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Seduta del 10/7/2003


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Audizione di rappresentanti dell'Ente Istituto La Casa, dell'Associazione F&M (Famiglia e Minori), dell'Associazione di volontariato NOVA (nuovi orizzonti per vivere l'adozione), di Rete Speranza e dell'Associazione Senza Frontiere.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su adozioni e affidamento, l'audizione di rappresentanti dell'Ente Istituto La Casa, dell'Associazione F&M (Famiglia e Minori), dell'Associazione di volontariato NOVA (nuovi orizzonti per vivere l'adozione), di Rete Speranza, dell'Associazione Senza Frontiere. Ringrazio anche i rappresentanti delle associazioni I Cinque Pani e AMI (Amici missioni indiane), anch'essi oggi presenti.
Ringrazio i rappresentanti delle associazioni e degli enti presenti e mi scuso con loro, ma i lavori dell'Assemblea si sono protratti più del previsto e riprenderanno tra non molto.
Chiedo ai rappresentanti degli enti di soffermarsi su alcuni punti fondamentali: quali sono le difficoltà che ancora incontrano, quali suggerimenti propongono in merito sia al regolamento sia all'azione che la Commissione può sollecitare presso il Ministero degli affari esteri e presso la stessa Commissione centrale. Sono per noi infatti molto importanti eventuali dati che possiate fornire.
Do ora la parola ai rappresentanti degli enti.

DANIELA CAMPANA, Rappresentante dell'Ente Istituto La Casa. Prendendo come riferimento la legge n. 476 del 1998, e a fronte della nostra esperienza, possiamo segnalare alcuni punti maggiormente problematici. Il primo è l'opportunità di fornire ulteriore sostegno, con ampliamento di organico e spazio politico, alla Commissione centrale, di cui si riconosce la validità e la positività dell'esperienza, affinché possa adempiere le proprie funzioni in modo congruo.
Il secondo punto è la necessità di riconoscere la funzione degli enti autorizzati sostenendone l'impegno nel quadro degli interventi pubblici e di favorire un coordinamento tra di loro, pur nel rispetto delle proprie diversità, per la più efficace realizzazione degli obiettivi comuni. Uniformare l'attività degli enti a stessi parametri potrebbe permettere di lavorare meglio.
Il terzo punto riguarda le difficoltà che incontriamo nell'applicazione dei protocolli regionali, differenziandosi oltre misura l'uno dall'altro: l'Istituto La Casa opera su tutto il territorio nazionale e spesso incontra difficoltà nell'organizzazione interna dell'ente in relazione alle differenze dei protocolli delle varie regioni.


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Il quarto punto riguarda il bisogno di trovare all'estero, nelle ambasciate e nei consolati, migliore collaborazione e supporto. In alcuni paesi il peso della burocrazia è un ostacolo alla collaborazione. Ad esempio, per quanto riguarda il visto di entrata si prevede una procedura che allunga molto i tempi di attesa delle coppie.
Il quinto punto che reputiamo importante è l'opportunità di avviare convenzioni o accordi bilaterali con i paesi di origine dei bambini, a garanzia ed applicazione della Convenzione dell'Aia e dei diritti dei minori. I paesi dell'America latina con cui operiamo hanno riconosciuto e ratificato i principi della Convenzione, ma le lentezze burocratiche rendono talvolta improponibile e gravosa l'adozione. I tempi sono molto lunghi. Ad esempio, per il Brasile vi sono 60 giorni di attesa (ciò significa che una coppia deve risiedere in questo Stato 60 giorni), 45 in Cile ed in Bolivia. In quest'ultimo paese già esiste una convenzione, un accordo bilaterale, ma non si è riusciti ad abbreviare i tempi, che dovrebbero essere al massimo 30 giorni.
Questi sono i punti che ho toccato in maniera estremamente rapida dato il poco tempo. Rimango comunque a disposizione per eventuali domande.

MATILDE AZZACCONI, Rappresentante dell'associazione F&M (Famiglia e Minori). Ho diviso la relazione in parti riguardanti paesi che hanno o meno ratificato la Convenzione dell'Aia, paesi che prevedono o meno l'accreditamento obbligatorio dell'ente italiano presso l'autorità straniera, quale sia la procedura e quali siano gli enti autorizzati dalla Commissione italiana per ogni paese, dato che ciò spesso interferisce nelle procedure di adozione e nell'abbinamento con i bambini.
La Bolivia soltanto recentemente ha ratificato la Convenzione, nel febbraio 2003. Questo paese prevede obbligatoriamente l'accreditamento degli enti autorizzati e la procedura per l'accreditamento è estremamente lunga (quella ancora in corso per la nostra associazione dura da circa due anni).
Gli enti autorizzati dall'Italia per la Bolivia sono dieci. I bambini adottabili vanno da zero a sei anni e non vi sono notizie molto precise durante la fase dell'abbinamento. Si tratta di un punto da rivedere. Le autorità forniscono, al massimo, poche notizie sul bambino, non esaurienti, per cui la coppia si fida e va alla scoperta del bambino.
La Bulgaria ha aderito alla Convenzione dell'Aia nel 2002, ma non l'ha ancora ratificata. Attualmente sta redigendo una nuova legge sulle adozioni, per cui le stesse sono momentaneamente bloccate. Sono portate a completamento solo quelle già avviate, fino allo scorso anno. Si tratta di una procedura lunghissima e le coppie in attesa divengono molto impazienti. I bambini sono adottabili dopo il primo anno di vita e sono di razza mista, nella maggioranza di origine Rom.
Per quanto riguarda il Camerun, abbiamo proposto una serie di quesiti alla nostra Commissione, all'ambasciata d'Italia a Douala ed a quella del Camerun a Roma, perché siamo in presenza di una legge sulle adozioni internazionali incomprensibile. Non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta significativa per poter iniziare un'adozione in Camerun.
Il Cile ha aderito alla Convenzione dell'Aia nel 1999. I bambini sono di doppia razza, indios-meticcia ed ispanica, la procedura è abbastanza lunga e complessa: è obbligatorio l'accreditamento dell'ente italiano e, spesso, i tempi sono molto dilatati.
La Colombia è uno dei paesi dell'America latina di più antica tradizione per le adozioni internazionali. Ha ratificato l'accordo dell'Aia nel 1996. Si tratta di uno dei paesi in cui il sistema funziona meglio poiché ha un istituto pubblico, l'ICBF, Istituto Colombiano di Bienestar Familiar, che ha delegato altri otto privati: ogni ente italiano può accreditarsi presso tutti gli enti. I bambini sono moltissimi. È l'unico paese che dà in adozione bambini dall'età di trenta giorni in poi. L'opposizione all'adozione non è prevista: automaticamente


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la madre che abbandona il bambino e non lo riconosce alla nascita dispone soltanto di trenta giorni di tempo per il riconoscimento, al trentunesimo giorno il bambino è dichiarato adottabile per gli stranieri. Le domande in Colombia sono moltissime e provengono da quasi tutti i paesi del mondo, molti dei quali appartengono al nord Europa. Le associazioni italiane autorizzate per la Colombia sono 18, tutte accreditate.
La Polonia è l'equivalente della Colombia in Europa perché è il paese europeo di più antica tradizione in materia di adozioni. Ha ratificato la Convenzione dell'Aia nel 1995. In Polonia esistono un istituto pubblico per le adozioni e due centri privati, uno di tipo cattolico, l'altro laico. Essi lavorano alla pari. Bisogna avere l'accreditamento presso ognuno degli istituti per poter operare con loro. Presso il centro religioso è obbligatorio il matrimonio cattolico; presso gli altri due centri, il pubblico ed il laico, è sufficiente quello civile.
In Polonia sta accadendo che alle coppie straniere sono dati in adozione bambini molto grandi e, molto spesso, con problemi. Si rischia che l'adozione diventi fallimentare qualora il bambino non sia ben preparato all'adozione stessa o che la famiglia italiana abbia bisogno di un supplemento di preparazione all'adozione, proprio perché si tratta di bambini grandicelli, molti dei quali sono già venuti in Italia per le vacanze estive. Quindi il bambino confonde l'adozione e la famiglia definitiva solo con piaceri e non anche doveri, come se fosse sempre in vacanza, dove tutto gli è permesso. Ciò può creare dei problemi nell'inserimento nella famiglia.
In Polonia sono obbligatori tre viaggi per l'adozione. Il primo, di tre giorni, per la conoscenza del bambino. Il secondo, di due settimane, per la convivenza con il bambino; in esso, spesso, si presentano problemi. Ultimamente, abbiamo avuto due coppie che, al secondo viaggio, hanno rinunciato all'adozione, perché si è scoperto che il bambino presentava alcune caratterialità, non previste nelle schede sanitarie e perché nel periodo della convivenza si sono verificati problemi insuperabili. Si è pertanto reso consigliabile interrompere l'adozione e tornare a casa.
Con i bambini piccoli è molto frequente che, dopo che la coppia italiana ha fatto il primo viaggio, ed anche se è stata già emessa la sentenza di adozione, qualora una famiglia polacca faccia domanda di adozione per lo stesso bambino, egli va di diritto alla famiglia polacca. La legge polacca privilegia, infatti, le adozioni nazionali. La coppia italiana torna in Italia senza bambino, vivendo come un lutto la mancata adozione ed aspettando una seconda proposta di abbinamento.
La Slovacchia ha aderito alla Convenzione dell'Aia nel 2001. Ha sottoscritto patti bilaterali ed un protocollo di intesa con la Commissione italiana, a fine aprile 2003. Tutti i bambini dati in adozione agli italiani sono di origine zingara e sono definiti «orfani di genitori viventi», ossia di genitori decaduti dalla potestà genitoriale. I bambini sono moltissimi e sono adottabili dopo che hanno compiuto i due anni e sono in buone condizioni di salute.
Per quanto riguarda l'Ucraina, essendo rientrata ieri sera da Kiev, dispongo di notizie recentissime. In circa un anno sono cambiati tre direttori al centro adozioni di Kiev. L'Ucraina sta redigendo la legge sulle adozioni internazionali. L'ultimo direttore ha cambiato nuovamente le regole sulle procedure di adozione.
Credo che sia molto urgente stipulare un protocollo di intesa con l'Ucraina, per evitare che si possano ripetere i fatti spiacevoli che sono avvenuti negli anni precedenti.
I documenti in Ucraina hanno validità di un anno, compreso il decreto del tribunale per i minorenni e la relazione sociale, mentre per la nostra legge l'incarico dato dalla coppia vale per l'intera procedura. Dobbiamo far scrivere dalla Commissione adozioni delle dichiarazioni sulla validità del decreto e della relazione sociale. I documenti, dopo essere stati tradotti e legalizzati, sono portati alla nostra ambasciata a Kiev, dove attualmente non è ancora presente il funzionario


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italiano dell'ufficio adozioni, ma solo una signora ucraina, la quale ricopre tale incarico pro tempore. L'ambasciata italiana controlla la validità dei documenti e rilascia il suo nulla osta e la pratica è depositata al centro adozioni. Entro trenta giorni, il giurista del centro controlla i documenti e verifica se essi sono in regola secondo la procedura ucraina, poi attribuisce il numero di protocollo. Se i documenti non sono in regola, restituisce la pratica al referente, il quale la completa e la deposita nuovamente. Dopo l'attribuzione del numero di protocollo, la coppia italiana inoltra una sua domanda, indicando una data nella quale vuole essere ricevuta dal centro.
Il direttore del centro si riserva di accettare tale data e qualora la rifiutasse ne propone un'altra, che deve essere inviata alla coppia. La coppia deve fornire la propria adesione ed in questo modo si fissa l'appuntamento. Aver fissato l'appuntamento, però, non significa che in quel giorno il bambino previsto dai limiti del decreto italiano, indicato dalla coppia, sia presente. Perciò la coppia potrebbe recarsi a Kiev, soggiornarvi una settimana, recarsi tutti i giorni al centro adozioni, ma non trovare mai il bambino indicato oppure accettare un bambino che sia diverso dai limiti previsti dal decreto italiano. In questo caso dovrebbe essere modificato il decreto del tribunale per i minorenni italiani, anche se non sempre ciò è possibile, data la rigidità di alcuni tribunali.
Vorrei sottolineare una raccomandazione per i tribunali italiani. I decreti dovrebbero essere il più possibile «aperti» nei confronti della coppia; ogni tribunale, anziché emanare decreti, di fatto impossibili all'attuazione, dovrebbe indicare la idoneità o meno all'adozione, anche temporanea, della coppia. Ho conosciuto coppie con decreti del tribunale che indicavano l'idoneità all'adozione di un minore da zero a quattro mesi, di sesso femminile, di razza europea. Abbiamo detto loro che ciò era impossibile e li abbiamo invitati a chiedere una modifica del decreto presso il tribunale. Il secondo decreto prevedeva l'idoneità ad adottare un bambino da zero a sei mesi. La coppia ha dovuto fare ricorso in appello (pagando obbligatoriamente un avvocato) per avere l'idoneità all'adozione di un bambino da zero a tre anni. L'attesa per avere un bambino di questa età è di circa due anni. Adottare bambini al di sotto dei due anni è praticamente impossibile.
L'Ungheria è un altro paese estremamente difficile in cui lavorare; non ha ratificato la Convenzione dell'Aia; non prevede l'accreditamento obbligatorio degli enti, ma lo richiede. Dopo che si era stati accettati dall'autorità straniera, mi sono recata due volte a Budapest. A giugno, mi è stato detto che stava per essere approvata una legge sulle adozioni che avrebbe accorciato i tempi dell'adottabilità del bambino; pertanto sarebbe uscito un nuovo elenco di bambini adottabili dai due anni in poi. A metà luglio ciò non è ancora avvenuto. È molto difficile adottare; i bambini sono grandi e tutti di origine rom. La procedura è molto lunga, perché l'abbinamento deve essere proposto dall'autorità centrale - la banca dati nazionale -, inviato all'autorità regionale, che deve fornire il proprio consenso, che ritorna all'autorità centrale, il quale lo trasmette a noi. Abbiamo una coppia che ha dato la disponibilità all'adozione di bambini maggiori di dieci anni (quelle che definiamo adozioni facili) e siamo in attesa, da tre mesi, che il direttore dell'istituto regionale dia il proprio consenso. Un'altra coppia ha aspettato nove mesi, dopo aver dato il consenso all'adozione di due sorelle di sei e otto anni; nel frattempo, ha avuto un proprio figlio ed ha rinunciato all'adozione internazionale.
Il Venezuela ha leggi estremamente favorevoli sul piano teorico, ma non di fatto. Poche settimane fa sono stata a Caracas e sono tornata sconvolta. Gli enti autorizzati non sono accettati, anche se la domanda di accreditamento è richiesta (la domanda di accreditamento prevede una spesa di circa mille dollari tra traduzione e legalizzazione) e deve essere presentata presso i due uffici competenti. Siamo in attesa, dal settembre dell'anno passato, di una risposta per l'accettazione dell'Ente.


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Ho visitato con una persona del posto, un sacerdote, i barrios di Caracas, il quartiere più malfamato e periferico ed ho visto moltissimi bambini sui marciapiedi; eppure non esiste un censimento di infanzia abbandonata, né di bambini in stato di abbandono e non esistono le adozioni nazionali né quelle internazionali. Ho avuto contatti sia con magistrati, sia con un'associazione, l'unica esistente sul territorio, che si chiama pro adociones ed è costituita da famiglie adottive venezuelane che per adottare sono andate in Colombia. Hanno detto che la media delle adozioni in un anno è di circa quattro o cinque. Ho parlato con rappresentanti dell'ambasciata d'Italia e del consolato d'Italia a Caracas, che aspettano una relazione per intervenire in maniera ufficiale.

SILVANO ROTA, Presidente dell'associazione Rete Speranza. Posso portare la positività della nostra esperienza in Brasile, in particolar modo nello Stato del Paranà. Eravamo preparati alla Convenzione dell'Aja, dato che lavoravamo in quel modo prima ancora della sua approvazione. Lo Stato del Paranà è stato il primo in Brasile a creare una commissione giudiziaria per le adozioni; la Convenzione ha dato un impulso affinché si migliori la ricerca sui dati dei bambini, che da zero a quattro anni sono considerati «neonati», nel senso delle adozioni, che spettano per principio alle coppie brasiliane. In 15 anni abbiamo realizzato 522 adozioni, mentre ne abbiamo in corso 22 riguardanti il primo semestre del 2003.
Un'altra esperienza estremamente recente, sulla quale quindi è difficile esprimere un giudizio, riguarda la Bielorussia, con cui esistono alcuni problemi.
Il primo obiettivo della nostra associazione è lavorare sul territorio. Ci occupiamo di adozioni, ma per statuto la nostra regola è soprattutto aiutare i bambini sul posto. Lavoriamo quindi molto sul piano della cooperazione; abbiamo una scuola professionale nella quale in dieci anni si sono diplomati gratuitamente quasi quattromila ragazzi. La nostra speranza è evitare le adozioni; i bambini abbandonati sono molti, ma non tutti sono adottabili e bisognerebbe avere maggiore appoggio per incrementare il lavoro sul territorio onde evitare tali situazioni. Certo, non è facile. I numeri sono veramente grandi e tanti, tuttavia, crediamo molto in questo tipo di intervento (che ci vede un po' in prima linea) in merito all'operatività sul posto.
Permettetemi di ripetere che con il Brasile non abbiamo alcun problema, né l'abbiamo con l'ambasciata e il consolato italiani, anzi, vi è un rapporto di lavoro e di cordialità veramente incredibile (tutto ciò rientra in 15 anni di solidi rapporti lavorativi che non sono mai venuti meno). Francamente, quindi, posso solo parlare bene del Brasile.
Per quanto riguarda i tempi, è vero che per legge brasiliana servono 30 o 35 giorni (che, secondo me, comunque, non sono assolutamente tanti). Il primo passo di ogni adozione avviene, a mio avviso, proprio in questa fase. Anche se ogni Stato ha le sue leggi, in quello del Paranà vi sono tempi che vanno dai 30 ai 35 giorni (si arriva fino a 45 per la documentazione ed il rilascio dei vari permessi e visti). Ovviamente, si tratta di tempi che una coppia conosce bene già prima di partire (anche se poi ci si lamenta sempre per un giorno o due in più).
A questo proposito, non intendo muovere alcuna accusa alla Commissione (la quale, forse, sta lavorando in mancanza di personale), però, ultimamente ci siamo accorti che quei soliti due, tre o quattro giorni in più, dipendono proprio dalla mancata apposizione (da parte della Commissione) del visto per il rientro del minore. Quindi, anche a questo riguardo, forse si dovrebbe tentare di fare qualcosa per evitare che sia solo il presidente a potere apporre la firma. Una volta che la documentazione arriva e tutto risulta in ordine, ci si ferma sempre laddove manca la firma finale del presidente. Questo è forse l'unico neo esistente nel percorso che riguarda l'adozione in Brasile.
Per quanto riguarda la Bielorussia, possiamo dire ancora molto poco perché quando stavamo iniziando tutto si è bloccato e ci è stato posto uno stop. Speriamo


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che quanto prima la situazione si possa sbloccare per poter iniziare ad operare.
Infine, vorrei segnalare che, secondo noi, è cambiata la mentalità delle coppie nell'approccio all'adozione. Non so dire che cosa sia stato, né so dire se adesso esse si sentano teoricamente più tutelate (perché è subentrata la Commissione), tuttavia, è aumentato il tasso di «arroganza» da parte delle famiglie, nel senso che, molto spesso, riscontriamo una sorta di tassatività nell'essere autorizzati ad adottare. Tuttavia, noi non siamo giudici, né vorremmo mai fare il loro lavoro; ma ritengo che ci spetti di diritto il compito, perlomeno, di valutare ed essere sicuri di essere sulla buona strada (poi, come tutti sanno, non tutte le ciambelle riescono col buco... Quasi sempre, infatti, dopo l'adozione, perdiamo di vista queste coppie e, pur avendo lavorato sull'aspetto della preparazione e della formazione, su quello relativo allo «stare insieme» e alla comunicazione, alla fine, una volta risolti i loro problemi, si tende a tagliare i ponti con l'associazione. Tutto ciò, però, non è un bene, perché dopo tre, quattro o cinque anni, quando cominciano veramente i primi problemi (quando poi si verifica il boom nell'accoppiamento bimbo-coppia) ci sentiamo rinfacciare che dovevamo essere più vicini e di maggiore aiuto, ma sono le coppie che spariscono non noi: siamo nell'impossibilità di agire e di fare in modo che le coppie restino un po' più legate con coloro i quali hanno inizialmente condiviso un percorso.
Questo è un dettaglio che bisogna valutare: una volta risolto il problema, la coppia tende a perdere i contatti con noi. Per questo, nell'arco dell'anno, organizziamo almeno cinque, sei o sette incontri (feste brasiliane) proprio per dare la possibilità a queste coppie di ritrovarsi, ai bambini di rivedersi e stare insieme. Nella prima fase, subito dopo l'adozione, si manifesta un certo allontanamento mentre poi, nel tempo, ci si accorge magari che è un bene (ed è utile) tornare a riconsiderare i passi iniziali intrapresi insieme; in quel caso, allora, quando qualcuno ritorna, si collabora un po' di più. Per il resto, possiamo solo essere contenti di come vanno le cose.

SILVANO CALDANA, Rappresentante dell'AMI (Amici missioni indiane). Se posso fare una considerazione generale sull'attività svolta finora insieme agli enti, sia dalla Commissione, sia dalla Commissione parlamentare per l'infanzia, direi che, anche in considerazione del programma di massima relativo all'indagine conoscitiva sulle adozioni e l'affidamento, si sta imboccando una strada corretta, prima non evidenziata.
Purtroppo, a mio avviso, il coordinamento fra servizi sociali, tribunali e quant'altro non esiste e, laddove vi è un coordinamento fattivo (operiamo in tutta Italia) si tratta di un miracolo! Manca infatti l'informazione. Alcune ambasciate d'Italia all'estero non sanno nulla di adozioni internazionali e non parlo delle sole ambasciate in Colombia, Brasile o altrove, dove operiamo, ma di tanti altri paesi nel mondo dove dovremmo andare, ma nei quali non riusciamo ad operare perché il personale d'ambasciata non sa di cosa ci occupiamo o cosa facciamo. Penso, per esempio, a tutta l'Africa e ad altri paesi dell'est asiatico. Quindi, anche a questo riguardo, dovrebbe essere attuata una certa informazione presso le ambasciate.
I casi del tribunale di Firenze non costituiscono fatti sporadici che appartengono al solo tribunale di Firenze. C'è una grande mancanza d'informazione e, dal mio punto di vista, una volontà da parte dei tribunali di indicare lo stato di forza nel quale si trovano: sono loro a decidere, per tutti noi e, probabilmente, continuerà ad essere così.
Non da ultimo, per quanto riguarda i convegni organizzati dalla Commissione insieme all'Istituto degli innocenti, ricordo che, per esempio, i tribunali non sono stati presenti, se pur convocati ed invitati, né lo sono stati i rappresentanti delle ASL, seppure convocati ed invitati.
L'ente che rappresento non si occupa solo di adozioni internazionali poiché, anche se trattiamo qualche adozione, il nostro


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campo è soprattutto quello degli aiuti. Il mio augurio e la mia sollecitazione è che questa Commissione parlamentare cominci a spingere in tal senso per cui anche gli enti riconosciuti dovrebbero ricorrere ad un'adozione quale ultima sponda per salvare un minore in stato di abbandono.
Probabilmente, purtroppo, ci sono enti che operano troppo verso l'ultima frontiera senza intervenire nei paesi dove c'è invece il bisogno di aiutare i bambini per farli rimanere a casa loro.
Ritengo che l'intento di un ente come il nostro consista proprio nel permettere a tutti questi bambini di rimanere nel loro paese, e tal fine dovremmo operare. Questo è il dovere di chi deve informare il prossimo: bisogna finalizzare l'informazione verso quest'ottica.

CHIARA BENCINI, Rappresentante dell'associazione I Cinque Pani. Non posso che ribadire ciò che è già stato detto.
Per quanto riguarda i tribunali per i minorenni, come Cinque Pani, possiamo operare nell'intero territorio nazionale. Con alcuni tribunali lavoriamo molto bene. Avendo la sede a Prato, lavoriamo principalmente per il tribunale per i minorenni di Firenze, con cui è impossibile operare, perché la mancanza di dialogo è totale. La Corte d'appello di Firenze è assai contrariata verso il tribunale per i minorenni perché l'80 per cento delle coppie ricorre in appello e quindi la stessa Corte si è vista triplicare lavoro. Penso sarebbe più giusto dichiarare non idonee più coppie ma, allo stesso tempo, per quelle che sono dichiarate tali, ottenere il decreto di possibile attuazione.
Si pongono, poi, problemi con l'ambasciata polacca a Roma, da quando è cambiato il console. Due settimane fa ho avuto una discussione con lui, per telefono. Impiega quindici o venti giorni a legalizzare i documenti delle coppie, chiedendo cifre incredibili. Il consolato polacco di Milano non chiede tali cifre.

MATILDE AZZACCONI, Rappresentante di F&M (Famiglia e Minori). È il più costoso dei consolati!

CHIARA BENCINI, Rappresentante dell'associazione I Cinque Pani. Non solo; tutte le volte che dalla Polonia domandano un aggiornamento, devono rivedere tutto il fascicolo. È un fatto impensabile. Vi sono, poi, tempi tecnici spropositati. Una coppia sta partendo dopo aver già fatto il primo viaggio, eppure mi è stato risposto: sono tempi tecnici, ci vorranno almeno dieci giorni.
Per quanto riguarda i paesi esteri, attualmente lavoriamo con il Brasile, la Colombia, la Polonia, il Perù e, da poco, le Filippine.
Per il Brasile non ci sono particolari problemi, a parte il soggiorno più lungo, quarantacinque-cinquanta giorni.
La Colombia va bene, nel senso che è uno dei paesi che sta lavorando meglio. I documenti dei bambini sono attendibili, completi; gli uffici mandano una documentazione molto ricca.
Per la Polonia confermo ciò che ha detto la collega di Famiglia e Minori. Vi sono questi tre viaggi, secondo me assolutamente allucinanti, perché il bambino che rivive l'abbandono vede arrivare i genitori e, subito dopo, li vede andare via. Si tratta, poi, di bambini molto grandi e, spesso, con problemi non segnalati. Sono bambini impegnativi, con problemi che si manifestano scuola.
Nessuno degli enti qui rappresentati lavora con il Perù. La presidente Cavallo ne è a conoscenza, vi è già stato un incontro a Milano, il 9 giugno, con il rappresentante del Perù, dottor Petrovich. L'autorità centrale del Perù, un anno fa, si è autosospesa. Da Promudeh è cambiata in Mimdes, sono cambiati tutti i rappresentanti all'interno dell'autorità centrale. Essa ha riaperto, qualche mese fa, le adozioni. Sembrava che tutto andasse bene, invece non va bene nulla. Il Perù, come molti paesi dell'America latina, quando la coppia manda i documenti, la dichiara idonea. Tutte le coppie sono state dichiarate idonee, sono in lista d'attesa, ma è da tre anni che aspettano. A parità di pratica, il Perù effettua un sorteggio, cui possono andare due o tre coppie. Da un anno, ogni due o tre mesi è emanata una lista, che è chiamata


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lista di campagne di sensibilizzazione. A tale lista accedono bambini con «problemi», cioè bambini grandi o gruppi di fratelli o bambini con handicap. La lista è distribuita a tutti i paesi che lavorano con il Perù e, quindi, quando arriva, vale la legge del più forte. Vi sono coppie che sgomitano per accaparrarsi il bambino. Con il Perù, in questo momento, è proprio il caos.

PRESIDENTE. L'argomento è interessantissimo, i fatti che ci avete riferito sono uno più importante dell'altro. Prima di dare la parola ai colleghi, voglio sottolineare un dato.
Vorrei che fosse rimarcato l'atteggiamento di dare una famiglia ad ogni bambino come fatto primario. Trovo, tuttavia, giustissimo il ragionamento di dare ai bambini possibilità di lavoro e studio sul luogo. Plaudo, per esempio, a quei programmi che la televisione italiana manda in onda, come C'era una volta in cui, ultimamente, è stata presentata la situazione delle bambine di Rio de Janeiro o di Fortaleza che fanno le baby-prostitute, pur non essendo abbandonate dalle rispettive famiglie. Si tratta di bambine cui bisogna dare la possibilità di studiare e lavorare. Credo che anche ciò vada sottolineato, in un'indagine seria ed interessante quale quella che stiamo svolgendo.
Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

MARIDA BOLOGNESI. Ringrazio i presenti. Mi spiace per la giornata infelice, anche se i colleghi parlamentari che non possono essere presenti oggi potranno leggere i resoconti dell'audizione odierna. Tutto ciò che ci vorrete far pervenire per iscritto, comunque, farà parte del materiale dell'indagine conoscitiva.
Mi sembra che, dagli incontri che abbiamo avuto fin qui, siano emersi molti spunti interessanti. Voi potete dare un contributo per il miglioramento della complessa situazione normativa e per le azioni sull'adozione internazionale.
Credo che questo sia un modo per voi per stabilire una relazione - come diceva anche il presidente - con la Commissione parlamentare per l'infanzia che, su tale materia, mi sembra intenzionata ad approfondire l'argomento.
Il tema del diritto alla famiglia dei bambini ne coinvolge molti altri e, quindi, diviene centrale. Alcuni fatti da voi riferiti li avevamo già evidenziati. Vorrei, se non ne disponete già, che vi fosse fornita in copia la risoluzione che, come Commissione parlamentare per l'infanzia, abbiamo approvato di recente.
In particolare, abbiamo rilevato la necessità di rafforzare il fronte degli esteri. Il presidente ha già ottenuto un successo: il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Boniver, ci ha infatti assicurato che le nostre pressioni hanno indotto il ministro degli esteri a prendere atto della necessità di dare una vera e propria delega, su tale materia, allo stesso sottosegretario. Credo che avere un interlocutore politico, per voi e per noi, sia fondamentale, così come mettere a fuoco quelle situazioni consolari che non considerano assolutamente un tema importante e d'impegno quello dell'adozione internazionale.
Altresì importante è il rapporto con gli enti, per la costruzione di una politica di sostegno ai minori ed alle famiglie in quei paesi come lo è anche la possibilità di rispondere positivamente alla disponibilità all'accoglienza che le famiglie italiane offrono.
Un'altra questione riguarda i tribunali. Nella nostra risoluzione abbiamo già evidenziato l'incongruenza rispetto alla volontà del legislatore del tetto massimo d'età dei bambini; la legge prevede soltanto un tetto minimo. Abbiamo fatto presente ciò anche ai ministri competenti, e comunque la volontà del Parlamento è estremamente chiara su questo aspetto. Dobbiamo perciò chiedere conto al ministro della giustizia ed al ministro Prestigiacomo, responsabile delle adozioni internazionali, dell'attuazione della risoluzione approvata dal Parlamento. Si tratta di un aspetto che abbiamo presente e abbiamo piacere che lo sollecitiate, perché pensavamo fosse risolto; credo sarà bene tornare a discuterne.


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Alcuni aspetti da voi sollevati implicheranno un lavoro maggiore da parte del Ministero degli affari esteri. In America latina esiste soprattutto il fenomeno della lunga permanenza, che implica costi e difficoltà oggettive. Ciò non è accettabile e con alcuni di questi paesi dovranno essere raggiunti accordi bilaterali che riducano i tempi. Alcune realtà, come la Polonia, invece, apparentemente a noi più vicine, prevedono due o tre viaggi. Si tratta di situazioni che portano ad un aumento dei costi, che, almeno con i paesi sottoscrittori della Convenzione, dovrebbero essere viceversa diminuiti.
Dati precisi non sono stati da voi forniti, ma ci interessa sapere se, con la nuova legge, le adozioni siano risultate incrementate o ridotte; quali siano le difficoltà da superare e quale sia il numero degli ingressi in Italia dal giugno 2002 al giugno 2003, periodo in cui l'innovazione legislativa ha dispiegato i propri effetti. Vorremmo, inoltre, sapere se per i bambini cosiddetti grandi possano esistere canali di diminuzione dei tempi di attesa per l'adozione e, al di là della vocazione specifica di alcune associazioni (indirizzate soprattutto verso la cooperazione), se siate favorevoli a progetti di cooperazione mirati verso bambini che non possono essere adottati; se vi sono proposte riguardanti il regolamento, sul quale entro la fine del mese la Commissione dovrà fornire un parere; se riteniate che il coinvolgimento degli enti da parte della Commissione sia sufficiente o se, su alcuni grandi temi come i costi, siano necessari momenti di maggiore collaborazione.
Infine, per quanto riguarda il post adozione, ho alcune perplessità sul fatto che i bambini adottati continuino una sorta di adozione permanente. Penso che altre istituzioni, come la scuola, la famiglia e la collettività debbano facilitare il loro inserimento. Sono pertanto favorevole alla costituzione di servizi sociali specializzati, che rappresentino un supporto per eventuali suggerimenti, aiuti e sostegni, perché ritengo che gli enti debbano esaurire, ad un determinato momento, il proprio ruolo. Su questo aspetto sono bene accetti eventuali suggerimenti da parte vostra.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai rappresentanti delle associazioni perché rispondano alle domande poste.

SILVANO ROTA, Presidente dell'Associazione Rete Speranza. Riprendendo il discorso relativo ai tribunali, in questi anni ho sempre riflettuto sul fatto che questi ultimi stabiliscono una certa età per la coppia ma poi non siamo mai stati costretti a chiedere ad alcuna di esse di ritornare presso il tribunale per chiedere di modificare il mandato. In realtà, ci siamo sempre rivolti al tribunale affermando che la coppia era comunque stata abbinata ad un bambino diverso da quello specificato sul decreto e, immancabilmente, il tribunale ha sempre concesso la nuova idoneità, modificando le date che erano state inizialmente stabilite.
È vero che bisognerebbe individuare un sistema per trovare effettivamente un indice diverso, più vicino ad una valutazione personale del problema (cosa che, come sappiamo, è difficile, poiché nessuno possiede la bacchetta magica), tuttavia, ritengo che, se ognuno farà bene la propria parte, si arriverà sempre meglio al centro.
Noi avevamo superato lo scoglio suddetto attraverso un meccanismo molto semplice, per il quale bastava affermare che la coppia era stata abbinata ad un bambino più grande (anche perché, secondo me, di bambini piccoli ne sono rimasti ormai pochissimi)...

MARIDA BOLOGNESI. Ci sono paesi che hanno un sistema di abbinamento per cui, se ne risulta uno diverso dal loro, non lo accettano!

SILVANO ROTA, Presidente dell'Associazione Rete Speranza. Ha perfettamente ragione, ma io sto parlando del Brasile, un paese nel quale la nostra esperienza è stata assolutamente lineare e svolta in maniera impeccabile, anche dal punto di vista della collaborazione. È assurdo, tuttavia,


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che, se qualcosa non va bene fino al giorno prima, solo il giorno dopo, una volta affermato che l'abbinamento è stato fatto, la situazione cambia: c'è qualcosa che deve essere rivisto!

MATILDE AZZACCONI, Rappresentante di F&M (Famiglia e Minori). Mi riservo di far pervenire alla Commissione una relazione scritta, presidente.
Per quanto riguarda il tema attinente all'età della coppia e a quella del bambino, ci sono dei paesi che non rispettano assolutamente la nostra legge sulla differenza dei 45 anni, fornendo essi stessi loro fasce di età (tra queste quella più restrittiva è in Colombia, mentre molti altri paesi arrivano fino a 40 anni).
Secondo la nostra legge, oggi, se nella coppia esiste una differenza di età di dieci anni (se, per esempio, lui ha 55 anni e lei 45) si può, in base ad un determinato comma della legge n. 149, adottare un neonato. Tuttavia, come ho già detto, ci sono paesi che non rispettano questa legge e per questo motivo il lavoro che dobbiamo svolgere noi enti (non i tribunali) è un lavoro di educazione all'adozione, perché poi il peso di questa situazione grava solo su di noi. Per molte coppie, infatti, l'ente è quasi una «fabbrica» di bambini, nei cui confronti ci si sente in diritto di adottare un particolare bambino: le coppie lo pretendono! Come già sottolineato, quando una coppia si rivolge ad un ente, sostiene dei costi e, quindi, «esige» ciò per cui ha pagato.
Per quanto riguarda il tema dei costi, è vero che dobbiamo cercare di ridurli il più possibile ma molti di questi non sono imputabili gli Enti. I «nostri» costi, infatti, sono davvero bassi: quelli più rilevanti sono da imputare all'estero (viaggi, soggiorno, traduzioni, organizzazioni in loco e «beneficenze obbligatorie»).
Per quanto riguarda il numero dei viaggi fatti all'estero, dovrebbe essere il minore possibile, non tanto per una questione di costi economici ma per la rabbia che il bambino cova durante l'attesa. Al secondo o al terzo viaggio, infatti come nel caso della Polonia, molto spesso il bambino non accetta più la coppia e quest'ultima deve aspettare due o tre giorni (quasi una sorta di «decantazione») affinché il bambino si tranquillizzi e ricominci a parlare (spesso il bambino si chiude nel mutismo più totale, rifiutandosi di parlare e diventa aggressivo).
Per quanto riguarda il tema della collaborazione, quest'ultima è rarissima tra gli enti, i servizi e i tribunali: diciamo che è quasi inesistente! Quest'anno per la prima volta siamo stati invitati dal tribunale per i minorenni di Roma, che ha indetto una riunione molto apprezzata dagli enti autorizzati, ma, personalmente, non sono mai stata invitata da altri tribunali d'Italia anche se il nostro è un ente a livello nazionale.
Per quanto concerne il tema dei bambini più grandi o di gruppi di fratelli, a mio avviso, dovrebbero esistere delle preferenze o corsie preferenziali con costi e tempi inferiori, addirittura immaginando fattispecie per cui, prendendo magari più di due o tre bambini, si possa ricevere un contributo a titolo gratuito dallo Stato.

PRESIDENTE. Sono d'accordo.

MATILDE AZZACCONI, Rappresentante di F&M (Famiglia e Minori). I soldi ci sono ma molto spesso vengono spesi per forza in progetti inutili. Aiutiamo, allora, le famiglie: chi adotta più di due o tre figli, deve ricevere aiuto dello Stato. Per esempio, laddove le nostre coppie adottano tre bambini, in alcuni casi, il terzo viene preso gratuitamente, nel senso che si paga l'adozione solo per i primi due mentre è completamente azzerato il costo per il terzo bambino.
Per quanto riguarda il post-adozione, questo dovrebbe essere obbligatorio. Sempre per rimanere nell'ambito di casi concreti, c'è stata una coppia che, recentemente, ha chiesto un intervento della Commissione per ricevere uno sconto sui costi (rilevo che ormai le tabelle dei costi pubblicate dalla Commissione fanno veramente ridere). La stessa coppia ha anche chiesto di rinunciare al post adozione per avere un secondo sconto. Casi del genere,


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a mio avviso, significano mettere a rischio l'adozione stessa. Adottare un bambino non significa andare al mercato e trattare. Se ci sono delle tabelle (pubblicate dalla Commissione), non è possibile fare intervenire chicchessia per ottenere una riduzione sui costi: non siamo al mercato!
In questi casi, decido di revocare l'incarico conferito dalla coppia e do comunicazione alla Commissione.

SILVANO CALDANA, Rappresentante dell'AMI (Amici Missioni Indiane). Mi pare che, nel 95 per cento dei paesi nei quali si fanno adozioni, queste ultime, per lo Stato, siano gratuite. Quindi, quando parliamo di costi maggiori per due o più bambini (o di sconto per il terzo e via discorrendo) siamo di fronte a delle imprecisioni: questi costi non vanno a finire al paese, bensì ai referenti esteri dell'ente (vanno cioè a finire all'ente, perché, nel 95 per cento dei casi, l'adozione è gratuita)! Il costo per gestire la pratica di un minore unico, di due o sette fratelli è identico e cambiano esclusivamente i costi per la documentazione, cioè per i passaporti! Quindi, parlare di sconto per le adozioni in numero maggiore di due o tre è improprio.
La Commissione ha svolto un grande lavoro (ed anche noi enti) per comunicare i costi relativi alle spese che le famiglie devono affrontare per un'adozione. Adesso, sarebbe forse il caso di iniziare a controllare se tali costi denunciati sono reali, così come sarebbe importante valorizzare l'operato della Commissione nei confronti del Ministero degli affari esteri. I bambini adottati, infatti, entrano in Italia per mezzo di un'autorizzazione della Commissione adozioni internazionali, che spesso nelle ambasciate non è riconosciuta, per questo motivo richiedendosi anche un'autorizzazione del Ministero degli affari esteri. Tutto ciò costituisce una aggravio dei tempi di attesa: così funziona in Brasile e così funzionerà dal 1o settembre anche in Colombia. Quest'ultimo è l'unico paese nel quale, per quanto riguarda il Sud America, le famiglie si recano avendo un'autorizzazione preventiva della Commissione per rientrare ma dove, dal 1o settembre, si allungheranno i tempi con relativo aggravio dei costi, poiché se la permanenza di una famiglia in Colombia si aggira intorno ai 100-120 dollari al giorno, e allungare di una settimana il periodo di permanenza porta la cifra a mille dollari. Questi sono gli aspetti sui quali dobbiamo intervenire: se poi la Colombia o il Brasile richiedono 30 o 40 giorni di permanenza, sinceramente, ritengo che un intervento in tale ambito sia più difficile da operare: intanto, cerchiamo di risparmiare qualche giorno noi dall'Italia.

PRESIDENTE. Grazie. Vi abbiamo chiesto dei dati, ma è probabile che non li abbiate con voi. Se è possibile, sarebbe utile che ce li faceste pervenire, eventualmente assieme ad altre osservazioni scritte, che rimarranno agli atti come documentazione.
Ringrazio gli intervenuti per il lavoro svolto, che prenderemo in considerazione per le nostre osservazioni.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.

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