come quello del piccolo Rom di cinque anni trovato a Milano, con i capelli lunghi pettinati da bambina, che io stessa ho subito condannato, rilasciando una dichiarazione stampa, nel corso della quale invitavo a non operare facili generalizzazioni: si trattava pur sempre di un episodio isolato e volevo sin dall'inizio che questo fosse chiaro. Fatti del genere debbono essere valutati separatamente, trattandosi di situazioni di volta in volta diverse: sovente, casi abnormi finiscono per essere ascritti ad un'etnia che pure non ha nulla a che fare con questi. Ricordo ad ogni modo che fu comunque rivendicata una presenza da parte dell'Opera nomadi.
Rammento, soprattutto, che poco dopo i fatti di Milano qualcuno - non so neppure chi esattamente - rilasciò alcune dichiarazioni, tentando di ridimensionare la vicenda: si sostenne che quella di tenere i capelli lunghi fosse un'abitudine tradizionale del popolo Rom. Mi domando come si faccia a dire qualcosa di simile, conoscendo l'entità della vicenda attraverso le dichiarazioni rese alla polizia da parte di coloro che trovarono il bambino «erotizzato» e travestito da bambina. È chiaro che, in casi simili, certi atteggiamenti non possano essere mantenuti. Noi e voi dovremmo essere tutti a fianco del minore, indipendentemente dall'etnia o dal colore.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Specialmente quando si tratta di minori, onorevole presidente. Credo che questa non sia solo la mia opinione, ma anche quella comunemente diffusa nell'Opera nomadi, che certamente non intende divenire complice degli autori di reati simili, questo è certo. Massimo Converso non potrà che condividere le mie parole. Fa l'altro, fatti come quelli ricordati appaiono spesso ascrivibili a fenomeni più complessi, generalmente gestiti dalla criminalità organizzata, italiana e straniera: in casi simili, mi pare del tutto indiscutibile quale sia la linea da sposare.
Abbiamo avuto un caso anche noi a Padova. Sembrava fosse stata comprata una bambina da parte di famiglie bulgare. In quel momento, insieme a tutti i Rom abbiamo assunto una posizione ben chiara; insieme a tutti i Rom e i Sinti, che mai si sarebbero comportati in questo modo. Abbiamo indetto una conferenza stampa e ci siamo mossi, prendendo le distanze da una famiglia del genere. Non possiamo generalizzare.

PRESIDENTE. Assolutamente no.

RENATA PAOLUCCI, Responsabile nazionale del settore scuola dell'Opera nomadi. Per quanto riguarda la Toscana, conosco abbastanza quella situazione. È vero che esiste una politica di accoglienza eccezionale, anche se permangono i campi nomadi. Si intendono tuttavia smantellare, ma manca ogni progetto di scolarizzazione. I progetti di scolarizzazione in Toscana riguardano soltanto l'accompagnamento fisico dei bambini e non la mediazione scuola-famiglia, con l'intervento dei mediatori, degli operatori Rom e Sinti e non. Da questo punto di vista si registra un fallimento per quanto concerne la frequenza, non riuscendosi a debellare l'evasione scolastica.
Parlavo invece di successo e sul versante della scolarizzazione soltanto nei


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casi in cui vi siano progetti seri che non devono continuare all'infinito. Tuttavia, ricordiamoci che questa è la prima generazione scolarizzata: si comincia per mirare al superamento di questi progetti. Speriamo che i figli di queste persone scolarizzate non ne abbiano più bisogno. Occorrerebbe insistere su tale aspetto, sul quale potrebbe essere utile un incontro con l'ARCI.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Vorrei sollecitare tutti i componenti della Commissione a seguire queste concrete proposte. Siamo preoccupati più noi di quanto accadrà nei prossimi cinque anni in Italia che non probabilmente chi gioca al massacro, come è avvenuto sulla stampa negli ultimi dieci giorni. Calcoliamo che ogni anno entreranno tra i 10 e i 15 mila Rom rumeni e bulgari in Italia: ne sono già entrati 50 mila circa negli ultimi cinque anni.
Si tratta di un problema da affrontare definitivamente dal punto di vista quantitativo. Parlavo di un disastro effettuato dall'ARCI in Italia: noi non siamo tra coloro che difendono in maniera integralista certe posizioni. Pertanto, il buonismo non ci interessa; ci interessano le regole perché il buonismo non aiuta. Tuttavia, milioni di euro sono andati ad associazioni «amiche», che hanno effettuato viaggi in Romania. Quanti viaggi in Romania: spettacoli, musica, la cucina tradizionale che non esiste per i Rom, perché questi riprendono le tradizioni dei posti in cui si trovano. Questi progetti di cooperazione con i Rom non hanno prodotto in nessun paese alcun posto di lavoro.
Pertanto, occorre controllare questo fenomeno: in tal senso, il progetto della dottoressa Carlà deve essere ripreso immediatamente (si trattava di un'idea dell'allora ministro Jervolino). Per quale ragione il ministro Maroni si rifiuta da due anni di riceverci? Siamo stati ricevuti in tutti i ministeri, tant'è che alla nostra assemblea nazionale parteciperanno il Ministero dell'interno e quello dell'istruzione. Parlare con il ministro Maroni è impossibile: vi sarà qualcuno con il quale discutere nell'ambito di questo ministero. Noi chiediamo che quell'ufficio venga subito ricostituito.
Perché lasciare tutto nelle mani delle prefetture e delle questure? Stiamo collaborando con tutti: a Cosenza, dove si registra uno dei più alti tassi di criminalità - peraltro, l'Abruzzo è in testa da questo punto di vista - ci è stato chiesto di incontrare il prefetto ed il questore. L'Opera nomadi non «gioca» a ricevere risorse per mantenersi. Quell'ufficio deve essere riaperto subito. Chiedo dunque alla presidenza di questa Commissione di interloquire con il ministro Maroni. Non si tratta di un ufficio dell'Opera nomadi, ma di un ufficio al quale l'Opera nomadi fornisce mediatori. Dobbiamo comunicare solo tramite la stampa?
Siamo pronti, regione per regione, a costituire un ufficio attraverso un finanziamento minimo. Per ogni regione due nostri operatori, d'accordo con le prefetture, potevano operare. In questo modo si fornivano alle autorità civili i dati quantitativi e qualitativi della presenza dei Rom, precisando quali mestieri svolgono, che cosa intendano fare ed in quale habitat si trovano.
Abbiamo presentato i dati relativi al tasso di tossicodipendenza, che è molto più alto della popolazione italiana.
Per quanto riguarda la scuola, occorre parlarne subito. Non è possibile che esista un problema di sicurezza nel momento in cui chiediamo una sala al Ministero della pubblica istruzione. Di fronte ad un'emergenza così grave - decine di migliaia di bambini non scolarizzati - occorre che il ministero intervenga. Adesso viene sottoscritto il protocollo di intesa; tuttavia, non dobbiamo far trascorrere in modo vano tutta l'estate. Per la conferenza di dicembre, le direzioni scolastiche regionali devono fornire i dati: dove vi è evasione, bisogna colpire, non allontanando i bambini dai genitori, ma obbligandoli al rispetto delle regole.
Lei mi parlava dei bambini: il bambino di tre anni che lei ha visto era probabilmente il nipote. Escludiamo nel novantanove per cento dei casi un traffico di


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bambini generalizzato. Se si tratta di riconoscere che vi siano stati casi di pedofilia a Roma e a Milano, possiamo ammetterlo tranquillamente. Erano i nostri bravi funzionari ministeriali che corrompevano i minori Rom: ma che la pedofilia sia generalizzata per i Rom non è sostenibile. All'EUR è stato sorpreso un funzionario del ministero, in flagranza di reato con i bambini Rom (cinque anni fa).
Relativamente alla scuola, deve essere tenuta questa conferenza. Esiste un documento del Governo italiano sulla scolarizzazione, dopo tredici anni trascorsi dall'interruzione dei lavori: è stata l'iniziativa del ministro Moratti.
Siamo l'unica associazione aconfessionale e apartitica che rappresenta i Rom. Avevamo cominciato questo lavoro con il sottosegretario Carla Rocchi. Noi chiediamo in tal senso la massima severità: i grandi concentramenti vanno messi sotto controllo. Non ci piace vedere giovani musicisti Rom, anche se svolgono una bella attività. Occorre legalizzare le attività lavorative: bene diceva uno dei parlamentari sostenendo che essi non toccano il mercato del lavoro degli italiani.
In questa sede, vi chiedo dunque concretezza: aiutateci a parlare con il ministro Maroni! Qualcuno dovrà pure riceverci! Il censimento parte da questo presupposto, in accordo, poi, con il Ministero dell'interno.

PRESIDENTE. Così come ricordava l'onorevole Bolognesi, possiamo presentare una risoluzione al ministro per chiedere risposte sul problema della scolarizzazione e per invitarlo a riprendere il censimento. Quest'ultimo diviene uno strumento fondamentale per evitare il sovraffollamento indiscriminato dei luoghi di accoglienza, dove ogni controllo resta precario (questi luoghi, infatti, diventano spesso centri dove accade di tutto, a discapito sia della comunità Rom, sia di quella locale nelle vicinanze). Così, infatti, nascono fenomeni di ostilità e razzismo. Comunque, è chiaro che in prospettiva dovremo tendere alla progressiva eliminazione dei campi stessi.
Vi invito a lasciarci eventuali documenti, che saremo lieti di acquisire agli atti. Il vostro contributo ci sarà utile per la stesura del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva. Faremo il possibile per favorire un vostro incontro con il Ministero del welfare, con quello dell'interno e con quello dell'istruzione.

MASSIMO CONVERSO, Presidente dell'Opera nomadi. Il Ministero delle pari opportunità sta lavorando molto bene e ci ha aiutato molto. La porta chiusa e sigillata è quella del ministro Maroni.

KASIM CIZMIC, Capo famiglia Rom. Vorrei soltanto sottolineare che, per quanto riguarda i permessi di soggiorno e la cittadinanza, noi siamo in Italia da tre generazioni. Vorremmo che in Parlamento ricordaste che non abbiamo una patria dove tornare perché l'Italia è la nostra patria. Con i nostri figli, siamo qui da tre generazioni, abbiamo scelto di vivere in questo paese, che consideriamo ormai il nostro. Chiediamo solo che ci aiutiate a vivere in esso regolarmente.

PRESIDENTE. Capisco il problema e condivido la necessità di una regolamentazione, l'unico strumento che può assicurare chiarezza ed evitare forme di ostilità nei vostri confronti. Vi ringrazio ancora per il vostro contributo.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,55.

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