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Seduta del 5/12/2002


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Audizione del direttore generale della pubblica sicurezza e capo della polizia, prefetto Giovanni De Gennaro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su potenzialità e prospettive di Europol, l'audizione del direttore generale della pubblica sicurezza e capo della polizia, prefetto Giovanni De Gennaro, che ringrazio per aver accolto il nostro invito. Lo accompagna il prefetto Cazzella, capo dell'ufficio studi.
L'audizione odierna è ritenuta da questo Comitato di grande rilievo e mira ad acquisire elementi di conoscenza diretta e di valutazione sull'attività di Europol anche in riferimento alle nuove forme di cooperazione di polizia nel contrasto alla criminalità transnazionale.
In particolar modo, vorremmo soffermarci su tre punti: la costituzione delle squadre investigative comuni, il ruolo svolto dalla task force europea dei capi di polizia, il ruolo che la polizia di frontiera europea sarà chiamata a svolgere.
Rispetto al primo punto, la decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 ha previsto l'istituzione di squadre investigative comuni, su iniziativa di due o più Stati membri, per uno scopo determinato e una durata limitata, al fine di svolgere indagini penali in uno o più degli Stati membri che costituiscono la squadra. Ci piacerebbe conoscere le operazioni effettuate, quelle in corso e quelle eventualmente previste.
In seguito all'approvazione, da parte del Consiglio GAI nel corso della riunione del 28-29 novembre scorso, di un protocollo (che deve essere ancora ratificato) per la partecipazione di Europol alle squadre investigative comuni, vorremmo comprendere il ruolo di Europol e la sua facoltà di chiedere agli Stati membri di avviare indagini in casi specifici.
Il Consiglio europeo tenutosi a Tampere ha previsto l'istituzione di una Task force operativa europea dei capi della polizia incaricata di scambiare, in cooperazione con Europol, esperienze, prassi e informazioni sulle tendenze della criminalità transnazionale e di contribuire alla predisposizione di azioni operative. Vorremmo capire quali siano i rapporti tra Europol e le squadre investigative comuni nella realizzazione della cooperazione di polizia e il ruolo di supporto dell'Europol nello svolgimento delle attività di analisi e di intelligence relativo alla fase preparatoria dei progetti operativi nonché ulteriori ambiti di collaborazione o partecipazione alla fase operativa.
Un primo riferimento alla necessità di garantire una gestione più efficace del controllo alle frontiere esterne dell'Unione


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è contenuto nelle conclusioni del Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001. In tale occasione, il Consiglio europeo ha chiesto al Consiglio e alla Commissione di definire i meccanismi di cooperazione tra i servizi incaricati dei controlli alle frontiere esterne e di studiare le condizioni per la creazione di un meccanismo o di servizi comuni di controllo delle frontiere esterne.
Ci interesserebbe conoscere la definizione dell'ambito della partecipazione di Europol nelle operazioni comuni alle frontiere esterne e nell'avvio di progetti pilota.
La realizzazione di una polizia di frontiera europea potrebbe costituire un'occasione per rafforzare il ruolo e ampliare le competenze di Europol rispetto ad attività coordinate di lotta alla criminalità transnazionale connessa con l'immigrazione clandestina?
Da ultimo, vorremmo affrontare anche il tema degli aspetti economici e finanziari nella realizzazione della polizia di frontiera europea, a breve, medio e lungo termine.
Abbiamo aperto molte questioni sulle quali il prefetto potrà intervenire.
Do la parola al prefetto Giovanni De Gennaro.

GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale della pubblica sicurezza e capo della polizia. Signor presidente, ringrazio lei ed il Comitato per l'opportunità che mi è stata concessa di contribuire ai vostri lavori, che riguardano una materia di grande rilevanza per le ulteriori strategie nel contrasto al crimine. Data la complessità delle problematiche, cercherò di assumere come filo conduttore delle mie riflessioni il concetto di squadre investigative comuni; se necessario, sono disponibile ad approfondire le questioni che mi verranno poste, anche attraverso una comunicazione scritta. Proverò a rispondere ai quesiti che il presidente ha posto.
Il Consiglio dell'Unione europea del 13 giugno 2002 ha adottato la decisione-quadro per la costituzione delle squadre investigative comuni con la finalità di impegnarle in indagini penali. Successivamente, nel mese di novembre, tale decisione-quadro ha trovato un ulteriore momento di rafforzamento con il Consiglio GAI tenutosi a Bruxelles, nel corso del quale è nata la decisione di integrare le squadre investigative comuni tra paesi membri anche con funzionari di Europol, approvando degli emendamenti alla convenzione di Europol. Vorrei sottolineare questo secondo momento perché costituisce un passaggio importante, nella misura in cui vengono offerti nuovi strumenti operativi che conferiscono maggiore consistenza all'attività di Europol.
Prima di soffermarmi su tale questione, ritengo utile rilevare l'importanza della decisione del 13 giugno, che conferisce una valenza innovativa alle squadre investigative comuni rispetto alla tradizionale forma di collaborazione e cooperazione a livello di polizia. Personalmente, ho avuto più occasioni, nel corso di tanti anni di attività, di confrontarmi con la collaborazione a livello internazionale e posso dichiarare che spesso e volentieri abbiamo operato con forti forme di cooperazione, ma in assenza di un quadro normativo che sorreggesse la nostra azione. In questa linea, mi pare di poter cogliere una valenza innovativa nel rafforzamento della cooperazione internazionale di polizia.
Peraltro, ripeto e sottolineo che la collaborazione operativa fra funzionari di polizia anche di paesi diversi (non necessariamente europei) è ormai un fatto radicato e tradizionale, che ha trovato maggiore o minore consistenza secondo la forza che derivava da accordi bilaterali, multilaterali nonché dalle convenzioni internazionali di collaborazione (come quella con Interpol) ma soprattutto dai rapporti diretti ed immediati. L'istituzione delle squadre investigative comuni fa ora ipotizzare dei percorsi di collaborazione che lasciano intravedere una tendenza vera e propria a superare i limiti della sovranità dei singoli ordinamenti penali o processuali. Quindi quello strumento in più, cui facevo riferimento, va nella prospettiva del compimento di indagini congiunte, che devono avere una validità anche di fronte all'autorità giudiziaria di tutti i paesi che vi partecipano, sia se


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svolte da funzionari di polizia di paesi partner sia se da funzionari di Europol, che, grazie a quella decisione ultima di Bruxelles cui facevamo riferimento, possono in prospettiva intervenire in un'azione investigativa comune.
Nel sottolineare che si tratta di un cambiamento fortemente innovativo, che tutto sommato ha l'obiettivo di consolidare un sistema investigativo europeo, rammento che per la realizzazione di queste squadre investigative comuni sono state previste delle condizioni specifiche. Esse sono note e mi permetto di ricordarle soltanto per sottolineare la valenza dello strumento: che si tratti di inchieste difficili e di notevole portata; che presentino collegamenti fra più Stati membri dell'Unione europea; che sia necessaria un'azione investigativa coordinata e concertata fra gli Stati interessati; che vi sia una responsabile assunzione dell'iniziativa da parte dell'autorità competente. Sono tutte condizioni che danno anche un'idea della prudenza con cui ci si avvia su un terreno di collaborazione consolidata e congiunta. È previsto anche che le squadre investigative comuni possano essere costituite solo con l'accordo reciproco degli Stati interessati, per uno scopo determinato e per una durata limitata, che può esser prorogata solo con l'accordo di tutte le parti.
La decisione quadro del giugno scorso, per quanto rappresenti già uno strumento avanzato di determinazione del sistema giuridico comune europeo in materia di affari interni e di giustizia, richiede naturalmente uno strumento nazionale di attuazione. Per noi questo strumento è rappresentato dal disegno di legge (atto Camera 2372) di ratifica ed esecuzione della predetta convenzione. Questo provvedimento normativo contiene - come è noto - le modifiche al Codice di procedura penale occorrenti per attuare le squadre investigative comuni e renderne giuridicamente efficaci i relativi atti di indagine nell'ambito del processo penale. Prevede anche che spetti all'ufficio del procuratore della Repubblica di rappresentare la parte italiana nella richiesta o di esprimersi sulla richiesta dell'autorità dello Stato estero. Ciò in quanto, trattandosi di atti investigativi che - come dicevo - sono destinati a inserirsi nel processo penale, è necessario anche il consenso di chi esercita sia l'azione penale sia le funzioni di direzione e coordinamento delle attività della polizia giudiziaria. Il disegno di legge è ancora all'attenzione delle Commissioni riunite giustizia e affari esteri; pertanto la decisione-quadro risulta di fatto inattuata. Quindi, se squadre investigative comuni operano, lo fanno nel quadro della normativa vigente. In tal modo, signor presidente, rispondo anche alla sua domanda volta a conoscere esempi pratici di cosa si stia già facendo.
In proposito vorrei recare una testimonianza. Proprio nel settore del terrorismo, fra l'Italia e la Spagna è stato deciso di creare delle squadre investigative comuni che operano in questo momento con forte condivisione dell'obiettivo investigativo su indagini vertenti sullo stesso oggetto (naturalmente nella forma della tradizionale cooperazione di scambio informativo di dati tra polizie).
Il secondo passaggio, cui la sua richiesta mi pare facesse riferimento, è l'inserimento e il potenziamento di Europol nell'ambito di questa decisione quadro. In altri termini, si tratta di capire che valenza ulteriore dia ad Europol la creazione delle squadre investigative comuni. Come dicevo, si tratta di un frutto del Consiglio GAI di Bruxelles del 27-28 novembre scorso, che ha dovuto deliberare un'integrazione della convenzione Europol proprio per consentire ai funzionari di Europol di partecipare alle squadre investigative comuni. È in re ipsa che si tratti di una evidente logica di rafforzamento della funzione propria di Europol. In questo medesimo contesto i ministri dell'interno e della giustizia hanno previsto anche che la stessa Europol possa promuovere investigazioni congiunte e sollecitare le autorità competenti dei paesi membri alla costituzione di squadre investigative comuni. Mi pare di poter sottolineare come questo crei il presupposto per una maggiore e più incisiva attività da parte di Europol. Anche in tal caso si può cogliere comunque una


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volontà di procedere ad un progresso prudente in termini di evoluzione del sistema di cooperazione. Ciò perché l'iniziativa di Europol è limitata, nel caso di squadre investigative comuni, soltanto alle forme più gravi di criminalità organizzata internazionale; inoltre (e lo sottolineo) perché rimane comunque assicurato un diritto di veto alle autorità nazionali nei casi in cui da questo inserimento dell'attività di Europol possano derivare danni essenziali agli interessi della sicurezza nazionale o il rischio di compromettere altre indagini in corso oppure il rischio per la sicurezza delle persone.
La decisione di Bruxelles di riconoscere (e accelerare) un ruolo attivo di Europol nel settore investigativo, implica sul fronte nazionale (e mi sembra un dato utile da evidenziare) la necessità di rafforzare il ruolo dell'unità nazionale di Europol, per poterla mettere in grado di corrispondere a questa crescita del sistema di cooperazione attraverso Europol. Ciò non soltanto in termini di capacità di analisi o di intelligence criminale. Infatti, nel momento in cui si parla di una attività operativa, di squadre investigative comuni, di indagini congiunte, il rafforzamento dell'unità nazionale di Europol deve soprattutto essere previsto come uno strumento di coordinamento operativo tra le strutture investigative nazionali che siano eventualmente interessate alle indagini congiunte con un respiro europeo (tanto da far prevedere l'inserimento attivo di Europol).
Signor presidente, onorevoli senatori e deputati, colgo anche l'occasione che mi viene offerta oggi per informare questo autorevole consesso di alcune iniziative che, in previsione dell'esigenza che ho appena sottolineato, il Dipartimento della pubblica sicurezza - sotto la mia direzione - ha avviato proprio allo scopo di rafforzare tutte le strutture di coordinamento di valenza interforze (nel quadro nazionale ovviamente). In questo senso abbiamo dato il massimo impulso alla piena e completa attuazione dell'operatività del Servizio di cooperazione internazionale di polizia. Esso è stato istituto recentemente presso la Direzione centrale della polizia criminale e raccorda in un unico contesto tutti gli strumenti e i fori di cooperazione internazionale (sia Interpol, sia Europol, sia Sirene).
Intendo soffermarmi su ciò, perché voglio dare al Comitato consapevolezza e cognizione della nostra capacità organizzativa volta a corrispondere anche a questa evoluzione del sistema di cooperazione europeo. Nel Servizio di cooperazione internazionale di polizia sono presenti, in numero paritetico, funzionari e personale di tutte e tre le forze di polizia. Infatti il servizio è diretto in questo momento da un dirigente della Polizia di Stato ma è prevista una rotazione nell'incarico, che è di massima triennale. Esso è articolato su cinque divisioni, due delle quali sono dirette da dirigenti della polizia, due da colonnelli dell'Arma dei carabinieri (tra cui l'unità nazionale Eoropol) ed una da un colonnello della Guardia di finanza.
Vorrei assicurare che tutta l'attività del Servizio di cooperazione internazionale è stata orientata proprio al rilancio del ruolo dell'Italia nei diversi fori di cooperazione, al rafforzamento dei rapporti bilaterali con alcuni paesi o aree geografiche che hanno particolare valenza operativa (ho citato l'esempio della Spagna dove, obiettivamente, c'erano delle azioni comuni da svolgere), al miglioramento delle sue risorse strutturali, al perfezionamento della preparazione professionale del personale e, soprattutto, alla gestione coordinata delle varie attività di cooperazione di polizia a livello internazionale.
Proprio a quest'ultimo obiettivo - il più rilevante per la finalità di rendere il sistema nazionale immediatamente rispondente a quello europeo - corrisponde l'accorpamento dei tre uffici Interpol, Sirene ed Europol. Tale accorpamento consente una gestione compatta del personale interforze ed una guida coordinata delle attività per raccordare le attività di tutte le strutture di polizia che operano sul territorio nazionale; inoltre, esso evita sovrapposizioni di interventi, con dispendio di risorse umane e materiali, e valorizza la


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complementarietà delle diverse competenze delle forze di polizia, con un incremento delle potenzialità operative.
Abbiamo definito tale assetto del Servizio di cooperazione internazionale soprattutto per gli uffici che, sia pure per finalità e con spazi operativi diversi, hanno comunque un'omogeneità di dati in un contesto internazionale. Per questo motivo abbiamo ritenuto di non separare il servizio Interpol dall'unità nazionale Europol o dalla divisione Sirene ma abbiamo cercato, attraverso questa unificazione, di garantire il collegamento con tutti gli organismi internazionali di riferimento e di realizzare una sorta di cerniera anche con altre istituzioni nazionali che, comunque, intervengono nel settore della sicurezza a livello internazionale (ad esempio, la commissione che è stata costituita presso il Ministero del tesoro a seguito dei fatti dell'11 settembre e che è impegnata nell'individuazione dei capitali che possono essere utilizzati o di supporto all'attività di terrorismo internazionale).
In questo caso dobbiamo garantire ed assicurare un raccordo anche con altri enti nazionali che, comunque, concorrono a rinforzare il sistema della sicurezza, come la Banca d'Italia e quant'altro. Questo servizio è attivo nell'arco delle ventiquattr'ore, si avvale di appositi sistemi informatici, tipo il sistema Europol o il sistema informatico di Interpol, e di personale qualificato anche sotto il profilo della conoscenza linguistica. Tutto il personale delle forze di polizia che opera in questo settore conosce almeno una delle lingue di lavoro ed è in grado di corrispondere alle richieste provenienti da qualsiasi parte del mondo.
Credo che sia utile fare un cenno anche alla rete degli ufficiali di collegamento. Proprio per la consapevolezza dei benefici che possiamo trarre sul piano investigativo dal mantenimento di rapporti sempre più frequenti con i collaterali organismi stranieri, il Servizio per la cooperazione internazionale è il punto terminale e la regia della rete dei nostri ufficiali di collegamento; essi operano addirittura in diverse aree continentali ed aumentano sempre più per la necessità di collaborare in modo più immediato, diretto e personale.
Tale rete vede distaccati indistintamente, sempre con la stessa logica e lo stesso spirito volto ad utilizzare le professionalità di tutto il sistema della sicurezza, ufficiali della Guardia di finanza, dell'Arma dei carabinieri e funzionari della Polizia di Stato. L'ufficiale di collegamento, la cui competenza ha carattere polivalente nell'ambito della cooperazione internazionale di polizia, espleta una funzione essenzialmente di raccordo informativo nel contrasto della criminalità in genere ma anche in tipologie di reato che, svolgendosi in uno scenario internazionale, richiedono delle specifiche professionalità o specifici contatti (come nel traffico degli stupefacenti o nella tratta di esseri umani).
In particolare, abbiamo privilegiato l'area balcanica, dove in questo momento la nostra rete di ufficiali di collegamento è particolarmente presente. Signor presidente, proprio nel quadro dello sviluppo dell'attività di Europol, pensiamo alle squadre investigative comuni. Lo strumento dell'ufficiale di collegamento diventa assolutamente rilevante perché è il punto di riferimento immediato per gli investigatori che operano al di fuori del territorio nazionale. A questo fine, desidero informare gli onorevoli deputati e senatori che il Dipartimento della pubblica sicurezza sta completando, di intesa con il Ministero degli affari esteri, un'ampia revisione dell'attuale sistema degli ufficiali di collegamento, per superare alcune disomogeneità legislative e organizzative ed unificare e coordinare diverse tipologie nate per specifici fenomeni criminali (attività antidroga, immigrazione). Stiamo cercando di raggiungere l'obiettivo di ricondurre sotto un'unica disciplina la gestione di queste figure professionali e di promuovere l'adozione di specifici strumenti legislativi, in vista anche dell'interazione della rete nazionale degli ufficiali di collegamento con quella europea: peraltro, siamo stati noi i promotori di questa idea quando ci fu la presidenza italiana nel 1996.


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Per quanto riguarda i limiti dell'attività di Europol, sono certo che il suo inserimento nel sistema delle squadre investigative comuni, il coordinamento interno delle attività di collaborazione internazionale di polizia e la razionalizzazione della rete degli ufficiali di collegamento realizzeranno un miglioramento del quadro esistente, superando anche i limiti che, finora, Europol ha incontrato sul piano investigativo.
Questi limiti sono emersi con particolare evidenza dopo l'11 settembre 2001, quando l'Ufficio europeo di polizia è stato messo improvvisamente alla prova nella lotta contro il terrorismo internazionale; dobbiamo ammettere che non è stato immediatamente in grado di rispondere in termini concreti per il raggiungimento di obiettivi più ampi. Ciò è dipeso da un mancato ed insufficiente approvvigionamento da parte dei paesi membri di informazioni immediate e concrete, attuali ed immediatamente utilizzabili per la indagini.
La difficoltà non è ascrivibile soltanto ad un'inadeguatezza del sistema informativo ed ai relativi meccanismi di lavoro da esso riforniti - gli analitical working files, che non saranno toccati dalle modifiche alla convenzione - quanto piuttosto da una ancora non consolidata cultura di operatività congiunta che consente di condividere senza riserve informazioni investigative. Ritengo di dover precisare che questa non consolidata cultura non può essere semplicisticamente attribuita soltanto a gelosie o diffidenze tra organismi investigativi, ma in parte a veri e propri impedimenti giuridici, penso ad esempio penso al segreto di indagine: il lavoro di miglioramento del sistema in progress può far superare anche aspetti tecnico-ordinamentali. Sottolineo che minore difficoltà hanno incontrato quei paesi in cui la polizia procede ad indagini preliminari autonome ed investe soltanto in un secondo momento (mi riferisco soltanto al segreto d'indagine) l'autorità giudiziaria. Rimangono le difficoltà di acquisizione di una cultura di condivisione immediata di attività riservate di indagine, come quelle sul terrorismo.
In termini di risultati, nonostante le difficoltà esistenti, la nostra unità nazionale Europol non rimane inattiva, ma presenta una consistente operatività: fino al 30 ottobre scorso avevamo immesso nel sistema 8.897 files informativi, su persone, eventi ed elementi patrimoniali. Alla stessa data sono pervenute 8.630 risposte alle richieste di notizie che avevamo inoltrato al sistema centrale, così come registriamo il compimento di 51 operazioni di polizia che hanno visto una presenza attiva ed utile dell'unità nazionale di Europol. Il nostro paese risponde bene all'esigenza di adesione ad un sistema di collaborazione tra le polizie anche attraverso Europol.
Per quanto riguarda il rapporto di Europol con la Task force dei capi della polizia, dobbiamo pensare all'elaborazione di nuove e più efficaci strategie, finalizzate al migliore funzionamento di Europol stessa. La Task force dei capi della polizia nasce con il Consiglio di Tampere (se non ricordo male tra ottobre e novembre 1999), per fornire un valore aggiunto sia al consiglio di amministrazione di Europol sia allo stesso foro di cooperazione dei capi delle unità nazionali che avrebbero dovuto individuale obiettivi tattici o strategici, a seconda dei casi, da perseguire in via prioritaria. Avendo riscontrato la mancanza di autonoma capacità di Europol di stabilire la priorità negli obiettivi ed il miglioramento della capacità operativa, fu deciso di aumentarne la forza attraverso la Task force dei capi della polizia che, rappresentando ai massimi livelli il sistema di sicurezza dei singoli paesi, potevano portare una maggiore capacità operativa, anche attraverso l'autorevolezza del loro conoscenza.
Ho partecipato a quasi tutte le riunioni di questo organismo (tranne alla prima) a cui sono intervenuto come capo delegazione insieme al Direttore generale della pubblica sicurezza, affiancato dal Comandante generale dell'Arma dei carabinieri e, proprio per rafforzare il livello conoscitivo, dal Direttore dell'Ufficio di coordinamento


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e pianificazione delle forze di polizia, che opera nel mio dipartimento. Soprattutto sotto la presidenza spagnola, il ruolo della Task force si è evidenziato in modo significativo, tanto da attribuire ad Europol la priorità nel contrasto alla tratta degli esseri umani.
Il ruolo di Europol nell'attività di controllo delle frontiere costituisce una priorità sulla quale si stanno concentrando le attività di cooperazione dei paesi membri, nella prospettiva del contrasto all'immigrazione clandestina, inteso soprattutto come contrasto al traffico di esseri umani. Personalmente, il mese scorso mi sono recato in Camerun per partecipare ai lavori dell'assemblea generale dell'Interpol, dove ero stato chiamato ad esprimere il parere dell'Europa (l'Interpol è attiva in quattro continenti). In quel contesto, anche a nome dei capi delle polizie europee, ho sottolineato l'importanza strategica del contrasto al traffico di esseri umani e le tragiche vicende a cui assistiamo in questi giorni ce ne danno ulteriore conferma.
Particolare rilievo assumono l'adozione del piano di azione per la lotta all'immigrazione clandestina, che è stato predisposto dalla Commissione e approvato nel febbraio scorso, nonché le conclusioni del Consiglio di Siviglia e l'adozione del relativo piano di gestione delle frontiere esterne.
Un forte impulso all'attuazione del citato piano è stato fornito dallo studio di fattibilità per l'istituzione di una polizia di frontiera europea che, come noto, è stato promosso dall'Italia ed è stato approvato da tutti i paesi membri in occasione della conferenza ministeriale del 30 maggio; in esso si coniugano e diventano complementari l'azione di tutela e di difesa delle frontiere con l'azione di contrasto del traffico di esseri umani. Lo studio di fattibilità ha delineato un modello organizzativo che consente di raggiungere una serie di obiettivi che, in questo caso, sono finalizzati proprio a rafforzare le frontiere esterne dell'Europa, senza violare la sovranità nazionale degli Stati membri, prevedendo anche la partecipazione dei paesi candidati in qualità di osservatori che hanno così potuto cominciare ad assumere una logica di condivisione dei problemi dal punto di vista pratico.
Il Consiglio GAI del 13 giugno 2002 ha approvato, sulle basi che ho indicato, il piano per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, affidando ad un gruppo di esperti (denominato SCIFA) composto dai responsabili dei vari servizi di controllo delle frontiere dell'immigrazione nazionale, l'incarico di predisporre concreti progetti operativi.
Sono stati finora approvati dodici di questi progetti. Ne cito alcuni: l'istituzione di un centro per il controllo di frontiera negli aeroporti; un progetto che riguarda l'elaborazione di un concetto di addestramento comune in materia di polizia di frontiera, sempre con lo scopo di omogeneizzare anche l'operatività e i comportamenti degli addetti a tali controlli; un progetto di controllo delle frontiere marittime, che a noi sta particolarmente a cuore, data anche l'esigenza specifica che deriva dalla nostra tipologia geografica. L'Italia partecipa ad undici progetti in forma molto attiva.
A ciò si affianca il piano per il contrasto dell'immigrazione clandestina, intesa come traffico di esseri umani, che è poi la competenza di Europol, la quale deve interagire per garantire (mentre si attua il controllo della frontiera) anche l'aggressione alle filiere criminali che sono artefici di questo traffico. In tale ambito il rafforzamento del ruolo di Europol diventerà ancora più evidente.
Sotto il profilo della spesa, devo dire che l'impegno operativo e finanziario è notevole. I risultati di questa azione di contrasto e di controllo delle frontiere dipenderanno anche in gran parte dalle risorse che sarà possibile finalizzare a questo specifico obiettivo. Su ciò vi è una attenzione dell'Unione europea, che forse va ulteriormente motivata. Da una parte la Commissione ha attivato presso tutti i partner europei una procedura di rilevazione delle stime degli oneri, per pervenire ad una valutazione approfondita dei costi


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di gestione dei controlli di frontiera; dall'altra - nel corso della riunione GAI proprio del 28 e 29 novembre - si è preso atto della contingente indisponibilità di risorse della Commissione utili a conferire ulteriore slancio alle iniziative comunitarie in materia. Comunque l'Italia per parte sua sta incrementando gli stanziamenti. La previsione del disegno di legge finanziaria reca per il prossimo triennio uno stanziamento di 100 milioni di euro per ciascun anno. Si tratta di un segno molto forte e tangibile non soltanto della consistenza della spesa ma anche della volontà di raggiungere gli obiettivi.

PRESIDENTE. La ringrazio, dottor De Gennaro, per la sua esposizione. Credo che abbia toccato in maniera abbondante e completa tutti i temi che le avevamo sottoposto. Vorrei farle due domande. Lei ha citato, fra i limiti di Europol, un certo rallentamento dello sviluppo del sistema informativo EIS. Ritengo che questo sia uno dei punti effettivamente dolenti di Europol. Spero però che le parole detteci dal direttore Storbeck, quando siamo andati a l'Aja, corrispondano ad un impegno effettivo e che quindi per il 30 giugno 2003 il sistema informativo, almeno nella sua parte più utile per questo tipo di indagini, sia effettivamente pronto e funzionante. Dando per scontato che a quella sua affermazione segua un rispetto dei programmi che ha in mente di portare avanti la struttura dell'Aja, le chiedo se i dati che ha elencato (concernenti le immissioni nel sistema e le informazioni pervenute, che hanno poi portato ad effettuare 51 operazioni di polizia) potrebbero a suo parere crescere ulteriormente, qualora il sistema informativo fosse funzionante, oppure se questa mia conclusione sia errata, non essendoci correlazione tra le due cose.
Passo all'altra domanda. Quando ci dice che da parte di alcuni paesi esiste un diritto di veto lo vede come un atteggiamento figlio di logiche normative o, piuttosto, come frutto di qualche gelosia o ritrosia a voler attuare uno scambio di informazioni?
Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

LUCIANO MAGNALBÒ. Vista l'esauriente relazione del dottor De Gennaro, mi limito ad una richiesta di chiarimenti su una sola questione, che pure egli ha trattato. Gli chiedo se ritenga le strutture interne adeguatamente composte e se tutto il sistema sia finanziato in misura soddisfacente.

PIETRO TIDEI. Anch'io ringrazio il dottor De Gennaro per la sua esaustiva relazione. Mi corre tuttavia l'obbligo di porre una domanda che nasce da alcune sue affermazioni inerenti ad Europol. È da un po' di tempo che seguiamo le vicende di Europol e francamente ci rendiamo conto che questa struttura stenta ancora oggi ad affermarsi come avremmo voluto. Credo che tutti siano consapevoli che una struttura di livello internazionale come questa abbia bisogno di anni di rodaggio. Lei stesso ne riconosceva i limiti di attività operativa nell'insufficienza delle informazioni che pervengono «a caldo» da parte degli Stati membri, nell'inadeguatezza del sistema informativo, nella non consolidata cultura di operatività congiunta. Pur tuttavia, nonostante queste difficoltà, mi è parso di intravedere (e mi auguro di sbagliare) che, nell'ambito dei compiti precipui acquisiti da Europol in misura sempre maggiore, lei stesso puntasse soprattutto sulla competenza (non dico residuale ma tutto sommato limitata) relativa al contrasto dell'immigrazione, con particolare riferimento alla tratta di esseri umani.
Una conferma in tal senso mi è parso di intravederla quando lei ha trattato della Task force dei capi della polizia. Non vorrei che quest'ultima struttura diventasse alla fine competitiva rispetto alla stessa Europol, impedendole di decollare, e nella quale le stesse forze di polizia (la stessa impressione l'ho colta sentendo il comandante dell'Arma dei carabinieri) non credono. Insomma mi pare che, dando impulso ad una struttura territorialmente più vasta (vista la mondializzazzione della task force dei capi della polizia),


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sussista il rischio di relegare ad un ruolo residuale e marginale Europol, che alla fine finirebbe con il non operare mai. Le chiedo perciò se questa mia impressione sia sbagliata o se si tratti dell'amara realtà.

GIAMPAOLO BETTAMIO. Signor prefetto, mi unisco ai ringraziamenti, non solo per le cose che ha detto ma anche per quelle che ci ha lasciato capire. Anch'io ho notato questa non consolidata cultura allo scambio che, probabilmente, porterà ad un lungo iter prima di armonizzare i vari corpi che, comunque, hanno dei compiti di coordinamento.
Facendo anche riferimento al collega che mi ha preceduto, vorrei analizzare il quadro giuridico di alcune affermazioni. Credo che quella della Task force sia una soluzione pragmatica che potrebbe sostituire qualche comitato di coordinamento dei capi della polizia, giuridicamente contemplato e vincolante. Se non sbaglio, la Task force si basa su un punto di una risoluzione del Consiglio europeo e sappiamo che la stessa necessita di un ulteriore impulso giuridico per diventare vincolante. Inoltre, mi pare che le squadre investigative comuni siano previste in una decisione quadro presa all'interno dell'Unione europea, che però non è una direttiva: quindi, ancora una volta, si tratta di un contesto giuridico un po' rallentato.
Viceversa, la struttura che si basa su un quadro giuridico più solido, cioè Europol, è quella che può partecipare alle squadre investigative con funzioni di supporto. A mio avviso, il contesto giuridico è capovolto: abbiamo l'istituzione giuridicamente contemplata e formalmente completa che può partecipare a due organizzazioni che, invece, si basano non su testi giuridici formali ma su una decisione quadro e sulle conclusioni di un Consiglio europeo.
Vorrei capire se, effettivamente, si tratta di un quadro giuridico ribaltato sul quale bisogna ancora lavorare per ricondurlo, giuridicamente e formalmente, ad una logica, oppure se, invece, è destinato a rimanere tale.

ANDREA DI TEODORO. Visto il dibattito in corso, anche in funzione dell'avanzamento dei lavori della Convenzione sul superamento della struttura a pilastri - e, quindi, anche su un'estensione del metodo comunitario rispetto a quello intergovernativo -, vorrei chiederle un parere tecnico su questo aspetto politico. Non ritiene che, fino a quando i servizi di polizia rimarranno nell'ambito della cooperazione o dell'attività intergovernativa, avranno un'efficacia ed un'efficienza molto minore rispetto a quelle che potrebbero avere qualora si arrivasse alla costituzione di una giurisdizione comune e alla possibilità effettiva di un vero e proprio corpo di polizia europeo?
Si consideri che questo passaggio porrebbe però un problema relativo al controllo democratico di questo nuovo strumento perché, avendo partecipato in Europa a qualche conferenza sull'«accompagnamento» parlamentare dei servizi di polizia, posso dire che il dilemma è questo: o si aumenta la sfera di autonomia e, quindi, la possibilità comunitaria di agire anche per quanto riguarda i servizi di sicurezza e di polizia - ma, a quel punto, avremo una minore capacità di controllo da parte degli Stati nazionali - oppure si lascia più potere di controllo agli Stati nazionali, con servizi di polizia a livello europeo meno efficienti ed efficaci, perché dovranno sempre passare attraverso la concertazione, l'autorizzazione o il controllo delle singole giurisdizioni nazionali.

PIETRO TIDEI. Il ruolo della polizia di frontiera europea, che garantisce la sicurezza dei confini in Europa, non potrebbe essere esercitato da Europol, anziché far nascere una nuova polizia?

PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi del Comitato per le loro precisazioni. Do ora la parola al prefetto per la replica.

GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale della pubblica sicurezza e capo della polizia. Signor presidente, cercherò di eliminare qualche dubbio che ritengo di aver ingenerato per un'illustrazione forse


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carente per ragioni di tempo. Quando ho fatto riferimento alla non consolidata cultura dello scambio di informazioni - che impropriamente ho chiamato «calde» perché riferite all'attualità, alla concretezza e all'immediatezza, correlandole anche al dato investigativo inteso come momento processuale e, quindi, ai limiti che derivano da una diversità di ordinamento, di norme e di regole -, mi riferivo specificatamente al terrorismo e alla non immediata capacità di risposta che ci saremmo aspettati da Europol in seguito ai fatti dell'11 settembre.
Non si trattava di un richiamo di carattere generale ma, con un esempio specifico, mi riferivo alla materia solitamente più sensibile e più delicata, dove maggiore è il consolidamento della cultura rispetto ad altre forme di contrasto dei fenomeni criminali, in cui una consuetudine a condividere il dato informativo ed investigativo è più radicata nel tempo e, quindi, non evidenzia altrettante carenze. Successivamente ho dato un'indicazione del traffico di esseri umani non come ipotesi residuale di un'attività di Europol, ma come una condivisione di una priorità che, comunque, è stata verificata in termini di attualità emergenziale del problema alla pari di quella del terrorismo. Lungi da me l'idea di poter dire che quella diventa una limitazione; peraltro, non può essere una limitazione, di fronte ad un quadro normativo più forte, una valutazione dell'emergenza che non è alternativa ma evidenzia la necessità di forme di cooperazione.
Confermo la necessità di un tempo adeguato per poter raggiungere la piena funzionalità operativa, come sono altrettanto convinto che un sistema ordinamentale forte sopperisce e dà maggiore garanzia a chi deve espletare le indagini rispetto ad accordi di minore valenza, bilaterali e multilaterali. In questo senso, anche l'attività della Task force dei capi della polizia - che è un tavolo informale rispetto ad un assetto istituzionale più solido previsto da un quadro normativo di valenza superiore - l'ho interpretata come una forma di consolidamento, di rafforzamento, di manifestazione e di volontà dei vertici delle sicurezze nazionali ad avvalersi di uno strumento di cooperazione. In altri termini, ho sempre interpretato la condivisione della priorità da parte dei responsabili della sicurezza del proprio paese non come una diminuzione di forza ma come un rafforzamento della struttura che deve diventare sempre più deputata ad affrontare e risolvere quei problemi.
Ecco perché si tratta non di ribaltamento del quadro ordinamentale, ma del tentativo di rafforzare, il nuovo ordinamento con il coinvolgimento diretto delle strutture nazionali, soprattutto in riferimento alle decisioni che si dovranno assumere. Attribuire compiti ad una struttura investigativa terza equivale ad una cessione di sovranità, frutto di un'evoluzione del sistema europeo. La partecipazione della struttura Europol all'attività investigativa nazionale, singola, bilaterale o multilaterale, costituisce un altro tassello nell'integrazione del sistema che deve raggiungere obiettivi ulteriori, passando da un sistema intergovernativo a quello comunitario, laddove gli strumenti di controllo saranno utilizzati da chi dovrà esercitare i controlli stessi. Ciò implica l'attribuzione ad altri della responsabilità di garanzie di tutela della sicurezza dei nostri cittadini e, dunque, bisogna capire bene in che termini condividerla.
Riguardo alla domanda sul motivo per cui non attribuire ad Europol la polizia di frontiera europea, ha provato a delineare la distinzione tra le attività di carattere amministrativo e quelle di controllo investigativo: si tratta di una realtà comune a tutti paesi nei quali il controllo amministrativo alle frontiere non equivale al controllo del reato collegato. Insieme, tali attività raggiungono l'obiettivo di sicurezza, partendo da basi diverse: l'agente di polizia che effettua il controllo all'aeroporto di Fiumicino non è lo stesso che compie indagini sulla filiera criminale, ma integrando l'azione di controllo, ad esempio sulla validità del passaporto, si può ottenere un dato informativo che rafforza l'azione investigativa. Mi pare che, forse, una distinzione di compiti possa risultare


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valida anche in un contesto europeo, per non appesantire il lavoro di una struttura che nasce più per una condivisione dell'azione investigativa che per una condivisione dell'azione di controllo amministrativo.

PIETRO TIDEI. Se dobbiamo fare l'Europa politica...

GIOVANNI DE GENNARO, Direttore generale della pubblica sicurezza e capo della polizia. Mi riferisco ad un punto di vista tecnico. Siamo stati, ad esempio, promotori di varie iniziative di collaborazione operativa nel controllo delle frontiere. Vorrei citare due casi: il primo riguarda l'esperienza che abbiamo condotto al di fuori dell'Unione europea (ad esempio, in Slovenia), dove abbiamo sviluppato una azione di controllo comune con pattuglie congiunte sulla frontiera, per facilitare lo scambio di attività ed un travaso di conoscenze ai fini del controllo amministrativo e non investigativo. Il secondo esempio concerne l'attività congiunta condotta con la Germania e con l'Austria sul controllo dei treni, al fine di contrastare l'immigrazione clandestina tra l'Italia e la Germania; nello stesso modo, abbiamo effettuato il controllo dei treni tra l'Italia e la Spagna, passando per la Francia. Si tratta di un'attività di controllo che implica la condivisione di una attività operativa e di conoscenze comuni tra paesi interessati allo stesso problema.
Su questa base, lo studio di fattibilità per la frontiera europea ha sviluppato un primo campo di prova che riguarda gli aeroporti, che costituiscono l'unica frontiera comune a tutti i 15 paesi (il mare ed i porti, ad esempio, non hanno la stessa caratteristica): nel momento in cui si cerca di creare una capacità di operare insieme, si sceglie il luogo in cui ciò è più facile. Ricordo che prima di Europol nacque l'UDE, perché in quel momento il problema del traffico di stupefacenti costituiva la tematica maggiormente condivisa, che creava la maggiore capacità di aggregazione. Successivamente, con la costituzione di Europol, si individuarono cinque materie riguardo cui era avvertita la maggiore necessità di operare insieme: oltre al traffico di stupefacenti, il riciclaggio, il traffico di esseri umani, quello di materiale nucleare e quello di automobili rubate. In un momento successivo è stato aggiunto il terrorismo. Potrebbe sembrare una contraddizione aver inserito nelle materie di competenza di Europol il traffico di auto rubate accanto al traffico di droga, ma si trattava di una materia condivisa: a volte, non si ottengono sufficienti conoscenze perché il traffico di auto rubate, nel quadro dei fenomeni criminali, ha una valenza molto elevata in termini di capacità organizzativa criminale, dal furto dell'auto fino alla sua esportazione attraverso certificati falsi e contraffatti.
Per quanto riguarda le strutture interne, stiamo conducendo un grande lavoro proprio per non rimanere indietro di fronte alle istanze di armonizzazione del sistema di sicurezza a livello europeo: ogni paese presenta una serie di problemi interni che devono essere risolti ed armonizzati per potersi inserire in un contesto comunitario ed in una logica organizzativa migliore.
Ho citato la rete degli ufficiale di collegamento perché, nel momento in cui si istituisse una rete di collegamento europea, quella nazionale dovrebbe già possedere una propria struttura unitaria ed omogenea, in grado di esprimere le professionalità e capacità operative che sono richieste da un compito così delicato.
Vorrei citare alcune iniziative di cui l'Italia si è fatta promotrice: il mio ultimo incontro con il presidente del BKA (Bundes Kriminalamt), in Germania, ha riguardato la rete degli ufficiali di collegamento, che rappresentano antenne sensibili ed importanti poiché, al di là del dato cartaceo e dell'informazione telematica, stringono rapporti personali con le autorità di polizia del posto e rafforzano la capacità di creare un rapporto fiduciario e di consolidare la cultura a cui facevo riferimento. Abbiamo deciso di far incontrare tutti gli ufficiali di collegamento italiani e tedeschi che lavorano nella stessa area, perché comincino a conoscersi tra di loro,


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creando un'ulteriore sinergia operativa. Nei prossimi giorni, a Roma, si incontreranno gli ufficiali di collegamento italiani e tedeschi che operano nell'area balcanica (area particolarmente sensibile) e condivideranno per un paio di giorni un lavoro comune, che consentirà di conoscersi e rafforzare il sistema.
Signor presidente, le chiedo scusa se risponderò per ultimo alla sua domanda.
Riguardo al sistema informativo, so che ha incontrato una serie di difficoltà. Per parte mia posso impegnarmi con lei e con il Comitato da lei presieduto affinché il nostro rappresentante in sede di consiglio di amministrazione continui ad esercitare una forma di controllo molto incisiva ed attiva perché gli impegni assunti dalla direzione di Europol siano portati avanti. Tale azione finora l'abbiamo sempre esercitata, forse qualche volta anche con grande energia. Ciò comunque dimostra la nostra determinazione di favorire e far crescere il sistema di Europol e, quindi, la sua funzionalità. I dati certamente aumentano non soltanto con il miglioramento del sistema dal punto di vista tecnologico, ma anche per effetto di quella crescita di una cultura condivisa e sempre più consolidata della utilità del dato. Più il sistema si implementa, più esso fornisce delle utilities sotto il profilo della capacità operativa, maggiormente si consolida anche la capacità ed aumenta lo scambio dei dati.
Per quanto riguarda, infine, quel diritto di veto a cui si è fatto cenno, non ho in questo momento presente la precisa formulazione normativa, ma non credo che essa fosse volta ad impedire. Mi riservo una verifica e, quindi, accetti la mia risposta con beneficio d'inventario. Essa è in ogni caso rappresentativa ed autentica per quanto riguarda la nostra volontà di cooperare. Credo piuttosto che si tratti di un approccio prudente nell'ambito di una crescita evolutiva del sistema.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, prefetto De Gennaro, per l'esauriente relazione e la pazienza che ha avuto nel darci risposte precise e puntuali. Accolgo con particolare entusiasmo (e credo che sia condiviso da tutti) il fatto che lei si sia impegnato a continuare ad attivarsi attraverso il suo rappresentante affinché ci sia un controllo preciso e puntuale sul rispetto dei tempi e della realizzazione di quel sistema informativo, che personalmente (ma so che è un pensiero condiviso da molti colleghi) ritengo assolutamente fondamentale. Tale sistema informativo (ricordiamolo ancora) nel passato ho avuto qualche vicenda piuttosto imbarazzante. Quindi, sapere che secondo lei esso è una priorità ci è di conforto come è una speranza pensare che quanto dettoci dal Direttore Storbeck sia un impegno preciso.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,20.

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