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Seduta del 10/3/2005


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Audizione di Raffaella Calabrese, dirigente della sezione minori della direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell'interno.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'infanzia in stato di abbandono o semiabbandono e sulle forme per la sua tutela ed accoglienza, l'audizione della dottoressa Raffaella Calabrese, dirigente della sezione minori della direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell'interno.
Ringrazio la dottoressa Calabrese per le schede statistiche trasmesse agli uffici di questa Commissione inerenti all'impiego dei minori nell'accattonaggio e nella tratta degli esseri umani, relativamente al biennio 2003-2004. Certamente i dati che lei ci riferirà saranno utilissimi ai fini dell'indagine conoscitiva in corso.

RAFFAELLA CALABRESE, Dirigente della sezione minori della direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell'interno. Ringrazio il presidente e la Commissione tutta per questo invito. Sono un funzionario della polizia di Stato, attualmente responsabile di una unità organizzativa - nell'ambito della direzione centrale della polizia criminale, nel dipartimento della pubblica sicurezza -, finalizzata al coordinamento e alla raccolta di analisi di dati statistici inerenti a diverse fenomenologie concernenti i minori, sia come vittime di reato sia come autori dello stesso. Questa unità organizzativa, forse impropriamente denominata sezione minori, si occupa anche della violenza sessuale sulle donne, dello sfruttamento della prostituzione e del fenomeno della tratta degli esseri umani. Come vedete, è un'unità molto complessa perché i fenomeni che attengono ai minori sono assolutamente poliedrici. Ci occupiamo inoltre del fenomeno dei cosiddetti minori scomparsi. Infatti, alla sezione compete anche la gestione del sito telematico www.bambiniscomparsi.it.
Come ha detto la presidente, ho inviato i dati statistici inerenti l'impiego dei minori in accattonaggio e credo che potrebbero essere utili delle indicazioni sugli uffici del dipartimento che si occupano della tutela dell'infanzia. In questo modo si potrebbe fare un po' di chiarezza perché dal punto di vista terminologico, a seconda anche delle diverse disposizioni normative che si sono susseguite, abbiamo degli uffici diversi. Infatti, proprio all'indomani della legge n. 66 del 1996 sulla violenza sessuale, nell'ambito di ciascuna questura delle 103 province italiane furono costituiti i cosiddetti uffici minori, i quali avevano ed hanno tutt'oggi le funzioni di pronto soccorso dei minori e delle famiglie in difficoltà, di raccordo tra enti, istituzioni, associazioni, mondo della scuola e, soprattutto, di raccolta dei dati provenienti da tutta la provincia, anche dalle altre forze di polizia (l'Arma dei carabinieri e, in un certo senso, anche i comandi della Polizia municipale).
Con la legge contro lo sfruttamento sessuale sono state istituite - con decreto ministeriale del 30 ottobre 1998, firmato dall'allora ministro dell'interno Rosa Russo Jervolino - le sezioni specializzate nell'ambito delle squadre mobili. La squadra mobile è l'ufficio investigativo principe della Polizia di Stato e, quindi, ancora una volta il dipartimento ha dimostrato non solo una grande sensibilità nell'attività di prevenzione, ma anche molta attenzione verso la specializzazione degli investigatori


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che devono compiere attività di repressione. Sono state istituite delle sezioni specializzate - nell'ambito di ciascuna squadra mobile e, quindi, su tutto il territorio nazionale - deputate allo svolgimento di attività investigative in materia di abusi sessuali, sia su minori sia su adulti, e di sfruttamento della prostituzione: in un certo senso tutto ciò che attiene alla sfera sessuale e a quella del minore vittima. Ovviamente, la Polizia di Stato svolge principalmente una funzione di repressione ma, nell'ottica di avvicinarsi sempre più alla gente e al cittadino, in questo caso proprio a quelli più piccoli, vi sono diversi progetti, uno dei quali è denominato «Il poliziotto un amico in più».
Questo progetto, seguito dalla direzione centrale della Polizia criminale a livello centralizzato ma svolto in ciascuna questura, prevede degli incontri preordinati presso le scuole, gli istituti o le associazioni che svolgono attività di volontariato pomeridiano, come alcuni oratori, proprio per avvicinare il personale in divisa (penso soprattutto ad una certa Italia del nostro meridione che vede il poliziotto non tanto come un amico ma più come una persona dal quale «difendersi»).
Questi incontri, che ormai si effettuano da numerosi anni, hanno dato dei risultati in termini di prevenzione, anche se non sono tangibili perché il reato non si verifica, e di repressione perché a volte i poliziotti o i funzionari che si sono recati nei complessi scolastici hanno potuto recepire delle volontarietà di denunce da parte dei minori, soprattutto di abusi intrafamiliari.
Vorrei aprire una piccola parentesi sul fenomeno degli abusi. Nell'ambito della sezione che ho l'onore di dirigere abbiamo realizzato un database che, partendo dal punto di vista vittimologico e non dell'autore del reato, consente di realizzare delle analisi più dettagliate sugli abusi sessuali. Le tabelle statistiche che ho inviato all'attenzione della Commissione riguardano il fenomeno dell'impiego dei minori in accattonaggio, cioè le denunce e il numero delle persone denunciate. Per compiere un'analisi più dettagliata sugli abusi sessuali siamo partiti dalla vittima, che, sulla base della mia esperienza personale e su quella maturata dall'ufficio, subisce l'abuso sessuale dalla famiglia, cioè in termini assolutamente intrafamiliari.
So che è più rassicurante ipotizzare che l'abusante sia la persona con l'impermeabile ai giardini pubblici - forse sarebbe meglio così perché l'intervento della polizia sarebbe più efficace - ma, purtroppo, i dati ci portano ad un fenomeno legato soprattutto al mondo intrafamiliare. Noi abbiamo fatto una distinzione tra le relazioni intraspecifiche ed extraspecifiche, facendo ricadere nel mondo familiare anche i cosiddetti conoscenti e le persone che, comunque, hanno la «fiducia» dei minori.
Per tornare alle attività di prevenzione, va segnalata anche la nostra attività nella gestione del sito sui bambini scomparsi. Proprio nel maggio del 2004 abbiamo compiuto un restailing del sito www.bambiniscomparsi.it e nell'ambito dell'home page vi è una sezione molto particolare dedicata ai più piccoli, con una favola - realizzata, intitolata e prodotta dai poliziotti - che si chiama «Cuor generoso e l'inganno del mago cattivo» e che, dietro diverse similitudini, sostanzialmente cela il vero e proprio fenomeno dell'adescamento, cioè il momento cruciale per l'abuso sessuale.
Sempre sulla base della mia esperienza posso dirvi che l'abusante non compie abusi fisici direttamente sul minore, ma attua una sorta di «danza» nei confronti della vittima predestinata: quindi, in alcuni momenti, non direttamente la polizia, con una maggiore attenzione si può intervenire.
Per quanto riguarda l'accattonaggio, occorre fare una prima importante distinzione. Tale problematica si presenta nel nostro territorio soprattutto alla fine degli anni ottanta, prevalentemente per opera di cittadini di origine slava di etnia rom, ma nell'ultimo decennio ha subito un incremento per certi versi formidabile e riconducibile ai flussi clandestini di immigrazione: tale fenomeno non è soltanto legato


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all'esperienza della mendicità e quello che desta maggior allarme sociale è il cosiddetto racket di minori.
Purtroppo, numerose attività investigative hanno in qualche misura avallato questa nostra preoccupazione. Fortunatamente, nuovi strumenti per combattere questo fenomeno sono stati forniti dalla legge n. 228 del 2003. Questa legge consente (senza fare digressioni normative) l'arresto dei soggetti che fanno parte o sono complici di organizzazioni criminali che sfruttano l'accattonaggio, non necessariamente solo di minori. Non è questa la sede, ma ricorderete che vi sono state circostanze nelle quali sono stati costretti alla mendicità, attraverso la riduzione in schiavitù, anche dei soggetti adulti, che magari presentavano delle menomazioni fisiche.
Sotto il profilo fenomenologico, la maggior parte dei bambini coinvolti appartiene anche tutt'oggi a comunità nomadi. Abbiamo visto, in relazione ai flussi clandestini di immigrati, un incremento, soprattutto verso il nord Italia, di bambini provenienti dalla Romania, e in alcuni casi anche marocchini.
Per quanto riguarda l'attività investigativa volta alla repressione del fenomeno dell'impiego dei minori in accattonaggio, c'è un unico comune denominatore, che è il modus operandi di queste organizzazioni. È stato riscontrato infatti nel corso delle importanti operazioni di polizia che si sono concluse positivamente dal 2003 (cioè dal settembre 2003, mese di entrata in vigore della legge n. 228) in poi, che in linea di massima vi è sempre lo stesso modus operandi: le giovani vittime vengono sfruttate economicamente, perché il frutto della giornata è sottratto dai loro trafficanti.
Questi bambini sono quindi privati di qualsiasi forma di istruzione, anzi vengono cercati proprio soggetti non istruiti, proprio perché è chiaro che il potere di vessazione in questo caso è maggiore, e sono sistematicamente obbligati a vivere per la strada, in condizioni disagiate e trascurate, e talora in situazioni di vero e proprio pericolo per l'incolumità personale.
Si è riscontrato spessissimo che vengono anche usati mezzi di coercizione fisica, oltre che controllo visivo, o tramite telefoni cellulari o quant'altro. Alcune esperienze di operazioni positive condotte meritano di essere citate: la prima è l'operazione cosiddetta «spezza catene», condotta circa un mese dopo la promulgazione della legge, dalla squadra mobile della questura di Cosenza. Essa si è conclusa il 16 ottobre 2003, con la sottoposizione a fermo di indiziato di delitto di 13 cittadini della ex Jugoslavia, indagati per associazione per delinquere. È stata la prima volta infatti che è stato contestato anche il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione del reato di riduzione in schiavitù nei confronti di minori impiegati nell'accattonaggio.
Più di recente, va citata anche un'altra operazione, condotta dalla questura di Livorno, che nel dicembre 2004, a seguito di mirati servizi investigativi, ha arrestato due cittadini slovacchi ritenuti responsabili di riduzione in schiavitù nei confronti di connazionali. In questo caso vi erano anche minori portatori di handicap.
L'organizzazione aveva studiato un preciso modus operandi, infatti la base dell'organizzazione criminale era residente in Slovacchia, ed ingaggiava le proprie vittime nel paese di origine, facendo loro trascorrere in Italia un periodo di soli 10-15 giorni, per poi rimandarle in patria. Durante questo periodo, esse venivano costretti a mendicare, per poi successivamente far rientro nel loro paese.
È chiaro che i minori non vengono utilizzati soltanto per l'attività di accattonaggio. L'attività di accattonaggio è un fenomeno che probabilmente rende molto bene alle organizzazioni criminali, e desta pochi pericoli. Da alcune recenti analisi si è stimato che ogni minore in una grande città possa guadagnare anche intorno ai 100 euro al giorno. Quindi, dobbiamo rapportare questa cifra indicativa a tutto il territorio nazionale, in quanto non dobbiamo


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pensare che questo fenomeno sia presente soltanto a Milano, Torino, Roma o Napoli, alle grandi città insomma. Le indagini concluse dimostrano di fatto il contrario; si pensi a Cosenza, Siracusa, la stessa Livorno, dove è presente lo stesso fenomeno.
Oltre che per l'accattonaggio, i minori possano essere impiegati anche in altre attività delittuose, come piccoli furti, borseggi, spaccio di stupefacenti, e in ultimo, caso più grave, lo sfruttamento sessuale.
Si tratta quindi di fattispecie nelle quali sono coinvolti generalmente minori stranieri, spesso costretti sotto la minaccia di percosse e ridotti in schiavitù, soggiogati anche dalla loro condizione di illegalità sul nostro territorio.
Anche in questo caso vanno menzionate alcune operazioni di polizia che hanno svelato queste tristi condizioni in cui versano proprio bambini, in questo caso specifico, maggiormente di nazionalità rumena. Ne è infatti un esempio l'operazione condotta dalla squadra mobile della questura di Verona, che nel giugno 2004, a seguito di una mirata attività investigativa iniziata nel precedente gennaio 2003, ha individuato una articolata associazione per delinquere, transnazionale in questo caso, che introduceva clandestinamente in Italia minorenni rumeni, di età compresa tra i 10 e i 14 anni (e vorrei soffermare la vostra attenzione su questo dato: venivano scelti con età non imputabile), reclutati per commettere borseggi.
I minori non imputabili quindi, e non sottoponibili, come voi tutti sapete, all'espulsione, venivano forniti di passaporti falsi, e trasportati attraverso l'Ungheria e l'Austria. Venivano poi collocati in Italia in diversi appartamenti, istruiti sul modo di comportarsi in caso di controllo della polizia (quindi cosa dire eventualmente), e costretti con minacce e violenze alla commissione di borseggi nella zona turistica del centro di Verona, con orario dalle 7 alle 21, e obbligo di guadagnare non meno di mille euro al giorno ciascuno. Queste informazioni sono state fornite dalle stesse vittime.
Per chi si occupa di traffico di esseri umani e sfruttamento della prostituzione, risulta chiaro che questa modalità è abbastanza nota: si tratta di un modus operandi che in questo caso è stato semplicemente applicato ai minori, ma che veniva applicato, 10 - 15 anni fa, alle prostitute albanesi.
Sebbene gli sforzi delle forze di polizia in relazione ai loro compiti istituzionali siano massimi nella azione di repressione, come avete potuto constatare, contro gli sfruttatori, non si può tacere che la risposta istituzionale, sotto il profilo della tutela della vittima, trovi ostacoli impensabili, spesso in re ipsa.
Vorrei fare riferimento al cosiddetto temporaneo inserimento del minore da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell'articolo 403 del codice civile, reso molto difficoltoso dalla carenza di adeguate strutture di accoglienza su tutto il territorio nazionale.
Vi è poi l'ostilità delle famiglie di origine dei bambini, nonché l'ostilità di questi ultimi, restii ad adattarsi, qualora decidano di rimanere, alla vita dell'istituto o casa di accoglienza, e pronti quindi ad allontanarsi e scappare immediatamente dopo l'istituzionalizzazione dai luoghi di recupero.
Quest'ultima considerazione, peraltro, è avvalorata anche dalle analisi che compiamo sul fenomeno dei minori scomparsi. Ogni anno, in Italia, vi sono circa 3 mila segnalazioni di ricerca per minori scomparsi, compresi in un'età tra 0 e 18 anni. Di queste 3 mila segnalazioni l'80 per cento decade entro l'anno, quasi immediatamente. Spesso, infatti, si tratta di adolescenti che si allontanano da casa volontariamente o in compagnia di amici ma che fanno poi ritorno a casa. A quel punto, l'attività di ricerca decade.
Tuttavia, facendo un'analisi sugli ultimi cinque o sei anni, abbiamo notato un crescente trend delle attivazioni, derivanti soprattutto dai flussi clandestini di immigrati per via del fenomeno dei cosiddetti minori stranieri non accompagnati. Questi minori vengono collocati dall'autorità di pubblica sicurezza, previo decreto dell'autorità


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giudiziaria minorile, presso gli istituti di accoglienza da dove, però, trovandosi in regime di costrizione, scappano non appena possibile, spesso anche con l'aiuto delle stesse organizzazioni criminali.
È chiaro, quindi, che il titolare di quell'istituto o casa famiglia segnala immediatamente l'accaduto, dando origine all'attività di ricerca da parte della polizia (purtroppo, molto spesso, questi minori, un volta individuati, riferiscono di avere 17 anni, pur avendone, in realtà, molti di più). Siamo, quindi, di fronte ad un fenomeno che si può riferire principalmente alla fascia di età che va dai 15 ai 17 anni. Con i minori più piccoli è più facile intraprendere un percorso di vera reintegrazione e reinserimento.
Infatti, spesso sono stati vani gli sforzi delle forze di polizia con le istituzioni interessate all'inserimento di tali minori nelle comunità assistenziali in quanto questi ultimi, quasi sempre, fuggono trasferendosi dalla località nella quale sono stati affidati (probabilmente, questa è una precisa disposizione dell'organizzazione alla quale appartengono). Tuttavia, la sensibilità del dipartimento di pubblica sicurezza a realizzare le più opportune misure per la prevenzione e la repressione di ogni forma di sfruttamento minorile, nel quadro di più ampi interventi specialistici in ordine alle multiformi problematiche concernenti i minori, è nota e consolidata nel tempo.

PRESIDENTE. Mi permetta di interromperla. Purtroppo, per ragioni di tempo temo di essere costretta a dovere rinviare il seguito del dibattito ad un'altra seduta. Per il momento, le chiederei di lasciare a disposizione della Commissione la sua relazione. Infatti, le notizie ed informazioni fin qui ascoltate sono di fondamentale importanza per il nostro lavoro. Nonostante l'intenzione di ascoltare in audizione anche il Governo, in particolare, il sottosegretario Mantovano, per la parte operativa il suo contributo risulterà molto prezioso.

PIERO PELLICINI. Mi piacerebbe poter riascoltare la dottoressa, magari in occasione delle prossime audizioni, perché ritengo che le informazioni fornite alla Commissione siano della massima importanza. Comprimere i tempi dell'audizione a causa di impegni lavorativi che ci portano a dovere essere altrove, mi sembra un peccato.

RAFFAELLA CALABRESE, Dirigente della sezione minori della direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell'interno. Sono a vostra disposizione per proseguire l'audizione in altra data. Vorrei soltanto ricordare che sono state impartite precise circolari e direttive dall'ufficio centrale agli uffici periferici che hanno dato i loro frutti. Pertanto, vi lascerò non solo una copia della relazione ma anche una raccolta di circolari e direttive in materia a dimostrazione della sensibilità che il dipartimento ha espresso negli ultimi anni - ma anche negli anni precedenti - in merito a questi problemi. Potrete così tracciare un quadro sinottico più completo.

PRESIDENTE. Chiederemo espressamente di poter riascoltare la dottoressa. Nel frattempo, la ringraziamo molto per il suo intervento, grazie al quale siamo stati messi al corrente di alcune operazioni polizia, di cui abbiamo sentito parlare, solo per parti, dai giornali. Grazie anche ai dettagli forniti potremo proseguire nel nostro lavoro con maggiore cognizione di causa (così, per esempio, a proposito di quei bambini appartenenti ad una fascia maghrebina con cui tutte le zone marinare devono fare i conti) posto che la nostra indagine intende analizzare, a tutto campo, una serie di problematiche.

PIERO PELLICINI. Mi permetta ancora di aggiungere che l'audizione di oggi è veramente importante. Ho notato, anche dalle audizioni precedenti, un fortissimo passo in avanti da un punto di vista concettuale ed operativo rispetto al problema dei minori. Di questo sono molto soddisfatto.


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CARLA MAZZUCA POGGIOLINI. Anche io vorrei ringraziarla personalmente. Il vostro lavoro, molto spesso, non è conosciuto in tutti i suoi aspetti e nella sua efficacia. Non solo, si tratta di un lavoro che spesso non viene riconosciuto neanche dal punto di vista della sua impostazione politica di approccio. Tale impostazione politica, che si è andata affinando sempre di più negli anni, è un elemento molto importante, anche perché sappiamo dello stretto rapporto di collaborazione che la polizia mantiene con le altre istituzioni (per esempio, con gli assessorati alle politiche sociali di alcuni comuni). La ascolteremo con molto piacere in futuro.

PRESIDENTE. Ringrazio ancora la dottoressa Calabrese per aver partecipato ai nostri lavori. Rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

La seduta termina alle 16.05.

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