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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla valenza, gestione e dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privati, il seguito dell'audizione del professor Gualtiero Tamburini, presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare).
Avverto che il professor Tamburini è accompagnato dal dottor Paolo Crisafi, consigliere generale, e dall'avvocato Riccardo Delli Santi, coordinatore del comitato iniziative normative dell'Assoimmobiliare.
Ricordo che nella seduta del 2 febbraio scorso il professor Tamburini ha svolto la sua relazione e, nel corso del dibattito, sono emerse richieste di informazioni e di approfondimenti, alle quali oggi il professor Tamburini intende rispondere.
Avverto inoltre che il professor Tamburini ha prodotto una documentazione, della quale dispongo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna. In tale documento viene presentata anche una sintesi tecnica delle contestazioni riguardanti il problema dell'INPDAP, al quale è stato fatto cenno.
Nel ringraziare i rappresentanti dell'Assoimmobiliare intervenuti, do la parola al professor Tamburini.
GUALTIERO TAMBURINI, Presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare). Vorrei in primo luogo ringraziare la Commissione per l'attenzione rivolta ad un tema che consideriamo assai rilevante. Nel corso dell'audizione del 2 febbraio scorso, i componenti di questa Commissione ed il presidente stesso avevano formulato una serie di domande che, raggruppate in numero di otto nell'appunto che abbiamo predisposto, meritano singolarmente una risposta.
Tale documento, oltre a riportare le risposte ai quesiti sollevati nella scorsa seduta, contiene anche una sorta di sintesi tecnica sulle contestazioni INPDAP, fornendo un elenco dettagliato delle tipologie di contestazioni rivolte alla società di gestione e la posizione delle società stesse, nonchè una nota giuridica circa i profili (giuridici) di lettura del contratto. Se la presidenza lo consente, l'avvocato Delli Santi potrà esporre successivamente questi aspetti. Inoltre, essendo stata espressa nel corso della precedente seduta un'osservazione relativa alle caratteristiche del contratto che legava l'ente alla società di
gestione prima di questa ultima fase contrattuale, ci soffermeremo, attraverso la nota citata, anche su tale profilo.
Venendo ai quesiti posti, il primo di essi riguarda l'effettivo ruolo dell'ente nel mandato. Il punto che rileva è che nel contratto che legava l'ente alla società di gestione erano poste in relazione, per ciascuno dei servizi, ed in modo assai preciso, le prestazioni promesse dal gestore all'istituto, da un lato, e dall'altro le prestazioni che dovevano essere svolte dall'istituto nei riguardi del gestore.
All'interno del contratto, che abbiamo consegnato all'attenzione della Commissione, dopo averlo «pulito» degli aspetti specifici relativi a ciascuna impresa, vi sono le tre sezioni che specificano i reciproci ruoli. La prima sezione illustra le finalità del servizio, la seconda gli obblighi dell'affidataria e la terza gli obblighi dell'istituto. Come dirà meglio l'avvocato Delli Santi, è un contratto che combina questa reciprocità di relazioni fra impresa ed istituto, all'interno della quale ognuno svolge la sua parte.
Il secondo quesito è relativo alla possibilità per il gestore di modificare il mandato per adeguarlo alle finalità dell'intervenuta operazione di cartolarizzazione. Il contratto è molto preciso, perché specifica che tutte le attività di tipo amministrativo e tecnico necessarie ad assicurare la conservazione e l'uso produttivo del patrimonio immobiliare sono disciplinate dal contratto. Si parla quindi di attività amministrative e tecniche volte ad assicurare la conservazione e l'uso produttivo, non l'alienazione.
Come ricordavamo nel corso della precedente seduta, una volta intervenuta la cartolarizzazione l'attività di gestione è andata direttamente verso profili di alienazione, che non erano quelli previsti dal contratto, ed il gestore non poteva unilateralmente modificare questi aspetti. Sarebbe stato necessario avviare un'interlocuzione; anzi, dal momento che l'operazione di cartolarizzazione è stata guidata dal Ministero dell'economia, quest'ultimo doveva avere la sensibilità di modificare il rapporto contrattuale per gestire al meglio tale operazione.
La terza domanda riguarda gli strumenti previsti nel mandato per migliorare l'insufficiente conoscenza del patrimonio. Come richiesto nella scorsa seduta, riportiamo nella documentazione allegata i passi del contratto che stabiliscono la necessità di effettuare il censimento. Questo censimento integrale del patrimonio dell'utenza, previsto dal contratto - nella risposta scritta è contenuto un preciso riferimento all'articolo che lo prevedeva - non fu realizzato e ciò ha rappresentato il punto decisivo che ha comportato una serie di difficoltà ulteriori nell'attuazione della gestione.
Si è inoltre chiesto quale ruolo avesse l'ente nel migliorare le condizioni strutturali del patrimonio: il tema è quello delle manutenzioni straordinarie. L'ente doveva rilasciare un'autorizzazione apposita sulle manutenzioni straordinarie, che non potevano essere realizzate senza tale autorizzazione. Inoltre, l'ente doveva continuamente vigilare sulle manutenzioni correttive, ovvero quelle di carattere ordinario.
Circa il contenzioso con gli inquilini (lo ricordava prima il presidente Amoruso) che spesso si sono lamentati ritenendo che alle imprese fossero ascrivibili la cattiva manutenzione ed i mancati interventi, il problema è rappresentato proprio dal fatto che gli interventi di manutenzione straordinaria dovevano essere autorizzati dall'ente. Il contenzioso nasceva quindi dalla circostanza che gli inquilini ritenevano che fosse responsabilità delle imprese svolgere questa attività.
Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria, vi è stata una reportistica molto precisa da parte delle imprese ed anche questo oggi è sottoposto a contenzioso con l'ente. L'ente non ha controllato, mano a mano che la manutenzione ordinaria veniva sviluppata, la reportistica; solo alla fine del rapporto contrattuale, l'ente si è «svegliato» all'improvviso, sostenendo che la manutenzione ordinaria non era stata
effettuata, ma avendo avuto tutte le possibilità di controllare nel tempo se questo avveniva.
La quinta domanda riguarda i riflessi prodotti dall'azione dell'ente sui gestori, ovvero la mancata partecipazione in vigenza e le contestazioni in chiusura di mandato. Devo in proposito effettuare una correzione di un errore contenuto nella relazione precedente per via di un refuso: si parla di un contenzioso per un ammontare complessivo di 100 milioni di euro; in realtà, si tratta di 200 milioni di euro, circa 380-370 miliardi di vecchie lire. Ciò acuisce ulteriormente la considerazione dell'eccessiva dimensione delle richieste dell'ente, una dimensione fuori dalla correlazione con l'entità economica dei contratti affidati alle imprese. I danni sono rappresentati dai blocchi delle fideiussioni per un tempo eccessivo, dai costi aggiuntivi per far fronte alle richieste degli enti, dai costi determinati dai mancati incassi, oltre naturalmente ai costi di immagine che derivano alle imprese che vengono ritenute indiscriminatamente incapaci di svolgere le mansioni richieste.
Si tratta di un'accusa rivolta all'industria dei servizi immobiliari che invece, per fortuna, ottiene ampi riconoscimenti in una serie di attività svolte nei confronti dei privati e del settore pubblico. È difficile immaginare che chi opera sul mercato, molto spesso in accordo con partner stranieri, che presentano profili tecnologico-operativi molto sofisticati ed evoluti, possa poi essere complessivamente condannato come se si avesse a che fare con un'industria non capace di gestire un'attività peraltro abbastanza semplice come quella relativa alla dismissione di un patrimonio.
La sesta domanda concerne il contenzioso tra le parti. Noi abbiamo a che fare con dieci lotti, in ciascuno dei quali abbiamo impegnata più di una impresa, quindi abbiamo un numero piuttosto cospicuo di imprese interessate al contenzioso. Vi sono due tipi di situazioni: per quello che riguarda la maggior parte dei lotti, il contenzioso è ancora nella fase stragiudiziale, in alcuni casi invece è già stata avviata la fase giudiziale. Sono quindi presenti entrambi i profili.
La settima domanda riguarda ciò che potrebbe succedere se la gestione dei beni strumentali venisse affidata alle imprese private. Questo è un tema che va al di là della questione del contenzioso, ma riguarda aspetti che sono stati sollevati recentemente, ancorché essi fossero già affrontati dal decreto legislativo n. 104 del 1996, ove veniva previsto che la parte strumentale degli enti previdenziali potesse essere oggetto di ottimizzazione attraverso accorpamento delle sedi e attraverso magari modalità gestionali più moderne. Che cosa accadrebbe se la gestione interessasse anche i beni strumentali? La risposta è che la gestione potrebbe diventare più efficiente. Certamente essa dovrebbe essere svolta su basi diverse rispetto alle basi, fragili, che hanno sostenuto la gestione di questa attività di cartolarizzazione. Le basi più solide, lo abbiamo detto più volte, consistono nel partire da un censimento molto preciso del patrimonio strumentale, che oggi non è disponibile. Riteniamo quindi che occorrerebbe prima fare questo tipo di attività, poi censire le esigenze di spazi da parte degli enti e infine predisporre dei piani per una ottimizzazione in rapporto al patrimonio esistente.
L'ultima domanda che abbiamo raccolto in questa sintesi è relativa alla valutazione che può esprimere Assoimmobiliare su una eventuale gestione affidata a società miste. Anche questo è un tema molto complesso. In breve si può dire che le società miste non sempre hanno fornito dei risultati esaltanti: ricordo, per tutti, il caso della IGEI, la società mista dell'INPS, la quale era stata condannata alla chiusura dal decreto legislativo n. 104. Per molti motivi, è rimasta tuttora operativa. Sull'effettivo ruolo che essa ha svolto nel tempo, il giudizio credo sia ancora tutto da esprimere. Riflettendo sul ruolo che ha svolto l'IGEI durante l'attività di cartolarizzazione, forse possiamo anche immaginare che la migliore performance dell'INPS rispetto ad altri enti nella attività di
vendita possa essere anche dipesa dal fatto che l'INPS, diversamente dagli altri enti, aveva in qualche modo organizzato il proprio patrimonio su basi conoscitive migliori, grazie anche all'operatività di società.
In generale, però, il concetto è che la società mista è uno strumento, serve da un punto di vista teorico quando vogliamo far gestire un patrimonio con condivisione di responsabilità fra la proprietà e le società di gestione. Altri strumenti possono essere utilizzati per ottenere risultati analoghi. Il punto dal quale riteniamo si debba partire per poi effettuare scelte di società miste, o scelte di altra natura in ordine alla gestione, è quello di effettuare prima di tutto un censimento, per disporre di una conoscenza molto precisa del patrimonio e dei bisogni, e poi su questa base definire lo strumento ottimale.
Vorrei ora accennare brevemente alle contestazioni dell'ente. Nella sintesi tecnica sulle contestazioni, abbiamo elencato sia i singoli problemi emersi, sia (nella premessa) quelle che possiamo chiamare le «cinque promesse mancate» da parte dell'ente, nel momento in cui aveva avviato la chiusura dei rapporti con le società. Sono cinque promesse mancate perché, al momento dello scioglimento del rapporto contrattuale con le società, l'ente aveva chiesto alle società stesse di proseguire l'attività amministrativa gratuitamente per ulteriori tre mesi, per chiudere il rapporto. Questo a fronte di un impegno molto preciso, poi disatteso: le cinque promesse mancate.
La prima promessa consisteva nel concludere entro una data precisa, ovvero il 31 luglio 2004, l'attività di controllo dei servizi resi dalle società di gestione nei due anni di durata del contratto di appalto. Ne stiamo ancora parlando.
La seconda promessa riguardava la riduzione dell'importo delle fideiussioni a garanzia delle vendite effettuate, entro un termine preciso, ovvero il 30 aprile 2004. Ne stiamo ancora parlando.
La terza promessa consisteva nella restituzione delle garanzie in proprio possesso (fidejussioni e trattenute, pari al 20 per cento del compenso), entro un termine preciso, ovvero il 31 ottobre 2004. Ne stiamo ancora parlando.
La quarta promessa era relativa al pagamento delle prestazioni correttamente fatturate dalle società entro un termine preciso, ovvero il 31 maggio 2004. Nulla di ciò è avvenuto.
La quinta promessa era di pagare alle società di gestione, con cadenza trimestrale, quanto incassato da INPDAP a partire dal 1o agosto 2004, per oneri accessori di competenza. Nemmeno ciò è accaduto.
Sono quindi cinque promesse che non hanno dato luogo a nessun atto conseguente, e ovviamente tutto ciò costituisce danno molto rilevante per le imprese. I profili contrattuali relativi a questa vicenda sono stati analizzati in particolare dall'avvocato Delli Santi, che ora interverrà su questi aspetti.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Tamburini e do la parola all'avvocato Delli Santi.
RICCARDO DELLI SANTI, Coordinatore comitato iniziative normative di Assoimmobiliare. Ringrazio il presidente della Commissione ed il presidente Tamburini per avermi dato la possibilità di illustrare questa situazione, che è complessa, essendo il contratto in sé complesso.
Si tratta di un contratto sufficientemente ben organizzato: quando lo si scorre si vede che non è un contratto che ha un singolo punto, o una singola categoria di obblighi di una parte rispetto agli obblighi dell'altra. Per ogni categoria di servizi, il contratto prevede la distinzione degli obblighi del mandante e della mandataria, il che postula una analisi completa, per singola categoria, dove si riscontra fondamentalmente la caratteristica di ogni buon contratto, che è quella di un rapporto fiduciario e di un rapporto di reciproca collaborazione.
Basta scorrere l'indice e osservare gli ultimi due punti - archivio della gestione immobiliare e archivio informatico della
gestione immobiliare e dei flussi informativi - per constatare che essi sono due punti specifici sulla conoscenza del patrimonio. D'altro canto, non si può gestire ciò che non si conosce: diventa una prestazione pressoché impossibile. Le imprese hanno cercato di conoscere, ma per costituire un data base efficiente occorre avere i dati di partenza. Il problema è che nell'ambito della gestione contrattuale precedente - durante la quale le imprese intervenivano solo per venire incontro a richieste specifiche del mandante e l'intero sistema informatico faceva capo all'ente proprietario - le imprese non avevano accesso al dato conoscitivo aggregato e disaggregato. Successivamente, quando le stesse imprese si sono occupate di aggiornare tale dato per portarlo ad efficienza, è stata chiesta - in più di una occasione - la collaborazione dell'ente, ma è venuta a mancare la documentazione di base, elemento indispensabile per costruire un efficiente archivio informatico.
Questo stato di cose si è trascinato nel tempo fino alla decisione di operare su questo patrimonio attraverso dismissioni corpose. In ogni caso, contrariamente a ciò che andrebbe fatto in relazione ad una seria operazione di vendita - diminuire, ad esempio, i rischi per l'acquirente per valorizzare al massimo il patrimonio di cui si dispone -, non si è ritenuto necessario costituire un patrimonio informatico di base.
PRESIDENTE. Quindi l'ente si è occupato della vendita, della cartolarizzazione dei beni senza avere una precisa conoscenza di tutto il patrimonio?
RICCARDO DELLI SANTI, Coordinatore comitato iniziative normative di Assoimmobiliare. È esattamente quello che è successo e che succede tuttora per quanto riguarda la maggior parte delle privatizzazioni. Signor presidente, il tema della due diligence è fondamentale; stiamo parlando, infatti, di un patrimonio immesso sul mercato che si caratterizza per un'alta percentuale di rischio - calcolata da chi si occupa di rating del patrimonio stesso - dovuta alla mancanza di documenti. Tanto per fare un esempio, mancano tutte le concessioni edilizie, le destinazioni di zona e la verifica locatizia e, come sappiamo, la valutazione immobiliare deriva da tre componenti: gli elementi intrinseci ed estrinseci e il rischio dell'utilizzatore. Gli elementi intrinseci sono relativi allo stato fisico e giuridico dell'immobile - destinazione di zona e così via -; gli elementi estrinseci si riferiscono al mercato e al rischio paese (tutti fattori che non dipendono dall'immobile); infine - come accennato poco fa - il terzo elemento è rappresentato dal rischio dell'utilizzatore.
Per quanto concerne l'elemento intrinseco e il rischio del conduttore, è compito del venditore fornire esaurienti dati conoscitivi acciocché il mercato valuti il rischio in maniera esatta. Nel caso in cui non vi siano dati di conoscenza il mercato deve tenere in considerazione lo scenario peggiore, quindi il valore viene a deprimersi. In questo settore gli enti hanno operato pochissimo, anzi talvolta non è stata data possibilità di movimento a contraenti che avevano mostrato disponibilità ad attivarsi in tal senso per conto degli enti stessi. L'inadempimento contrattuale di cui vengono accusate le imprese nel caso di cui trattasi ha portato al blocco delle erogazioni; ciò non ha permesso di controllare, valutare il lavoro svolto dalle imprese stesse che, di conseguenza, non hanno ricevuto alcun compenso e, tra l'altro, si sono trovate nell'impossibilità di operare. Quindi, non potendo contare su di un interlocutore propositivo e reattivo, le imprese hanno dovuto sbarcare il lunario tirando avanti alla meglio. Si è venuta così a creare una situazione di conflittualità che si è man mano aggravata perché ogni soggetto era convinto del fatto che l'altro non stava agendo in maniera corretta.
Dall'analisi alquanto asettica dei comportamenti delle imprese riteniamo che per adempiere ad un contratto di questo genere vi sia la necessità della buona fede e della collaborazione di tutte le parti interessate. Tra l'altro, credo che questa Commissione possa facilmente verificare se l'ente abbia effettivamente fornito quei
documenti che costituiscono la base minima per creare qualsiasi data room. Il problema è che nel caso che stiamo esaminando non vi era una data room né per gestire né per vendere. Vi è da dire che la vendita non rappresentava un compito per le imprese, la cui collaborazione poteva però essere utilizzata per massimizzare il valore.
L'articolo 23 del contratto afferma che restano ferme in capo all'INPDAP le funzioni amministrative che non possono essere delegate all'affidataria, nonché il ruolo d'indirizzo e programmazione delle politiche patrimoniali proprie dell'istituto. A tale proposito debbo dire che quando si decide di dismettere un patrimonio che fino ad un dato momento ha procurato un certo reddito si attua una politica patrimoniale molto importante. L'articolo suddetto prevede ancora che l'affidataria, tuttavia, non potrà addurre a giustificazione del mancato, inesatto adempimento degli obblighi di cui al presente contratto il mancato esercizio di funzioni o poteri di indirizzo spettanti all'istituto, salvo che tali circostanze non abbiano reso oggettivamente impossibile la prestazione e l'affidataria abbia, con diligenza e buona fede, sollecitato in tal senso l'istituto. Noi riteniamo che questo sia stato fatto e che, obiettivamente, non si possa costituire alcun elemento di conoscenza in mancanza del passato trascorso dell'istituto. Inoltre, per quanto concerne i singoli contratti di locazione - trattati dall'articolo 5 e seguenti - si afferma che bisognerà costituire un archivio e che l'ente dovrà trasferire le proprie informazioni, ma ciò non è avvenuto.
Vi è anche da dire che non esiste alcun rapporto tra l'applicazione delle penali e l'inadempimento di cui le imprese vengono accusate e, comunque, non stiamo certo parlando di 200 milioni di danni: in ogni caso, questo è un elemento che, eventualmente, riguarda la parte del contenzioso.
PRESIDENTE. Nel ringraziare l'avvocato Delli Santi, ricordo che nella precedente seduta si era anche accennato ad una eventuale valutazione circa il modo in cui i gestori privati potrebbero intervenire relativamente alla gestione dei patrimoni immobiliari degli enti privatizzati. Desidererei un chiarimento in tal senso da parte del presidente Tamburini.
GUALTIERO TAMBURINI, Presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare). Signor presidente, se si confrontano SCIP1 e SCIP2 in relazione alla fluidità del processo di vendita, si nota che la prima ha operato abbastanza rapidamente, mentre la seconda ha dovuto far fronte a tutta una serie di ostacoli e di ritardi. Vi è da dire, però, che SCIP1 ha potuto contare su un data base più consolidato, quindi proprio perché è stato possibile conoscere meglio il patrimonio si è potuta effettuare la prima cartolarizzazione ottenendo risultati migliori.
Per quanto riguarda l'importante tema - ricordato dal presidente Amoruso - degli enti privatizzati, in rapporto alle problematiche di gestione, abbiamo in corso due procedimenti che riguardano nella fattispecie l'ENPAM e l'Enasarco. Entrambi hanno avviato, su basi diverse, un processo di valorizzazione e di privatizzazione attraverso il coinvolgimento di società di gestione private ed effettuando quindi una selezione di mercato delle società, attraverso bandi all'uopo predisposti.
Gli enti privatizzati sono complessivamente una ventina e credo che altri, oltre a questi due, si accingano ad effettuare operazioni di questo genere. Vi è una storia consolidata dell'intervento delle società di gestione nelle politiche di valorizzazione e ottimizzazione dei patrimoni immobiliari, nel caso di altri proprietari: cito compagnie assicurative, imprese industriali e banche che hanno avviato processi di esternalizzazione e di gestione del proprio patrimonio avvalendosi delle società di gestione.
Il tema degli enti privatizzati, sui quali peraltro vi è la sorveglianza di questa autorevole Commissione, a nostro avviso potrebbe essere trattato all'interno di schemi di carattere generale, che probabilmente oggi non sono definiti e che invece potrebbero essere articolati al fine di attribuire una maggiore omogeneità a queste iniziative di dismissione e di valorizzazione
immobiliare degli enti privatizzati. In altri termini, come associazione delle società immobiliari, accordiamo la nostra disponibilità a studiare, insieme agli enti privatizzati, i percorsi più efficienti e le formule quadro contrattuali migliori, in un contraddittorio teso a costruire un sistema che non dia luogo a quegli inconvenienti che invece abbiamo registrato per gli enti pubblici.
PRESIDENTE. Per quanto riguarda le procedure in corso per gli enti ENPAM ed Enasarco, i meccanismi adottati dai due enti differiscono? Ha una qualche informativa al riguardo, ferma restando la nostra richiesta di approfondimento, che svilupperemo successivamente?
GUALTIERO TAMBURINI, Presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare). Non avendo svolto compiutamente un approfondimento su questi temi, parlerei al riguardo più come economista che in qualità di presidente di un'associazione. Vi sono infatti i tipici problemi di tutte le gare nelle quali il dilemma fondamentale è rappresentato dalla necessità di definire esattamente l'oggetto del servizio che si intende acquisire; in assenza di una definizione precisa (per fare una similitudine, si pensi alle gare relative alla fornitura di beni, servizi o lavori) della natura del bene o del servizio che si intende prestare o del lavoro che si intende che venga effettuato, è resa meno efficace la competizione. Nel campo dei servizi, soprattutto di tipo immobiliare, il pericolo di effettuare gare nelle quali la definizione dell'oggetto è generica, e quindi la concorrenza effettiva piuttosto limitata, rappresenta un pericolo forte. Infatti, la natura di questi servizi è assai complessa e variegata.
Pertanto, quando un grande ente intende affidare all'esterno, come stanno facendo questi due soggetti, la gestione e la valorizzazione del proprio patrimonio, prevedendo in parte che si realizzino fondi immobiliari, in parte che vengano effettuati spin-off ed in parte vendite, se tutto questo non è chiaramente e definitivamente disciplinato ex ante, si corre il rischio di ricevere offerte che non sono facilmente confrontabili e che, per via della genericità della domanda, sono solo apparentemente concorrenziali.
L'altro tema fondamentale è quello dei requisiti di partecipazione: se vengono indicati quali requisiti di partecipazione elementi che costituiscono o barriere all'ingresso oppure «scorciatoie», che consentono cioè la partecipazione di soggetti che potrebbero non essere particolarmente titolati per farlo, questo può rappresentare un problema piuttosto rilevante. Ad esempio, il tipico requisito che costituisce una «barriera» all'ingresso è quello di richiedere ai partecipanti di indicare nei rispettivi curricula livelli economici di servizi già prestati talmente alti che pochi soggetti possono accedere alla gara, quando magari non è rilevante per il servizio specifico che quei servizi siano stati erogati per un valore così elevato.
PRESIDENTE. Per intenderci: un requisito del genere sarebbe rappresentato dal richiedere un elevato livello di patrimonio gestito per poi concorrere per la gestione di un patrimonio relativamente esiguo?
GUALTIERO TAMBURINI, Presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare). Oppure ancora richiedere che il servizio sia stato svolto in qualunque paese del mondo, quando invece la natura dei servizi immobiliari, che sono fortemente toccati dalla regolamentazione locale, richiede la gestione di un patrimonio in Italia e non in altri paesi del mondo.
È chiaro che attraverso indicazioni poco precise, o attraverso la previsione illogica di limiti, non si creano quelle condizioni di concorrenza, e conseguentemente di efficienza, che sarebbe opportuno avere. Queste considerazioni sono effettuate tuttavia sul piano teorico e non possono essere calate su casi specifici, che necessiterebbero di un approfondimento che, in tutta franchezza, non sono in grado di fornire.
TIZIANO TREU. Vorrei porre una domanda con riferimento ad una questione
sollevata nella scorsa seduta, dal momento che sembra emergere che si proceda ad operazioni di dismissione considerevoli senza avere lo strumento fondamentale rappresentato dall'inventario e dal censimento. Ciò configura già di per sé una situazione paradossale.
Vorrei essere sicuro di avere ben compreso: siccome qui c'è una sintesi, i contratti poi sono fatti apposta per imbrogliare, come è noto.... Chiedo scusa se, essendo del mestiere, mi permetto questa battuta. Vorrei essere sicuro, dicevo, sugli obblighi dell'istituto in ordine al censimento.
Qui si dice che il censimento deve essere fatto dall'affidatario, previ alcuni adempimenti dell'istituto. Allora, vogliamo precisare quali sarebbero i fattori che hanno reso impossibile (perché è scritto così), da parte dell'affidatario, questa operazione? Qui il contratto è scritto in modo tale che sembra contemplare solo il caso della impossibilità. Vi è l'articolo 12, mi pare. Voglio, insomma, essere sicuro, poi magari potremo sentire anche l'altra parte.
PRESIDENTE. Penso che a questo possa rispondere l'avvocato Delli Santi.
RICCARDO DELLI SANTI, Coordinatore comitato iniziative normative di Assoimmobiliare. Sarà necessario verificare caso per caso, perché i comportamenti, sia del mandante che del mandatario, da quello che ci risulta, non sono sempre stati uguali in tutti i casi. In linea di principio, quello che si dice nei singoli incarichi (quindi anche nell'articolo 12) è che l'ente doveva fornire gli elementi di base. L'ente doveva fornire notizie di ciò che aveva fatto, perché erano state compiute una serie di operazioni nella vigenza del contratto precedente, in cui le imprese non avevano questo compito, ma avevano semplicemente il compito di intervenire ad hoc, di volta in volta.
Adesso, se non viene fornita la documentazione di base, è impossibile costruire un inventario ragionato. Teoricamente, si può anche decidere di operare con una tecnica binaria e cercare di avere elementi conoscitivi molto semplici; ad esempio, di fronte al quesito, la risposta può essere sì o no. È affittato? Sì, oppure no. Se sì, è affittato a un buon inquilino, oppure no? Si può organizzare questa operazione, sebbene essa sia molto complessa. Essa però deve essere organizzata sulla base di una conoscenza che c'è già. Non si può partire da zero, non si può partire semplicemente da una lista di immobili. Questo anche perché i documenti necessari a riempire un data base devono essere forniti dal proprietario degli immobili, che li ha gestiti fino a quel momento.
Quindi, per costruire una data room, è necessaria la collaborazione piena e totale dell'ente, nonché di quello che loro definiscono «il territorio», ovvero non solamente i vertici dell'ente ma anche la sua organizzazione decentrata territoriale. Si deve poter andare anche nelle singole sedi e avere lo stesso tipo di collaborazione. Si tenga presente (e si tratta di un fenomeno tipico) che il pubblico dipendente si sente espropriato delle sue competenze, perché esse sono state date in outsourcing. Egli pertanto cerca di tenersi i documenti nel cassetto. La collaborazione quindi non viene fornita per dispetto nei confronti di colui per il quale, secondo questa logica, occorre una qualche forma di difesa.
PRESIDENTE. Mi pare di capire che il problema non riguardi solo i vertici istituzionali dell'ente, ma tutta la struttura; ci sono state cioè delle resistenze da parte della struttura dell'ente nei confronti del gestore?
RICCARDO DELLI SANTI, Coordinatore comitato iniziative normative di Assoimmobiliare. Dall'indagine che abbiamo effettuato, ne siamo sufficientemente convinti. Ripeto però che bisognerebbe analizzare ciascun singolo caso, perché non si può generalizzare. Qui ci sono diversi contratti che hanno avuto, in alcuni casi, comportamenti univoci, ed in altri casi non univoci. Avendo noi riscontrato questo comportamento - normalmente - nei patrimoni pubblici o privati, che vengono dati in gestione in outsourcing, non ci ha meravigliato quando i nostri associati ci hanno detto «scusate, ma come si fa a costituire un data base, con un signore al
quale sono state rivolte le seguenti domande: ci dai per cortesia tutti contratti di locazione? Sono stati inventariati questi contratti?». A fronte di queste domande non vi sono state risposte, oppure sono state spesso date risposte vaghe ed elusive. In pratica, la impossibilità deriva dalla mancanza di collaborazione, sia a livello centrale che a livello territoriale, e dalla mancanza di dati aggregati che costituiscano la base di partenza per fondare un data base sufficientemente attendibile.
PRESIDENTE. Avrei un ulteriore quesito. In questi giorni abbiamo letto sui giornali di una situazione riguardante le cosiddette occupazioni abusive di appartamenti di altri enti, per esempio INPS e INPDAI. Su questi aspetti, riportava la stampa, il Governo sta riflettendo. Penso che anche il Parlamento dovrà analizzare il problema, riguardo ad una ipotesi di sanatoria che consenta a questi occupanti abusivi, che molte volte erano gli eredi degli occupanti originali (sembrano cioè situazioni molto complesse) di risolvere questa loro condizione.
Questo tipo di fattispecie riguarda anche l'INPDAP? L'INPDAP ha molte di queste situazioni, oppure non ne sono state riscontrate, oppure ancora non se ne ha conoscenza?
GUALTIERO TAMBURINI, Presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare). Posso solo dare una risposta di massima, facendo ricorso alla mia memoria, in quanto di queste vicende me ne sono occupato durante il mio precedente incarico, come presidente dell'osservatorio. Per i così detti inquilini sine titulo, mi sembra di ricordare che a un certo punto la questione venne sanata. Mi riferisco, se la memoria non mi tradisce, ad un provvedimento adottato per la generalità degli enti. Vi era infatti il problema che non si poteva vendere a chi non aveva il titolo per acquistare, ed era questa una situazione abbastanza generalizzata. Ad un certo momento venne individuata una procedura per vendere ugualmente a chi aveva avuto l'appartamento in eredità dai genitori, o dal cugino, eccetera. Mi pare quindi che la cosa fosse stata sanata.
PRESIDENTE. Il giornale in questione parlava addirittura di una manifestazione di oltre settemila occupanti, svoltasi una o due settimane fa. Mi pare quindi che questi «cugini» fossero numerosi.
GUALTIERO TAMBURINI, Presidente dell'Associazione dell'industria immobiliare (Assoimmobiliare). Mi sembra che un problema analogo si stia ponendo in questo periodo per gli appartamenti della difesa.
Ricordo anche che durante la cartolarizzazione il titolare della proprietà di diversi immobili era diventato SCIP. Emerse in quella fase il problema della occupazione abusiva e quindi degli interventi tesi ad evitare l'occupazione abusiva (si tratta evidentemente di un'altra questione) di appartamenti rimasti liberi: vi erano cioè appartamenti che erano liberi e quindi potevano essere venduti a prezzo pieno, proprio perché liberi, ma durante il periodo intercorrente tra il momento in cui si erano liberati e quello in cui andavano in vendita, c'era il rischio che venissero occupati abusivamente. Si rese necessario allora provvedere con azioni di guardianìa, e quant'altro. Su questi argomenti forse però sarebbe opportuno sentire gli enti.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Tamburini e l'avvocato Delli Santi per la loro disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.
Ricordo che l'audizione del presidente e del direttore generale dell'INPDAP, prevista per domani, giovedì 17 febbraio, alle ore 8.30, sarà rinviata ad altra seduta.
La seduta termina alle 9,30.
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