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Seduta del 9/10/2003


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Audizione di Nadia Gatti, presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, e di Pier Luigi Tucci, presidente della Federazione italiana medici pediatri.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla copertura vaccinale in età pediatrica e sulla ospedalizzazione dei bambini affetti da malattie infettive, l'audizione di Nadia Gatti, presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino, e di Pier Luigi Tucci, presidente della Federazione italiana medici pediatri. Ringrazio i nostri ospiti, che ora ci illustreranno le loro relazioni.

NADIA GATTI, Presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino. Ringrazio la Commissione per la disponibilità dimostrata nel voler audire il Condav, il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino. Ringrazio altresì il Governo, alcuni senatori e deputati e, in particolare il sottosegretario alla salute senatore Cesare Cursi, per la sensibilità dimostrata nel seguire le problematiche delle famiglie e dei danneggiati da vaccino, che sono emerse dopo l'applicazione della legge n. 210 del 1992. Il Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino è stato fondato il 22 gennaio 2001 da un gruppo di genitori di bimbi lesi, per dare voce ai danneggiati, ai loro familiari e per fornire le informazioni acquisite a tutte le che vogliono conoscere meglio questo argomento.
Precisiamo subito che non siamo contrari alla somministrazione dei vaccini, anzi riconosciamo che a suo tempo abbiano giocato, e in alcuni casi giochino tuttora un ruolo fondamentale per la tutela


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della salute di milioni di bambini, ed è proprio per questo motivo che chiediamo alle istituzioni sanitarie di collaborare con noi per fornire alle persone precise indicazioni sugli effetti collaterali prodotti dai vaccini, cosa del resto già prevista dalla legge n. 210 del 1992. Quello che noi vogliamo sia chiaro a tutti è che il vaccino non è acqua, ma un farmaco e come tale può avere effetti collaterali. Per questo motivo chiediamo venga somministrato seguendo regole precise. Il vaccino non fa male ma, fino ad oggi, è stato somministrato male e, a volte, con troppa leggerezza.
Ci proponiamo di raggiungere diversi obiettivi, fra i quali una prevenzione dei danni da vaccino, e a questo proposito abbiamo messo a punto un programma di prevenzione che presenteremo prossimamente alle istituzioni sanitarie e che oggi vi lasciamo. La cura dei danneggiati: se esiste un programma di prevenzione e tutela della collettività, deve esistere anche un programma di cura per chi riceve, suo malgrado, un danno proprio per tutelare quella stessa collettività; finora questo non è successo e chi è rimasto leso da vaccino è stato abbandonato a se stesso; le cure di cui abbisognano i lesi da vaccino, infatti, sono diverse da tutte le altre e, attualmente, solo i più fortunati sono riusciti a curarsi! Questo lo potrete leggere nelle storie che troverete nella statistiche che vi lasceremo.
La modificazione della legge n. 210 del 1992, nata solo per proteggere lo Stato non i cittadini. È vergognoso, infatti, che esistano termini di legge per presentare domande d'indennizzo che riguardano una lesione sempre permanente e a volte il decesso del danneggiato. Cosa deve dire Massimo di Scordia in Sicilia, che da 30 anni vive su una sedia a rotelle e che pochi mesi fa la CMO ha riconosciuto sì danneggiato da vaccino, ma non indennizzabile, perché ha presentato la domanda fuori dai termini di legge, nonostante la madre avesse chiesto più volte dell'esistenza di una legge di tutela sui danneggiati da vaccino alla ASL di Scordia e si fosse sentita rispondere di no, così com'è successo a Claudio di Roma e a tanti altri? Tutto questo in barba alla legge n. 362 del 25 luglio 1997 (che integra la legge n. 210 del 1992) che, all'articolo 1, comma 13, cita: «Alla presente legge sarà data la massima pubblicità a cura degli assessorati alla sanità delle regioni e delle province autonome tramite affissione di copia della medesima presso ogni ufficio delle prefetture e delle aziende unità sanitarie locali competenti in materia di invalidi civili, presso ogni caserma militare, presso gli uffici delle aziende unità sanitarie locali competenti in materia di vaccinazioni, presso tutti i consolati al1'estero della Repubblica italiana, presso tutti i reparti degli ospedali e delle case di cura private, nonché nei locali adibiti al servizio trasfusionale». Peccato che nessuna delle istituzioni sopraccitate, e non solo quella di Scordia o di Roma, l'abbia mai fatto!
Ma capita anche di vedersi riconoscere il nesso causale tra danno e vaccinazione e non essere indennizzati perché la vaccinazione è stata eseguita il 10 giugno 1959, quindi anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 695 del 30 luglio 1959, che dettava norme nel quadro di una campagna di pubblica sensibilizzazione tesa a diffondere la vaccinazione antipoliomielitica. E a nulla valgono le proteste di Elisabetta di Sassari che produce documentazione in cui risulta che la vaccinazione da lei eseguita era fornita gratuitamente dalla regione Sardegna perché in atto una grave epidemia di polio: dovrebbe fare causa, ma le cause costano e servono anni per ottenere giustizia. Ammesso e non concesso che si ottenga. Ma come lei, a tutt'oggi, devono fare causa anche le famiglie dei bimbi che, hanno riportato danni da vaccinazioni «fortemente raccomandata o consigliata», perché non obbligatoria e quindi non indennizzabile; anche questo non è giusto!
Vogliamo verità e giustizia per noi e per i nostri figli: infatti ci è stato detto che è solo grazie al loro «sacrificio» che in Italia si sono potute sconfiggere alcune gravi e pericolose malattie come la poliomielite


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e il vaiolo; allora perché invece di ringraziarci e aiutarci si è cercato in ogni modo di «nasconderci»?
Vogliamo risposte esaurienti alle tante domande che da tempo ci assillano la mente. Per esempio, come mai la comunità scientifica parla di «statistiche attendibili» riferendosi al numero esiguo di danneggiati da vaccino, quando sappiamo con certezza che questo non è vero? Dal 1996 ai primi mesi del 1999 ci sono stati undici bimbi lesi: nove si sono ammalati di poliomielite postvaccinica dopo la prima dose di Sabin, uno in terza dose e uno è deceduto (tutti già ufficialmente riconosciuti dal Ministero della salute), pari ad un caso ogni 200.000 prime dosi circa e non un caso ogni 700.000, come riportato nelle statistiche ministeriali o dell'OMS! Ma la polio è solo la cima dell'iceberg: esistono infatti le mieliti, le encefaliti, le malattie autoimmuni e tantissimi altri danni molto gravi di cui, fino ad oggi, non si sono avute che pochissime e sporadiche notizie L'unica verità è che, attualmente, non esistono statistiche attendibili.
Sono state presentate anche molte interrogazioni parlamentari per ottenere il numero reale dei danneggiati, ma le risposte o non ci sono state, o sono state molto confuse accorpando i danni da vaccino a quelli da emotrasfusione.
Stiamo approntando, con l'aiuto di altre associazioni che tutelano la libertà di scelta vaccinale, una statistica che si avvicini il più possibile ai danni realmente esistenti. Ve ne lasciamo oggi una copia ancora molto incompleta.
Gli ultimi casi di polio da vaccino si sarebbero potuti evitare cambiando la vaccinazione che, se aveva la sua utilità in periodo di epidemia, è risultata solo dannosa negli ultimi anni: infatti, dal 1982 i casi di polio in Italia sono stati solo da vaccino; una raccolta più attenta e attendibile delle reazioni avverse avrebbe permesso l'elaborazione di una nuova strategia vaccinale che producesse meno effetti avversi.
Sappiamo, infatti, che il rischio zero non esiste in medicina. Ma nemmeno un caso su un miliardo è accettabile, quando si può evitare, ed a nulla valgono le dichiarazioni di alcuni medici, che parlano di noi o dei nostri figli in termini di «incidenti di percorso» o di «danni preventivabili in astratto», perché, come dice la Corte costituzionale, nella sentenza n. 118 del 2000: «Quando una vita è in gioco non importa cosa dicono le statistiche».
Ognuno di noi, poi, dovrebbe provare a pensare a cosa proverebbe se quell'incidente di percorso fosse suo figlio o suo nipote.
Chiediamo un'informazione ai medici sui possibili effetti collaterali o sulle reazioni avverse che possono insorgere dopo le vaccinazioni. La non conoscenza ha, infatti, causato l'insorgere di gravi patologie post-vacciniche. Basti considerare il caso di una bimba di Milano che, dopo la prima seduta vaccinale sviluppò una paralisi flaccida che, per sua sfortuna, durò solo due mesi. La neuropsichiatra che l'aveva in cura sconsigliò il proseguimento del ciclo vaccinale, ma il pediatra e l'ufficiale vaccinatore, definendo il primo episodio solo «un piccolo incidente», e ciò nonostante sullo stesso foglio illustrativo dei vaccini fosse riportato di non somministrare altre dosi in caso di sospetto danno neurologico dopo una vaccinazione, continuarono il ciclo. Ora la bambina è sorda totale ed il nesso causale è già stato riconosciuto.
Si può citare il caso di Federico di Trento che, dopo la seconda seduta, vaccinale manifestò ritardo psicomotorio ed eczema, ma venne vaccinato ancora altre quattro volte (gli vennero inoculati anche i facoltativi, tanto male non facevano) e ricevette un gravissimo danno permanente che è stato riconosciuto solo pochi anni fa (Federico ha 26 anni), grazie al coraggio ed alla perseveranza dei genitori. Oggi Federico, che è un ragazzo meraviglioso, dolcissimo e sensibilissimo, non vive, ma sopravvive, in una società in cui, ancora oggi, chi è diverso è considerato uno scarto; nel suo caso, poi, essendo un danno da vaccino è solo «una tara genetica».


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Come Federico e la bimba di Milano, l'80 per cento dei danneggiati si sarebbe potuto evitare solo fermando la prosecuzione del ciclo vaccinale.
Ancora oggi, però, ciò non succede e, i genitori, spaventati dalle reazioni avverse presentate dai propri figli dopo la somministrazione vaccinale, sono multati o perseguiti dal tribunale dei minori perché si rifiutano di eseguire le vaccinazioni obbligatorie per legge. La legge contempla anche l'obbligo di rimanere invalidi per sempre, per assolvere un dovere imposto dallo Stato?
È pertanto necessaria una maggiore informazione ai medici ed anche un'informazione corretta da parte dei mezzi di comunicazione di massa, che troppo spesso diffondono notizie confuse e non corrette sui danni da vaccino.
Concludiamo col dire che la nostra Associazione ha evidenziato una serie di richieste che sottoponiamo brevemente alla vostra attenzione: la separazione, nella legge n. 210 del 1992, fra danneggiati da vaccino e da emotrasfusione, in modo da avere un quadro molto più chiaro della situazione; l'eliminazione del vincolo dei tre anni previsti dalla legge n. 210 del 1992 per presentare la domanda d'indennizzo (se ne sta occupando, in questo momento, la XII Commissione affari sociali); il risarcimento ai lesi da vaccino e alle loro famiglie; l'indennizzo dei danni da vaccinazione facoltativa, quando fortemente consigliata dall'OMS; la corresponsione dell'indennizzo dal momento in cui è iniziatala lesione post-vaccinale; le visite specialistiche, le protesi e gli ausili completamente gratuiti; il riconoscimento di assegni di superinvalidità; la perequazione automatica dell'indennizzo della legge n. 210 del 1992; una corsia preferenziale nel riconoscimento dell'handicap; aiuto nella ricerca di alloggi idonei alle esigenze dei danneggiati e dei loro familiari; agevolazioni ai genitori di figli disabili gravi, quali prepensionamento e precedenza nella ricerca del posto di lavoro (da estendersi, penso, a tutte le forme di handicap); informazione chiara e precisa sugli eventi avversi provocati dai vaccini; istituzione di un centro che individui strutture e professionisti in grado di curare le patologie post-vaccinali; anamnesi ed esami approfonditi pre-vaccinali, che evitino o limitino, lesioni ai vaccinandi; ricerche mediche sui danni già avvenuti per evitarne altri.
Esistono diritti che vanno tutelati e la salute è un diritto per tutti, anche per noi e per i nostri figli? La domanda che ci si deve porre non è vaccinare sì o vaccinare no, ma solo «vacciniamo bene»? Siamo in possesso di studi sull'interazione dei vaccini? Le ditte farmaceutiche non hanno ancora terminato gli studi sull'interazione di alcuni vaccini, eppure già si propone di somministrarli insieme. Esistono studi sull'efficacia di questi vaccini somministrati tutti in una volta?
La risposta anticorpale alla malattia o la memoria immunitaria saranno le stesse che si avrebbero con la somministrazione di un solo vaccino per volta? Quali sono gli effetti collaterali? Il mercurio non è ancora provato che sia proprio tossico, ma è meglio non somministrarlo (così dicono alcuni medici).
Perché vaccinare bambini sani contro l'influenza? Il presidente del Moige dice perché è «assolutamente privo di effetti collaterali» e noi vorremmo sorridere, perché - come già abbiamo detto - non esistono farmaci esenti da effetti collaterali, ma non ci riusciamo, poiché i nostri figli sono la dimostrazione vivente dell'inesattezza di tale informazione.
Queste sono solo alcune raccomandazioni, espresse dai vari responsabili delle istituzioni o da medici e ricercatori; dette così, creano solo una gran confusione. Quindi, chiediamo più informazione corretta, più studi sugli effetti avversi, più ricerca sui danni provocati, più attenzione verso i disabili da vaccino o verso le famiglie di coloro che, purtroppo, sono già deceduti.
Grazie a tutti per l'attenzione prestata.

PRESIDENTE. Ringrazio la signora Gatti per la sua esposizione, molto chiara e precisa.
Do la parola al dottor Tucci.


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PIER LUIGI TUCCI, Presidente della Federazione italiana medici pediatri. Ringrazio innanzitutto di essere stato invitato a quest'importante assise.
L'argomento che devo affrontare parte, purtroppo, da un dato che la signora Gatti ha esplicitato e che ci vede coinvolti come attori in tutta la fase progettuale ed attuativa dell'impegno vaccinale. Il vaccino, in effetti, è un farmaco speciale: si somministra per la prevenzione ed a soggetti sani, e il beneficio è sia collettivo, sia individuale (quello individuale, ipotetico, è legato alla probabilità di potersi ammalare). Per i bambini adolescenti, vi è un'autonomia decisionale che essi non hanno in modo completo e si attiva attraverso il consenso dei genitori.
Tutto ciò significa che l'attenzione al processo che conduce alla definizione della tollerabilità - da tutti i punti di vista - del vaccino (quando è immesso nel mercato ed in seguito) è un momento determinante per offrire tutti i tipi di garanzie possibili.
La situazione, dal nostro punto di vista di pediatri di famiglia, coinvolti quotidianamente in tali tipi di dinamiche, parte dal presupposto che siamo costantemente in contatto con un universo che chiede sempre nuove risposte rispetto alle pratiche vaccinali.
Se l'orientamento sempre più marcato è passare da vaccinazioni in cui l'obbligo è l'elemento determinante a vaccinazioni in cui è il consenso l'elemento sempre più implicito, cambiano il modo di porsi rispetto al problema, il tipo di domande che ci vengono rivolte e le risposte che dobbiamo dare.
Oggi, vaccinare con successo - una popolazione o un bambino - parte da un accordo che coinvolge i tre attori implicati: la sanità pubblica, la famiglia ed il pediatra di famiglia. Dal concerto di tali tre realtà si possono ipotizzare ed attuare iniziative atte alla vaccinazione accettabile e di successo.
Vi è, però, una certa disomogeneità su tale punto di vista. In Italia, a differenza di altri Stati, il ruolo della sanità pubblica rispetto a quello della pediatria è molto più esteso. In altri Stati la stesura dei calendari vaccinali ed il ruolo della pediatria sono molto più determinanti ed importanti. In Italia si sconta una consuetudine di un ruolo molto forte dell'igiene pubblica. Crediamo che tale situazione vada in parte modificata, poiché è cambiato il modo di affrontare, rispetto al passato, le vaccinazioni.
Un'altra eterogeneità che merita di essere sottolineata è che le vaccinazioni non sono eseguite in unica sede. I servizi che le possono eseguire sono molti: servizi di igiene pubblica, consultori pediatrici e pediatri di famiglia. Tale disomogeneità conduce anche a risultati non sempre ottimali.
Vi è tutta una serie di problemi organizzativi: le informazioni sulle vaccinazioni non sono fornite da tutte le aziende; le informazioni non sono omogenee nei contenuti, nelle modalità e nei tempi di consegna alle famiglie, l'offerta di vaccini non è omogenea nel territorio nazionale e regionale - e, qualche volta, anche aziendale -, le modalità di somministrazione non sono omogenee da parte dei medici vaccinatori; vi sono modalità diverse e personali di considerare le controindicazioni (vere e false); non vi è un'uniforme rispondenza ai requisiti di accreditamento delle sedi vaccinali e vi è incertezza sulla ricerca del consenso o sulla sottoscrizione del dissenso.
Tutti questi ambiti, a mio avviso, meriterebbero una attenta riflessione. La dottoressa Salmaso, nella precedente audizione, ha affrontato una serie di aspetti sui quali mi trovo profondamente d'accordo. Tuttavia, questi processi si possono gestire ed organizzare se l'intero percorso è gestito assieme da tutte le componenti che in essi svolgono un ruolo. Per illustrare un esempio, in Toscana, all'interno della commissione pediatrica regionale interessata al problema delle vaccinazioni, abbiamo realizzato una pubblicazione, di cui, a giorni, uscirà la terza edizione, nella quale sono riassunti, a livello regionale, non soltanto il calendario relativo ai tempi ed alle modalità di vaccinazione ma anche le indicazioni specifiche per andare incontro


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ad una serie di problemi. Tali indicazioni riguardano la particolare attenzione che deve essere prestata nella anamnesi prevaccinale, le modalità di conservazione dei vaccini, le modalità di somministrazione, il modo in cui trattare gli shock anafilattici, gli intervalli da rispettare, le procedure da applicare con gli immigrati di cui non si conosca la storia vaccinale precedente, la interpretazione e valutazione delle reazioni collaterali e gravi, le reali controindicazioni e le false controindicazioni e, soprattutto, l'aspetto collegato al concetto del consenso o dissenso informato.
Vorrei soffermarmi brevemente su quest'ultimo punto, perché si tratta di un tema delicato. Noi siamo maggiormente favorevoli alla attuazione del dissenso informato rispetto alla accentuazione del concetto del consenso informato perché, in questi casi, esiste il rischio di utilizzare la terminologia del «consenso informato» attribuendole una valenza che non corrisponde mai al significato che dovrebbe avere, anche perché notiamo che, malgrado questa tendenza ad una autonomia decisionale, la risposta favorevole delle famiglie alla somministrazione del vaccino è molto più pronta di quello che si potrebbe pensare. Infatti, la quota di persone che rifiutano in modo pregiudiziale la vaccinazione, in Italia, attualmente è bassissima, almeno per quanto è possibile valutare sulla base dei risultati conoscitivi in senso generale. Quindi, ha più valore il dissenso di uno o di entrambi i genitori, dissenso motivato per iscritto e riportato, di una operazione della quale, in realtà, non si capisce bene quanto sia professionale, quale sia la correttezza deontologica di rapporto e quale sia la valenza legale. Entreremmo in dinamiche tali per cui si correrebbe il rischio di accentuare la valenza negativa di un prodotto quale è il vaccino che, invece, deve essere visto in un'ottica fondamentalmente positiva.
In questo senso, il nostro ruolo, quali pediatri di famiglia, è essenziale. Non vi riferisco il mio parere ma ciò che di noi gli altri dicono. Il dottor Tozzi ed altri ricercatori dell'Istituto superiore di sanità hanno compiuto ripetuti studi per capire chi siano gli attori che maggiormente influenzano le decisioni delle famiglie nell'ambito delle vaccinazioni. Tutti questi studi confermano che il nostro consiglio è determinante nella promozione ed accettazione di qualsiasi pratica vaccinale perché il nostro lavoro e il nostro approccio sono diversi da quelli seguiti dal medico dell'adulto, la nostra impostazione essendo legata essenzialmente alla promozione della salute, alla adesione a corretti stili di vita e, quindi, ad un atteggiamento maggiormente preventivo, educativo e pedagogico piuttosto che all'ottica della cura. Quindi, in questo modo è più facile che si parli in modo più ampio, tranquillo e sereno anche di queste problematiche che rappresentano un tema quotidiano.
Tra gli obiettivi che il pediatra di famiglia deve raggiungere in questo campo vi è, innanzitutto, avendo la responsabilità del singolo assistito, la tutela della salute di quest'ultimo attraverso la profilassi delle malattie infettive. Ciò riguarda non solo e non tanto le malattie che, attualmente, sono previste dal piano nazionale dei vaccini ai fini di una copertura vaccinale ma anche l'attenzione alle altre nuove vaccinazioni, immesse in circolazione dal ministero e a cui, per questa stessa circostanza, sono riconosciute, oltre all'efficacia, due valenze e, cioè, l'accettabile rapporto rischio-beneficio e una risposta coerente all'obiettivo da raggiungere, vale a dire evitare che la malattia compaia nel bambino vaccinato. Tuttavia, c'è un altro obiettivo contiguo ed è il raggiungimento del tetto di soglia vaccinale utile alla eradicazione del germe dalla circolazione nella comunità. Quindi, è necessario fare in modo che nei programmi vaccinali, nazionali e regionali, siano raggiunte soglie accettabili di risultato. Inoltre, bisogna contribuire alla costruzione del registro epidemiologico per le reazioni avverse ai vaccini e per la incidenza delle malattie infettive.
Su questi aspetti, la dottoressa Salmaso si è a lungo intrattenuta, nel corso della precedente audizione. Pertanto, mi ci soffermo brevemente, soltanto per una considerazione finale. Questi punti, e quelli


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presenti nel piano nazionale dei vaccini attualmente ancora in vigore, sono stati recepiti nel nostro accordo collettivo nazionale proprio per consentire che all'interno della nostra operatività tutto il percorso sia attuato e registrato, dalla promozione e dalla eventuale esecuzione fino alla verifica degli effetti collaterali.
Si dà molta importanza alla formazione. Desidero dimostrare la sensibilità dei pediatri di famiglia alle vaccinazioni. Come voi sapete, attualmente vi sono molti circuiti telematici e forum di discussione proprio in ordine ai problemi vaccinali. Nei forum maggiormente ascoltati e seguiti dai pediatri, il 60 per cento delle questioni trattate riguardano il problema delle vaccinazioni. Quindi, si tratta di un tema sempre attuale e sempre nuovo e ciò fornisce la garanzia di come la categoria, in tal senso, ne sia coinvolta.
Due punti risultano problematici in questo tipo di percorso. Il piano nazionale dei vaccini, oltre a definire il nostro ruolo, a tutti i livelli, afferma che bisogna garantire un servizio orientato al cittadino e su base locale e che tutte le visite ed i contatti con il medico devono essere utili per controllare lo stato di vaccinazione e, all'occorrenza, vaccinare. Ciò perché i dati che avete rilevato dal progetto ICONA, o da altri, evidenziano una certa discordanza tra l'effetto desiderato come copertura vaccinale e il dato reale. In molte situazioni, ciò è legato al fatto che i pediatri di famiglia non sono coinvolti attivamente nella pratica vaccinale.
Vi illustro un esempio di due procedure diverse per affrontare un problema rispetto al quale, tra poco, uscirà il piano nazionale di eradicazione del morbillo e della rosolia, cui anche la dottoressa Salmaso ha accennato. Si tratta di due impostazioni diverse seguite dalla regione Toscana e dalla regione Sicilia. Tre anni fa, la regione Toscana emanò una sua direttiva per arrivare ad una copertura vaccinale del 95 per cento contro il morbillo, coinvolgendo esclusivamente i servizi di vaccinazione territoriali, cioè consultori e servizi di igiene pubblica, escludendoci completamente da ogni possibilità di integrazione delle strategie vaccinali. In Sicilia, si è operato in modo opposto. In Toscana, il tasso di copertura medio contro il morbillo e dell'83 per cento mentre, in Sicilia, è del 92 per cento. Questo significa che spesso c'è una incoerenza tra le prospettive adombrate correttamente e la possibilità di attuazione pratica.
Il pediatra di famiglia è stato citato già per altre funzioni che è bene sottolineare in questa sede. È stata affermata l'importanza di essere sentinelle nell'ambito delle malattie infettive. Non è stato ricordato che anche i pediatri di famiglia, in base all'accordo Stato-regioni del 2000, fanno parte della sorveglianza epidemiologica e virologica dell'influenza. Dislocati in tutte le regioni, essi concorrono a questo. Desidero ricordare che, due anni fa, il primo caso di influenza fu isolato a Milano proprio da un pediatra di famiglia che, dopo una diagnostica rapida nel proprio studio, confermò l'esame a livello virologico, rilevando così il primo caso della stagione invernale. Tuttavia, l'aspetto particolare è costituito da SPES, il servizio che, dal 1999, coinvolge 700 pediatri di famiglia, in forma gratuita, la cui attività, come è stato sottolineato, è stata determinante nel cogliere i primi segnali della epidemia di morbillo a Napoli ed in Campania, lo scorso anno. Andrebbe compiuta una riflessione un po' più particolare su questo.
Ci chiediamo come mai sia stato possibile attivare fondi, per quanto minimi, per l'influenza mentre per la promozione di questa attività di sentinelle, per questa attività molto particolare, importante e ad ampio raggio, non ci siano stati finanziamenti.
Posso dare un suggerimento aggiuntivo che, forse, può permetterci di guardare al futuro in modo diverso. Credo che un nostro ruolo, sempre più determinante, sarà nella sperimentazione clinica dei farmaci, ed in particolare dei vaccini in fase terza o in fase quarta.
Sapete che il decreto ministeriale del 10 maggio 2001 ha permesso anche ai pediatri di famiglia, formati ed accreditati secondo l'apposito percorso formativo, di


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partecipare in modo attivo alla sperimentazione farmacologica in fase terza e in fase quarta, cioè prima e dopo la messa in commercio, e il dopo non è altro che la farmacovigilanza e tutti gli effetti successivi.
Questa potrebbe essere una strada per poter far sì che, attraverso l'opera qualificata di questi colleghi, ci sia, in qualche modo, un tipo di riconoscimento che non sia solo la loro disponibilità per un atto di salute pubblica.
Come strategia, la nostra associazione si è strutturata proprio per dare risalto e visibilità alla volontà di un ruolo specifico, tanto che ci siamo articolati su una rete di referenti regionali e provinciali sulle vaccinazioni e stiamo spingendo perché ogni regione abbia una commissione regionale vaccini, nella quale siano coinvolti tutti gli attori delle vaccinazioni, anche per poter meglio programmare, progettare valutare tutte le indicazioni che possono venir fuori. A tal fine, abbiamo più volte richiesto al Ministero di far parte della commissione nazionale vaccini, ma, purtroppo, una risposta al riguardo non c'è stata. Questa è una realtà nella quale è preponderante la dimensione degli igienisti ma ci sembra che, invece, debba essere assicurata una coerenza di rapporto tra ruolo e competenze.
Per rispettare e venire incontro anche alle domande che tutti i nostri colleghi ci ponevano su come comportarsi nei confronti delle nuove vaccinazioni che sono state introdotte, abbiamo, in tempi rapidi e a valenza scientifica, promosso un primo calendario vaccinale della FIMP, che ha costituito una grande base di discussione a livello nazionale, perché ha fatto realmente rientrare in queste dinamiche il mondo pediatrico ed ha iniziato un percorso che può essere foriero di molti risultati.
Avete anche letto come siamo stati presenti, a livello di opinione pubblica, nell'ultima situazione collegata con la vaccinazione anti influenzale. Forse, varrebbe la pena sottolineare come, grazie anche al nostro intervento, sono cambiate molte posizioni al riguardo. Lo stesso ministro Sirchia che, all'inizio, aveva dichiarato di accettare l'indicazione dell'offerta di massa della vaccinazione rivolta a tutti, poi ha dovuto anche lui convenire che lo stato attuale non permetteva una situazione di tal genere.
Siamo interessati - e in questo senso ho portato con me alcuni dati che, anche se riferiti solamente ai fiorentini, credo siano importanti - al problema della copertura vaccinale degli immigrati o dei bambini non italiani. Uno dei grossi problemi a livello di conoscenza è capire se i servizi attualmente a disposizione garantiscano un livello ottimale di copertura.
Ho fatto fare una verifica da parte della mia azienda ASL di Firenze della situazione dei nati del 2000 residenti a Firenze, e emergono dati interessanti. Il campione preso a sorteggio, rappresentativo di tutta la popolazione, ha evidenziato tassi di copertura generale: per la polio il 93,3 per cento, per difto-tetano e pertosse il 93,1 per cento, per l'epatite B il 92,7 per cento, ed infine per MPR l'83,5 per cento.
Andando, però, a quantificare la differenza tra la presenza percentuale di stranieri all'interno dei cinque distretti in cui è articolata Firenze, si osserva un risultato molto interessante e cioè che maggiore è l'incidenza di stranieri nei distretti, minore il tasso di copertura; mentre la copertura media per le vaccinazioni dell'obbligo riguardo alla popolazione italiana - sempre riferita a Firenze - è il 97,2 per cento, per gli stranieri è il 73 per cento. Si tratta, quindi, di un'area grigia che andrebbe meglio sottolineata, da un punto di vista di natura complessiva.
Concludo ricordando, non essendo questo profilo ancora stato affrontato, che, se c'è un'eterogeneità a livello italiano, c'è anche una eterogeneità livello europeo. Parliamo molto d'Italia ma dobbiamo ricordarci anche dell'Europa e, a tale proposito, vi lascerò dati che dimostrano come la situazione in Europa sia molto articolata anche a questo livello.
Infine, in risposta ad un problema sollevato, la tendenza verso i vaccini che hanno più componenti all'interno è sicuramente un grosso vantaggio, perché facilita


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tutto il meccanismo e trascina anche le vaccinazioni raccomandate all'interno di circuiti che altrimenti non verrebbero sufficientemente garantiti.
Quindi, dal nostro punto di vista è una strada adatta fin dove è percorribile, anche perché, al di là della correttezza e della preparazione dei risultati, per la famiglia avere comunque meno interventi e meno atti invasivi costituisce anche un sollievo perché meno fastidi, anche per un atto preventivo, si danno ai bambini e meglio è.

PRESIDENTE. Vorrei fare alcune considerazioni, ringraziando innanzitutto i nostri ospiti, che hanno illustrato una serie di problemi che hanno riverberi incredibili sotto il profilo della responsabilità sia della «vittima» sia dell'operatore.
È chiaro che va fissato il concetto, per legge in parte già fissato, della responsabilità dell'ente pubblico, quale esso sia, che deve ovviamente intervenire di fronte ad un vaccino nocivo. Si pone poi un problema di responsabilità delle ditte farmaceutiche, del medico curante, del medico di famiglia, dal punto di vista sia penalistico sia civilistico.
Tutta questa materia va rivista nel suo complesso, definendo innanzitutto quale sarà il ruolo del garante per l'infanzia a livello nazionale, regionale e, se sarà definito, anche a livello provinciale, di fronte alla tutela dei parenti delle vittime.
È un panorama che apre una serie di problemi molto complessi, peraltro evocando temi che sono, a dir poco, incresciosi (entrare in ospedale per una piccola malattia e uscirne contaminato è una cosa che francamente fa venire i brividi). Occorre analizzare tutti i riferimenti legislativi, essendo una materia interdisciplinare che deve essere ricompresa nell'ambito delle competenze del Ministero della sanità e della Presidenza del Consiglio per quanto riguarda l'infanzia.
Termino con una battuta: ho voluto annotare la dichiarazione del dissenso informato e del consenso disinformato. Questo è un principio bipartisan: quando siamo all'opposizione probabilmente abbiamo il dissenso informato ed il consenso disinformato. Per ora tocca forse a noi la seconda parte, chissà se nel futuro muterà. Mi è comunque molto piaciuta perché il dissenso informato è un fatto serio, mentre il consenso disinformato talora non lo è.
Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Associandomi innanzitutto al ringraziamento della presidenza per la completezza dei due contributi, che si aggiungono a quelli già raccolti nelle prime tre settimane di lavoro nel corso dell'indagine conoscitiva, vorrei rivolgere alcune domande ai soggetti auditi.
In ciascuno dei due interventi, emerge, in modo diverso, il frazionamento delle responsabilità e dei luoghi della decisione. Questo è un problema che si pone continuamente. Infatti, già nel corso delle altre audizioni svolte - cui hanno partecipato due esperti ricercatori, uno pediatra, l'altro igienista, ed anche rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità - è emersa la difficoltà esistente nel nostro paese, la quale diventa preoccupante nel momento in cui l'Europa comincia a pensare in scala sovranazionale a questioni come questa, perché converrete e conveniamo che le malattie infettive non osservano il limite del confine dei territori comunali o dei distretti delle ASL.
Vorrei chiedere ai nostri ospiti la loro opinione, secondo la rispettiva esperienza, rispetto ad una questione che traspare anche dai vostri interventi. Interventi, ribadisco, assai diversi: l'uno, del medico responsabile della salute e della gestione della salute del bambino; l'altro, a nome di una associazione costituita tra persone colpite da un'esperienza dolorosissima quale quella, appunto, degli effetti avversi delle vaccinazioni. Ebbene, si tratta della politica vaccinale; come riferiva il presidente Tucci, le commissioni si pongono, ormai, solo a livello regionale e, quindi, abbiamo, lungo la penisola, a dir poco, 21 schemi - se consideriamo anche le province


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autonome - di approccio. Schemi non dico in contrapposizione tra loro, ma certamente diversi. Domando, quindi, se sia possibile avere un commento circa tale situazione; tengano loro conto, nelle risposte che daranno, del fatto che non spetta, in primis, al Parlamento - che oggi, attraverso questa sede, li ascolta - decidere. Non abbiamo responsabilità esecutive o di governo; scopo dell'indagine è raccogliere eventuali suggerimenti ed idee da offrire poi, conformemente al nostro ruolo, all'attenzione del Governo e degli altri organismi competenti.
La seconda questione che vorrei porre ad entrambi gli ospiti è la seguente; la signora Gatti ha elencato - leggerò poi il materiale che ha anticipato di voler lasciare alla nostra attenzione - una serie di dati epidemiologici; dati che riferisce essere in contrasto con quelli ufficiali forniti. Il dottor Tucci, dal canto suo, ha riferito dell'impegno che dura da anni - con riferimento ai diversi contratti dei pediatri di famiglia - a proposito del sistema di sorveglianza sentinella e via dicendo.
Un ulteriore elemento palesatosi nel corso dei nostri lavori - ormai, l'odierno è il terzo incontro di questa nostra indagine conoscitiva - è la difficoltà nel seguire la dinamica reale dei dati epidemiologici. Quindi già nel nostro paese emergono difficoltà come fatto culturale (naturalmente, mi riferisco all'intero territorio, dalle Alpi alla Sicilia) inerenti alla disponibilità a perdere quel minuto in più indispensabile per diffondere l'informazione; abbiamo sentito, poi, audendo i rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, che sussiste anche la preoccupazione di chi, in ipotesi, quel minuto in più lo vorrebbe spendere ma non sa, per esempio, dove mandare il fax. Dunque, emerge un paese che, diviso tra competenze regionali e statali, fa fatica a raccogliere dati ed informazioni così importanti; ma, soprattutto, emerge un paese nel quale, per gli operatori o, come nel caso di specie, per una associazione tra i familiari di vittime di effetti indesiderati o addirittura letali, è difficile leggere i dati per quelli che essi effettivamente sono. Dunque, mentre l'Europa, per così dire, si attrezza, addirittura con un equivalente dei CDC americani - con una specie di ufficio o di board epidemiologico a livello europeo - noi viviamo ancora una realtà ben diversa, di cui il Parlamento prende atto con queste nostre audizioni. Volevo, dunque, chiedervi se avete qualche suggerimento in proposito.
La terza domanda riguarda i bambini immigrati; si tratta di una questione cui, in parte, il dottor Tucci ha già risposto. Volevo rammentare che abbiamo deliberato questa indagine conoscitiva ponendo al centro del nostro interesse il problema malattie infettive, non le vaccinazioni. Naturalmente, queste ultime di quel problema costituiscono una parte preminente e ciò per le ragioni che il presidente riferiva nella sua introduzione e, altresì, per l'attenzione che suscitano nella pubblica opinione (peraltro, all'inizio dell'inverno, anche comprensibilmente). Noi abbiamo l'impressione - ma potremmo sbagliarci e, dunque, il Parlamento vuole ascoltare, nelle prossime settimane, le voci autorevoli di quanti saranno auditi - che, quando ad un bambino è fatta diagnosi o è posto un sospetto di malattia infettiva, si immagina che debba stare in un ambiente protetto. Ciò avviene logicamente nel caso della sospetta malattia o della malattia conclamata, per le stesse ragioni che muovono a fare, con le vaccinazioni, una prevenzione della malattia. Si tratta di tutelare la salute pubblica e, in primis, il bambino stesso affetto dalla malattia.
Al riguardo, vorremmo sapere quale sia la lettura oggi, nel paese, almeno per le realtà che voi rappresentate - dunque, in base all'esperienza della FIMP (il cui contatto con la pediatria ospedaliera e con il mondo degli ospedali è cresciuto in questi ultimi anni) e in base all'esperienza della signora Gatti e dell'associazione che rappresenta -, della ospedalizzazione. Vorremmo, altresì, sapere se non riteniate sia il caso di adoperarsi affinché, al di là di un miglioramento dei livelli qualitativi - e, dunque, di una umanizzazione dei centri di riferimento ospedalieri per i bambini


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affetti dalle malattie infettive o dalle conseguenze delle relative vaccinazioni -, si valorizzino alcuni centri che riterremo o che riterrete possano essere punti di riferimento; si tratta di un aspetto che possiamo approfondire in quanto siamo ancora in una fase iniziale dell'indagine conoscitiva.
Concludo, signor presidente, con un invito ai due auditi, senz'altro utile al lavoro che, insieme ai colleghi, abbiamo avviato: se nella riflessione delle prossime ore, al termine di questa audizione, immaginaste di potere condensare, naturalmente avendo ben presenti quali sono ruoli e le prerogative del Parlamento, tre o quattro proposte sulle quali poi la Commissione possa lavorare in modo, eventualmente, da tenerne conto nella redazione del documento finale (che, presumibilmente, faremo intorno a dicembre), ci fareste cosa molto gradita.

LUIGI GIACCO. Anch'io ringrazio i relatori, non solo per la loro competenza ma anche per la loro esperienza di vita; penso alla signora Gatti con la quale, ormai da diversi anni, ci incontriamo per dare una risposta a questi problemi. Quindi, la ringrazio per la sua tenacia e per la disponibilità ad affrontare questi temi anche quando, da parte delle istituzioni, non sono state date risposte corrette (del che mi faccio carico e sento, altresì, la responsabilità).
Ritengo sia importante quanto dianzi osservato dal collega De Franciscis; l'aiuto che possiamo darvi è riuscire, a livello legislativo, a dare alcuni punti di riferimento, fornendo così delle risposte alle vostre problematiche. Quindi, più voi ci segnalate quali sono le questioni, meglio potremo intervenire al riguardo, fermo restando che, con la riforma del titolo V della Costituzione, alcune delle competenze nel settore sono passate alle regioni. Tra l'altro, come lei sa molto bene, le previsioni della legge n. 210 del 1992 sono state regionalizzate; tutte le domande sono state trasferite in maniera formale dal Ministero della salute alla competenza delle regioni e ignoro il percorso che successivamente hanno seguito.
Sono d'accordo con la richiesta di dividere, pur nella consapevolezza di intervenire all'interno di un mondo che presenta una serie di difficoltà, i danneggiati da vaccino da quelli da trasfusione da emoderivati. Ciò costituirebbe un aspetto che potrebbe facilitare una serie di interventi successivi di cura per quanto riguarda i pazienti. Infatti, come veniva osservato, non si tratta soltanto di riconoscere il danno, ma è una vita che qualitativamente, purtroppo, diventa diversa, non solo per il bambino ma anche per la famiglia. Infatti, la famiglia ha una serie di incombenze di cui si deve fare carico; dico spesso, senza retorica: 24 ore al giorno per 365 giorni all'anno. Senza vacanze, neppure a Pasqua o a Natale; anzi, a volte, senza neanche la possibilità di ammalarsi in quanto, in tal caso, non si saprebbe a chi lasciare i figli. Quindi, è necessaria, da parte della comunità, una risposta in termini efficienti; certo, con le precedenti leggi, qualcosa si è previsto, ad esempio un riconoscimento, durante il periodo lavorativo, di un periodo di due anni per alcune facilitazioni. Anche da tale punto di vista, non si tratta solo di assicurare un intervento riabilitativo, protesico e quant'altro, pur necessario per il bambino che ha subito questo danno. Ciò è comunque necessario - quanto già osservato al riguardo mi pare sia importante - per tutelare la salute del resto della popolazione. Quindi, tutti gli altri cittadini dovrebbero essere riconoscenti nei confronti di questi perché anche grazie a loro molti altri evitano di ammalarsi.
Penso pertanto che nell'ipotesi di una riforma della legislazione, dovremmo distinguere il danno da vaccino da danni derivanti da altri tipi di situazioni e stabilire che tipo di intervento operare, sia per il riconoscimento della disabilità sia per individuare quali emolumenti economici siano necessari; che tipo di riabilitazione operare per questi soggetti e, infine, quale aiuto reale dare alle famiglie che,


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volenti o nolenti, al di là della riabilitazione e degli aiuti, devono comunque farsi carico di questi loro congiunti.
Un altro aspetto importante - ma penso sia stato già evidenziato - è la necessità di un osservatorio epidemiologico; che questo osservatorio epidemiologico sia a livello regionale o sia costituito presso il ministero, a mio avviso, alla fine, è poco importante. Però, è necessario che vi sia un osservatorio epidemiologico in modo tale che, poi, sommando i dati, o attraverso il ministero o attraverso le regioni, si possano effettuare i controlli necessari.
Anche da parte nostra, quindi sarebbe giusto incentivare, nelle regioni dove ciò non sia previsto, la possibilità che venga istituito un osservatorio epidemiologico; oggi parliamo dei vaccini, ma possiamo pensare anche agli anziani non autosufficienti o ad altri tipi di patologia. Penso perciò che tali interventi siano opportuni e vi ringrazio perché, dalle vostre relazioni, ho colto alcuni elementi che potrebbero darci spunti e orientamenti per una possibile proposta di legge o per altri tipi di intervento legislativo. Si deve, però, sempre tenere presente l'aspetto dianzi ricordato di una legislazione che ormai è concorrente tra Stato e regioni. Al riguardo, come legislatori, dobbiamo essere accorti per non invadere il terreno delle regioni e non originare, quindi, dei contenziosi.
Dobbiamo indicare dei criteri, come si fa per i LEA; come, poi, le prestazioni ed i servizi vengano effettuati, ciò sarà compito delle regioni. Di ciò, in Commissione, potremo discutere più dal punto di vista tecnico-giuridico ma si tratta, comunque, di una questione che deve essere tenuta presente.
Rinnovo agli ospiti il mio ringraziamento e concludo il mio intervento.

ANTONIO ROTONDO. Ringrazio la signora Gatti per la sua interessante relazione e, principalmente, per gli aspetti umani che ha voluto introdurre in questa audizione. Ho sempre reputato importantissimo, fondamentale il ruolo delle famiglie e degli utenti nell'affrontare le varie problematiche, in particolare quelle sanitarie. Nell'esperienza sanitaria abbiamo sempre visto che, laddove le associazioni di familiari e di malati hanno affrontato in prima persona e in maniera decisa le problematiche, abbiamo avuto i migliori risultati e, comunque, siamo stati in grado di poter risolvere alcuni dei tanti problemi che sono stati posti.
La questione delle vaccinazioni è uno degli aspetti più importanti e dolorosi. Infatti, si può sempre parlare di estrema esiguità di danni, ma il dramma che vive una famiglia in cui capita un problema di questo tipo è una delle cose che più devono interessare chi ha ruoli di responsabilità in questa società.
Vorrei sottolineare il problema delle statistiche già trattato in alcuni interventi. Lavorare sui numeri è fondamentale: può essere molto crudo e per certi aspetti odioso, ma non si può fare a meno di lavorare su questo ambito. Dato che sono fondamentali il metodo e la metodologia, come avete elaborato la serie di statistiche che danno i vostri risultati? Le istituzioni scientifiche, un nostro punto di riferimento, rivelano certi numeri ma sapevamo già prima - ed oggi ne abbiamo un'ulteriore conferma - che, invece, l'incidenza di effetti collaterali e di danni da vaccino sono superiori. Come avete verificato tale questione?
Condivido fortemente le argomentazioni sulla giusta valutazione delle risorse che devono essere presenti nel nostro Stato per la risoluzione o, comunque, per il problema dei danni subiti. Quindi, cercheremo di fare nostre le proposte che avete avanzato e quelle che vorrete darci in futuro per poter meglio definire questo aspetto. Purtroppo, sussiste la questione dell'estrema frammentazione e regionalizzazione del sistema sanitario. Il dottor Tucci ha parlato di processi vaccinatori che necessitano della forte interlocuzione dei tre attori (la famiglia, il pediatra e lo Stato o le regioni). Secondo me, l'anello debole di questo sistema è che, purtroppo, esiste un'eccessiva diversificazione di intervento e di valutazione del problema fra


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regione e regione. Sussiste, quindi, la necessità di individuare delle linee guida e di processi di costruzione di programmi di cui le regioni devono tenere conto. Non è possibile continuare ad avere trattamenti differenti per quanto riguarda sia il problema dei danni sia i programmi di vaccinazione.
Il dottor Tucci parlava prima della differente risposta fra le varie regioni e, poiché i virus e le malattie infettive non riconoscono tali confini, penso che la cosa migliore sia affrontare il problema in maniera unitaria. Anch'io sono convinto che il dissenso informato sia la metodica migliore, ma, comunque, mi preoccupa il modo in cui viene formulata la richiesta di adesione a tale dissenso. È fondamentale poter specificare con molta accuratezza, per non avere, poi, una ricaduta negativa sull'adesione alla vaccinazione.
Infine, in una società che va verso la multirazzialità, il problema dei bambini immigrati è sempre più emergente. Esistono patologie in cui, per l'apporto non positivo dei bambini immigrati, sia utile pensare ad altri tipi di vaccinazioni da estendere ai bambini italiani?

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi della Commissione per le loro precisazioni. Do ora la parola ai nostri ospiti per la loro replica.

NADIA GATTI, Presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino. Per quanto riguarda il diverso trattamento da regione a regione, abbiamo incontrato parecchi problemi. Partendo non tanto dal fattore vaccinazione ma dal trattamento dei dati dei danneggiati da vaccino, non riusciamo tuttora ad avere una risposta dalle regioni. Mentre prima avevamo come referente il Ministero della salute - per cui potevamo chiedere il numero delle pratiche arrivate, delle richieste di indennizzo e, come richiedeva la XII Commissione affari sociali, delle pratiche respinte per decorrenza dei termini - quindi si aveva un'idea approssimativa della situazione italiana, adesso dobbiamo chiedere alle regioni quante sono le pratiche in loro possesso.
Il più delle volte non ci viene risposto per dati non disponibili o perché non è possibile separarli. Oltretutto, è importante separare i danni da emotrasfusione e da vaccino perché la raccolta di dati viene sempre fatta incorporando i due danni: purtroppo, per vari motivi, andrebbero scissi ma in questo momento ciò non è possibile. Invece, per quanto riguarda la vaccinazione, sono d'accordo nel trovare una linea guida perché, se i nostri figli sono stati, purtroppo, utili alla società per evitare determinate malattie, nel momento in cui in Italia viene diversificato un sistema di vaccinazioni, si corre il rischio di avere una regione con una copertura altissima ed un'altra senza ma, come sappiamo, il virus può circolare tranquillamente.
Di conseguenza, nel momento in cui proponiamo una campagna per il morbillo, la parotite e la rosolia, con la Lombardia che copre il 95 per cento della popolazione infantile, la Sicilia il 97 per cento e la Campania il 2 per cento, quest'ultima è vanificata. Per cui, dal nostro punto di vista, è fondamentale avere un'omogeneità nelle linee guida.
Per quanto riguarda le richieste la situazione è la stessa perché, anche se si è applicata la devoluzione ad alcuni aspetti considerati dalla legge n. 210 del 1992, le regioni non sono tuttora in grado di definire i propri ambiti di competenza. Abbiamo chiesto da tempo un incontro con il presidente della regione Lombardia, Formigoni e ci è stato risposto che non sapevano se alcune richieste da noi presentate riguardassero questioni di loro competenza.
Tutto ciò, a due anni dalla devoluzione, ci preoccupa, perché non sappiamo chi è il nostro referente.

ROSSANA LIDIA BOLDI. Ma la devoluzione non è in atto.

LUIGI GIACCO. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del maggio 2001 ha stabilito che tutte le domande debbano passare dallo Stato alle regioni.


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ROSSANA LIDIA BOLDI. Ciò di cui parliamo è un fatto specifico.

NADIA GATTI, Presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino. Sì, io sto parlando di questo. Non sappiamo più a chi presentare le nostre richieste. Si tratta di un problema grosso, perché la nostra associazione ora deve trattare con 20 regioni e per fare ciò occorrono enormi risorse. Avere una linea guida per noi sarebbe fondamentale.
Il dottor Tucci ha parlato dell'importanza del pediatra nel rapporto con la famiglia. È vero che il genitore ascolta il pediatra, al quale si affida per sapere quali vaccinazioni il proprio figlio debba fare. Nella nostra bozza di piano di prevenzione chiediamo che siano svolte anamnesi precise dal pediatra. Abbiamo anche chiesto che sia realizzata una scheda che segua la mamma dal momento in cui è in gravidanza per sapere di quali patologie essa abbia sofferto, se vi siano stati problemi o se esistano questioni legate a malattie ereditarie, in modo che il pediatra abbia già informazioni su cui basarsi per valutare se sia il caso di vaccinare o se siano necessari esami più approfonditi e, qualora ritenga che il bambino possa aver avuto una reazione importante ad un vaccino, possa fermare il ciclo vaccinale. L'apporto del pediatra sarà fondamentale.

PIER LUIGI TUCCI, Presidente della Federazione italiana medici pediatri. La prima disomogeneità nel passaggio dallo Stato alle regioni riguarda i finanziamenti che ogni regione assegna alla prevenzione. Molte regioni sono decisamente al di sotto del valore orientativo del 5,5 per cento e all'interno di questa quota le vaccinazioni rappresentano una parte infinitesimale. Vi deve essere una scelta di campo da parte del sistema - qualunque esso sia - per la quale, nell'ambito di questi investimenti per la prevenzione, la vaccinazione sia l'investimento principale, perché, se non altro, ha sicuramente dimostrato nel rapporto costi benefici un risultato accettabile, conseguibile e valutabile.
Bisogna muoversi verso vaccinazioni nuove. Si è parlato delle gastroenteriti come la maggiore causa di ricovero e tra poco si arriverà al vaccino contro un virus responsabile di queste infezioni. Se non si giunge rapidamente a definire un percorso coordinato, avverrà che i finanziamenti per queste nuove immissioni saranno ridotti in funzione di altre priorità, che però non garantiscono lo stesso tipo di risultato. È sufficiente pensare a tutte le campagne di prevenzione sanitarie di cui soltanto alcune, come è stato dimostrato a livello internazionale, conducono a buoni risultati; spesso si promuovono campagne in cui si spende molto senza avere risultati. Si tratta di un primo livello culturale e di approccio, altrimenti si avrebbe un sistema autoreferenziale.
Inizialmente, quando la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione è stata approvata, una delle nostre principali preoccupazioni è stata che, anche nell'ambito delle prevenzione, vi fosse una eccessiva frammentazione. Essa è ora in parte superata, essendovi un tavolo di concertazione regioni-Governo che cerca, almeno per gli ambiti uniformemente accettati, di giungere ad un quid definito da applicare ufficialmente regione per regione. Ciò però non può andare contro situazioni specifiche regionali in cui vi possono essere realtà aggiuntive (come in Puglia per l'epatite A) che debbono essere messe in atto per tamponare soluzioni particolari. Avviene lo stesso in Europa, dove vi è un numero di vaccini uniformemente garantiti e si mantiene un plafond comune, anche se con calendari diversi o tipi di vaccini diversi. È difficile armonizzare le volontà con i soldi. Questo è il livello di partenza.
In Italia si parla molto di dati, ma questo concetto non ha lo stesso peso che nella cultura anglosassone. Noi stessi inondiamo di dati chi li richiede per motivi contrattuali, ma non abbiamo alcuna ricaduta; sembra quasi siano utilizzati per controllarci ma non per valutare come vada la salute della popolazione. Se ciò è già difficile per dati epidemiologici significativi, lo è ancora più in situazioni in cui,


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a monte, esistono problemi di definizione di «caso», mentre in altre situazioni si tratta di una semplificazione di procedure. Ho esperienze continue di solleciti, studi, proposte di utilizzare dati di ritorno rapidi, ma sembra di pretendere l'impossibile. Senza ciò cade tutto l'assetto programmatorio a livello regionale.
L'ospedalizzazione ci riguarda, anche se non da un punto di vista operativo, perché osserviamo le risposte dei nostri pazienti ricoverati in ordine ai problemi che possono incontrare. È stato giustamente ricordato che la Convenzione internazionale dei diritti all'infanzia obbliga eticamente lo Stato a fornire risposte coerenti a quanto sottoscritto ed applicato per legge. A livello pediatrico sono stati realizzati passi molto avanzati, ma rimangono ancora aree «grigie», come il fatto che non tutta la popolazione in età pediatrica, dalla nascita a 18 anni (mi preme sottolineare dalla nascita a 18 anni), non sia ricoverata all'interno di reparti pediatrici ed il fatto che le infezioni ospedaliere, intra ospedaliere, da contagio, soprattutto quando gli ambienti non sono idonei, rappresentino ancora una situazione abbastanza preoccupante.
C'è comunque molto da fare, anche perché, riducendosi l'ospedalizzazione a livello pediatrico, si potrebbero recuperare spazi, ambienti e modalità di vita quotidiana più affini alle esigenze del bambino e della sua famiglia.
Sulla necessità di istituire centri di eccellenza nell'ambito delle malattie infettive bisognerebbe stabilire cosa si intende per centri di eccellenza, perché ogni tipo di problema sanitario ha una sua epidemiologia e, conseguentemente, un bacino al quale si deve fare riferimento per stabilire la sua utilità. Non credo sia necessario pensare a dei centri per le malattie del bambino immigrato, sarebbe eticamente scorretto, perché non c'è alcuna necessità epidemiologica e sanitaria a loro giustificazione. In Italia non c'è alcuna necessità di allargare le vaccinazioni al di là di quelle già previste, anche nelle zone in cui sono più concentrati gli immigrati, anche perché i tipi di malattie che colpiscono gli immigrati in Italia non sono tanto diverse da quelle che la normalità dei bambini italiani contraggono. Andrebbe pertanto sgonfiato il problema sanitario degli immigrati, ricordandosi comunque che certe patologie particolari sono tipiche di certe aree e solo in questo senso vanno riconosciute.
Per quanto riguarda lo specialista in danni da vaccini, credo che il problema sia che tale figura non esiste; nel tempo, a seconda dei tipi di vaccini causa di particolari situazioni, può cambiare la tipologia eventuale di problemi, che poi per motivi medico-legali si possano identificare centri di questo genere può essere anche possibile. Le eventuali competenze specifiche dovrebbero essere comunque di natura genetica e immunitaria, anche se non si possono stabilire le competenze assolute che tale figura dovrebbe possedere.

ALESSANDRO DE FRANCISCIS. Per un doveroso chiarimento devo far presente che la domanda riguardante la questione dei bambini immigrati non faceva riferimento alla loro ospedalizzazione, ma era una domanda più larga: hanno bisogno i pediatri italiani di alcuni centri di riferimento, detti centri di eccellenza, sul tema delle malattie infettive, dove la quarantena sia fatta in ambienti sicuramente pediatrici e con uno staff pediatrico?
Inoltre, volevo sapere quanto il dottor Tucci conosca della realtà, purtroppo diffusa, del ricovero di bambini affetti da malattie infettive, ad esempio da meningite, nei reparti di malattie infettive e non in reparti pediatrici specifici.
Vorrei fare poi una proposta a ciascuna delle due realtà oggi rappresentate. Innanzitutto mi rivolgo alla FIMP, ma la stessa domanda la farò anche al nuovo presidente della Società italiana di pediatria, l'altra massima realtà che raccoglie i pediatri italiani. Sul calendario delle vaccinazioni esiste una grande disparità di vedute, a volte dovuta più ad una certa eleganza accademica che altro. Esiste un calendario proposto dall'Accademia americana di pediatria, uno proposto dalla


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Società italiana di pediatria, uno recente prodotto dalla Federazione italiana dei medici pediatri, un calendario del Governo, peraltro aggiornato, come è stato riferito dalla dottoressa Gatti, a proposito del cambio di vaccino per la poliomielite da Sabin a Salk; è possibile poi che nascano anche calendari regionali. Se la Commissione, alla fine dei suoi lavori, fosse orientata a chiedere che il calendario delle vaccinazioni rientri nel pacchetto Lea, sarebbe la FIMP, insieme anche alle altre realtà, disposta a lavorare nei prossimi mesi per favorire culturalmente questa idea?
All'associazione rappresentata qui dalla signora Gatti faccio invece un'altra richiesta di collaborazione. La vostra associazione sarebbe disposta, d'intesa con gli altri che hanno vissuto in Italia la questione delle malattie dovute alle vaccinazioni, ad aiutarci ad ottenere una definizione condivisa di danno da vaccinazione? Anche il dottor Tucci ha fatto prima riferimento alla difficoltà oggettiva di definire il nesso di causalità tra una somministrazione di dose vaccinale e gli effetti collaterali scaturiti dopo diversi anni, dovuto a virus lenti o latenti, che aprono contenziosi legali che vanno ben oltre il dato legislativo, come ricordato dal nostro presidente.

ROSSANA LIDIA BOLDI. Tanti anni fa, quando studiavo medicina, mi è stato insegnato che le vaccinazioni e l'isolamento erano i due metodi principali per combattere le malattie infettive, indipendentemente dall'ospedalizzazione, perché essa avviene soltanto nel caso che la malattia infettiva si manifesti con una sintomatologia virulenta particolarmente forte. Ho avuto l'impressione che le maglie dell'isolamento si siano enormemente allentate negli ultimi anni. Ricordo che quando ho avuto la varicella sono rimasta a casa quindici giorni; ai miei tempi quando si contraeva la scarlattina il caso veniva denunciato. Allora c'era ancora il medico provinciale che operava la disinfezione e mia figlia faceva le scuole elementari, mentre ora, secondo me con grande leggerezza, vedo che il medico rilascia il foglio di rientro oppure che spesso la scarlattina non viene denunciata perché tanto si prende l'antibiotico. Non sarebbe il caso di ripristinare anche questo tipo di linee guida?

PIER LUIGI TUCCI, Presidente della Federazione italiana medici pediatri. Inizio a rispondere dall'ultima domanda formulata.
Vi è una circolare ministeriale - mi sembra risalente a due o tre anni fa - che rimette in discussione tutta la situazione, ma è anche vero che, per fortuna, sappiamo di più riguardo alle malattie infettive ed ai tempi di contagio.
Quindi, al di là della situazione del singolo o delle esigenze sociali delle famiglie, che spingono per ottenere un giusto equilibrio tra esigenze soggettive ed oggettive, è necessario trovare una temperanza. Ricordiamoci che in molti casi il contagio è più forte prima della comparsa della malattia, per cui quando un bambino viene allontanato dalla scuola ha già contagiato gli altri.
Per la varicella anch'io sono stato due settimane a casa, ma, poiché i dati epidemiologici affermano che il massimo di tranquillità si rinviene quando tutte le croste si sono formate e non quando sono cadute, i tempi sono stati ridotti. Vi è un'indicazione (si tratta di linee-guida) dell'Accademia canadese di pediatria: per la varicella con poche vescicolette, si consente a far tornare il paziente a frequentare la comunità già dal quinto giorno. Stesso discorso può farsi per la scarlattina ed altre malattie.
Ciò serve non ad accentuare le preoccupazioni di diffusione di contagio, ma - essenzialmente - a far capire che certe situazioni sono gestibili in modo molto più scientifico. L'adattabilità, dopo tale fase, ai tempi e modi dipende dalle caratteristiche del bambino e dalle esigenze della famiglia.
Poiché si è detto - e tutti ne hanno convenuto - che la tutela della salute è responsabilità, in questo caso, dei genitori, ad essi spetta la decisione definitiva


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circa il rientro del loro bambino nella comunità.
Rispondendo alla domanda dell'onorevole De Franciscis, affermo che noi siamo molto favorevoli. Uno degli obiettivi del calendario è sollevare il problema a livello pediatrico - non può trattarsi di una realtà fuori da tale tipo di impostazione - e cercare, soprattutto, l'omogeneità concordata tra tutti i tipi di impostazione. All'estero i calendari sono annuali, proprio perché vi possono essere delle variazioni di opportunità o necessità che ne consiglino la modifica. In Italia vi è stata un accrescimento della rapidità rispetto alle impostazioni operate negli scorsi decenni, ma si riscontra ancora una certa lentezza rispetto alle necessità epidemiologiche e della collettività.

NADIA GATTI, Presidente del Coordinamento nazionale danneggiati da vaccino. Rispondo anch'io alla domanda dell'onorevole De Franciscis. Sì, noi siamo disponibili a collaborare con voi, anche perché il problema del riconoscimento del danno da vaccino è abbastanza complesso.
Attualmente, anche per i medici, è difficile riuscire a riconoscerlo, proprio per la lentezza con cui, in alcuni casi, può svolgersi la reazione avversa. Ciò che noi abbiamo chiesto è riuscire a raccogliere in modo completo qualsiasi tipo di reazione avvenga successivamente. Fino ad ora, alcune reazioni sono state scartate come «banali». In precedenza, abbiamo sentito parlare di reazioni di poco conto. Il problema è riuscire a capire se tali reazioni di poco conto siano in grado di scatenare, più in là nel tempo, reazioni diverse. Una seria raccolta di dati, in tal senso, faciliterebbe tutti.
Come associazione, stiamo il più possibile raccogliendo, anche sul sito Internet, e con la collaborazione delle altre associazioni, le denunce o, comunque, le richieste di aiuto di alcuni genitori. Noi ci limitiamo a raccogliere i dati, senza formulare ipotesi.
In questa ricerca chiediamo aiuto anche ai medici. Chiediamo, in particolare, di non scartare a priori ciò che a loro potrebbe sembrare un effetto banale, poiché, come diceva anche il professor Zanetti nella riunione in commissione di prevenzione della regione Lombardia, potrebbero esservi duemila effetti considerati banali ed un effetto serio; perciò andrebbero considerati anche i duemila effetti uguali e banali che si sono verificati successivamente, al fine di accertarsi che magari venti, trenta, quaranta o cento di essi hanno determinato ancora reazioni diverse.

PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti per il quadro chiarissimo che ci hanno fornito e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.

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