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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla valenza, gestione e dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privati, l'audizione del ministro dell'economia e delle finanze, Domenico Siniscalco.
Ricordo che l'indagine conoscitiva ha lo scopo di effettuare una valutazione complessiva circa la validità delle modalità gestionali degli immobili detenuti dagli enti in termini di efficienza, redditività e destinazione, nonché una ricognizione conoscitiva del processo - tuttora in corso - di dismissione del patrimonio immobiliare da parte degli enti previdenziali pubblici, anche sulla base delle prescrizioni contenute nella legge 23 novembre 2001, n. 410, la quale ha previsto la realizzazione di operazioni di cessione aventi ad oggetto anche immobili degli enti previdenziali pubblici secondo le modalità successivamente dettate dal decreto interministeriale 30 novembre 2001.
Ringrazio il signor ministro per aver accolto l'invito della Commissione che - lo ricordo - nelle sedute del 14 e 15 dicembre 2004 ha proceduto all'audizione del sottosegretario di Stato per l'economia e finanze, onorevole Maria Teresa Armosino, che partecipa anche alla audizione odierna e alla quale rivolgo il mio saluto. In quella occasione, da parte di alcuni componenti della Commissione fu formulata la richiesta di approfondire, insieme al signor ministro, alcune tematiche riguardanti l'attuazione delle procedure di dismissione, con particolare riferimento alla SCIP 2. In base a quanto è emerso nel corso di quella discussione, infatti, sembra che al riguardo si siano verificati ritardi ed è opportuno, quindi, comprendere quali siano i problemi che li hanno determinati; inoltre, nella stessa sede vi è stato il riferimento ad una importante problematica, quella della individuazione dei cosiddetti immobili di pregio, sollevata più volte in questa Commissione anche da parte di molte associazioni, che ci hanno inviato lettere e segnalazioni.
Un altro importante problema ha determinato vivaci discussioni in questa Commissione. Infatti, sia i presidenti dei CIV, sia i presidenti degli enti di previdenza, che abbiamo avuto la possibilità di ascoltare, hanno espresso, con maggiore o minore veemenza ma sempre con grande preoccupazione, una serie di perplessità riguardo al conferimento dei beni immobili strumentali degli enti al FIP, il Fondo immobili pubblici.
Questi sono gli aspetti che il ministro potrà approfondire, se lo vorrà, dopo la relazione.
Ringrazio per la sua presenza anche la dottoressa Silvana Ceravolo, capo della segreteria del ministro.
Invito il signor ministro a svolgere la sua relazione.
DOMENICO SINISCALCO, Ministro dell'economia e delle finanze. Per organizzare in maniera ottimale il lavoro, signor presidente, innanzitutto le chiedo di quanto tempo disponiamo.
PRESIDENTE. Anche la nostra Commissione, come tutte le Commissioni bicamerali, è soggetta a un condizionamento dei tempi, dovuto allo svolgimento dei lavori delle Assemblee. Nella giornata odierna, i senatori dovranno allontanarsi non più tardi delle ore 15,20, a causa di votazioni presso l'Assemblea del Senato; i deputati presenti potranno trattenersi più a lungo. Pertanto, propongo di posticipare gli interventi dei deputati, dando la precedenza ai senatori. Complessivamente, disponiamo di circa un'ora di tempo.
DOMENICO SINISCALCO, Ministro dell'economia e delle finanze. Naturalmente, sono disponibile a tornare in questa sede successivamente, nel caso in cui, dopo aver esposto la mia relazione ed aver ascoltato alcune vostre domande, ciò fosse necessario al fine di ascoltare le rimanenti e formulare una replica.
In ogni caso, ritengo che sia opportuno seguire la traccia proposta dal presidente, esaminando, innanzitutto, i temi della gestione del patrimonio immobiliare pubblico e della gestione del patrimonio immobiliare degli enti; in seguito, affronteremo le tre questioni che egli stesso ha posto, vale a dire quella relativa al patrimonio residenziale, cioè alle operazioni SCIP e, in particolare, all'operazione SCIP 2, quella concernente gli immobili di pregio e, infine, quella attinente agli immobili destinati ad uso governativo e al FIP, il Fondo immobili pubblici.
Cominciamo con l'affermare che esaminando i bilanci pubblici degli altri paesi europei - sarò rapido in proposito - si riscontra una sostanziale somiglianza tra quelli dei principali paesi, con un'unica notevole anomalia riguardante l'Italia, che ha un debito pubblico del 105,8 per cento del PIL; ciò implica una spesa per interessi, cioè per il servizio del debito, pari a circa il 5 per cento del prodotto interno lordo. Negli altri paesi europei, grossomodo a parità di spesa pubblica e di imposte, cioè di pressione fiscale, i debiti pubblici oscillano intorno al 60 per cento del PIL e il servizio del debito ammonta a circa il 3 per cento del PIL. Questo significa che vi sono almeno due punti percentuali di differenza nella spesa del nostro paese rispetto a quella degli altri paesi. In altri termini, la spesa primaria, al netto degli interessi sul debito pubblico, è inferiore del 2 per cento rispetto a quella degli altri paesi europei. Per la precisione, in Italia il debito pubblico costa, per interessi, 5 punti percentuali di PIL mentre nella media europea, esclusa l'Italia, il costo è di 2,8 punti percentuali.
A fronte di questo debito pubblico così elevato, che esercita un peso così notevole sul bilancio pubblico, bisogna affermare che lo Stato italiano dispone, tuttavia, di un amplissimo attivo che ammonta a circa il 137 per cento del PIL e, soprattutto, è pari al doppio rispetto a quello degli altri paesi europei che dispongono di stime del valore di mercato del proprio attivo di bilancio. Quindi, se anche noi guardiamo lo stato patrimoniale, oltre che il conto economico, delle pubbliche amministrazioni scopriamo un ulteriore indicatore della pervasività del nostro Stato nei confronti dell'economia. Non soltanto esistono molte spese e molte tasse, più o meno come negli altri paesi, ma, soprattutto, nel nostro stato patrimoniale esistono molto debito e molto attivo pubblico.
Peraltro il patrimonio pubblico è rimasto quasi sconosciuto fino a pochi anni fa, perché esisteva soltanto il Rendiconto generale dell'amministrazione, prodotto dalla Ragioneria generale dello Stato e sottoposto al Parlamento ogni anno, che registrava gli attivi sostanzialmente a valori storici, ossia al costo di acquisizione, valori che non avevano quindi alcun significato economico. Pensate che per
molte partecipazioni azionarie il valore nominale è di un euro per azione laddove i corsi arrivano anche a 17 euro per azione; lo stesso discorso vale per gli immobili e per le opere pubbliche. È quindi evidente che quel Rendiconto ha una scarsa significatività.
Abbiamo quindi cercato di produrre uno stato patrimoniale delle amministrazioni pubbliche realizzato a prezzi di mercato, ossia valutato come qualsiasi bilancio impone oggi di fare, e corredato, oltre che da una descrizione di tutti gli attivi e i passivi, da un confronto internazionale con la situazione dei principali paesi che producono uno stato patrimoniale di questo tipo (Francia, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Svezia, Giappone e Canada) da cui risulta lo scostamento che illustravo prima.
Le entità censite da questo stato patrimoniale delle amministrazioni pubbliche sono le seguenti: Stato, regioni, province e comuni, enti previdenziali e altri enti pubblici. Essi sono valutati a prezzi di mercato o secondo i criteri del SEC 95, cosicché anche dal punto di vista della contabilità europea, diversa da quella civilistica, disponiamo di una valutazione.
Questo conto delle pubbliche amministrazioni, che alla fine dell'estate sarà corredato da un'analisi ancora più approfondita effettuata dall'Agenzia del demanio, non tanto dei valori quanto dell'inventario fisico delle disponibilità, ci è servito innanzitutto per finalità di tipo conoscitivo, perché nessuno sapeva con precisione cosa avessimo e dove lo avessimo. Ci è servito a fornire delle valutazioni con criteri identici a quelli di altri paesi e a capire quali possono essere le operazioni di ottimizzazione di questo patrimonio, perché le caratteristiche fondamentali del patrimonio sono principalmente due. In primo luogo esso ha un rendimento basso o addirittura negativo; in pratica è un centro di costo e non di profitto. In secondo luogo genera delle rendite totalmente ingiustificate per quanto riguarda l'amministrazione degli immobili e dei beni demaniali che spesso sconfinano nell'abuso; questo accade perché, come Adam Smith affermava nella sua opera fondamentale del 1776, La ricchezza delle nazioni, non c'è peggior padrone della Corona.
È evidente che lo Stato non può vendere tutto, perché all'interno dello stato patrimoniale ci sono attivi più utili e meno utili, per cui si giustifica un'operazione di dismissione, o altri per cui si giustifica semplicemente un'operazione di valorizzazione. Partendo da questo conto patrimoniale abbiamo allora cercato di ragionare sui criteri e sui meccanismi. I criteri con cui amministrare l'attivo del patrimonio pubblico sono eminentemente tre. Il primo di questi è rappresentato dal criterio di efficienza: individuare gli attivi che finanziariamente rappresentano un centro di costo, capire perché lo siano ed eventualmente liberarsene. Il secondo è un criterio di fondo della gestione di qualsiasi capitale: la sostenibilità, cioè il fatto che questi attivi, anche se magari oggi rappresentano un centro di costo, possano costituire una fonte di benessere per le generazioni future. Faccio un esempio per tutti: un'università rappresenta ovviamente un centro di costo, ma è fondamentale per lo sviluppo del paese; molti ospedali rappresentano ovviamente dei centri di costo, ma sono fondamentali per il mantenimento di quello che gli economisti gelidamente chiamano «capitale umano». Il terzo criterio è quello dell'equità nei confronti dei più svantaggiati; è possibile che un attivo rappresenti un centro di costo, è possibile che questo centro di costo non generi particolare benessere per le generazioni future, ma è tuttavia fondamentale per il benessere di alcuni segmenti di popolazione meno fortunati: un ospizio, se ancora ne esistono, piuttosto che giardinetti pubblici in una zona disagiata fruiti da fasce di popolazione meno fortunate non danno benessere alle generazioni future, rappresentano un centro di costo, e tuttavia sono fondamentali per il benessere di alcune fasce di popolazione.
Certamente, se un attivo è un centro di costo, non serve al benessere delle generazioni future e non rappresenta un particolare esempio di politica per l'equità,
allora lo si può vendere a cuor leggero e, anzi, una gestione sana e ragionevole della cosa pubblica impone di vendere questo tipo di attività. Alcune delle ipotesi di cessione degli immobili e di attivi che abbiamo fatto in questi anni rispondono a tutte queste caratteristiche. Sicuramente vi risponde la cessione dei crediti: pensate che il recupero dei crediti contributivi è circa triplo una volta che questi crediti sono stati cartolarizzati rispetto a quando non lo sono. Entrando in medias res, vi risponde anche la cessione degli immobili residenziali degli enti, che non sono un centro di profitto, non generano benessere per le generazioni future e in alcuni casi, certamente non in tutti, mi pare che vadano a vantaggio delle fasce più fortunate e non di quelle più sfortunate della popolazione, perché fenomeni di rendita connessi alla fruizione di questi immobili, derivanti da affitti sotto il mercato o da localizzazioni particolarmente fortunate e così via, fanno di questi beni un caso di scuola di immobili da dismettere. Infatti, quando questo tipo di immobili viene dismesso l'inquilino si accolla tutti i costi di gestione per il solo fatto di averlo comprato, in più ha un incentivo a ristrutturarlo. Questo è un criterio che sta alla base delle dismissioni di immobili residenziali avvenute non soltanto in Italia, ma anche in altri paesi, come la Gran Bretagna.
Per razionalizzare questo segmento di patrimonio pubblico è stata introdotta nel 2001 la legge n. 410, che tra l'altro detta le norme secondo cui vendere questi immobili e prevede la razionalizzazione logistica degli uffici, delle sedi e degli sportelli degli enti previdenziali pubblici. Di fatto questa legge affronta le due dimensioni delle vendite immobiliari che abbiamo fin qui realizzato: della prima fase, che attraverso le operazioni SCIP ha riguardato principalmente il patrimonio residenziale (tenete presente che una cartolarizzazione la si realizza quasi esclusivamente quando esiste un occupante intenzionato in qualche modo a comprare) mentre invece la questione della razionalizzazione logistica degli uffici, delle sedi e degli sportelli è grossomodo confinata agli usi governativi di cui parlavo in precedenza e di cui il Fondo immobili pubblici ha rappresentato il primo esempio.
Perché sono state pensate queste due operazioni, tra l'altro nell'ottica di una maggior efficienza della cosa pubblica? Perché cedendo gli immobili residenziali degli enti si è raggiunto l'obiettivo di non aumentare, o addirittura di ridurre, il debito pubblico razionalizzandone l'uso. Gli economisti, grazie anche alle loro analisi forse un po' fredde, sanno che le burocrazie non rispondono ad ordini, ma ad incentivi, e questo è ciò che esattamente succede a qualsiasi entità di tipo privato. Quindi, il fatto che gli immobili in uso governativo avessero un affitto equivalente a zero comportava uno sfruttamento meno che efficiente di tali risorse: di contro gli enti si trovavano a dover sostenere le spese relative alla gestione di tali immobili senza potersi avvantaggiare da una loro eventuale vendita. Come si è più volte rilevato nell'ambito della Commissione bilancio della Camera dei deputati in sede di esame della legge finanziaria, bisognava però dimostrare che una tale operazione sarebbe risultata nel complesso vantaggiosa per l'erario. Infatti, per il solo piacere di creare efficienza, a volte si compiono delle operazioni che efficienti non lo sono affatto; in questo caso, però, il tipo di ragionamento effettuato ha condotto a risultati abbastanza univoci.
Ad esempio, il FIP-Fondo immobili pubblici, che ha una durata complessiva di quindici anni, è stato realizzato con immobili la cui detenzione, per il solo immobilizzo di risorse finanziarie che lo Stato prende a prestito, presenta attualmente per ipotesi un costo medio del debito non rimborsato per interessi del 4,8 per cento a cui va sommato il costo relativo alla gestione immobiliare, che varia dal 3,5 al 5 per cento. Da tale somma si ottiene il costo totale per la detenzione di questi immobili per lo Stato (comprensivo degli interessi sul capitale e delle manutenzioni) che oscilla tra l'8,3 e il 9,8 per cento, francamente una cifra poco efficiente e giustificabile che, oltretutto,
viene pagata dal contribuente. Invece, se noi introduciamo questo meccanismo di cessione del bene ad un fondo, il quale lo riaffitta a condizioni ovviamente economiche - persino agevolate, ma che comunque comportano una posta di costo nel bilancio degli enti - riusciamo a risparmiare finanziariamente e a recuperare efficienza. Riguardo a questo ultimo punto faccio rilevare che i metri quadrati per persona, per ente, per ufficio o per sede sono molto diversi tra loro, come sempre accade nel settore pubblico; si va da 10 metri quadrati per persona a 35-40 metri quadrati per persona, contro una media del settore privato pari a circa un terzo di questi valori.
Queste operazioni (come quella relativa agli usi governativi, sulla quale continuo a soffermarmi) hanno identica struttura anche nelle principali aziende private. L'ENEL ha ceduto immobili strumentali per un miliardo e mezzo nel 2003, Telecom Italia per quasi 3 miliardi nel 2000, la Banca Antonveneta per 699 milioni nel 2003 e Generali per 4 miliardi e 600 milioni. Nel caso di Generali però la situazione è diversa perché non sono stati ceduti soltanto immobili strumentali, ma anche immobili che costituivano parte delle riserve tecniche.
A questo punto, pur essendo presente il sottosegretario Armosino, che avendo la delega ed essendosi occupata di queste tematiche più di me potrebbe fornirvi risposte più puntuali, cercherò di rispondere alle tre questioni specifiche che mi avete chiesto di trattare. Mi riferisco alla messa in efficienza e al risparmio di spesa nel caso degli immobili SCIP, alla messa in efficienza e al risparmio di debito nel caso degli immobili facenti capo al Fondo immobiliare pubblico. Mi avete chiesto di approfondire la questione legata al pregio, di comprendere il motivo per cui l'operazione legata a SCIP 2 ha subito dei ritardi e di spiegare nel dettaglio il funzionamento del Fondo immobili pubblici rispetto agli immobili strumentali degli enti che, come sapete, rappresentano meno del 30 per cento del FIP complessivo.
L'operazione SCIP 1 ha funzionato senza ritardi, mentre l'operazione SCIP 2 ha subito, fin dall'inizio, un rallentamento. Tale rallentamento ha causato quella ristrutturazione del debito - ben accettata dal mercato - operata nei giorni scorsi la quale, tra l'altro, ha consentito un rialzo del rating. Secondo le nostre valutazioni, questo lento avvio è stato causato dalla coincidenza di una pluralità di fattori che hanno distorto il processo. Innanzitutto, la questione legata al prezzo, come sapete, è stata oggetto di un'importante modifica legislativa giustificata non tanto dal punto di vista finanziario, quanto da quello sociale e politico. A bloccare tutto il processo è stata l'incertezza legata alla vendita dei beni: non si sapeva cioè se fare riferimento ai prezzi concernenti l'anno della valutazione, o ai prezzi di mercato successivi. Difatti, superato questo scoglio e indennizzato il fondo, la performance del fondo SCIP 2 è rapidamente migliorata avvicinandosi agli obiettivi del business plan, anche se non li ha ancora raggiunti. Quindi, è stato previsto il rifinanziamento dei titoli originariamente emessi, caratterizzati da scadenze troppo brevi e non più recuperabili integralmente per il significativo ritardo accumulato in quel periodo.
Riguardo agli immobili dichiarati di pregio, voi sapete che, per quanto concerne la vendita, ad essi non veniva applicato lo sconto normalmente previsto per gli immobili cosiddetti normali. Per motivi che attengono alle ordinarie dinamiche di comportamento degli individui si è giunti molto lentamente alla dichiarazione inerente a queste famose liste di pregio; tra l'altro, verso tale dichiarazione è stato anche fatto ricorso. Senza esitazioni affermo che questo è un altro di quei casi di abuso per i quali, se ve ne fosse bisogno, varrebbe la pena di vendere questi immobili una volta di più. Infatti le persone che occupavano immobili di pregio, siti nei centri delle città, hanno fatto di tutto pur di non pagare nemmeno quel prezzo, frutto di precedenti valutazioni ma pieno. Ritengo quindi, senza far uso di mezzi termini, che ci troviamo di fronte ad una forte prova della bontà di liberarsi di un
patrimonio che, lo ripeto, è oggetto di rendita; inoltre, come ho ricordato in precedenza, il termine «abuso», non faceva riferimento all'aspetto legale, ma a quello di fatto o economico. Anche se credo che la questione sia altamente discutibile, forse il sottosegretario Armosino è in grado di relazionarvi meglio sull'aspetto degli immobili di pregio, soprattutto riguardo alla sua evoluzione più recente.
Per quanto concerne le emissioni del Fondo immobili pubblici - ricordo, inoltre, che la motivazione citata in precedenza permane, mentre le tre cifre riguardanti il valore del debito, il costo di manutenzione e il costo complessivo della detenzione rappresentano dei casi effettivi - ritengo che nell'insieme possano portare ad una razionalizzazione del patrimonio degli enti stessi. Faccio riferimento non solo ai beni degli enti previdenziali, ma anche al 70 per cento degli immobili facenti capo, ad esempio, alle agenzie fiscali, alle sedi del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero del lavoro ed alle caserme della Guardia di finanza.
Consegno uno schema del rifinanziamento SCIP, realizzato dopo l'operazione di questi giorni, e lascio la parola al sottosegretario per un'eventuale integrazione.
MARIA TERESA ARMOSINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Non ho nulla da aggiungere, salvo rispondere alla sollecitazione del ministro in merito agli immobili di pregio, vicenda dibattuta soprattutto alla Camera dei deputati dove sono state presentate numerose interrogazioni e risoluzioni, volte in primo luogo all'abolizione del concetto di «pregio»; ciò comporterebbe che tutti gli immobili sarebbero venduti con lo sconto fino al 40,5 per cento, pari al 30 più 15 (e poi si dice che li vendiamo al prezzo del 2001). Questa è la tesi prioritaria delle richieste, per le quali sarà fissato l'esame in Assemblea. Inoltre, laddove si dovesse procedere all'abolizione del concetto di «pregio», sarebbe più interessante per i contribuenti italiani ritirare gli immobili dal mercato. Posto che dovremmo indennizzare la SCIP della perdita di introiti, essendo stati gli immobili immessi al valore senza sconti (sia pure con le valutazioni che da più parti sono state indicate come molto moderate o troppo rispondenti ai valori di mercato), ritengo che questa soluzione, comportando la necessità di coprire gli ammanchi che si determinerebbero, non sia accettabile. Il presupposto, come ha ben spiegato il ministro, è che non siamo in presenza di immobili in cui le persone sono entrate sulla base di graduatorie per esigenze particolari o in quanto appartenenti a categorie disagiate ma, come emerge chiaramente nel caso degli immobili di pregio, sono - diciamo così - gli amici degli amici o coloro che sono più vicini alle capacità e possibilità gestionali degli enti.
Siamo, invece, assolutamente disponibili a valutare denunce e segnalazioni di erronea individuazione del pregio laddove si lamenti che la fattispecie non sussista. Siamo aperti ai suggerimenti, da qualsiasi parte provengano, con la piena disponibilità a valutare caso per caso.
Infine, a differenza di quanto si legge sui giornali, in cui si dichiara che i ricorsi sono tantissimi, e che hanno riguardato 187 immobili, le richieste di sospensiva accolte dai TAR sono pochissime. Ciò dovrebbe indurre a grande cautela nell'affrontare la materia.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi per eventuali domande che intendano porre.
LINO DUILIO. Ringrazio innanzitutto il ministro ed il sottosegretario per la loro presenza. In verità avremmo desiderato che il ministro fosse venuto prima, ma mi rendo conto che i suoi molteplici impegni non lo hanno consentito.
PRESIDENTE. Era in corso l'esame del disegno di legge finanziaria.
LINO DUILIO. Parlavo sinceramente e non ironicamente, per sottolineare che
sarebbe stata importante la presenza del ministro durante l'esame da parte della Commissione della questione dei beni strumentali degli enti e quindi, per usare una metafora, prima che i buoi uscissero dalla stalla. L'audizione odierna, comunque, è una possibilità per confrontarci molto civilmente su alcune questioni che, rispetto alla brillante - come sempre - esposizione del ministro, ci vedono su posizioni diverse anche dal punto di vista culturale.
In primo luogo, intendo affrontare un aspetto su cui concordo già da tempi lontani, quando è iniziata l'operazione di alienazione del patrimonio immobiliare degli enti, che a mio modesto avviso ha realizzato ciò che - a suo tempo - ho definito dei veri e propri «regali di Stato», non solo per quanto riguarda gli immobili di pregio ma anche attraverso quella «alchimia» che si è utilizzata, secondo la quale si è praticato lo sconto del 30 per cento sul prezzo di mercato a chi abitava all'interno della casa, considerandola occupata ma «dimenticando» che chi occupava la casa era la stessa persona che l'avrebbe comprata. Ritenevo e ritengo che questa sia stata una vergogna.
Sugli immobili di pregio sarebbe oltremodo interessante, poi, rivedere la discussione sulla «criteriologia» con cui alcuni immobili sono stati definiti tali rispetto ad altri. Condivido, in proposito, che la «pantomima» sulla fatiscenza di questi beni situati in zone centrali, tale da richiedere uno sconto, è una delle metafore italiane che bene illustrano il senso dello Stato esistente nel nostro paese. Su questo punto, dunque, siamo d'accordo.
Affronto ora alcuni aspetti su cui vorrei manifestare dubbi, se non disaccordo. Il ministro (naturalmente ricondurrò queste considerazioni a temi di maggiore pertinenza della Commissione riguardanti gli enti previdenziali ed il loro patrimonio), nella sua illustrazione, ha persino chiamato in soccorso l'autorevole contributo di Adam Smith, dicendo che tutto ciò che è amministrato dalla Corona costa, non produce profitto e all'interno della «criteriologia» ricordata, che nei tre parametri utilizzati conduce a determinate conclusioni, ha spiegato le ragioni che hanno poi indotto la conclusione di ritenere che fosse preferibile vendere. Sul merito sono perplesso, perché mi sembra che ciò porti a dire che tutto ciò che fa il pubblico deve essere alienato, perché non è possibile per definizione che il pubblico produca profitto, ed è necessario vendere ai privati, perché è possibile per definizione che il privato consenta di realizzare profitto.
Questa è una considerazione sulla quale mi sentirei di sollevare qualche problema, quanto meno riguardo al confine tra pubblico e privato, non per svolgere una discussione ideologica e astratta ma perché non credo che sia necessariamente vera.
Peraltro, in questa sede abbiamo di recente ascoltato la testimonianza di autorevoli rappresentanti della associazione degli enti privatizzati - sottoposti anch'essi al controllo di questa Commissione - i quali ci hanno riferito che nell'asset allocation che caratterizza la gestione di tali enti il patrimonio immobiliare è molto importante, al punto che essi hanno acquistato i beni dismessi degli enti pubblici. Sostanzialmente, siamo arrivati ad una situazione in cui l'ente pubblico dismette il patrimonio, perché costa e non produce profitto, e tale patrimonio è acquistato da altri enti, peraltro sottoposti al controllo di questa stessa Commissione, i cui rappresentanti affermano che lo acquistano esattamente per ragioni opposte.
ANTONINO LO PRESTI. Le finalità sono diverse.
LINO DUILIO. Non si tratta di un problema di finalità. La discussione attiene non alle finalità ma a quanto è stato affermato, quale ragione essenziale, dal ministro, il quale giustifica una decisione, la decisione di alienare. Si aliena, cioè, allorquando si produce un costo, non c'è efficienza nella gestione e, quindi, non c'è profitto; non si aliena, invece, in caso contrario. Manifestavo tale contraddizione, evidenziatasi in questa Commissione, cioè che riguardo agli stessi beni alcuni soggetti
hanno fatto ricorso a ragionamenti esattamente opposti per arrivare a decisioni esattamente opposte. Sottopongo questo esempio all'intelligenza del ministro, non polemicamente ma solo perché ancora penso, forse romanticamente, che sia gli esponenti del centrodestra sia quelli del centrosinistra debbano avere a cuore la sorte dei beni pubblici e dello Stato. Questa considerazione, forse, ci può servire perché quello dell'amministrazione dei beni pubblici è un capitolo rispetto al quale non si dovrebbe essere indifferenti, per così dire.
Peraltro, signor ministro, tutti i colleghi e lo stesso presidente della Commissione possono testimoniare che, per anni, abbiamo svolto in questa sede le audizioni dei presidenti e dei massimi responsabili degli enti, i quali ci hanno documentato, bilanci alla mano, che la redditività del loro patrimonio era positiva e non negativa. Perciò, un po' ironicamente noi abbiamo sostenuto che hanno affermato il falso e ci hanno presentato documenti falsi. Mi riferisco alla redditività netta e non alla diatriba fra redditività lorda e redditività netta. Quindi, se non sono state rese affermazioni false o infondate, anche in questo caso c'è qualcosa che non funziona. La prego di credermi, signor ministro: lo affermo con curiosità intellettuale e senza alcun tono polemico.
Trascuro ciò che è accaduto riguardo alle SCIP, che è oggetto anche - come lei sa - di alcune specifiche interrogazioni parlamentari presentate in sede di Commissione bilancio, della quale sono un componente. Anch'io ho apposto la mia firma ad alcune di esse, quelle che riguardano i mancati ricavi dalle vendite dovuti alle difficoltà che lei citava in precedenza. Non credo che ciò sia strettamente pertinente con quello che noi vogliamo affermare oggi in questa sede e pertanto mi astengo qui dall'approfondire.
Altri temi, invece, risultano più pertinenti; su questi ci siamo già soffermati in Commissione e mi preme ora riprenderli. Al di là della discussione sul patrimonio residenziale e sugli alloggi, che si può prestare alle considerazioni da me svolte poc'anzi, c'è qualcosa che mi ha stupito molto e su cui non sono assolutamente d'accordo, se vuole anche per ragioni ideologiche, per quanto possa valere l'ideologia oggi. Mi riferisco alla alienazione dei beni strumentali degli enti. Sinceramente, per quanto abbia cercato di documentarmi, di leggere e di studiare, oltre che di ascoltare le ragioni che sono state addotte in questa sede, non sono riuscito ancora a capirla. Non credo che tra gli argomenti che possano essere addotti per giustificare questa decisione possa esserci quello dei dieci o venti metri quadrati per impiegato cui lei faceva cenno. Da un punto di vista di principio, non capisco come sia possibile che la casa in cui un ente previdenziale abita, molto spesso di pregio, debba essere venduta per poi pagare l'affitto, affinché l'ente medesimo possa continuare a funzionare. Non vorrei che il discorso fosse economicistico al punto tale che, al fine di risparmiare un po' di denaro, che nelle economie complessive di bilancio di un grande ente non fa grande differenza, noi alieniamo un patrimonio con una decisione di cui, nel tempo, ci si potrebbe pentire, considerato che non credo sia una decisione reversibile.
In altri termini, stiamo alienando un patrimonio che non potrà essere più riacquistato, nel medio tempo, da parte di questi enti. Peraltro, la decisione di riacquistarlo sarebbe una contraddizione in termini. Non riesco a capire quale sia la filosofia aziendale. Mi risulta che le imprese private, a meno che non ci sia la ragione di fondo di cui dicevamo, appena possibile acquistano gli immobili nei quali gestire i loro interessi e attività; invece, l'impresa pubblica vende la propria sede e poi paga l'affitto per essa. Certamente, ci addentriamo in un campo veramente ideologico e astratto. In ogni caso, non riesco a capire come si possa giustificare questa decisione.
In materia, ho avuto modo - tra l'altro - di scorrere le lettere che sono partite dal suo ministero, che presentano forme non sempre molto eleganti, per usare un eufemismo. Ricordo per inciso che vi è un contenzioso aperto all'interno di questi
enti. Annoto inoltre che anche i presidenti che, in questa sede, hanno inizialmente affermato di non essere d'accordo sull'operazione, alla fine, come Garibaldi, hanno detto: «obbedisco!». Oltretutto, considerandolo come un atto dovuto, hanno impedito al consiglio di amministrazione dell'ente di pronunciarsi sulla vicenda. Questo modo di procedere la dice lunga, a mio avviso, sui rapporti che sono insorti tra lo Stato e gli enti pubblici, con particolare riferimento ad una legge dello Stato che ancora non mi risulta sia stata abrogata. Mi riferisco alla legge n. 88 del 1989, che concedeva a questi enti ampi margini di autonomia. Oggi, invece, noi siamo giunti ad una decisione calata dall'alto, non credo per ragioni di efficienza - come brillantemente lei ha affermato - ma sostanzialmente perché nella legge finanziaria bisognava inserire, nelle poste che realizzavano una certa quantità di entrate, una cifra che poteva provenire soltanto dalla alienazione del patrimonio immobiliare. Ad ogni modo, le cose sono andate così e l'autonomia degli enti, ormai, è stata «saccheggiata» - mi consenta il termine - da parte dello Stato, il quale ha deciso autoritativamente che cosa fare. Lo stesso è accaduto anche per le consistenze mobiliari perché mi risulta che molte risorse sono state utilizzate per altri fini, per finanziare, ad esempio, la legge Lunardi (mi riferisco al caso dell'INAIL) o per le misure (ancora poco note) sulla competitività. La legge n. 88 del 1989, in altri termini, è stata abrogata surrettiziamente, per così dire, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.
Ora, considerato tutto questo, mi permetta di rivolgerle una domanda finale, per la quale le chiedo di essere preciso nella risposta: ove ci fossero ancora disponibilità finanziarie degli enti, depositate, come si usa fare, in tesoreria, verranno per tali disponibilità pagati gli interessi? E, nel caso, a partire da quale data? Occorre ricordare infatti, come lei sa, che in tutti questi anni, il deposito effettuato dagli enti presso la tesoreria è stato infruttifero. Ora, se vale la logica che lei ha imposto, secondo la quale, diciamo così, si trasforma il «patrimonio solido» in «patrimonio liquido», sarebbe doveroso, oltre che del tutto coerente, che valesse anche la regola del rendimento delle cifre depositate in Tesoreria, per cui sono a chiederle di dirmi se sarà così e, con precisione, le chiedo a partire da quale data gli interessi saranno pagati a questi enti.
SABATINO ARACU. Per quanto riguarda gli immobili di pregio, la loro individuazione non è facile: le difficoltà sono enormi e capisco quanto affermato dal sottosegretario Armosino riguardo ai ritardi e alle problematiche esistenti. La mia unica affermazione in proposito attiene a considerazioni in tema di economia piuttosto che al pregio, intrinsecamente considerato. Come è possibile che in uno stabile classificato come non di pregio un appartamento che supera i 240 metri quadrati sia considerato di pregio? Mi sono personalmente informato e ho potuto constatare che, ad esempio, a Roma 5 appartamenti da 50 metri quadri valgono quasi il doppio di uno di 250 metri quadri; la stessa cosa si può affermare per il resto del paese. In questa legge viene utilizzato un criterio esattamente opposto! Se si compie lo stesso raffronto in uno stabile pubblico in vendita, il prezzo dell'appartamento più grande è nettamente superiore a quello di 5 appartamenti con una metratura equivalente. Questa è una assurdità economica, non vedo una logica coerente in tutto questo. Non si tratta di molti casi, tuttavia mi sembra comunque un fenomeno paradossale.
ANTONINO LO PRESTI. Vorrei fare una precisazione riguardo a quanto detto dal collega Duilio a proposito degli enti che gestiscono forme di previdenza privata che si sono rivolti al mercato per acquistare immobili dismessi del patrimonio pubblico. A me pare che questa politica sia da condividere, perché queste operazioni arricchiscono il patrimonio dell'ente e vanno sostanzialmente a garanzia delle rendite future degli associati che percepiranno le pensioni. Si tratta di una politica
saggia perché intende capitalizzare in beni che si rivalutano risorse utili, da un punto di vista attuariale, in momenti di emergenza per far fronte ad eventuali futuri debiti.
LINO DUILIO. Come per l'INAIL?
ANTONINO LO PRESTI. No, si tratta di un caso diverso, perché quello è un ente pubblico. Sono stato tra i presentatori di una interrogazione parlamentare concernente la dismissione degli immobili strumentali, perché in effetti l'operazione non mi ha convinto in prima battuta. Non mi hanno poi convinto alcune spiegazioni che sono state fornite durante la risposta all'interrogazione; mi sono convinto strada facendo, quando ho compreso che questa operazione serve per intervenire sul debito pubblico complessivo del paese per ridurlo di una certa percentuale. Per tale motivo vorrei chiedere al ministro Siniscalco in che percentuale questa operazione ridurrà il debito pubblico italiano. Se è questa la finalità, come ha rilevato in maniera chiara il ministro nel corso della sua introduzione, allora deve essere maggiormente e meglio pubblicizzata in modo da farla comprendere pienamente all'opinione pubblica, perché finora il messaggio che si tratta di un'operazione con una finalità di fondo in linea con la politica complessiva del Governo non è passato. All'opinione pubblica si deve spiegare che si vendono e si fanno poi confluire in fondo questi immobili allo scopo precipuo di intervenire sul debito pubblico, la vera palla al piede di tutti i tentativi che qualsiasi governo, di qualsiasi colore, può porre in campo per risolvere i problemi della nostra economia.
PIETRO GASPERONI. Non ripeterò le osservazioni che già in tante altre occasioni abbiamo avuto modo di esprimere e di sottolineare; mi riferisco naturalmente all'alienazione delle sedi strumentali e non agli immobili residenziali. Desidero comprendere meglio in che modo le risorse che saranno così raccolte verranno utilizzate. Quanto di ciò che sarà realizzato sarà destinato a riduzione del debito pubblico e quanto invece ad operazioni di altro genere?
Ringrazio il ministro Siniscalco ed il sottosegretario Armosino per averci fornito la possibilità di scambiare qualche opinione o di avere qualche chiarimento in più.
Qual è la legittimità di questa operazione riguardante l'alienazione del patrimonio degli enti previdenziali, stante la natura sociale degli enti? Sono davvero considerabili come beni dello Stato pur essendo il frutto del patrimonio cumulato con i contributi dei lavoratori e delle imprese? Al riguardo sono in atto ricorsi da parte dei CIV alla magistratura, anche se non si sa con quale esito. Vorrei che da parte del ministro provenisse un parere forte, tale da convincerci che siamo di fronte ad un bene la cui disponibilità appartiene allo Stato e non agli associati degli enti che pagano i contributi. Non voglio poi rimarcare la mortificazione dell'autonomia di questi enti.
Inoltre, vi sono ragioni particolari per quanto riguarda l'INAIL, che in quanto ente assicurativo deve disporre di un patrimonio di garanzia. La ragione da cui trae origine la scelta di procedere all'alienazione è veramente la scarsa redditività o non è piuttosto la necessità di raggiungere un equilibrio tra le entrate e le uscite nella legge finanziaria? A che punto è oggi l'operazione? È definitivamente compromessa o ci sono ancora margini per poter riconsiderare, almeno in parte, quanto è stato precedentemente deciso? Infatti, come ricordava il mio collega Duilio, questa rischia di essere una strada senza ritorno.
Signor ministro, poiché ieri sera ho ascoltato il Presidente del Consiglio parlare di una consistente riduzione del debito pubblico, da adottare con la prossima legge finanziaria, vorrei sapere quanta parte del patrimonio residuo degli enti previdenziali potrebbe essere interessata da questa operazione.
EMERENZIO BARBIERI. Signor presidente, vorrei sottolineare, soprattutto ai
colleghi dell'opposizione, che oggi il ministro Siniscalco ci ha fornito gli stessi chiarimenti che il sottosegretario Armosino portò alla nostra attenzione esattamente quattro mesi fa. Ho voluto ricordare questo perché, al di là della costruzione sintattico-grammaticale, la sostanza è rimasta immutata. Anch'io mi ero associato alla richiesta avanzata dall'opposizione di ascoltare il ministro ma, per quanto mi riguarda, i fatti riferitici dalla collega Armosino a novembre erano già più che sufficienti.
Detto questo, signor ministro, intendo porre un problema politico. I recenti risultati elettorali hanno confermato che anche le cose buone debbono essere spiegate. Diversamente, infatti - su questo il collega Lo Presti ha perfettamente ragione -, questo Governo, oggettivamente e al di là della sua volontà, rischia di dare una mano all'opposizione e non alla maggioranza che lo sostiene. Nelle prossime due settimane, nella gran parte delle sedi INPS di Emilia-Romagna e Lombardia si terranno manifestazioni pubbliche, organizzate dalla famigerata triplice sindacale, contro la cosiddetta svendita dei patrimoni immobiliari dello Stato che, a detta loro, si è trasformata in una gigantesca operazione di speculazione finanziaria tutta a danno dei lavoratori, dei pensionati e dei cittadini. Nella sostanza, si tratta delle stesse cose che ci hanno appena detto i colleghi Duilio e Gasperoni, i quali però hanno usato una fraseologia adeguata alla sede parlamentare di cui fanno parte.
Bisogna che il Governo partecipi a questo tipo di assemblee e spieghi ai cittadini la natura del proprio operato. Infatti, non si può permettere ai sindacati - in completo accordo con l'opposizione - di trasformare questa operazione nell'ennesima propaganda politica contraria al Governo. Signor ministro, un'operazione oltre a dover essere buona deve anche essere spiegata. Per fare un parallelo, la riforma delle pensioni voluta da Maroni - che, tra l'altro, riguarda questioni attinenti a quelle trattate dalla nostra Commissione - è stata spiegata molto meglio: tant'è vero che la stessa triplice sindacale, dopo aver fatto camminare per un po' i pensionati, ha pensato bene di cessare ogni ostilità. Nel nostro caso, invece, il Governo - che ha avuto a sua disposizione ben cinque mesi - non è riuscito a spiegarsi. Quindi, poiché siamo reduci da una sonora batosta elettorale, sarà bene per il futuro evitare di commettere errori analoghi.
PRESIDENTE. Prima di dare nuovamente la parola al ministro per la replica, intendo rivolgergli due semplici domande. In precedenza si è ricordato che nelle audizioni fin qui svolte i rappresentanti degli enti hanno più volte evidenziato come la loro gestione del patrimonio immobiliare desse risultati interessanti. Ad onor del vero debbo dire che per quanto concerne l'INPS, ad esempio, il dato riferito alla gestione immobiliare è negativo. Esiste, infatti, una società da oltre dieci anni in liquidazione, l'IGEI, che continua a gestire in maniera negativa il patrimonio dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. Non si tratta solamente di un patrimonio derivato, ma anche accresciuto da tutte le immissioni effettuate in occasione del trasferimento dell'INPDAI all'INPS. Si è enormemente rimpolpata una società da dieci anni in liquidazione - lo ripeto -, sul cui operato ho sempre chiesto la massima chiarezza senza mai ottenerla. Se è l'INPGI che deve agire, allora si abbia il coraggio di rimettere in bonis questa società ricostituendone gli organi di funzionamento e di controllo, così da restituire trasparenza e legittimità agli atti riguardanti tutta la gestione del patrimonio immobiliare. Nel dire ciò faccio riferimento anche ad una serie di problemi riguardanti delle vendite, così come descritte da alcune testate giornalistiche.
Riguardo alla razionalizzazione delle presenze degli enti sul territorio la Commissione, all'unanimità, ha più volte sollecitato un accorpamento funzionale delle loro sedi; in questo modo si risparmierebbe in termini di costi e si renderebbe un maggior servizio al cittadino.
Il passaggio dalla figura di proprietario a quella di locatore chiaramente impone tutta una serie di necessarie autorizzazioni
per quanto concerne la gestione funzionale delle strutture: desidererei che su questo il ministro mi fornisse ulteriori chiarimenti. Inoltre, il presidente del CIV ha affermato che la rendita di affitto prevista - corrispondente al 7,81 per cento -, calcolata sul fitto annuale previsto, è elevata rispetto agli standard. Con questa rendita di affitto, si potrebbe riacquistare il bene in 10 anni, invece di una locazione di 18 anni: questa era la tesi esposta.
Per quanto riguarda l'INAIL, vorrei capire perché esiste un certo atteggiamento nei confronti di questo ente. Forse la valutazione è conseguente al fatto che non vi sia stato un intervento dello Stato, dato che l'ente è in attivo, ma esiste un problema di incentivazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per quanto riguarda le politiche di investimenti a reddito, attraverso l'utilizzo delle leggi che permettono all'ente di realizzare quegli interventi sotto la vigilanza del ministero ed il processo di cessione del patrimonio strumentale. Esiste una discrasia e vorrei conoscere in merito la posizione del Ministero dell'economia e delle finanze.
Do quindi nuovamente la parola al ministro per la replica.
DOMENICO SINISCALCO, Ministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio il presidente e gli onorevoli intervenuti perché le domande poste mi consentono di ricostruire il quadro generale e di toccare i punti meno compresi o da spiegare meglio.
Permettetemi una breve premessa. La gestione ideale o ottimale del patrimonio pubblico che si è accumulato per stratificazione negli anni, e che equivale a circa il 137 per cento del PIL, è un processo che richiederà un periodo lungo, forse trentennale. Quando parlo di ottimizzazione non intendo dismissione a tutti i costi, ma abolizione delle rendite, delle sacche di inefficienza, investimento laddove serva maggiormente e così via. È un processo di cui si discute in scienza delle finanze da un secolo. Se si leggono i manuali di Nitti, egli è stato il primo ad affrontare, anche in forme innovative, la questione di come debba essere usato il demanio dello Stato, da un lato per ridurre il debito e dall'altro per finanziare la spesa. Proprio perché la rimessa a reddito e ad efficienza di questo patrimonio è un processo immenso dal punto di vista quantitativo, deve essere guidata da criteri.
Forse non sono stato chiaro; non ho detto che il patrimonio debba essere venduto se vi è un rendimento negativo e tenuto se, viceversa, il rendimento è positivo, ma che esistono tre criteri su cui ho riflettuto (se a qualcuno ne viene in mente un quarto, sono ben disposto a considerarlo). Il primo è il criterio finanziario inerente alla valutazione se tenerlo costi più di alienarlo. Ad esempio, il fatto che una gestione immobiliare sia al 2 per cento è un ottimo motivo per cederla dato che si riduce il debito che, a parità di durata, costa il 5 per cento. È un problema di costo del mantenimento dell'attività rispetto alla riduzione del debito. Il secondo criterio è quello della sostenibilità, cioè la capacità di produrre reddito per le generazioni future, come per le università, gli ospedali ed altro. Il terzo è quello dell'equità, cioè il benessere di fasce di popolazione particolarmente bisognose. Ho esposto tre criteri e - insisto - un quarto, pur avendo studiato economia per tutta la vita, non mi sovviene. Vi sono quindi un criterio sociale, uno intertemporale ed uno finanziario. Naturalmente bisogna discutere dei criteri perché possono essere «pesati» diversamente. Vi sono impostazioni per cui l'equità pesa più dell'efficienza o viceversa, od ancora momenti in cui il debito pubblico è preminente e, in una considerazione generale della finanza pubblica, il criterio finanziario pesa più degli altri due (come direbbe un economista, dipenderebbe dal tasso di sconto, cioè quanto pesa il benessere futuro rispetto a quello attuale). Il criterio non è indiscutibile; è un problema di pesi tra i criteri. Per dirla un po' semplicisticamente, mi aspetto che nello spettro delle preferenze politiche quanto più ci si sposti a sinistra tanto più si sia più attenti al
criterio dell'equità, quanto più ci si sposti a destra tanto più si sia più attenti al criterio dell'efficienza.
Questa procedura va considerata nel quadro complessivo della finanza pubblica, non dell'equilibrio del singolo ente ma, quantomeno dal punto di vista del Ministero dell'economia e delle finanze, della finanza pubblica, che è composta di debito, di deficit, di crescita attuale e futura e, infine, di logica delle gestioni previdenziali. Avete più volte detto che gli immobili sono a garanzia delle prestazioni. Tralasciamo il caso dell'INAIL, che ha effettivamente una gestione di tipo assicurativo, ma negli altri enti abbiamo sistemi a ripartizione dove la garanzia è interamente pubblica. Permettetemi la metafora, ma avere una garanzia patrimoniale ed una pubblica sarebbe come indossare due giacche o due paia di pantaloni.
Chiarito che si tratta di un processo di lungo termine che deve essere guidato da criteri discussi, con pesi ovviamente diversi a seconda delle preferenze politiche, considerato nel quadro complessivo della finanza pubblica, entro nel merito delle domande. Concordo con l'onorevole Duilio e mi scuso di non essere venuto prima, ma il fatto che si tratti di un processo così lungo (come emerge anche da molte domande poste da voi) rende comunque utile non solo essere venuto oggi ma tornare dopo che avrete esaminato lo stato patrimoniale per entrare maggiormente nei dettagli. Per quanto riguarda i «regali di Stato», è ovvio che se l'inquilino non avesse comprato l'immobile da esso stesso occupato il valore dell'immobile sarebbe stato inferiore; la questione del valore a cui vendere l'immobile all'inquilino che lo occupa è molto discutibile. È certo che se non lo avessimo venduto avrebbe continuato a rappresentare il centro di costo di cui ho detto, che è a carico non degli enti ma dei contribuenti. Abolire il concetto di «pregio» significherebbe generalizzare lo sconto che pagheremmo noi tutti.
Per quanto riguarda l'impossibilità di gestire il patrimonio, lo stesso fatto che abbiamo dovuto realizzare tre anni fa lo stato patrimoniale in cui sono riportate le proprietà pubbliche, che non siamo in grado di realizzare questo inventario per i beni italiani detenuti all'estero (non mi riferisco alle ambasciate, ma alla miriade di beni che per lasciti, acquisti ed assi di vario tipo deteniamo all'estero) e che di anno in anno aggiorniamo e raffiniamo questo studio di interi ordini di grandezza, rende evidente non l'impossibilità ma l'estrema difficoltà per lo Stato di gestire il patrimonio. Non intendo dire che tutto quanto realizza il pubblico è fatto male e, viceversa, tutto ciò che compie il privato è fatto bene, anche perché per tutta la vita ho lavorato nel settore pubblico. Ma, onestamente, con dimensioni tali, con la complessità delle società moderne, con una tendenza evidente a godere e generare rendite, decentrare la proprietà e la gestione dei beni è positivo. Ho detto più volte, fin dall'inizio del mio mandato, di essere generalmente nemico delle una tantum perché sono come anestetici sul bilancio; si giustificano in una fase di passaggio in una particolare recessione, ma se non si «appoggia» dall'altra parte del ponte sono una droga. Se osservate i conti pubblici stimati dalla Commissione europea (anticipati ieri), il disavanzo italiano è così alto non perché la finanza sia fuori controllo ma perché vi è ancora un'alta parte di una tantum da utilizzare.
In merito alla reversibilità ed irreversibilità dell'operazione, la SCIP è irreversibile per definizione ma non mi sembra che essa generi particolari polemiche.
Per quanto riguarda i beni strumentali, voglio ricordare, innanzitutto, che c'è un diritto di prelazione a favore dello Stato, affinché li possa eventualmente riacquistare. Quindi, se ci trovassimo di nuovo in un «ponte» di bassa crescita potrebbe convenire procedere in questo modo. Tornerò anche su questo argomento, ovviamente.
Per ciò che concerne il concetto di pregio, onorevole Aracu, con l'esempio dei 50 e dei 250 metri quadrati non volevamo effettuare una valutazione puramente di mercato perché, in tal caso, sarei stato d'accordo con lei sulla considerazione che,
nello stesso immobile, vale di più una monocamera di un grande appartamento. Con la questione dello sconto, non ci siamo posti un problema di prezzo quanto un problema di tutela dei più deboli. Perciò, abbiamo considerato che chi affitti un appartamento di 250 metri quadrati probabilmente avrà, per così dire, le spalle più larghe di chi affitti un appartamento di 50 metri quadrati. Quindi, il tipo di interessi che contemperavamo con quella specifica nozione di pregio - discutibile finché vogliamo - è che chi si trovi in una abitazione molto grande, ad esempio, in un grande centro cittadino, a parità di immobile probabilmente deve essere tutelato meno di chi abiti in un appartamento piccolo. Però ammetto qualsiasi obiezione perché conosco moltissime persone che abitano in appartamenti piccoli.
L'onorevole Gasperoni si è riferito alle sedi strumentali. Come ripeto, ritengo che il discorso debba essere formulato in un'ottica generale di debito e di deficit, ma anche di gestione dell'entità di tipo economico. Se tutte le principali società private, comprese le assicurazioni, hanno alienato a fondi specializzati il loro patrimonio immobiliare di tipo sia strumentale sia non strumentale - ma tralasciamo quest'ultimo - ci sarà un motivo, evidentemente. Quando ci si riferisce alla legittimità o meno della vendita di questi beni in capo agli enti si potrà discutere - sono d'accordo - sul grado di autonomia di questi ultimi, ma sicuramente il corrispettivo resta all'ente. Operiamo in questo modo semplicemente perché essendo il settore pubblico consolidato ai fini del bilancio pubblico (a prescindere dai parametri di Maastricht), effettuare questa operazione significa un'entrata per questo consolidato delle pubbliche amministrazioni. Come ripeto, però, nessuno espropria questo tipo di fondi.
Quanto sia il residuo del patrimonio pubblico da dismettere e valorizzare non lo posso dire per l'ovvio motivo che questo processo di ottimizzazione è lungo; può essere che passi attraverso questi attivi, attraverso i crediti o attraverso le privatizzazioni. Tuttavia, quando tutti i paesi simili al nostro hanno passivi di bilancio nell'ordine del 50, 60 o 70 per cento del PIL e noi lo abbiamo al 140 per cento, una domanda, ovviamente, ce la dobbiamo porre. Ricorrendo ai tre criteri che poc'anzi ricordavo, cioè finanziario, di sostenibilità, nel senso dell'efficienza, e di equità, credo che un debito così alto debba essere ridotto il più possibile e a ritmi rapidi, avendo ben chiaro - con riferimento a quanto affermato ieri dal Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso di una trasmissione televisiva - che il rapporto tra debito e PIL si riduce, innanzitutto, con la crescita del PIL e con gli avanzi primari, rispetto ai quali queste misure di dismissione sono complementari. Nessun paese che abbia ridotto di molto il proprio debito pubblico, ad esempio, dimezzandolo, lo ha ridotto alienando o dismettendo, ma lo ha fatto attraverso la crescita e generando avanzi di bilancio. Questo è accaduto negli Stati Uniti dall'era Kennedy all'era Clinton, per citare due presidenti democratici. La strada primaria è questa.
Per quanto riguarda le affermazioni dell'onorevole Barbieri, onestamente non posso che dargli ragione perché le iniziative sono buone se sono ben spiegate. Queste operazioni devono essere illustrate meglio di quanto siamo stati in grado di fare fino ad ora. Siamo esseri umani, evidentemente, e abbiamo molto da fare e alcuni limiti. Tuttavia, accetto pienamente la sua critica.
Infine, quanto alle domande del presidente Amoruso, non credo che il problema sia quello di ristrutturare la IGEI, ma ritengo che sia qualcosa di intrinseco alla economicità o meno di una gestione patrimoniale, anche perché sono in vigore contratti di lungo periodo e così via. C'è una clausola di riacquisto dei beni e concordo con lei sul fatto che l'INAIL ha qualcosa di diverso dagli altri enti.
Per quanto riguarda la data richiesta dall'onorevole Duilio, non la conosco. Mi posso informare e rispondere, magari per iscritto. Come ripeto, è un tema sul quale non sono completamente preparato e non
voglio rendere affermazioni non veritiere. La domanderò al Ragioniere generale dello Stato e vi risponderò per iscritto.
PIETRO GASPERONI. Quanto si realizza dalla vendita dei beni strumentali, mi è parso di capire, entra a far parte dei bilanci degli enti.
DOMENICO SINISCALCO, Ministro dell'economia e delle finanze. Certamente, resta nel bilancio degli enti, questo è ovvio. Tuttavia, siccome l'aggregato delle pubbliche amministrazioni - o general government, come è definito nel manuale SEC - è costituito inter alia da questi enti, se essi dismettono un attivo e introitano una somma quest'ultima risulta un introito delle pubbliche amministrazioni nel loro complesso, anche se resta all'ente in forma fruttifera.
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro dell'economia e delle finanze, professor Domenico Siniscalco, che ha partecipato a questa audizione. Se dovessero emergere, nell'ambito della indagine conoscitiva, altre esigenze, la sua disponibilità ad intervenire nuovamente in questa sede è ben gradita.
Ringrazio anche il sottosegretario Armosino e la dottoressa Ceravolo per la loro presenza.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,50.
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