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Seduta del 25/6/2003

ALLEGATO


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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale da parte degli enti preposti e sulle prospettive di riforma nazionale e comunitaria della disciplina relativa.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

I - L'oggetto dell'indagine conoscitiva.

La Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale, ai sensi dell'articolo 56 della legge 9 marzo 1989, n. 88, recante ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ha il compito di vigilare :
a) sull'efficienza del servizio in relazione all'esigenza degli interessati all'espletamento delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili;
b) sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza;
c) sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema con le linee di sviluppo dell'economia.

Gli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sottoposti al controllo della Commissione sono ventisette (l'INPDAI dal 1o gennaio 2003 è confluito nell'INPS in virtù della disposizione contenuta all'articolo 42 della legge finanziaria per il 2003, legge n. 289 del 27 dicembre 2002); di questi, venti hanno assunto personalità giuridica privata ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509.

Enti previdenziali e assistenziali pubblici:
INPS - Istituto nazionale della previdenza sociale.
INAIL - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
INPDAP - Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica
IPSEMA - Istituto di previdenza per il settore marittimo.
IPOST - Istituto postelegrafonici.
ENPALS - Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo.
ENAM - Ente nazionale assistenza magistrale.

Enti previdenziali e assistenziali privatizzati:
ENPAV - Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari.
ENPAIA - Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura.
CPG - Cassa italiana di previdenza ed assistenza dei geometri liberi professionisti.


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INARCASSA - Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti.

Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense:
CNPADC - Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti.
Cassa nazionale del notariato.
ENPAM - Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici.
ENPACL - Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i consulenti del lavoro.
ONAOSI - Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani.
FASC - Fondo agenti spedizionieri corrieri.
INPGI - Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani «Giovanni Amendola».
CNPR - Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali.
ENASARCO - Ente nazionale di assistenza agenti rappresentanti del commercio.
ENPAP - Ente di previdenza ed assistenza psicologi.
EPPI - Ente nazionale di previdenza ed assistenza periti industriali.
IPASVI - Cassa nazionale di previdenza ed assistenza infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d'infanzia.
ENPAB - Ente nazionale di previdenza ed assistenza biologi.
EPAP - Ente nazionale di previdenza ed assistenza pluricategoriale per agronomi e forestali, chimici, geologi.
ENPAF - Ente nazionale di previdenza ed assistenza farmacisti.

Sulla base di tali competenze istituzionali la Commissione, anche in considerazione del dibattito in corso sulle ipotesi di riforma dello stato sociale nonché di riordino del sistema previdenziale ed assistenziale, sia in ambito nazionale che europeo, ha inteso procedere allo svolgimento di un'indagine conoscitiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale da parte degli enti preposti e sulle prospettive di riforma nazionale e comunitaria della disciplina relativa. L'indagine conoscitiva, deliberata dalla Commissione il 13 febbraio 2002, ha perseguito l'obiettivo di effettuare una ricognizione complessiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale da parte degli enti preposti, verificando, da un lato, le condizioni esistenti della gestione delle forme di previdenza e assistenza sociale da parte degli enti pubblici (INPS, INAIL, INPDAP, INPDAI, IPOST, ENPALS e IPSEMA) e delle Casse previdenziali private aderenti all'AdEPP, l'associazione degli enti previdenziali privati; dall'altro, riscontrando sull'effettivo stato di attuazione della disciplina relativa alle forme private di gestione della previdenza ed assistenza da parte degli enti preposti, nonché alle prospettive di riforma del sistema.
Allo scopo di allargare il precostituito campo di indagine, è parso inoltre opportuno alla Commissione confrontare il sistema nazionale vigente con le situazioni esistenti in alcuni Paesi europei, anche tenendo conto del generale processo di liberalizzazione dei processi lavorativi e dell'utilizzo di nuove soluzioni normative di disciplina del rapporto di impiego. In tal senso, la Commissione ha svolto una missione a Londra e Bruxelles, dal 17 al 21 novembre 2002, allo scopo di approfondire le peculiarità del modello britannico e di aprire un tavolo di confronto con il Commissario europeo per gli affari sociali, Anna Diamantopoulou, in vista della successiva approvazione del Rapporto comunitario sulla stato delle pensioni, avvenuta il 17 dicembre 2002.
Nello svolgimento dell'indagine, la Commissione ha ritenuto inoltre di non


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poter prescindere dal progetto di riforma del sistema previdenziale, allo stato all'esame del Parlamento (atto parlamentare Senato S. 2058), con particolare riferimento anche agli aspetti concernenti il riordino degli enti pubblici di previdenza e di assistenza obbligatoria, nella prospettiva di una maggiore funzionalità ed efficacia dell'attività ad essi demandata e di una complessiva riduzione dei costi gestionali.
In sintesi, quindi, l'indagine ha consentito alla Commissione di approfondire i seguenti aspetti:
la gestione delle forme di previdenza e assistenza sociale da parte dei principali Istituti ed Enti preposti nonché l'analisi della differenza istituzionale esistente tra istituti previdenziali e istituti assicurativi;
lo stato di attuazione dei processi di revisione del sistema previdenziale esistenti in altri Paesi, anche in riferimento alle tendenze riformatrici definite in sede comunitaria;
l'analisi delle prospettive di riforma delle forme di gestione dei sistemi previdenziali e assistenziali privatistici o a prevalente connotazione privata, anche in ordine ad eventuali nuove funzioni e a nuovi compiti assegnati alla Commissione parlamentare per il controllo sull'attività degli enti gestori delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.

A margine dello svolgimento dell'indagine conoscitiva, ma strettamente collegata ad essa, è stata introdotta la prassi innovativa di accogliere l'invito rivolto alla Commissione dagli organi di alcuni enti pubblici (INPS, INPDAP, INAIL, IPOST) di partecipare alle riunioni dei rispettivi consigli di amministrazione e dei consigli di indirizzo e vigilanza (CIV), registrandosi un largo consenso sull'iniziativa da parte degli stessi rappresentanti degli enti pubblici.
La Commissione inoltre - prendendo atto dell'esigenza manifestata in tal senso da alcuni commissari - ha ritenuto opportuno svolgere un ciclo di audizioni «monografiche», attraverso l'illustrazione di specifiche tematiche da parte dei soggetti competenti - comunque riconducibili all'oggetto dell'indagine conoscitiva - che richiedevano un particolare approfondimento.

II - Il settore previdenziale pubblico.

Nel corso dell'indagine, la Commissione ha proceduto all'audizione di tutti i rappresentanti degli enti previdenziali pubblici, sia con riferimento agli organi di gestione che a quelli di indirizzo e vigilanza. Si è trattato di un'attività conoscitiva di così ampio raggio che ha consentito l'emersione e l'approfondimento degli aspetti problematici concernenti: 1) l'esigenza di una maggiore sinergia tra gli enti previdenziali pubblici; 2) le problematiche concernenti la gestione di fondi speciali nell'INPS, con particolare riguardo, da ultimo, alla confluenza dell'INPDAI in quest'ultimo Istituto; 3) la particolare situazione di commissariamento dell'INAIL; 4) il ripensamento dell'attuale modello organizzativo degli enti previdenziali pubblici; 5) il miglioramento dell'organizzazione amministrativa degli enti pubblici previdenziali; 6) il processo di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali.

1. La riorganizzazione del sistema previdenziale: esigenza di una maggiore sinergia operativa tra gli enti e i problemi dell'unificazione degli enti.

La fusione di enti previdenziali o di loro settori aventi funzioni identiche o complementari è stato un tema variamente affrontato nel corso dell'indagine conoscitiva, essendo emerso come, in una prospettiva di medio-lungo termine, possa arrivarsi a considerare favorevolmente l'ipotesi della costituzione di due grandi poli, uno previdenziale e l'altro assistenziale-assicurativo, attesa anche la sostanziale tendenza all'omogeneizzazione della normativa pensionistica nel settore pubblico.


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L'Italia ha costruito il suo stato sociale e il suo sistema previdenziale ispirandosi prevalentemente al modello europeo continentale. Lo ha fatto, tuttavia, più per stratificazione di interventi successivi che per progettazione di un sistema organico.
Il mancato riferimento a chiari principi generali, che fossero poi tenacemente perseguiti ed effettivamente realizzati, ha provocato contraddizioni e ingiustizie, inevitabili sovrapposizioni di obiettivi, aggiustamenti continui nel tempo, in una parola risultati non soddisfacenti, sia per lo Stato, sia per le diverse categorie, a cominciare da quelle economicamente più deboli.
Nell'ambito del sistema di previdenza e assistenza sociale la tutela pensionistica rappresenta la forma di tutela più complessa soprattutto con riferimento al numero dei soggetti interessati e alle risorse erogate.
Se con l'estensione delle forme previdenziali ai lavoratori parasubordinati possiamo dire che la tutela previdenziale comprende attualmente la quasi totalità della popolazione non si può invece affermare che il sistema pensionistico sia ispirato a principi di tipo universalistico. Infatti, storicamente il sistema previdenziale italiano ha da sempre privilegiato l'aspetto categoriale delle gestioni della previdenza obbligatoria dei lavoratori.
Di conseguenza l'organizzazione amministrativa della previdenza è il risultato di un complesso processo storico di formazione, ottenuto dalle diverse categorie in tempi e modi diversi. Ciò ha comportato sia l'esistenza di trattamenti molto differenziati, sia l'attribuzione della funzione di tutela ad una pluralità di soggetti giuridici. Le recenti riforme hanno attenuato questo assetto categoriale attraverso un processo di progressiva armonizzazione delle normative, pur non superandolo del tutto; infatti è rimasto in piedi un insieme normativo frammentato, sia nella disciplina dei trattamenti che nell'organizzazione amministrativa.
Il regime previdenziale dei lavoratori dipendenti da privati, definito «generale», è certamente il più rilevante. A questo si affiancano sempre nel campo del lavoro privato alcuni regimi speciali «sostitutivi», per particolari categorie, del regime generale ed altri che assicurano una tutela integrativa, laddove il regime previdenziale dei pubblici dipendenti viene invece definito come «esclusivo».

1.1 La possibilità di creare una gestione previdenziale unitaria.
La possibilità di realizzare una gestione previdenziale in tre poli e cioè l'INPS per quanto riguarda le pensioni private, l'INPDAP per quanto riguarda le pensioni dei lavoratori pubblici, l'INAIL per quanto riguarda l'assicurazione sugli infortuni, è stata considerata nel corso delle audizioni del 20 febbraio e del 6 novembre 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni. In quell'occasione, si è infatti ricordato come nel disegno di legge in materia previdenziale (atto parlamentare Senato n. 2058), attualmente all'esame del Parlamento, sia presente anche il conferimento di una delega al Governo per il riordino degli enti pubblici di previdenza ed assistenza col fine di perseguire una maggiore funzionalità ed efficacia nella gestione, nonché una complessiva riduzione dei costi.
In tal senso, è stato altresì precisato come la mancata indicazione nella norma citata del conseguimento di una tendenziale «tripartizione del pianeta previdenziale» muova dalla volontà di lasciare libero il legislatore di «valutare se gli enti previdenziali minori abbiano ancora una qualche funzione sociale, più che economico-finanziaria, perché non è detto che l'incorporazione di tutti gli enti previdenziali all'interno dell'INPS possa rappresentare la scelta migliore».

1.2 L'ipotesi di un unico polo assistenziale.
In alcune audizioni si è ipotizzato di affidare all'INAIL, che già svolge un'attività di carattere sanitario, preventivo e riabilitativo, tutte le funzioni connesse a queste, quindi anche l'invalidità civile, in particolare l'attuale struttura sanitaria presente presso l'INPS.


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Nel corso dell'indagine conoscitiva, peraltro, è stata sostenuta anche nel corso delle audizioni la possibilità di attribuire all'INPDAP la gestione complessiva di tutte le forme di tutela assistenziale che non siano direttamente collegate al mercato del lavoro. L'unificazione degli interventi sulla sicurezza del lavoro, distinguendo fra un compito di assistenza e consulenza, potrebbe essere svolta invece dall'INAIL, con l'affidamento di un compito di vigilanza ispettiva che, invece, potrebbe essere affidata interamente al servizio sanitario regionale. In quest'ottica, è stata auspicata, da un lato, l'unificazione del servizio medico legale di INAIL ed INPS, che di fatto appare attualmente come un doppione, producendo addirittura un contenzioso fra i due enti; dall'altro, la creazione di un'unica avvocatura (su tale ipotesi peraltro sono state espresse delle perplessità da parte del Commissario straordinario dell'INAIL), sia per il supporto normativo nell'interpretazione delle leggi, sia per la soluzione del contenzioso che è abbastanza consistente.
In alcuni casi peraltro, come nel corso dell'audizione dei rappresentanti dell'IPOST del 18 luglio 2002, è stata evidenziata l'utilità del mantenimento di strutture snelle e agevoli, di carattere settoriale, che potrebbero essere prese a modello organizzativo in vista di una futura ristrutturazione degli istituti. È stata altresì rilevata, nel corso delle audizioni del Presidente dell'IPSEMA, professore Gian Maria Fara, e del Presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza del medesimo istituto, dottor Franco Paganini, l'opportunità di assegnare ad alcuni istituti ambiti omogenei di competenza, che nel caso dell'IPSEMA comporterebbe la possibilità di estendere la competenza a tutto il settore dei trasporti.

2. In particolare la situazione dei «fondi speciali» INPS e la confluenza dell'INPDAI nell'INPS.

La Commissione ha attribuito particolare importanza agli aspetti concernenti la gestione da parte dell'INPS dei cosiddetti fondi speciali diversi dal fondo pensioni lavoratori dipendenti.

2.1 La situazione descritta dai vertici dell'INPS.
Si è potuto rilevare, in virtù delle indicazioni fornite dall'allora presidente dell'INPS, professor Massimo Paci, e dal direttore generale dell'INPS, dottor Fabio Trizzino (sedute del 17 aprile e del 15 maggio 2002), come vi sia una gestione deficitaria per tali fondi, ascrivibile soprattutto ad un allargamento della forbice tra il numero dei pensionati, destinato ad aumentare, ed il numero degli iscritti, il quale tende a rimanere stabile, se non a diminuire, per effetto delle crisi e delle modifiche strutturali del sistema produttivo.
Ulteriori elementi di specificazione hanno evidenziato come, dei tre fondi più importanti confluiti nell'assicurazione generale obbligatoria per effetto degli articoli 41 e 43 della legge n. 488 del 23 dicembre 1999 (trasporti, elettrici e telefonici), legge finanziaria per il 2000, solo per il fondo relativo ai telefonici si è potuta registrare ancora una situazione di attivo di bilancio. In base agli elementi forniti, si è avuto altresì modo di rilevare il permanere, per un periodo transitorio ritenuto troppo lungo, di condizioni di rendimento e di accesso ai requisiti alla pensione più favorevoli rispetto ai requisiti di accesso e rendimento previsti dal regime generale; nonché una diversificazione troppo ampia tra i vari fondi nel rapporto percentuale tra pensione e retribuzione. Nel permanere della situazione attuale il dato emerso è che il 30 per cento del deficit dell'INPS è determinato dai fondi speciali, pur riguardando questi meno di 400mila pensionati su un totale di circa 16 milioni.
L'auspicio di un processo di armonizzazione più rapido, espresso da tutte le componenti della Commissione, ha trovato modo di essere ribadito in più occasioni, nonché in sede di discussione finale dell'indagine, essendosi ravvisati, in una si


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tuazione che allo stato appare strutturale, elementi di forte preoccupazione per l'equilibrio complessivo del sistema previdenziale, sia in termini di equità che finanziari. Nell'ipotesi di possibili modalità di intervento volte a migliorare le gestioni dei fondi speciali si è fatto riferimento anche all'esperienza avutasi con la confluenza del fondo dei bancari nell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). In tal caso, il maggior onere di spesa ascrivibile alla salvaguardia, per un certo periodo di tempo, di prestazioni pensionistiche favorevoli è stato posto a carico delle aziende di credito, evitando che lo stesso gravasse sul fondo pensione lavoratori dipendenti.
Nel corso dello svolgimento dell'indagine è stato espresso l'auspicio per un processo di razionalizzazione da una parte, nonché la necessità di verificare l'ipotesi di trasferimento su fondi complementari o integrativi dei benefici maggiori che questi fondi portano storicamente con sé, in virtù del principio secondo il quale le condizioni devono essere identiche per tutti, per quanto riguarda il pilastro di base, mentre le differenze devono essere spostate sui regimi integrativi, che possono essere fruttuosamente gestiti da Istituti diversi dall'INPS.
In tal senso, si è rilevato come la previsione di una pluralità di enti esistenti nel polo previdenziale possa trovare, ad esempio, una ulteriore giustificazione proprio nell'assunzione, da parte loro, di una funzione di previdenza complementare.

2.2 Le indicazioni espresse dal rappresentante del Governo al riguardo, e la particolare situazione dell'INPDAI.
La preoccupazione espressa da alcune componenti della Commissione relativamente alla situazione dei fondi speciali è stata condivisa dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni, nella seduta del 6 novembre 2002. In tale occasione è stato chiarito che questi fondi genereranno in mancanza di interventi correttivi, per i prossimi dieci anni, circa 16 miliardi di euro di disavanzo. La necessità di un intervento strutturale è stata quindi riconosciuta come indifferibile, pur sottolineando come le scelte adottate in passato abbiano reso la situazione ancora più grave. È accaduto così che uno degli enti pubblici, l'INPDAI, proprio per la situazione difficile in cui versava, sia stato fatto confluire nell'INPS per rimediare ad una situazione di bilancio deficitaria.
La confluenza dell'INPDAI nell'INPS è intervenuta nel corso dell'indagine conoscitiva in virtù di quanto disposto dall'articolo 42 della legge finanziaria per il 2003, legge n. 289 del 2002. Nel corso dell'approvazione del disegno di legge la Commissione, alla luce degli elementi emersi nell'ambito delle audizioni svolte, con particolare riferimento all'audizione del presidente dell'INPDAI, dottor Maurizio Bufalini (seduta del 4 luglio 2002) ha ritenuto opportuno rappresentare formalmente, con lettera del Presidente della Commissione indirizzata ai Presidenti di Camera e Senato, le difficoltà che avrebbe determinato l'inserimento dell'INPDAI nell'INPS, con la costituzione di un ulteriore fondo speciale. L'esigenza di evitare invece diversificazioni troppo ampie tra i vari fondi speciali nel rapporto percentuale tra pensione e retribuzione, nonché l'opportunità di pervenire ad un rapido processo di armonizzazione tra le diverse categorie di trattamento pensionistico, congiuntamente al trasferimento dei benefici maggiori che tali fondi comportano in fondi complementari o integrativi, avrebbe infatti dovuto indurre ad una maggiore riflessione il legislatore sulle scelte da adottare.
Circa le modalità di confluenza, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni, ha indicato (seduta del 6 novembre 2002) la predisposizione di una struttura separata che consentirà di verificare l'andamento dei conti, sottolineando come il trasferimento dell'INPDAI nell'INPS, dal punto di vista della finanza pubblica, non comporterà un maggior onere finanziario, dovendo lo Stato


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intervenire in ogni caso per coprire il deficit contabile di una forma di previdenza obbligatoria.

3. La situazione dell'INAIL e l'esigenza del superamento della gestione commissariale.

Una attenzione particolare è stata rivolta dalla Commissione, nel corso dell'indagine conoscitiva, alle vicende relative all'INAIL, anche con riguardo alla situazione del commissariamento degli organi di gestione, avvenuto nel periodo di svolgimento dell'indagine. A seguito di inchieste giudiziarie coinvolgenti anche i vertici dell'Istituto, con due decreti di nomina del Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è provveduto infatti a designare un Commissario e tre vice commissari.
Gli elementi emersi nel corso della fase iniziale dell'indagine conoscitiva avevano già messo in evidenza le difficoltà incontrate dall'istituto nel biennio 2001-2002 connesse alla sostituzione globale delle procedure informatiche, per la quale si era rilevato come una non adeguata strategia organizzativa avesse causato una crisi della funzionalità dell'Istituto con un peggioramento della sua efficienza produttiva e dei tempi di erogazione dei servizi.

3.1 Le difficoltà pregresse riscontrate nella gestione dell'INAIL: le indicazioni fornite dai rappresentanti del CIV.
La conoscenza della situazione successiva ha portato d'altro canto a riscontrare una situazione di forte conflittualità nei rapporti interni tra gli organi. In particolare, relativamente alla situazione generale dell'INAIL vi è stata da parte dei rappresentanti del CIV l'individuazione di una serie di criticità (seduta del 4 novembre 2002).
Innanzitutto, la situazione economico-finanziaria dell'Istituto, caratterizzata da una serie di elementi negativi ravvisabili nel debito formatosi nel tempo per la gestione agricoltura, a causa dell'accumularsi di crediti inesigibili; nell'aumento dei crediti nei confronti di pubbliche amministrazioni; nella progressiva riduzione dei capitali di copertura delle riserve tecniche (con un depauperamento ritenuto estremamente accelerato); nelle giacenze infruttifere depositate presso la Tesoreria unica. Si è trattato di elementi tali da condizionare pesantemente in passato la politica finanziaria dell'Istituto e rendere impossibile la strategia finanziaria connaturata ad un ente assicuratore, e in grado per il futuro prossimo - a partire dagli anni 2008/2009, secondo uno studio attuariale predisposto dal Nucleo di valutazione e controllo strategico interno dell'INAIL - di portare al «punto di rottura finanziario», con il passaggio (ritenuto inevitabile dal Presidente del CIV, dottor Paolo Lucchesi) da un sistema misto con capitalizzazione parziale, ad un sistema a ripartizione pura.
La definizione di un progetto di risanamento dell'Ente passerebbe dunque per il superamento di talune rigidità nei rapporti finanziari tra Stato ed INAIL, con particolare riferimento all'esigenza di sbloccare la giacenza infruttifera in Tesoreria e superare il vincolo del limite di giacenza, che causa l'accumularsi di residui attivi; per una rivisitazione dei rapporti con l'INPS in tema di assicurazione per l'agricoltura, dove le riscossioni risultano essere inferiori del 50 per cento di quanto dovuto; per una nuova strategia in campo patrimoniale, da attuarsi soprattutto evitando una nuova operazione di cartolarizzazione che completerebbe il processo di cancellazione delle riserve tecniche; per la conclusione di intese con i dicasteri interessati che siano coerenti sia con il perseguimento di un certo grado di redditività che con i fini istituzionali dell'Ente.
Una particolare attenzione è stata quindi riconosciuta dai rappresentanti del CIV alla definizione di un «modello econometrico», ritenuto funzionale ad una corretta individuazione degli scenari evolutivi, ribadendone la validità sul fronte di una programmazione di medio-lungo periodo finalizzata al perseguimento di una coerente politica finanziaria.


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A giudizio dei rappresentanti del CIV sarebbe inoltre necessario intervenire sul fronte della normativa assicurativa di riferimento, completando il percorso che, iniziato con il decreto legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, ha ridefinito il ruolo sociale dell'INAIL. In particolare, si è fatta presente l'esigenza di procedere ad una organica revisione del Testo Unico del 1965, al fine di introdurre nell'ordinamento un sistema più coerente con i mutamenti intervenuti nel mondo del lavoro e nel bisogno di garanzie sia per i lavoratori che per le aziende. Rispetto alla prevenzione costituiscono invece obiettivi primari la trasformazione, da sperimentale a strutturale, del sistema di incentivi finanziari (che il decreto legislativo n. 38 del 2000 prevedeva solo per il primo triennio), nonché la definizione di un nuovo meccanismo di prevenzione che tenga conto dell'esperienza maturata.
Critiche alla gestione commissariale sono state rivolte relativamente ad una certa mancanza di strategia nel taglio delle spese non obbligatorie, avendo queste coinvolto in maniera rilevante quelle per la formazione e per la partecipazione a seminari e convegni internazionali sulla previdenza.

3.2 La posizione del Commissario straordinario e dei tre vicecommissari dell'INAIL.
Il Commissario straordinario dell'INAIL, audito successivamente al Presidente del CIV insieme ai tre vice commissari nella seduta del 5 novembre 2002, ha evidenziato innanzitutto come l'opera di riassetto delle funzioni dirigenziali - con in capo la sostituzione del Direttore Centrale per il personale - muova dall'esigenza di restituire una adeguata elasticità all'assetto ordinamentale in vista di quelle che sono ritenute le necessarie ristrutturazioni correlate con la riforma istituzionale degli enti previdenziali ed alla stessa attuazione del Titolo V della Costituzione.
Sul progetto del modello econometrico è stato precisato poi come, rientrando nella funzione di gestione l'applicazione dei principi strategici, la gestione commissariale ha ritenuto di rinviarne il completamento in questa fase, definita «critica», a vantaggio dello sviluppo di un Progetto scientifico per la riorganizzazione dell'Istituto, ritenuto di maggiore utilità. Si è altresì affermato come, ritenendosi eccessiva la composizione del cosiddetto NUVACOST, il nucleo di valutazione strategica e di controllo, operante con sei esperti esterni ed uno interno, e mancando la sua azione di incisività ed efficacia ai fini della prevenzione e dell'individuazione tempestiva delle fonti di profitto illecito, la gestione commissariale abbia deciso una riduzione dell'organo a due componenti, anche per un'esigenza di contenimento dei costi.
I nuovi vertici dell'INAIL, nell'ambito delle sinergie fra enti per l'erogazione dei servizi all'utenza, hanno manifestato perplessità sia riguardo all'istituzione di un call center unificato INPS-INAIL, sia riguardo all'ipotesi di integrazione delle reciproche avvocature, in virtù della diversa specificità professionale dell'INPS rispetto a quella dell'INAIL. È stato altresì evidenziato come, nell'ambito della razionalizzazione della riforma attuata con il decreto legislativo n. 38 del 2000, particolare rilevanza è assegnata invece ad un recupero in capo all'Istituto della responsabilità della gestione dei rapporti contributivi con le aziende agricole, al fine di pervenire ad una migliore gestione dell'assicurazione agricola con una esatta conoscenza dei rischi e della loro diversa intensità.

3.3 Alcune considerazioni emerse nel corso dell'indagine conoscitiva.
Preso atto delle problematiche esistenti nella gestione dell'INAIL, nonché della notevole importanza rivestita dall'Istituto nell'ambito del sistema vigente, si è auspicato innanzitutto un ritorno al pieno funzionamento dello stesso, attraverso la ricostituzione completa di tutti gli organi, a partire dal consiglio di amministrazione e dal direttore generale. Il consolidamento, oltre la tradizionale funzione assicurativa, della «funzione sociale» dell'INAIL, attraverso


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l'attuazione di iniziative volte ad una diffusione della cultura della prevenzione nonché attraverso investimenti volti al recupero e reinserimento dei cittadini che subiscono infortuni, è stato considerato altresì imprescindibile.
Nell'ambito delle gestioni sinergiche tra enti, si è ritenuto opportuno, soprattutto a livello territoriale, favorire i processi di integrazione, in via sperimentale già in atto tra INAIL e INPS, al fine di pervenire all'istituzione di sportelli unici al servizio dell'utenza. Particolare attenzione è stata espressa in riferimento alle problematiche di carattere finanziario e ai debiti accumulati dalla gestione agricoltura e dall'ex gestione industria, dove per quest'ultima è emerso nel corso dell'indagine un credito inesigibile ammontante a 43mila miliardi di vecchie lire.
Si è quindi ribadita l'utilità, al fine di un migliore monitoraggio dei flussi di spesa, di introdurre il sistema di «contabilità analitica» nella redazione delle spese e dei bilanci.

4. L'esigenza di un ripensamento dell'attuale modello organizzativo interno degli enti previdenziali pubblici: bilanci e prospettive del sistema duale.

L'indagine conoscitiva ha consentito innanzitutto di verificare lo stato di attuazione del sistema organizzativo introdotto nel 1994 per gli enti previdenziali pubblici, nonché il suo grado di validità. L'attuale modello organizzativo degli enti previdenziali pubblici, così come determinato dal decreto legislativo n. 479 del 30 giugno 1994, recante attuazione della delega conferita dall'articolo 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, in materia di riordino e soppressione di enti pubblici di previdenza e assistenza, è rappresentato dal cosiddetto modello o sistema duale, che prevede la presenza di un organo di indirizzo politico strategico e di un organo gestionale amministrativo. L'istituzione del consiglio di indirizzo e vigilanza, introdotto con il decreto legislativo n. 479 del 1994, aveva lo scopo di separare la funzione di indirizzo da quella di gestione; al consiglio di indirizzo e vigilanza essendo attribuito invece il compito di definire, nel contesto delle direttive politiche adottate dal Governo, gli obiettivi strategici annuali e pluriennali dell'ente, con poteri, altresì, di vigilanza sulla loro attuazione.

4.1 I limiti del sistema duale.
L'indagine ha consentito di verificare alcuni limiti del funzionamento dell'attuale sistema.
Sulla base degli elementi raccolti, un primo profilo problematico per un corretto funzionamento del modello organizzativo previsto dal decreto legislativo n. 479 del 1994 è stato ravvisato nel numero eccessivo degli organi di vertice, quali il presidente, il consiglio d'amministrazione e il direttore generale (con riferimento agli organi di gestione), nonché il consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV). Un ulteriore elemento di criticità è stato più volte indicato nella mancanza di una corretta distinzione tra funzione di indirizzo generale e vigilanza, e funzione di gestione. Una univoca definizione delle due funzioni, che ne consenta la netta distinzione, varrebbe infatti a colmare quello che attualmente risulta essere un vuoto normativo, ovviando sul piano funzionale al rischio di sovrapposizioni e conflitti tra organi.
Una rivisitazione del modello di gestione per gli enti previdenziali pubblici è stata evidenziata innanzitutto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni, nel corso della già citata audizione del 20 febbraio 2002. Il rappresentante del Governo ha sottolineato l'esigenza di verificare se convenga distinguere un momento di propulsione di politica gestionale, rispetto al momento di gestione in senso stretto; ovvero se non sia da preferire un unico organo di direzione che ricordi la figura dell'amministratore delegato in seno alle società di capitali. Si tratta, in sostanza, della necessità di procedere, a seguito di una più attenta analisi, al ripristino dello schema organizzativo previsto dalla legge n. 88 del 1989, che


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implica la presenza delle parti sociali negli organi di amministrazione.
Nel corso dell'indagine è emerso, in ogni caso, che la normativa descritta non traccia, a livello di organi di indirizzo e di gestione (consiglio di amministrazione), un confine ben delineato delle rispettive funzioni. Nell'ambito di alcune audizioni - in particolare quella del Presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INPDAP, dottor Giancarlo Fontanelli, del 26 giugno 2002 - è stata avanzata l'ipotesi di realizzare un consiglio di indirizzo e vigilanza composto da un presidente di parte sindacale e un vicepresidente di parte datoriale, con un consiglio di amministrazione ristretto, e un presidente di istituto e un direttore generale che comunque non dovrebbero essere organi, ma rappresentare esclusivamente il vertice della struttura amministrativa.
In ogni caso l'indagine ha evidenziato la necessità di un miglior coordinamento tra i due organi, consiglio di amministrazione e consiglio di indirizzo e vigilanza, nell'ottica dell'introduzione di interventi correttivi tendenti a mantenere l'attuale assetto organizzativo. È emerso per esempio che attualmente in tutti gli enti pubblici il presidente dell'Istituto, come previsto dalle norme vigenti, può assistere ai lavori del consiglio di indirizzo e vigilanza, mentre non sempre è consentito al presidente di quest'ultimo consiglio assistere alle riunioni del Consiglio di amministrazione.
Le audizioni dei vari organi hanno evidenziato anche un numero eccessivo dei componenti dei consigli di indirizzo e vigilanza, in alcuni casi addirittura ventiquattro (INPS, INPDAP e INAIL), mentre in altri sempre comunque superiore a dieci (IPSEMA e IPOST).

4.2 Le prospettive di miglioramento del sistema.
È stata considerata, quindi, anche l'opportunità, se non di una rivisitazione del sistema duale, almeno di una riduzione del numero dei componenti dei consigli di indirizzo e vigilanza, anche in considerazione delle funzioni ad esso spettanti che sono esclusivamente di indirizzo politico-strategico e di vigilanza rispetto all'attuazione degli indirizzi definiti dall'organo di amministrazione.
In un contesto coordinato tra le funzioni dell'organo di amministrazione e quelle del soggetto di indirizzo e vigilanza, nel corso dell'indagine è emersa altresì l'opportunità di prevedere l'obbligo dell'organo di amministrazione di motivare l'eventuale mancato rispetto delle delibere del consiglio di indirizzo e vigilanza. In ogni caso, è stata richiesta una puntuale regolamentazione che, diversamente dalla normativa attualmente vigente, consenta interventi specifici dei consigli di indirizzo e vigilanza nei confronti dell'organo di gestione in caso di mancato rispetto degli indirizzi dettati.
Qualora si persegua, invece, l'obiettivo di superare il sistema duale attualmente vigente con la costituzione di un presidente ed un direttore generale con funzioni di amministratore delegato, si è posta l'alternativa tra due soluzioni. Da un lato, la costituzione di un consiglio di amministrazione anche con poteri gestionali, che presenterebbe per alcuni aspetti profili di contrasto con l'autonomia della dirigenza. Dall'altro, la costituzione di un organo con poteri di indirizzo e di vigilanza nelle scelte strategiche degli enti, demandando la loro gestione ed attuazione alla dirigenza e mantenendo poteri di verifica sui risultati raggiunti. È stato evidenziato in particolare da alcuni rappresentanti dei consigli di indirizzo e vigilanza che tale consiglio, denominato di primo polo nel modello organizzativo duale, avrebbe poteri incisivi e definiti riguardanti l'individuazione degli indirizzi politico-amministrativi, e sarebbe coerente con la scelta di attribuire alla dirigenza le responsabilità ed i compiti della gestione. Si è quindi ipotizzata la figura di un presidente, di un vicepresidente, e la costituzione di un comitato di presidenza, del quale farebbe parte il direttore generale con funzioni di amministratore delegato, che potrebbe svolgere un'attività di coordinamento tra la volontà del consiglio e la gestione burocratica.


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Una proposta ulteriore è emersa nel corso dell'audizione del presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INPS, dottor Aldo Smolizza (seduta del 27 giugno 2002), nel corso della quale è stata altresì prospettata una semplificazione del sistema duale, attraverso la creazione di un unico organo collegiale (consiglio) con funzioni di indirizzo e di vigilanza e con potere regolamentare, la cui presidenza dovrebbe costituire la rappresentanza politica dell'ente. In tale consiglio, dovrebbero trovare posto - in pari misura numerica - da una parte le rappresentanze delle parti sociali, sia datoriali che dei lavoratori, e dall'altra i rappresentanti dei ministeri vigilanti, nonché i soggetti nominati direttamente dal Governo. La funzione gestionale, attualmente in capo a tre organi (presidente, consiglio di amministrazione e direttore generale), dovrebbe essere attribuita in questo modello ad un organo monocratico (amministratore delegato ovvero direttore generale) a cui assegnare la rappresentanza legale dell'ente.
L'esigenza di una netta distinzione tra rappresentanza politica e gestionale, affidata rispettivamente ai due organi, con il superamento dell'attuale figura del presidente, è stata evidenziata anche nel corso delle audizioni del presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL, dottor Paolo Lucchesi (seduta del 3 luglio 2002). In tale occasione si è evidenziato come il vero difetto dell'attuale sistema duale risieda nel fatto che non esistono norme che disciplinano i rapporti tra gli organi, soprattutto in riferimento all'assenza di una norma che obblighi gli organi di gestione ad eseguire quanto deciso dal consiglio di indirizzo e vigilanza. La riduzione abbastanza consistente del numero dei componenti degli organi; la razionalizzazione dei controlli e dei relativi livelli in applicazione del decreto legislativo n. 286 del 30 luglio 1999; una reale autonomia finanziaria, amministrativa, gestionale con attribuzione di potestà regolamentari, sono state le esigenze logiche indicate per tale separazione.

5. Il miglioramento dell'organizzazione amministrativa degli enti pubblici previdenziali.

Particolare attenzione è stata dedicata dalla Commissione all'analisi dei profili concernenti l'efficienza dei sistemi di organizzazione interna, sia in riferimento ad una informatizzazione dei dati, sia circa il conferimento all'esterno di funzioni interne, come quella legale.

5.1 L'intensificazione nell'uso delle tecnologie informatiche.
La necessità di un potenziamento dei sistemi informatici per la gestione dei dati previdenziali e assistenziali è stata sollevata frequentemente nel corso delle audizioni.
Una situazione di particolare criticità è stata ravvisata per l'INPDAP. Nel corso dell'audizione del presidente di quell'istituto, dottor Rocco Familiari, e del direttore generale, dottor Andrea Simi (seduta del 5 giugno 2002), si è evidenziato come il medesimo ente - pur essendo stato definito dall'Autorità per l'informatica della pubblica amministrazione (AIPA) l'ente più avanzato nella realizzazione della RUPA (la rete unificata della pubblica amministrazione) ed essendo, dal punto di vista della dotazione di hardware e di procedure informatiche abbastanza progredito con un livello conforme a quello dell'INPS o dell'INAIL - non disponga di una adeguata banca dati per la ricostruzione delle carriere e dei percorsi contributivi degli iscritti ai fini della erogazione della prestazione. Tale situazione, che deriva da una oggettiva difficoltà da parte dell'INPDAP ad ottenere i dati e le informazioni relative alla ricostruzione delle carriere lavorative degli iscritti da parte delle amministrazioni di provenienza, ha spinto l'ente ad assumere l'iniziativa di richiedere al Ministero dell'economia e delle finanze la predisposizione di una apposita norma di legge che preveda un unico referente amministrativo gestore delle posizioni sia giuridiche che economiche


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del personale statale, inteso a facilitare i rapporti con l'ente, sia per la parte economica che giuridica.
Le tematiche inerenti i processi di innovazione tecnologica degli enti di previdenza, in particolare di INPS, INPDAP e INAIL, sono state affrontate anche nel corso dell'audizione del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, dottor Lucio Stanca (seduta del 7 maggio 2002). In tale occasione, il Ministro Stanca ha ricordato che i tre enti citati rappresentano, rispetto al totale degli enti previdenziali, il 97 per cento delle prestazioni erogate; il 94 per cento della spesa per l'informatica, ed utilizzano il 98 per cento del personale addetto al settore informatico. È stato sottolineato, in particolare nel corso di quell'audizione, come l'architettura organizzativa dei sistemi informativi di questi tre enti possa considerarsi sostanzialmente identica e distribuita su tre livelli, in analogia con la struttura sul territorio degli enti stessi: una sede centrale, dove risiedono i grandi elaboratori e gli archivi di interesse nazionale e dove vengono eseguite le elaborazioni massive; le sedi territoriali a livello regionale o provinciale connesse alla sede centrale, i cui sistemi dipartimentali ospitano le applicazioni di uso locale; quindi le sedi operative sul territorio, con un totale di 49.000 posti di lavoro connessi alle sedi territoriali.
Nel corso dell'audizione del Ministro per l'innovazione e le tecnologie, è stato evidenziato altresì come, nell'illustrazione dei progetti in corso di realizzazione, particolare rilevanza assuma - attraverso la cooperazione applicativa tra INAIL, INPS e le Camere di commercio (a cui recentemente si è aggiunto il Ministero dell'economia e delle finanze) - il progetto dei servizi integrati alle imprese, che dovrebbe consentire agli operatori economici di comunicare, una sola volta e a tutti gli enti, i dati che li riguardano, riducendo l'onere burocratico e migliorando la qualità dei dati medesimi. Una certa attesa è assegnata anche al servizio di monitoraggio sugli appalti pubblici, realizzato dall'INAIL in cooperazione con l'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, che consenta di seguire l'intera filiera degli appalti pubblici al fine di prevenire e di controllare il lavoro sommerso; la denuncia nominativa assicurati e la denuncia nominativa infortuni, realizzate dall'INAIL in attuazione del decreto legislativo n. 38 del 2000; il casellario centrale infortuni, istituito presso l'INAIL; il pagamento unificato di rendite INAIL e prestazioni INPS.
L'indagine conoscitiva ha evidenziato quindi come sia in atto da parte del Governo la promozione e la ricerca di una sinergia tra gli enti, pur nel rispetto delle proprie responsabilità e dei propri ruoli, per una maggiore integrazione attraverso interoperabilità e scambi di informazione o integrazione anche di infrastrutture fisiche.
Tale volontà è stata confermata nel corso del seguito dell'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni (seduta del 6 novembre 2002) il quale ha ricordato come nell'ambito del disegno di legge delega, atto Senato n. 2058, in materia previdenziale, sia previsto il riordino degli enti pubblici di previdenza attraverso fusione ed incorporazione di enti con finalità o funzioni identiche e una più marcata separazione tra le attività di gestione amministrativa e quelle di indirizzo e vigilanza, secondo i princìpi già dettati dalla legge n. 144 del 17 maggio 1999.

5.2 Lo svolgimento della funzione legale negli enti previdenziali pubblici.
Nel corso dell'indagine conoscitiva è stato a più riprese evidenziato come l'attività degli enti previdenziali pubblici risulti aggravata dall'enorme carico del contenzioso pendente, con effetti addirittura distorsivi nei confronti della funzione istituzionale di prestazioni previdenziali ed assistenziali.
L'ipotesi della esternalizzazione dei servizi legali della pubblica amministrazione, prevista dallo schema di regolamento di attuazione dell'articolo 29 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante disposizioni per la formazione del bilancio


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annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002), è stata giudicata in termini negativi da parte del presidente dell'Unione nazionale avvocati enti pubblici (UNAEP), Giuseppe Trippa, nell'ambito della sua audizione dell'8 ottobre 2002, sia per motivi di economicità (risultando la spesa globale per le avvocature pubbliche inferiore a quella occorrente per il ricorso a liberi professionisti), sia per la maggiore efficienza nella attività di consulenza e di difesa che si ritiene possa essere assicurata dalle Avvocature pubbliche rispetto a quella dei liberi professionisti.
Un giudizio negativo è stato espresso anche sulla scelta effettuata dall'INPS e dall'INAIL di affidare a società di cartolarizzazione esterne la gestione dei crediti, ritenendosi che il costo di una tale operazione (in virtù di alcune inefficienze imputate alle esattorie come ad esempio quella di un mancato rigoroso controllo dei crediti prescritti con conseguente aumento di ricorsi avverso le cartelle esattoriali) non trova beneficio nella anticipazione ottenuta. Con riferimento alla situazione dell'INPS è stata rappresentata l'esigenza di sopperire alle carenze di organico degli avvocati, esigenza manifestata anche da parte dei vertici di quell'istituto nella seduta del 13 febbraio 2003.
Anche le proposte indicate dal presidente della FLEPAR (Federazione legali enti parastatali) nella seduta dell'8 ottobre 2002, hanno riguardato l'istituzione di una avvocatura unica degli enti di previdenza e assistenza, per l'esercizio dell'attività di consulenza, rappresentanza e difesa in giudizio degli enti. È stato infatti affermato che tale disposizione consentirebbe, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato e degli enti, di perseguire il fine di una notevole riduzione dei costi amministrativi, nonché di un miglioramento dei servizi attraverso la razionalizzazione dell'attività legale degli enti, alcuni dei quali a causa delle disfunzioni interne attualmente presenti sono costretti ad avvalersi di studi legali esterni con costi elevati.

6. Il processo di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.

Il problema della cartolarizzazione dei beni immobili di proprietà degli enti previdenziali è stata oggetto di particolare attenzione da parte della Commissione, che ne ha affrontato i principali aspetti coinvolgenti la gestione contabile dei medesimi enti.

6.1 I dati forniti dai rappresentanti del Governo.
Sempre nel corso dell'audizione del 20 febbraio 2002 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni, è stato evidenziato come la disciplina introdotta dal decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito nella legge 23 novembre 2001, n. 410, recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare, che ha assegnato a quel dicastero la responsabilità per l'attuazione delle politiche immobiliari degli enti previdenziali, coinvolgendo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in un ambito prima esclusivamente riservato al Ministero dell'economia e delle finanze, risulta essere oggi improntata, assai più marcatamente che in passato, all'esigenza di soddisfare primariamente le necessità della finanza pubblica. Si è ritenuto necessario anticipare, mediante procedimento di cartolarizzazione, i proventi attesi da un programma di dismissione, già avanzato nelle sue linee generali e in buona parte già attuato (1.687 milioni di euro, pari ad oltre 3.266 miliardi di lire).
Nel corso dell'audizione del rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, onorevole Maria Teresa Armosino (seduta del 9 aprile 2002), è stato confermato che alla dismissione «ordinaria» afferente ad un patrimonio immobiliare di oltre 11 miliardi di euro di valore catastale hanno provveduto direttamente, con l'assistenza dell'Osservatorio sul patrimonio


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immobiliare degli enti previdenziali, gli enti proprietari, praticando, sulla vendita delle unità abitative per le quali il conduttore aveva esercitato il diritto di opzione, le specifiche riduzioni sul prezzo di mercato (30 per cento generalizzato, più una percentuale variabile dal 10 al 15 per cento per le ipotesi di vendita in blocco). In riferimento invece alla dismissione «straordinaria» per un valore complessivo «non inferiore a 3.000 miliardi di lire» (circa 1 miliardo 549 milioni di euro), si è intervenuti per lotti di immobili ad uso non abitativo e tramite procedura competitiva sotto la diretta responsabilità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con il concerto del Ministero dell'economia e delle finanze.
Al 21 novembre 2001, in base alle suesposte procedure di alienazione, sono risultate vendute 10.683 unità residenziali agli inquilini, per un importo di oltre 951 milioni di euro, con l'aggiudicazione, in esecuzione di quattro procedimenti d'asta, di 74 fabbricati per un valore di circa 478 milioni di euro. Successivamente a quella data, sono divenute operative le disposizioni recate dal già citato decreto-legge n. 351 del 2001 per la cosiddetta cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico comprendente (per gli aspetti di interesse della Commissione), i patrimoni immobiliari dell'ENPALS, dell'INAIL, dell'INPDAI, dell'INPDAP, dell'INPS, dell'IPOST e dell'IPSEMA. Gli immobili individuati con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze in data 30 novembre 2001, sono stati oggetto di trasferimento a titolo oneroso alla società di cartolarizzazione immobili pubblici (SCIP), società a responsabilità limitata, e contestualmente riassegnati agli stessi enti con generale mandato di gestione e di rivendita.
L'indagine conoscitiva ha permesso di evidenziare, sotto questo aspetto, che gli atti di gestione del patrimonio immobiliare si sostanziano in un contratto tra l'ente previdenziale e la SCIP che, in sintesi, ha delegato all'ente stesso tutte le incombenze relative all'amministrazione del bene (ad esempio la riscossione degli affitti e i carichi di manutenzione). Il contratto, contestualmente, ha recato mandato a vendere gli immobili in esito alle specifiche procedure ivi previste ed alle condizioni recate dall'articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 25 settembre 2001 a vantaggio degli inquilini, quali il riconoscimento del diritto di opzione, la riduzione del 30 per cento sul prezzo di mercato elevabile di un ulteriore 10-15 per cento per la vendita in blocco, la concessione di mutui agevolati in funzione del reddito del conduttore.
La vendita degli immobili dovrebbe comportare plusvalenze che, a conclusione del procedimento di cartolarizzazione, saranno imputate, ciascuna per la parte di propria competenza, agli enti previdenziali, dedotte, secondo quanto contrattualmente previsto, le spese di cartolarizzazione. Si è quindi evidenziato, che il ricavo netto finale di tale operazione sarà versato agli enti come prezzo totale della vendita. Nel frattempo, salvo nuovi decreti di trasferimento di altre proprietà alla società veicolo, è rimasto nella piena disponibilità degli enti previdenziali pubblici il residuo patrimonio immobiliare costituito da immobili a reddito e immobili strumentali, patrimonio sul quale permane la vigilanza diretta da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Alla data del 28 febbraio 2002, secondo i dati forniti dal sottosegretario per l'economia e le finanze, onorevole Maria Teresa Armosino, su un totale di 26.157 unità immobiliari inserite nell'operazione di cartolarizzazione, quelle vendute sono risultate 2.837, per un controvalore pari a circa 200 milioni di euro.

6.2 Le indicazioni fornite dall'Osservatorio sul patrimonio immobiliare.
Nel corso dell'audizione del coordinatore dell'Osservatorio sul patrimonio immobiliare pubblico, professor Gualtiero Tamburini (seduta del 17 luglio 2002), è stato evidenziato che dal momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 104 del 16 febbraio 1996, concernente la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, si è cercato di intervenire sulla


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materia delle dismissioni degli enti previdenziali, attraverso uno strumento normativo di programmazione per risolvere una situazione di totale disordine delle gestioni immobiliari degli enti previdenziali. Gli immobili residui degli enti previdenziali interessati dalla seconda fase di cartolarizzazione sono stati 54.000 ad uso abitazione, oltre a diverse decine di migliaia di metri quadrati di superfici di immobili non residenziali; la fase di cartolarizzazione successiva ha riguardato invece un numero leggermente inferiore alle 25 mila abitazioni.
Secondo il coordinatore dell'Osservatorio, professore Tamburini, in ogni caso i fondi immobiliari previsti dal decreto legislativo n. 104 del 1996 sarebbero uno strumento che si adatta bene alle dismissioni del settore pubblico, consentendo di creare valore e lasciando che i benefici vadano in capo all'ente, qualora intenda usufruirne. La legislazione sui fondi immobiliari consente infatti al soggetto che apporta gli immobili di detenere il 40 per cento delle quote, con la possibilità che il 40 per cento delle eventuali rivalutazioni tornino nelle casse del soggetto apportante. La scelta di mettere gli immobili in una struttura specializzata, cioè la società di gestione del fondo immobiliare costituita da operatori tecnici del settore immobiliare, consentirebbe così di creare maggiore valore.

6.3 Il giudizio negativo espresso dai rappresentanti dei CIV.
È stato d'altro canto espresso da parte dei rappresentanti dei CIV un giudizio negativo sull'attività di cartolarizzazione dei singoli enti, considerata eccessivamente onerosa soprattutto in alcuni casi, come quello dell'INAIL. Proprio in riferimento a quest'ultimo Istituto è stata peraltro evidenziata l'incongruità della previsione di depositi infruttiferi delle riserve, aspetto questo rilevato in particolare dai vertici dell'IPOST nel corso della missione effettuata l'11 giugno 2002 da una delegazione della Commissione presso quell'Istituto.

6.4 La posizione dei rappresentanti dell'ASSOGESTI.
Le problematiche connesse alle modalità di gestione dei patrimoni immobiliari degli enti previdenziali pubblici sono state oggetto di esame nel corso dell'audizione del Presidente dell'Associazione gestori patrimoni immobiliari (ASSOGESTI), il dottore Cesare Ferrero (seduta del 23 ottobre 2002).
La valutazione espressa riguardo al funzionamento del sistema di gestione del patrimonio degli enti pubblici è stata quella di considerare la intrapresa strada dell'esternalizzazione del servizio di gestione dei patrimoni immobiliari degli enti previdenziali come connesso ad un generale miglioramento nelle prestazioni dei servizi svolti, pur in presenza di un certo indice di conflittualità nel rapporto tra proprietari, gestori ed inquilini, derivante dalla presenza di un patrimonio a prevalente natura residenziale con un canone di locazione agevolato e quindi spostato rispetto ad un corretto rapporto di mercato.
Nel rapporto tra gli enti previdenziali e società di gestione sono stati sottolineati, in particolare, i seguenti aspetti critici:
a) assenza negli enti previdenziali pubblici di una cultura di soggetto proprietario in outsourcing dei servizi. Vi è cioè una mancanza di esperienza da parte delle stesse strutture interne (che diventano poi l'interfaccia del gestore) nella gestione dei rapporti con soggetti terzi. L'esperienza pregressa era totalmente diversa, legata alla erogazione in prima persona dei servizi; vi erano, quindi, strutture interne che svolgevano tali adempimenti. Il passaggio da un servizio internalizzato ad uno esternalizzato impone in tal senso una ridistribuzione delle competenze professionali necessarie, occorrendo minori professionalità di tipo squisitamente tecnico a fronte di un maggiore impiego di risorse nel campo del controllo e del monitoraggio delle attività di un soggetto terzo;


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b) un altro elemento di criticità è stato individuato, nella mancanza di esperienza delle società di gestione. Viene infatti rilevato come ci sia stato negli ultimi cinque anni un forte impulso verso l'outsourcing dei servizi, ma non molte società avevano strutture interne adeguate all'erogazione del servizio o professionalità con esperienza ad operare in campo pubblicistico, con particolare riferimento per quanto riguarda appalti, gare e procedure degli enti previdenziali;
c) un altro aspetto rilevato è legato alla direzione intrapresa in tutti i processi di gestione immobiliare. Vi è una forte preoccupazione da parte delle imprese, in quanto si osserva un rallentamento significativo di tutti i processi decisionali. Si tratta di un fenomeno fortemente legato ai processi di cartolarizzazione (SCIP 1 e SCIP 2) nonché a un rallentamento delle gare già assegnate e dei servizi già in esecuzione. Viene rilevato un certo «sfilacciamento» all'interno degli enti proprietari riguardo a tutta l'attività relativa al patrimonio immobiliare. In tal senso, è stato valutato criticamente il mantenimento, riscontrato nell'esperienza di SCIP 1, in capo agli enti cedenti della responsabilità di ogni attività in campo immobiliare, ritenendosi che una tale impostazione vada contro il dettato delle normative precedenti, che invece stimolavano l'outsourcing di questi servizi.

III - La situazione presso le casse private.

L'attività conoscitiva svolta ha consentito di approfondire anche le problematiche legate al settore delle Casse private, sia con riguardo a questioni di carattere generale che in ordine a specifiche situazioni.

1. Casse private e gestione della previdenza.

Le problematiche di carattere generale coinvolgenti il «mondo» delle Casse private sono state affrontate con una particolare attenzione, anche in virtù degli aspetti considerati più rilevanti concernenti la totalizzazione dei periodi di iscrizione; la gestione della indennità di maternità; la previsione di sistemi di contribuzione integrativa.
L'illustrazione di alcune tra le esigenze considerate prioritarie nel settore previdenziale degli ordini professionali si è avuta in modo particolare in occasione dell'audizione del presidente dell'Associazione degli enti previdenziali privati (AdEPP), avvocato Maurizio de Tilla, e dei rappresentanti delle Casse private ad essa aderenti (seduta del 24 luglio 2002). A questa è seguito un ulteriore approfondimento - ritenuto necessario anche in virtù dello stato di avanzamento dell'esame presso il Senato del disegno di legge atto Senato n. 2058 in materia di riforma del sistema previdenziale e di riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria - con lo svolgimento dell'audizione di rappresentanti dell'EPPI (Ente di Previdenza dei Periti Industriali), dell'EPAP (Ente di Previdenza e assistenza degli attuari, dei chimici, dei dottori agronomi, dei dottori forestali e dei geologi), della Cassa Geometri e dell'ENPACL (Ente nazionale di previdenza ed assistenza Consulenti del Lavoro).

1.1 Totalizzazione dei periodi di iscrizione e contribuzione.
Nel corso delle audizioni indicate, è emerso come la mobilità professionale dei lavoratori, rappresentando una tendenza irreversibile del mercato del lavoro, abbia imposto l'adozione di misure volte alla salvaguardia del diritto a trattamenti pensionistici adeguati per quei lavoratori che maturino posizioni contributive presso gestioni previdenziali diverse.
In tal senso, è stata manifestata da parte dei rappresentanti delle Casse la necessità di introdurre uno strumento alternativo alla ricongiunzione (risultante oltretutto eccessivamente onerosa per il lavoratore) nell'ordinamento previdenziale, anche in ottemperanza alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale


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(con riferimento alla sentenza n. 61 del 5 marzo 1999, che ha verificato l'illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge 5 marzo 1990, n. 45 recante norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti, nella parte in cui non prevedono, in favore dell'assicurato che non abbia maturato il diritto ad un trattamento pensionistico in alcuna delle gestioni nelle quali è, o è stato, iscritto, in alternativa alla ricongiunzione, il diritto di avvalersi dei periodi assicurativi pregressi nei limiti e secondo i principi indicati in motivazione).
Tale strumento alternativo viene individuato nel cumulo figurativo e gratuito per il lavoratore di tutti i periodi di iscrizione maturati nelle diverse gestioni previdenziali, la cosiddetta totalizzazione, in virtù della quale resta a carico di ciascuna gestione - in base al criterio del pro rata - la quota di pensione proporzionata all'anzianità contributiva maturata dal lavoratore presso la gestione medesima. Contro il modello di totalizzazione introdotto dall'articolo 71 della legge n. 388 del 23 dicembre 2000, si sono espressi i rappresentanti delle Casse private ritenendo che, in base a tale modello, si troverebbero a pagare prestazioni troppo alte, senza alcuna proporzione rispetto ai contributi versati.
È stata quindi rappresentata l'aspettativa a che lo strumento della totalizzazione trovi nuove soluzioni normative da parte del legislatore, compatibili con la spiccata diversità di impianto dei vari regimi, con particolare riferimento ai sistemi di calcolo delle prestazioni, tenendo conto, in particolare, della peculiarità delle casse private che non si avvalgono di finanziamenti pubblici.
In tal senso, è stata rappresentata la scelta di ricondurre il sistema di calcolo, per tutti quei soggetti che non vogliano accedere alla ricongiunzione dei periodi assicurativi, a quello della legge n. 335 dell'8 agosto 1995, concernente il sistema contributivo, per evitare le conseguenze eccessivamente onerose che la totalizzazione realizzata con ciascuno dei sistemi tipici delle varie gestioni comporterebbe. L'introduzione di un potere regolamentare che permetta alle singole casse l'adattamento del sistema contributivo alla realtà specifica della propria categoria è stato considerato particolarmente significativo per il raggiungimento dell'obiettivo di rendere concretamente possibile la salvaguardia degli equilibri finanziari.

1.2 La posizione del rappresentante del Governo in tema di totalizzazione.
In tema di totalizzazione la posizione del Governo è stata espressa dal Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, professore Alberto Brambilla, il quale ha ricordato l'esistenza di un gruppo di lavoro in cui sono rappresentati le Casse di previdenza privata, i sindacati dei professionisti e le organizzazioni che tutelano gli interessi di chi ha spezzoni contributivi, a cui è affidato il compito di trovare una soluzione praticabile tra chi propone il metodo contributivo e chi sostiene l'utilizzo delle regole valide nelle singole gestioni.
L'emanazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'eventuale regolamento sulla totalizzazione in base all'articolo 71 della legge n. 388 del 2000, che ne circoscriverebbe l'applicazione ai soggetti che non hanno maturato in nessuna delle gestioni di iscrizione il diritto alla pensione, potrebbe escludere gli iscritti alle gestioni «contributive», le Casse professionali di nuova istituzione (dai periti industriali ai geologi) e i collaboratori coordinati e continuativi. In questi casi bastano, infatti, cinque anni di versamenti per ottenere la pensione.

1.3 Modifiche in tema di indennità di maternità.
Si è trattato di un altro aspetto emerso soprattutto in riferimento ai liberi professionisti. In particolare, i rappresentanti delle Casse private hanno evidenziato come manchi la fissazione di un tetto massimo all'indennità da corrispondere alla libera professionista, mentre esiste la previsione di un importo minimo. Si è


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ritenuto opportuno correggere, altresì, l'indicazione dell'anno di riferimento per l'indennità al secondo anno antecedente a quello della domanda, per evitare che ci possa essere la possibilità per la professionista di procedere a speculazioni o vantaggi economici, anticipando la domanda o precostituendo un dato non corrispondente alla propria realtà professionale. I rappresentanti delle Casse private riterrebbero preferibile in tal senso un collegamento tra il reddito di riferimento utile per il calcolo dell'indennità e il periodo in cui si è verificato l'evento e non quello di presentazione della domanda.

1.4 Il regime previdenziale dei compensi dell'attività di sindaco e di amministratore di enti o società.
La questione concerne il regime previdenziale nel caso in cui l'amministratore o il sindaco sia un professionista iscritto ad un albo professionale e ad una Cassa previdenziale privata. Nel corso dell'audizione del presidente dell'AdEPP e dei rappresentanti delle Casse private (seduta del 24 luglio 2002), è stata ritenuta non condivisibile la pretesa di assoggettare al regime proprio del lavoro parasubordinato l'attività di revisore o di amministratore svolta da un professionista, riconducibile all'oggetto dell'arte o della professione svolta in via principale. In particolare, si è ritenuta non coerente con il sistema vigente e le peculiarità dei rispettivi regimi previdenziali, l'equiparazione, anche ai fini previdenziali, di alcune attività autonome che meglio possono rientrare nello schema di lavoro subordinato (come i procacciatori d'affari di agenzie assicurative o immobiliari, e così via) con quelle che tipicamente riguardano la sfera professionale, sia pure in senso lato, e si sviluppano nell'ambito della medesima (come amministratori e sindaci di società o enti, partecipanti a collegi e commissioni, e così via). In tal senso, è stato espresso il convincimento per cui l'assoggettamento ad un'unica contribuzione previdenziale presso la Cassa professionale di riferimento di tutti i redditi lavorativi dei professionisti apparirebbe come la soluzione più coerente.

1.5 Eliminazione della doppia tassazione a carico delle Casse professionali.
Nel corso dell'indagine conoscitiva i rappresentanti delle Casse di previdenza private hanno manifestato l'opportunità di una riforma della vigente normativa fiscale, eliminando l'attuale equiparazione tra Casse professionali e persone fisiche sul piano della tassazione, riducendo altresì il peso del prelievo fiscale a loro carico tenendo conto dello specifico fine previdenziale perseguito. È stata quindi auspicata l'eliminazione della doppia tassazione (a carico del pensionato e a carico delle Casse) che giunge fino al 50 per cento del reddito da pensione. L'ipotesi prospettata, in questo caso, è quella (ribadita successivamente anche dal Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali, professore Alberto Brambilla, nel corso della sua audizione del 7 novembre 2002) di equiparare in modo sostanziale il regime fiscale a quello dei fondi-pensione, in linea con le regole vigenti in tutti i Paesi dell'Unione europea e degli USA.

1.6 Interventi per la gestione di una previdenza integrativa e di un fondo sanitario.
Nel corso dell'audizione dei rappresentanti dell'AdEPP è stata quindi auspicata la possibilità per le Casse di previdenza private di gestire direttamente i fondi della previdenza complementare. È stato espresso in questo senso il convincimento della necessità di una normativa generale, valida per tutte le Casse private, idonea ad evitare differenziazioni inutili. In tal senso, è stato manifestato altresì il convincimento per cui un grande polo di previdenza integrativa che riguardi un milione seicentomila professionisti, complessivamente gli iscritti alle Casse private, rappresenterebbe lo strumento per una previdenza integrativa molto più forte.
Un esempio di gestione della pensione integrativa è stato evidenziato durante l'audizione dei vertici dell'Ente nazionale


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di previdenza degli agenti e dei rappresentanti di commercio ENASARCO (seduta del 18 settembre 2002), il primo caso di pensione integrativa realizzata in Italia.
L'ENASARCO conta circa 400mila iscritti, dei quali almeno 100mila, secondo uno studio recente, sono silenti; gli assicurati che pagano sono intorno a 250 mila mentre i pensionati sono circa 100mila. Pur in presenza di un trend di iscritti attuale moderatamente positivo, ciò che preoccupa è quale sarà il numero, la misura, la qualità e il tipo di attività svolta dagli agenti e dai rappresentanti di commercio con l'avvento e consolidamento dell'e-commerce nella struttura della distribuzione, dovendo porsi il problema dell'incidenza che tale fenomeno potrà avere sui bilanci previdenziali.
Il sistema dell'ente ripartisce l'onere della contribuzione, complessivamente dell'11,50 per cento, a metà tra case mandanti e agenti di commercio, con una contribuzione a giudizio degli auditi non sufficiente, in base alle previsioni contenute nel bilancio tecnico e non relativamente alla situazione attuale. Si riterrebbe auspicabile infatti un incremento dell'1,50 per cento, congiuntamente ad una modifica delle prestazioni relativamente alle «finestre» che consentono una anticipazione, ritenuta eccessivamente generosa, della pensione di vecchiaia.
Particolare attenzione è stata riconosciuta altresì all'ENPAIA, Ente nazionale di previdenza e assistenza per gli impiegati in agricoltura, in riferimento all'esperienza conseguita dall'ente nella gestione amministrativa di un fondo pensione complementare, il Filcoop. L'auspicio espresso dai vertici dell'ente nella seduta del 19 settembre 2002 è stato quello di un diretto coinvolgimento dell'Istituto nella gestione e sviluppo della previdenza complementare di tutto il comparto riguardante il settore agricolo, individuandosi la soluzione normativa nella possibilità di prevedere, d'intesa con le parti sociali, la destinazione del trattamento di fine rapporto alla previdenza complementare anche nel caso in cui esso, in virtù di obblighi di legge (come è il caso dell'ENPAIA), sia accantonato presso un ente previdenziale.
In generale, in ogni caso, è emerso il convincimento dei rappresentanti delle Casse private per cui, se vi sono detrazioni fiscali per l'assistenza sanitaria, se vi è la possibilità di costituire dei fondi sanitari, anche le Casse private intenderebbero utilizzare tale possibilità, in modo che ciascuna di esse o tutte insieme possano costituire un polo sanitario. Un esempio è fornito dall'iniziativa che riunisce alcune Casse in una Fondazione, la quale è presieduta dal presidente degli psicologi Houlis, allo scopo di cominciare a creare e a promuovere un polo sanitario (che funga anche da terzo pilastro), per soddisfare le esigenze delle Casse.

1.7 Analisi di medio-lungo periodo e profili specifici di alcune Casse.
In prospettiva di medio e lungo periodo, è stata rappresentata la necessità di definire i problemi conseguenti in modo coerente con le esigenze delle singole Casse. Si è cioè ritenuto opportuno non realizzare l'allungamento dei periodi attuariali, ma procedere attraverso un percorso graduale che tenga conto delle peculiarità dei singoli enti, in maniera tale da allungare le proiezioni in relazione alla detassazione, eliminando il sistema di una doppia tassazione.
In merito alle preoccupazioni legate alla sostenibilità economico-finanziaria degli enti privatizzati nel lungo periodo, si ritiene di evidenziare le considerazioni espresse dal presidente del Consiglio nazionale degli attuari, professore Giuseppe Orrù, a giudizio del quale, inquadrando la situazione esistente in una prospettiva di quaranta anni, questa provocherà con molta probabilità un deficit finanziario. Nel fronteggiare tale circostanza la prima ed immediata soluzione proposta è quella di alzare per tutte le Casse - secondo soluzioni di gradualità - l'età di vecchiaia a settanta anni, con la congiunta previsione, nel caso di prepensionamento rispetto ai settanta anni di età, della obbligatoria


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cancellazione dagli albi professionali, assicurando per tale via l'avvenuta cessazione dell'attività. Si evidenzia, peraltro, come l'adozione di un tale provvedimento istituzionalizzerebbe una situazione che, di fatto, vede già la gran parte dei professionisti, di età compresa tra 65 e 70 anni, continuare ad esercitare la propria attività. Sempre in una prospettiva di medio-lungo periodo è opportuno verificare che i nuovi ingressi, a fronte di immediati benefici, non siano causa di future situazioni di squilibrio, ritenendosi in tal senso fondamentale un maggiore e costante monitoraggio volto ad accertare che quanto versato dai nuovi iscritti sia congruo a ripagarne le varie prestazioni. Nel mantenimento dell'equilibrio nel lungo termine, un ulteriore elemento problematico è stato evidenziato in riferimento alle Casse di cui al decreto legislativo n. 103 del 1996 per le quali, vigendo l'obbligo di utilizzare dei coefficienti di conversione dei contributi analoghi a quelli dell'INPS, il tasso utilizzato nel calcolo del rendimento previsto é allo stato attuale dell'economia reale troppo alto.
Un elemento di criticità di medio periodo è stato ravvisato dal Presidente dell'INPGI Cescutti e dal direttore generale del medesimo Istituto Tortora (seduta del 16 ottobre 2002) con particolare riferimento all'istituto dei prepensionamenti, ai sensi della disciplina recata dalla legge 5 agosto 1981, n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria, in virtù della quale l'ente è tenuto a provvedere all'onere finanziario della cassa integrazione guadagni e dei prepensionamenti degli appartenenti alla categoria senza ricevere alcun introito o contributo specifico e con una conseguente totale incidenza sul monte contributivo versato dagli iscritti. Ciò porterebbe ad un'incidenza per 32 miliardi di vecchie lire per il 2001 (pari al 7,15 per cento rispetto alla spesa totale), nonché di 399 miliardi per il periodo dal 1981 al 2001.
In tal senso, è stato rappresentato da parte dei vertici dell'INPGI come tale anomalia, laddove non dovesse trovare una adeguata soluzione legislativa, potrebbe rappresentare un fattore di instabilità finanziaria nel medio periodo, con la necessità di esercitare un maggiore controllo e una maggiore verifica sullo stato di crisi richiesto dai gruppi editoriali.
Nel corso dell'audizione dei rappresentanti delle Casse private, è stata infine evidenziata l'opportunità di chiarire che, in conseguenza della privatizzazione dell'Ente nazionale per la previdenza e assistenza dei farmacisti e in forza dell'autonomia ad esso riconosciuta dal decreto legislativo n. 509 del 1994, il medesimo ente non rientrerebbe più nei programmi di cartolarizzazione avviati ai sensi del decreto-legge n. 351 del 2001 che ha modificato la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 104 del 1996.

1.8 Emanazione di un testo unico di riordino della materia previdenziale degli enti previdenziali privati.

La proposta di un testo unico di riordino della materia previdenziale degli enti previdenziali privati è stata formulata dal Presidente dell'ENPACL, l'Ente di previdenza dei consulenti del lavoro, dottor Vincenzo Miceli, nella seduta del 4 febbraio 2003.
Si è rilevato, in tale sede, come una previsione di questo tipo sia presente, in virtù delle integrazioni apportate nel corso dell'esame presso il Parlamento, nel disegno di legge delega atto Senato n. 2058 in materia previdenziale.
È stato altresì sottolineato come, pur in presenza di un aumento della platea contributiva, il peso specifico delle nuove entrate stia diminuendo per quanto riguarda la redditività. Ciò in virtù dell'intensificarsi del fenomeno dei collaboratori coordinati e continuativi e di quello delle collaborazioni autonome, pur rilevandosi come spesso tali figure vengano utilizzate per mascherare contratti di lavoro subordinato a tutti gli effetti. Di fronte al fenomeno, in costante crescita, dei lavoratori cosiddetti «atipici» la preoccupazione espressa da alcuni componenti della Commissione risiede nell'entità della attuale aliquota contributiva, inferiore al 15


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per cento, e dei periodi di contribuzione inferiori all'anno. Si auspica, in tal senso, un elevamento dell'aliquota contributiva, congiuntamente ad una accelerazione del periodo entro cui portare al 19 per cento l'aliquota massima, periodo attualmente previsto per il 2014.

IV - La riforma del sistema pensionistico.

Nell'ambito dello svolgimento dell'indagine conoscitiva la Commissione - pur ponendo attenzione a non invadere le competenze proprie degli altri organi parlamentari e del Governo nella materia - ha avuto modo di acquisire elementi conoscitivi anche in ordine alle prospettive di riforma dello stato sociale e del sistema pensionistico in particolare. L'approfondimento di tale aspetto, oltre a rappresentare per la Commissione una base di conoscenza indispensabile per un migliore esercizio della sua funzione di vigilanza (esplicandosi questa anche «sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema con le linee di sviluppo dell'economia nazionale»), ha voluto rappresentare un contributo al dibattito attualmente in corso e che investe settori istituzionali sia in ambito nazionale (con l'esame da parte del Parlamento del disegno di legge atto senato n. 2058, di delega al Governo in materia previdenziale, recante misure di sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria), che in ambito europeo dove, dopo l'avvenuta discussione avutasi in seno alla riunione congiunta delle Commissioni delle politiche sociali ed economiche della U.E., del 23 e 24 ottobre 2002, dei «Rapporti sulle strategie nazionali per i futuri sistemi pensionistici» presentati da tutti i Governi dei Paesi aderenti all'Unione, è stata presentata il 17 dicembre 2002 (secondo quanto originariamente stabilito nel Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001) l'elaborazione di un unico documento sulle strategie di riforma per l'armonizzazione dei sistemi del welfare nei Paesi dell'Unione Europea.
Dall'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione sono quindi emersi alcuni profili rilevanti, di seguito riportati, anche in conseguenza dell'audizione dei professori Giuseppe Orrù, Maurizio Franzini e Tullio Tranquillo (seduta del 5 febbraio 2003) che hanno assicurato il loro contributo scientifico all'indagine in corso di svolgimento.

1. L'assetto attuale: la riforma contributiva del 1995.

È noto come in Italia si sia reso necessario nel corso dell'ultimo decennio un processo di forte ristrutturazione del sistema pensionistico, indotto da un lato per il consistente aumento della quota di PIL destinata al finanziamento della spesa pensionistica registrato nel nostro Paese negli anni 1980-1992; e dall'altro per la maturata consapevolezza anche da parte del legislatore circa la necessità di un assetto normativo in grado di neutralizzare o limitare significativamente gli effetti dell'invecchiamento demografico sulla sostenibilità macroeconomica del sistema pensionistico obbligatorio.
Più in particolare, gli studi effettuati hanno dimostrato che le cause del deterioramento degli equilibri del sistema pensionistico negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta sono da ricercare, in particolare, nella inadeguatezza del quadro normativo-istituzionale, allora vigente, rispetto ai requisiti di sostenibilità finanziaria di un sistema pensionistico a ripartizione, piuttosto che nel processo di invecchiamento relativo ed assoluto della popolazione. È stato infatti dimostrato che l'indice di dipendenza degli anziani tra il 1980 ed il 1993 è aumentato in misura decisamente inferiore rispetto alla spesa pensionistica in termini di PIL e che, viceversa, le variabili demografiche manifesteranno i loro pieni effetti a partire dai prossimi anni.
Sul piano equitativo inoltre il sistema pensionistico italiano si presentava variamente diversificato e presentava l'esigenza di una maggiore omogeneità di trattamento


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sia sul fronte del finanziamento (aliquote contributive) che su quello dell'erogazione della spesa (calcolo delle prestazioni, requisiti di accesso anagrafici e contributivi, e così via); è stato altresì rilevato come tali differenze tra i vari regimi pensionistici e, dunque tra le diverse categorie di lavoratori, potessero porre dei dilemmi anche in termini di buon andamento delle diverse variabili macroeconomiche, risultando l'equilibrio finanziario complessivo del sistema fortemente dipendente dalla ricomposizione settoriale dell'occupazione.
Sulla base dell'esistenza di tali elementi distorsivi è stato realizzato il conseguente processo di riforma che - concretizzatosi nel decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, recante norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (cosiddetta «riforma Amato»), e soprattutto nella legge 8 agosto 1995, n. 335, recante riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare (cosiddetta «riforma Dini») - ha riguardato tutti i principali aspetti di regolazione della spesa pensionistica, avendo apportato modifiche ai meccanismi di indicizzazione, ai requisiti di accesso (di anzianità e vecchiaia), alle modalità di calcolo della prestazione.
Gli studi effettuati dal Nucleo di valutazione della Spesa pensionistica hanno dimostrato come l'insieme delle misure adottate permettano di conseguire l'obiettivo di un contenimento della dinamica della spesa sia nel breve che nel medio-lungo periodo. Le prospettive di medio-lungo periodo, in particolare, presentano un andamento condizionato dalla progressiva entrata a regime del sistema contributivo introdotto dalla legge n. 335 del 1995 (riforma Dini); infatti la gradualità con la quale la norma introduce il passaggio al calcolo contributivo della prestazione pensionistica ne prevede la piena entrata a regime solo per i lavoratori neoassunti al 1o gennaio 1996. Per coloro che al 31 dicembre 1995 potevano vantare un'anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, al contrario, è stata prevista la liquidazione del trattamento secondo lo schema del pro-rata (la quota di pensione relativa alle anzianità maturate antecedentemente al 31 dicembre 1995 è computata con il metodo retributivo); infine nei confronti di coloro che alla predetta data erano in possesso di anzianità contributive superiori a 18 anni il calcolo della pensione è stato effettuato applicando integralmente il più vantaggioso metodo retributivo, sulla base delle innovazioni restrittive introdotte dalla riforma Amato, essendosi con questa ampliato il riferimento alle retribuzioni dell'intera vita lavorativa per il calcolo della prestazione pensionistica.
Nell'ambito della legge Dini è stata altresì prevista l'abolizione del pensionamento di anzianità, con introduzione del principio della «uscita flessibile» dalla vita lavorativa tra i 57 e i 65 anni. Anche a questo proposito è stata prevista una fase transitoria, diversamente articolata per le varie categorie di lavoratori interessati (privati, pubblici, autonomi).
L'introduzione del metodo contributivo in sostituzione di quello retributivo - attuando il diretto collegamento tra contributi versati e montante accumulato nonché tra rendita pensionistica ed età anagrafica - ha consentito il risultato di garantire rendimenti pensionistici sostenibili e di prevedere principi di equità nel calcolo dei medesimi fra soggetti con differenti velocità di carriere e differenti età al pensionamento. Infatti, la pensione è calcolata moltiplicando il montante contributivo per un coefficiente di trasformazione (calcolato sulla base del periodo medio di godimento della prestazione) differenziato per età. La riforma Dini ha altresì previsto, al fine di adeguare il calcolo dei trattamenti di nuova decorrenza alle evoluzioni future delle variabili macroeconomiche e demografiche, la revisione a cadenza decennale dei coefficienti di trasformazione. L'introduzione del sistema contributivo si basa, quindi, su uno schema di «capitalizzazione simulata», mentre il finanziamento del sistema pensionistico obbligatorio rimane a ripartizione


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tramite l'applicazione di aliquote contributive pari a circa il 33 per cento per i lavoratori dipendenti ed a circa il 16 per cento per i lavoratori autonomi, progressivamente elevate al 19 per cento.

2. L'accelerazione dei tempi di messa a regime della riforma Dini.

La legge n. 335 del 1995 ha previsto per la sua piena operatività una fase transitoria, diversamente articolata ai vari aspetti, e la cui lunghezza è stata considerata come il principale limite della riforma, anche in relazione alle prospettive demografiche che per i decenni a venire evidenziano un forte aumento dell'indice di dipendenza degli anziani (tendenza comune alla maggior parte dei Paesi sviluppati) da ascriversi, in parte, ad ulteriori incrementi della speranza di vita, ma, in misura decisamente superiore, al crollo della popolazione attiva conseguente alla contrazione delle nascite verificatesi negli ultimi venti/venticinque anni.
Un primo intervento di accelerazione dei tempi di messa a regime della riforma è stato realizzato con l'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997 n. 449, recante misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, in particolare per quanto riguarda: l'armonizzazione delle forme previdenziali sostitutive ed integrative con la disciplina prevista per l'assicurazione generale obbligatoria (AGO), con riferimento alle aliquote di rendimento, agli aumenti dei periodi di servizio, ai requisiti e alla decorrenza per la corresponsione di prestazioni integrative, all'età pensionabile; l'equiparazione dei dipendenti pubblici e di quelli privati in ordine ai requisiti anagrafici e contributivi previsti per il pensionamento di anzianità, con anticipo dei tempi di andata a regime della riforma Dini, fatte salve le posizioni di alcune categorie di lavoratori dipendenti (pubblici e privati) da individuare con successivi provvedimenti, in riferimento alla gravosità del lavoro svolto ed alla precocità di inizio dell'attività lavorativa; l'aumento progressivo delle aliquote contributive per i lavoratori autonomi.

3. Le raccomandazioni dell'Unione Europea.

Vari organismi internazionali hanno evidenziato la necessità di intervenire sul fronte delle prestazioni previdenziali per contrastare ulteriormente gli effetti dell'invecchiamento demografico. A tal proposito, si ricorda che nel Rapporto del 6 novembre 2000 del Consiglio Ecofin sull'impatto dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi pensionistici pubblici dei Paesi europei, al fine di controllare la crescita della spesa pensionistica in rapporto al PIL e compensare gli effetti sul debito pubblico sono stati raccomandati come principali strumenti:
a) rendere più restrittivi alcuni parametri caratteristici del sistema pensionistico come i requisiti di accesso, il sistema di calcolo e di indicizzazione delle pensioni. In particolare, le riforme dovrebbero avere come scopo principale quello di aumentare l'età media al pensionamento soprattutto negli schemi di ritiro anticipato. Si rileva come in tal modo sarebbe possibile ridimensionare il trend della spesa pensionistica senza ridurre gli standard di vita;
b) adottare misure finalizzate a migliorare i tassi di partecipazione al mercato del lavoro, specialmente tra le donne, nella convinzione che una più alta partecipazione aiuterebbe a ridurre il debito e la necessità di severi tagli alle spese o di più alte aliquote fiscali;
c) sviluppare misure per migliorare la partecipazione dei lavoratori anziani nel mercato del lavoro. Ciò aiuterebbe anche i bilanci pubblici sia sul versante delle entrate che su quello delle spese (minori spese per pensioni e disoccupazione).

In un più ampio contesto, le linee di convergenza per un comune modello di welfare «europeo» - anche sulla scorta delle risultanze emerse dalla già citata riunione congiunta delle Commissioni


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delle politiche sociali ed economiche della U.E. del 23 e 24 ottobre 2002 - risultano individuabili nelle seguenti direttrici:
ristrutturazione dei sistemi pensionistici obbligatori, attraverso l'introduzione di correttivi strutturali volti a contrastare efficacemente le prospettive demografiche di invecchiamento della popolazione (è stato rilevato a tal proposito come nell'ambito dei Paesi dell'Unione Europea solo la Grecia e la Spagna attendono uno scoppio ritardato del fenomeno cosiddetto baby-boom);
adozione di misure finanziarie atte a sviluppare le quote di secondo e terzo «pilastro» della previdenza complementare, alla ricerca di una maggiore efficienza nell'allocazione delle risorse;
riforma dei meccanismi di finanziamento della protezione sociale, al fine di renderla meno onerosa nei confronti del mercato occupazionale, ed in particolare lo sforzo di ridurre le imposte e gli oneri sociali sul lavoro, per non disincentivare l'offerta di nuovi posti.

4. La legge finanziaria 2002, n. 448 del 28 dicembre 2001 e il disegno di legge delega in materia previdenziale, atto Senato n. 2058.

Nel corso dell'indagine conoscitiva, la Commissione ha, come più volte ricordato, tenuto in debito conto i processi riformatori in atto in Parlamento. Dopo la verifica sui risultati della legge n. 335 del 1995, il Governo ha emanato infatti due disegni di legge in materia previdenziale: il primo concernente l'aumento delle pensioni minime ed il secondo relativo ad un più completo disegno di legge delega di riforma del sistema previdenziale.
La prima misura è stata attuata attraverso l'articolo 38 della legge n. 448 del 28 dicembre 2001, legge finanziaria per il 2002, che ha stabilito dal 1o gennaio di quell'anno l'incremento fino a 516,46 euro delle pensioni inferiori a tale importo, attraverso l'aumento delle maggiorazioni sociali dei trattamenti pensionistici. Il riconoscimento della maggiorazione è stato subordinato alla presenza congiunta di due condizioni, l'una legata all'età anagrafica e l'altra connessa ai livelli di reddito. L'aumento ha interessato anche le pensioni a favore degli invalidi civili, ciechi e sordomuti e le pensioni d'inabilità (invalidità al 100 per cento). Si è trattato di una misura per cui è prevista una spesa di circa due milioni di euro annui, da considerarsi «chiaramente assistenziale», così come espressamente dichiarato dal professor Massimo Paci nel corso della sua audizione del 17 aprile 2002. In virtù di ciò non dovrebbe essere considerata nella dinamica futura della spesa pensionistica.
L'altro provvedimento presentato dal Governo è stato il più volte ricordato disegno di legge atto Senato n. 2058, recante delega al Governo in materia previdenziale, misure di sostegno alla previdenza complementare e all'occupazione stabile e riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria. Il progetto di legge all'esame del Parlamento ha inteso in particolare:
a) certificare il conseguimento del diritto alla pensione di anzianità al momento della maturazione dei requisiti per la pensione stessa;
b) introdurre sistemi d'incentivazione di carattere fiscale e contributivo che rendano conveniente, per i lavoratori che maturino i requisiti per la pensione di anzianità, la continuazione dell'attività lavorativa;
c) liberalizzare l'età pensionabile;
d) eliminare progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro;
e) sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari.

Rispetto a quanto prospettato dalla Commissione per la verifica della legge n. 335 nonché da organismi internazionali (si ricorda da ultimo i rilievi espressi da Ecofin nel Documento di approvazione del programma di stabilità italiano per il periodo


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2002-2006 del 21 gennaio 2003), con tale provvedimento il Governo non è intervenuto sulle pensioni di anzianità, ossia sull'età di pensionamento, se non con interventi incentivanti.
Tale volontà è stata confermata nel corso dello svolgimento dell'indagine conoscitiva dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni, il quale nel corso della sua audizione del 6 novembre 2002 ha avuto modo di affermare che l'obiettivo - da perseguire con la riforma - di garantire una prestazione previdenziale adeguata non coincide con il taglio delle pensioni di anzianità. Allo stesso modo non è presente nella proposta di delega l'estensione a tutti i lavoratori del sistema contributivo, ma, per quanto concerne la previdenza obbligatoria, vengono introdotti alcuni correttivi sull'attuale assetto del sistema, principalmente con forme di incentivazione.
Le misure volte a incidere sulla dinamica della spesa pensionistica, si basano su un sistema d'incentivi, di natura contributiva, a continuare l'attività lavorativa dopo il conseguimento del diritto alla pensione, che dovrebbero modificare la propensione al pensionamento e, per tale via, favorire l'innalzamento dell'età anagrafica al collocamento a riposo.
Un terzo settore d'intervento individuabile nella proposta di delega è quello delle entrate contributive e del costo del lavoro. Le norme sono quelle relative all'incremento della contribuzione per i lavoratori coordinati e continuativi, e alla diminuzione sino a 5 punti percentuali di contribuzione per i nuovi assunti nel settore privato (cosiddetta decontribuzione). La diminuzione della contribuzione per i nuovi assunti, come indicato anche nella relazione di accompagnamento al disegno di legge, è volta a ridurre il costo del lavoro, al fine di incentivare nuova occupazione. La disposizione in oggetto è stata infatti inserita nell'ambito delle norme volte a favorire lo sviluppo delle forme di previdenza complementare e dirette al contenimento dei costi per le imprese connessi alla cessione degli accantonamenti annui al TFR nonché ad incentivare e creare nuova occupazione.
Relativamente a tale aspetto - variamente affrontato nel corso dell'indagine conoscitiva come illustrato successivamente -, il dibattito sviluppatosi ha portato all'emersione di rilievi problematici da parte di alcuni commissari. Si è trattato, in particolare, dell'uso dello strumento della decontribuzione per il conseguimento di una maggiore occupazione a fronte di una invariata entità dei trattamenti pensionistici dei lavoratori interessati. Si è rilevato, in particolare, come le mancate entrate corrispondenti alla diminuzione di contribuzione per i nuovi assunti renderebbero necessario - anche in presenza di un positivo effetto sull'occupazione - coprire l'incremento del debito pensionistico attraverso la fiscalità generale o attraverso tagli alla spesa. Tale circostanza, peraltro, potrebbe anche intendersi nel senso di avvalorare talune riflessioni che si sono andate formando nel corso del dibattito avutosi in seno alla Commissione circa una mutazione in atto nel sistema pensionistico con il passaggio da uno schema di finanziamento della previdenza basato sul rapporto di lavoro, ad uno misto nel quale parte della pensione verrebbe finanziata per via fiscale. Ci si è posto in altri termini l'interrogativo se, in prospettiva, possa reggere l'ancoraggio del finanziamento dei sistemi previdenziali esclusivamente al costo del lavoro ovvero se la necessità di un finanziamento per via fiscale possa rendere necessaria una ridefinizione del quadro macroeconomico globale.
Come più volte emerso nel corso dell'indagine conoscitiva il disegno di legge delega del Governo si fa carico anche di un altro aspetto rilevante, concernente la contribuzione complementare. Nella proposta di delega è presente infatti un ulteriore elemento preparatorio di riforma dell'assetto attuale: il rafforzamento della previdenza complementare inteso come condizione per una successiva diminuzione di quella pubblica obbligatoria, per la quale, peraltro, la premessa è già posta


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con la diminuzione della aliquota di finanziamento. Il quadro della proposta di delega è, infatti, completato dalle norme in merito alla previdenza complementare e al trattamento di fine rapporto, con disposizioni che intendono perseguire l'obiettivo di favorire e sostenere lo sviluppo di tali forme pensionistiche, in primo luogo attraverso il conferimento obbligatorio del TFR e, in secondo luogo, attraverso una maggior concorrenza tra le diverse forme pensionistiche complementari. La destinazione del TFR ai fondi pensione non comporta oneri diretti per le imprese. Il conferimento obbligatorio del TFR finanzierebbe la copertura pensionistica offerta dai nuovi fondi, necessaria a compensare una ulteriore riduzione di quella obbligatoria. In questa prospettiva, il mancato effetto della riduzione della contribuzione sulle prestazioni non potrebbe che essere momentaneo e verrebbe meno una volta decollata e consolidata la previdenza complementare. Nello sviluppo della previdenza integrativa e complementare il dibattito avutosi in seno alla Commissione ha evidenziato anche alcune posizioni alternative a quella contenuta nel disegno di legge delega, consistente nella previsione di una destinazione facoltativa e non obbligatoria del TFR, da attuarsi ad esempio attraverso la possibilità riconosciuta al lavoratore di rinunciare espressamente, entro un determinato periodo di tempo, ad una destinazione automatica del proprio TFR in favore dei fondi pensione.

5. Il dibattito sulle riforme nel corso dell'indagine conoscitiva.

Come detto, nel corso dell'indagine conoscitiva le problematiche attinenti al sistema previdenziale ed al suo funzionamento sono state variamente trattate, sia in via generale sia focalizzando l'attenzione su alcuni aspetti risultati di particolare interesse per la Commissione, anche in virtù degli input forniti dal contenuto del disegno di legge atto Senato n. 2058, il cui esame in Parlamento ha avuto un percorso temporale pressoché parallelo allo svolgimento dell'indagine conoscitiva.

5.1 Alcuni aspetti emersi nel corso delle audizioni.
Il professor Massimo Paci, audito dalla Commissione nella veste di Presidente dell'INPS nella seduta del 17 aprile 2002, ha rilevato come il vero elemento problematico strutturale dei sistemi pensionistici attuali sia quello della scarsa sostenibilità finanziaria, indotta per un verso dal noto processo di invecchiamento della popolazione, per l'altro da una certa restrizione della base contributiva - a causa della crescente flessibilità del mondo del lavoro - rispetto al passato. Non vi sarebbe, quindi, soltanto un problema di migliore distinzione, anche contabile, di ciò che è assistenziale - e quindi attiene ad un finanziamento che deriva direttamente dallo Stato ed è di origine fiscale - da ciò che è previdenziale. Vi è altresì anche un problema di fondo di carattere strutturale rispetto al quale deve esserci da parte dei Governi una presa d'atto sulla necessità di un finanziamento del sistema pensionistico di origine fiscale «chiaro, manifesto e razionale», da attuarsi attraverso la trasformazione di tali principi generali in legislazione concreta (ricordandosi a tal proposito che la maggiorazione delle pensioni minime è stata attuata ricorrendo a un finanziamento di origine fiscale).
Anche una piena entrata a regime del nuovo sistema previdenziale, attuato con la legge n. 335 del 1995, avrebbe posto un problema di finanziamento della previdenza. Con il sistema contributivo - pur considerandolo una grande conquista per il sistema previdenziale italiano - si apre il problema di quanti non riescano ad avere una carriera contributiva adeguata per ottenere un trattamento pensionistico sufficiente, né abbiano i mezzi per permettersi una forma di previdenza complementare.
Analogamente, si pone un problema anche per quanti, come i parasubordinati, abbiano un'aliquota contributiva così bassa che, a regime, comporterà un trattamento


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pensionistico modesto. Per tale categoria - la cui importanza è evidenziata dal fatto che comprende, secondo i dati forniti dal Commissario straordinario dell'INPS avvocato Gian Paolo Sassi, un numero di circa 2milioni e 300mila lavoratori con un boom registrato tra il 1996 e il 1997 quando aumentarono del 31 per cento - l'incremento dell'aliquota contributiva (con un passaggio dall'attuale 10 per cento al 20 per cento previsto per il 2012) oltre a venire incontro ad esigenze di omogeneità, risponde ad una oggettiva necessità di assicurare una adeguata copertura previdenziale, non assicurata dall'attuale aliquota. Si ritiene peraltro opportuno (accogliendo in tal senso anche le raccomandazioni formulate dal rappresentante del CNEL, dottor Raffaele Minelli) porre l'attenzione su una verifica costante circa la sufficiente adeguatezza di un tale aumento, considerando anche la maggiore discontinuità di prestazione che caratterizza tali figure professionali nonché la mancanza di forme di contribuzione figurativa. Un altro dato che si ritiene di mettere in evidenza riguarda il fatto che circa il 90 per cento di tali lavoratori risulta avere un solo committente; ciò potrebbe far ritenere - secondo l'opinione espressa dal Commissario dell'INPS - che in un certo numero di casi le collaborazioni coordinate e continuative nascondono un lavoro non regolarizzato. Anche in relazione a tale eventualità si ritiene auspicabile una maggiore omogeneità di trattamento di aliquote contributive, potendosi per tale via qualificare le prestazioni di tali figure professionali, per esigenze produttive e non per calcoli di pura convenienza economica.
Si tratta, quindi di contemperare la piena affermazione della legge n. 335 del 1995 - ovvero del principio contributivo - con le esigenze di quanti non riescano a stare sul mercato e ad ottenere una carriera contributiva adeguata e per i quali si rende necessario l'intervento dello Stato. L'estensione pro-quota del sistema contributivo a tutti potrebbe rappresentare in tal senso un incentivo per convincere i soggetti a prolungare la loro attività lavorativa, attraverso un aumento dei contributi versati e quindi del futuro trattamento pensionistico.

5.2 Il tema della riduzione degli oneri sociali.
Particolare attenzione è stata rivolta dalla Commissione, nell'ambito delle misure previste nel disegno di legge atto Senato n. 2058 di delega al Governo in materia previdenziale, al tema della riduzione degli oneri sociali - prevista per i lavoratori del settore privato -, indicata sino a 5 punti percentuali dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro in relazione alle nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato (decontribuzione). Il problema delle mancate entrate e della mancata corrispondenza tra contributi e prestazioni è stata peraltro risolta da una «clausola di salvaguardia» (così come definita dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, onorevole Roberto Maroni, nel corso dell'audizione del 6 novembre 2002), sotto forma di un emendamento che attribuisce alla finanziaria l'onere di trovare annualmente la copertura.
È stato rilevato (vedi il «Rapporto sullo stato sociale dell'INPDAP per il 2002», citato nel corso delle audizioni del professore Orrù e del professore Franzini del 5 febbraio 2003) come per tale via si introdurrebbe un cambiamento profondo nel sistema pensionistico, sostituendo di fatto uno schema di finanziamento basato sul rapporto di lavoro con uno misto, nel quale parte della pensione verrebbe finanziata per via fiscale. L'insieme dei provvedimenti governativi, compreso quello relativo alle pensioni minime può, dunque, far pensare, in prospettiva, a un sistema pensionistico sensibilmente diverso da quello attuale.
Nel rilevare, nel corso dell'audizione del presidente dell'INPDAP, dottore Rocco Familiari, del 5 giugno 2002, come a fronte di un simile quadro il mantenimento dell'aliquota del 32,25 per cento dei lavoratori del pubblico impiego, con la conseguente presenza di due aliquote


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di finanziamento differenziate per il settore pubblico e privato, non comporterebbe differenza nel calcolo della pensione, è stata peraltro espressa la preoccupazione che ove la misura venisse estesa alle pubbliche amministrazioni ciò avrebbe l'effetto di peggiorare l'equilibrio finanziario delle gestioni INPDAP, venendo a mancare, peraltro, la misura riequilibratrice derivante dall'aumento dei contributi per i lavoratori coordinati e continuativi.
A tal riguardo, l'opinione espressa dal professore Paci sul tema della decontribuzione, nel corso della sua audizione del 17 aprile 2002, è stata quella di ritenerne possibile una applicazione limitata ai lavoratori «forti», vale a dire quelli con carriere contributive stabili ed aliquote contributive alte, tali da potere scontare una riduzione parziale del trattamento pensionistico pubblico purché, utilizzando il TFR in maniera appropriata o per altre vie, essi possano acquistare con il sistema di previdenza complementare ciò che perdono dal punto di vista della pensione pubblica.
L'opinione espressa dal dottor Fabio Trizzino, in qualità di direttore generale dell'INPS (seduta del 15 maggio 2002) è stata quindi nel senso di ritenere che l'aliquota attualmente vigente per il fondo pensione lavoratori dipendenti difficilmente potrebbe contribuire al decollo effettivo della previdenza complementare (il cosiddetto secondo pilastro), in quanto assorbirebbe da sola tutte le possibilità di destinazione a risparmio della retribuzione percepita. Il tema della decontribuzione, sotto un profilo più generale, è stato visto anche in una prospettiva di armonizzazione del sistema previdenziale e della possibilità dell'introduzione di una aliquota unica media di contribuzione sia per i lavoratori dipendenti che per gli autonomi, attraverso un meccanismo di diminuzione di quella attualmente a carico dei primi (che risulta essere di circa il 33 per cento) e di aumento per quella a carico dei secondi (circa il 19 per cento).
La posizione espressa dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni, nella seduta del 6 novembre 2002, è stata ancora una volta di considerare la misura della decontribuzione per i neo assunti come lo strumento per diminuire la pressione contributiva, ritenuta eccessiva, non danneggiando i conti dell'INPS, nell'immediato, e la prestazione previdenziale, nel futuro. La prima salvaguardia è data dall'aumento dell'occupazione: se l'aumento dell'occupazione determinato dalla riduzione contributiva fosse poco significativo, questo rappresenterebbe un danno finanziario per l'ente. Se la riduzione contributiva interessasse una grande parte dei lavoratori, allora l'aumento dell'occupazione e quindi la possibilità per l'INPS di percepire contributi che non avrebbe diversamente conseguito, determinerà un saldo positivo nei suoi conti. La seconda questione sarebbe quella di garantire ai lavoratori una prestazione previdenziale adeguata non tanto con riferimento ai versamenti effettuati, quanto ad un trattamento dignitoso: tale possibilità - secondo le affermazioni del Ministro - deriva dal complesso della riforma che prevede, nella seconda parte, la nascita della previdenza complementare e di quella individuale, secondo e terzo pilastro della riforma previdenziale.

V - Conclusioni.

Le prospettive del sistema previdenziale italiano vanno approfondite all'interno del più complessivo orizzonte che il nostro Paese è impegnato a costruire sul fronte del welfare negli anni a venire.
Una prima, fondamentale questione che andrà affrontata (e risolta) attiene all'equilibrio finanziario dei sistemi di previdenza futuri, siano essi pubblici, privati o misti: il giudizio sulla bontà delle soluzioni da trovare, infatti, soggiace preliminarmente alla valutazione, nel medio-lungo periodo, circa la tenuta dei conti in regime di autosufficienza dei bilanci degli enti.


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Sulla base di questo presupposto, appare necessario, preliminarmente, predisporre un quadro sinottico-ricognitivo relativamente ai dati di struttura complessivi che presiedono alla dinamica tendenziale dei conti previdenziali del nostro Paese. In coerenza con tale esigenza, poi, sembra opportuno sviluppare i dati emersi nel corso dell'indagine con un'ulteriore attività di indagine conoscitiva sull'equilibrio futuro delle Gestioni previdenziali, ad esempio, con un piano significativo di auditing almeno a 20 anni.
Si ritiene opportuno di seguito evidenziare in particolare alcuni aspetti, emersi nel corso dell'indagine.

1. Sistema pubblico

L'articolo 38 della Costituzione sancisce il diritto per ogni cittadino ad una tutela pensionistica e a forme di assistenza dignitosa.
Pur con gli interventi legislativi dell'ultimo decennio ed in particolare con le innovazioni introdotte dalla legge n. 335 dell'8 agosto 1995, recante riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, è da ritenersi, a tutt'oggi - nel contesto europeo che ci suggerisce, con le sue raccomandazioni, percorsi «virtuosi» ancora da esplorare - che manchi tuttavia una visione strategica che provveda ad una definizione e, di conseguenza, ad una sistemazione organica della previdenza sia dal punto di vista assistenziale che pensionistico in senso stretto, del nostro Paese.
È necessario partire da alcune considerazioni di fondo per una definizione puntuale dei campi di intervento da sottoporre all'attenzione del legislatore:
l'allungamento della vita media dei cittadini;
il migliore tenore di vita diffuso, pur con le sperequazioni territoriali ben note e, conseguentemente, con l'esigenza di ipotizzare strategie differenziate, anche territorialmente costruite, nel rispetto di una politica unitaria globale di tutela ma, insieme, anche con la capacità di articolazioni territoriali con interventi legislativi centrali e rinvii ad adattamenti sul territorio (i famosi bacini demografico-sociali, con gli interventi adeguati, anche grazie alle politiche, oggi possibili, di autonomi interventi delle legislazioni regionali);
la radicale modifica del mercato del lavoro che, insieme, permette di raccogliere, con la conseguente esigenza di analisi, la problematica dei lavoratori «atipici» da un lato e, dall'altro, tutta l'articolazione dei cosiddetti «lavori nuovi» che spostano, o meglio, annullano il confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato;
l'allungamento del periodo scolastico e, comunque, degli studi atti a creare forza lavoro potenziale (autonoma o subordinata), con la nota discrasia tra capitali investiti nella formazione scolastica e post-scolastica e sfruttamento degli stessi capitali in un mondo del lavoro che chiede ulteriori somme per un adattamento della forza lavoro alle esigenze del mercato produttivo;
in relazione a quanto innanzi, l'esigenza di un intreccio molto più rigoroso tra riforme della scuola e dell'Università e valore dei titoli di studio;
la difficoltà di realizzare concretamente la cosiddetta «totalizzazione», con l'esigenza, conseguentemente di riflettere e dare realtà a cumuli figurativi (nella creazione del monte contributivo) che diano reale significato al sistema contributivo, riducendo sempre più il sistema attuale, oggi squilibrato ancora verso il metodo retributivo;
ancora, una doverosa analisi di una profonda modificazione del sistema demografico e degli assetti conseguenti, sul piano economico, sociale, giuridico e politico così come scaturente ed inarrestabile, anche se comunque controllabile e doverosamente gestibile, dal flusso migratorio che permette di riequilibrare una tendenziale crescita zero della popolazione interna che, altrimenti, porterebbe ad un indebolimento, nel lungo periodo, anche della stessa società nella sua globalità.


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Con tutte le premesse di cui sopra, è possibile ricavare le seguenti tendenze che, in sintonia con le raccomandazioni dell'Unione Europea, possono trasformarsi in adeguati interventi legislativi, in sede centrale e, quando possibile, decentrata:
una razionalizzazione del funzionamento degli istituti previdenziali ed assistenziali con la previsione, sin da ora, almeno di una sola centrale politica, strategica ed operativa, sul piano logistico, informatico, documentale e di gestione del contenzioso legale;
l'eliminazione di alcune sacche di passività, come nel caso della previdenza o dell'assistenza del settore agricolo, con sprechi e risultati discutibili sul piano dell'equità sociale: si pensi all'esigenza di rivedere, funditus, il sistema per gli infortuni e, soprattutto, la politica assistenziale e di sostegno in caso di disoccupazione;
l'ulteriore approfondimento meritano in campo agricolo i cosiddetti contributi agricoli unificati dovuti dai datori delle aziende agricole, per i quali sono state rilevate due differenti aree di criticità: una inerente alla normativa in vigore, ritenuta farraginosa, inefficace e vessatoria nel quantum; l'altra, all'annoso problema della cartolarizzazione dei debiti pregressi da parte dell'INPS a società private che pongono seri problemi di sopravvivenza alle aziende coinvolte;
il controllo ed, insieme, il supporto alla ulteriore riduzione degli oneri sociali, con una parallela politica fiscale che, nella previsione globale delle varie leggi finanziarie annuali, permetta, globalmente, all'intera società di garantire insieme una fiscalità proporzionata al livello reddituale ed una tutela equa, pur se differenziata, dei cittadini sul piano previdenziale, assistenziale e pensionistico;
una attenta politica di sviluppo della previdenza complementare, con il controllo, soprattutto, della trasformazione del TFR da sacca (parassitaria) di indiretto finanziamento di capitali per le imprese, in una più utile, elastica e rapida politica di utilizzazione di capitali sul mercato che, alla lunga, rende agli stessi imprenditori ben più della rendita parassitaria o degli investimenti incontrollati dei TFR accantonati;
un controllo e, conseguentemente, un supporto ed un orientamento dell'incremento della popolazione attiva cosi come scaturente dall'incentivazione al lavoro di fasce emarginate, dai giovani, in particolare nel Mezzogiorno, alle donne, utilizzando gli strumenti offerti dalla recente normativa sui modelli contrattuali per i nuovi lavori che meglio di quelli atipici, se ben gestiti, possono permettere maggiori gettiti, insieme meglio controllati, per il sistema previdenziale, orientandoli e gestendoli con maggior economicità;
la possibilità di incremento della popolazione attiva, non solo attraverso un controllato sviluppo ed orientamento dei flussi di immigrazione, ma, ancor prima e soprattutto, attraverso il miglior utilizzo degli anziani, già destinatari di redditi da pensione, o comunque già fruenti di forme assistenziali, che, in mancanza appunto di utilizzo, risultano oggi, in quanto fruitori di pensione e/o di assistenza, solo soggetti passivi destinatari di mere erogazioni di denaro, senza alcun ritorno economico sul mercato dei capitali, dei consumi e, più in generale del triplice scambio «virtuoso» reddito - produzione - consumi;
infine una attenta politica di controllo ed equilibrio tra somme circolanti attraverso gli istituti previdenziali (uno, con differenziazioni interne, due, o tre che siano, secondo le ipotesi delle pagine precedenti), attraverso l'intreccio con sistemi assicurativi, privati e pubblici, ma comunque finalizzati e, ancor più, con il sistema bancario che, attraverso una politica sociale legislativamente impostata di Bank-Assurance, permetta una rapida circolazione della moneta, così da finanziare dall'interno l'intero sistema previdenziale ed assistenziale, e soprattutto, pensionistico, così da rendere lo stesso parte attiva nella politica, anche finanziaria, integrata nello sviluppo e crescita del PIL.


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Per concludere, un'ultima considerazione va fatta sul falso problema della validità o meno di una politica che voglia orientare previdenza, assistenza ed universo pensionistico verso un sistema più marcatamente pubblicistico o, viceversa, sulla necessità di un passaggio a regimi e sistemi privatistici nei sistemi predetti.
Si tratta, in sostanza di saper ponderare e, conseguentemente, equilibrare istanze pubblicistiche di socialità ed equità ed esigenze privatistiche di efficienza, economicità ed equilibrio economico di istituti giuridici, e conseguenti strutture sociali, di rilievo generale per il Paese.
Riportata la problematica in questi corretti confini, si può, anzi, si deve investire sulla scommessa di un sistema che voglia essere insieme economicamente valido e produttivo, garantendo equità sociale in una democrazia realmente rappresentativa e così sposando pubblico e privato, attraverso la formula del «privato sociale».
In conclusione, appare opportuno che il Parlamento preveda la possibile gestione e il controllo, da parte degli enti previdenziali pubblici, della quota di previdenza complementare per i lavoratori dipendenti da Amministrazioni pubbliche, allo stato non prevista tra le funzioni di pertinenza di tali istituzioni. Nella prospettiva di un sempre maggiore trasferimento sul territorio di funzioni istituzionali in precedenza gestite dallo Stato (anche, ma non solo, con riferimento alla cosiddetta «devolution»), sembra poi opportuno iniziare a delineare lo scenario di una peculiare specializzazione delle funzioni degli enti nonché dei ruoli e delle prestazioni che dovranno essere assegnati alle realtà territoriali, prevedendo un opportuno raccordo tra le funzioni centrali e le competenze regionali anche in campo previdenziale (ad esempio, con riferimento ai compiti, anche di ordine sanitario, oggi svolti da istituti come l'INAIL).
Con particolare riferimento all'INAIL, infine, appare opportuno prevedere l'esigenza di un'ipotesi di riforma organica dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in vista di un rilancio dell'ente e della sua autonomia, verso una più pregnante presenza dello stesso in campo della sicurezza del lavoro.

2. Semplificazione del sistema previdenziale e promozione delle sinergie tra gli enti.

Va auspicata una intensificazione nell'uso e nella promozione delle sinergie tra i diversi enti, sfruttando, in tal senso, anche le potenzialità offerte dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Legge finanziaria per il 2001). L'articolo 77 della medesima legge prevede espressamente che, al fine di ottimizzare i costi organizzativi e gestionali, nonché di migliorare la qualità del servizio, gli istituti gestori di forme obbligatorie di assicurazione sociale promuovano tra loro sinergie sia a livello centrale che periferico. In particolare, si richiede che gli enti realizzino forme di integrazione dei processi di acquisizione delle risorse professionali nonché dei beni e servizi occorrenti per l'esercizio dell'assicurazione. A tal fine, si prevede che gli enti stipulino convenzioni per esperire procedure comuni di selezione di personale delle varie qualifiche; per utilizzare graduatorie di candidati ritenuti idonei in prove di selezione effettuate da uno degli enti; per concertare l'acquisto di beni, nonché prevedere, per procedure di gara di uno degli enti, la possibilità di integrare, entro i limiti previsti dalle vigenti normative, la fornitura in favore di altro ente.
È necessario, infine, affrontare in maniera organica e strutturata il tema della cooperazione che rappresenta un aspetto molto importante sotto il duplice profilo della razionalizzazione dei costi nonché del miglioramento del servizio reso al cittadino; sia a livello normativo che di attuazione delle direttive del legislatore da parte degli enti destinatari delle stesse. Risulta evidente come, sotto questo profilo, si renda necessario aiutare l'attività degli enti vigilati sia promuovendo un intervento organico del legislatore sia istituendo un tavolo attorno al quale si riuniscano i responsabili dei diversi enti al


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fine di condividere un percorso graduale di realizzazione del servizio integrato.

3. Accelerazione nella «messa a regime» del sistema previdenziale complementare

È risultato evidente nel corso delle audizioni come la piena entrata a regime del sistema contributivo pur presentando maggiori criteri di equità rispetto al sistema retributivo nella erogazione delle prestazioni pensionistiche, determini una conseguente diminuzione delle stesse.
Per fare fronte a ciò è quindi necessario sostenere in maniera più marcata l'avvio e lo sviluppo del secondo pilastro previdenziale, costituito dalle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993 n. 124 e successive integrazioni. Il dibattito parlamentare attualmente in corso - correlato all'iter del disegno di legge atto Senato n. 2058 - sulla destinazione del TFR (trattamento di fine rapporto) al finanziamento della previdenza complementare, ha avuto modo di emergere anche nel corso dell'indagine conoscitiva, lasciando intravedere un'ipotesi (che si ritiene utile ribadire in tale sede) circa la possibilità - e non l'obbligo - che il TFR venga utilizzato per il finanziamento della previdenza complementare, attraverso la previsione di una destinazione automatica di questo ai fondi pensione laddove il lavoratore non esprimesse una sua esplicita rinuncia.
Gli elementi acquisiti portano a valutare positivamente - auspicandone l'estensione anche alle Casse private così come d'altra parte da loro espressamente richiesto - l'esperienza dell'INPDAP attraverso la gestione del cosiddetto «Fondo complementare virtuale» e la relativa attivazione di una specifica struttura attraverso la creazione di una direzione centrale per la previdenza complementare diretta da uno dei vice direttori generali, nonché quella svolta dall'INPS attraverso la costituzione di una apposita società mista con l'IPOST.
Va segnalato inoltre che l'esigenza di un effettivo decollo della previdenza complementare va visto anche in relazione all'entità del fenomeno dei lavoratori «parasubordinati» e dei «collaboratori coordinati e continuativi», categorie per le quali - oltre ad avere rilevato che le attuali basse aliquote contributive non consentiranno un trattamento previdenziale futuro adeguato - si pone un ulteriore problema di finanziamento dei fondi integrativi per la mancata previsione di un trattamento di fine rapporto. Per tale categorie di figure professionali si ritiene in particolare necessaria una accelerazione nell'incremento dell'aliquota contributiva, nonché un approfondimento dell'ipotesi di possibilità di iscrizione immediata alla propria cassa professionale di riferimento, ove esistente, con relativo versamento contributivo anche nel caso di una attività lavorativa atipica.

4. Casse privatizzate.

Un sistema pensionistico professionale deve garantire il rispetto di tre requisiti:
equità, solidarietà ed equilibrio.
Con il primo viene definito il corretto rapporto sinallagmatico tra contributi e prestazioni e, quindi, il rapporto di scambio fra ciò che il professionista paga al sistema e ciò che ne riceve sotto forma di rendita pensionistica per sé e per i suoi aventi causa.
Il secondo presupposto attiene alla tutela delle posizioni più deboli che comunque deve trovare un riscontro nell'ambito della categoria. Il terzo presupposto esige la ricerca di aliquote di equilibrio che, rendendo più equo e corrispettivo il rapporto contributi prestazioni, saldi il patto intergenerazionale stabilizzando le riserve nel medio-lungo periodo.
L'indispensabile autosufficienza delle risorse, con le quali si deve sopperire ai bisogni di natura previdenziale ed assistenziale delle generazioni presenti e future, comporta la necessità che si guardi alla preservazione dell'equilibrio tecnico-attuariale del sistema, non già in una limitata prospettiva temporale, ma traguardando certamente i 15 anni, assunti


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normalmente nelle proiezioni dei bilanci tecnico-attuariali, per investire l'intero arco di vita non solo degli attuali pensionati, ma anche di tutti gli attuali iscritti.
La struttura dell'attuale sistema previdenziale privato presenterebbe due aree di criticità, pur nel rispetto delle specificità proprie di ciascuna cassa, sia sotto il profilo economico-finanziario, sia sotto il profilo demografico-attuariale, sulle quali occorre avviare una attenta riflessione.
Mentre la prima è riferibile ai metodi di calcolo della media reddituale per il calcolo della pensione ed ai coefficienti per determinare la pensione, la seconda è riferibile ad una serie di fattori:
alla durata della vita media che cresce;
alla femminilizzazione di molte professioni, che produce un deficit implicito di sistema, proprio perché cresce il numero delle donne, che hanno una vita media maggiore degli uomini;
alla minore natalità generale degli italiani;
ai nuovi percorsi universitari per la preparazione e la scelta della professione per alcune aree professionali (per esempio: Ingegneri, Architetti, Geometri; Ragionieri, Consulenti del lavoro, Dottori Commercialisti);
ai rischi di provvedimenti legislativi regionali, consentiti dal nuovo articolo 117 della Costituzione.

Poiché l'evoluzione dei fattori demoeconomici è sostanzialmente esogena rispetto al sistema pensionistico, l'obiettivo dell'equilibrio finanziario dev'essere affidato alla variazione, in senso compensativo, dei parametri contemplati nel quadro normativo.
Pertanto una volta definito l'assetto distributivo della sfera pensionistica, anche in presenza di interventi correttivi è possibile onorare gli impegni senza continue revisioni delle regole del gioco.
In una seconda fase si aggiungono le regole che disciplinano i trasferimenti di riserve all'interno del sistema privato, necessarie a garantire il livello di solidarietà desiderato e la formazione di riserve adeguate.
Pertanto il processo evolutivo auspicabile dovrebbe procedere secondo queste fasi:
1) revisione delle aliquote contributive dirette;
2) incrementi contributivi indiretti (rivalsa dal 2 per cento al 4 per cento così come attualmente previsti per i CO.CO.CO.);
3) esenzione imposte dirette;
4) esenzione imposte indirette;
5) revisione dei coefficienti di rendimento pensionistici;
6) eventuale adozione di un sistema «contributivo».

L'attuazione dei superiori punti dev'essere preliminarmente finalizzata alla formazione di riserve adeguate, per garantire i diritti acquisiti a fornirne la transizione dall'attuale sistema a ripartizione reddituale ad un sistema «misto» che contenga anche elementi di parziale capitalizzazione.
L'assetto finale potrebbe configurare la previsione di una pensione variabile, sia pure salvaguardando livelli minimi di solidarietà, finanziata con versamenti in percentuali variabili, incrementabili volontariamente da parte dell'iscritto, interamente deducibili dal reddito imponibile.
Ciò determinerebbe:
un'autonoma valutazione del proprio fabbisogno pensionistico possibile in quanto, comunque, sussiste la garanzia di una pensione minima;
stringente e più trasparente il rapporto fra contribuzione e benefici, onde


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disincentivare l'evasione, i cui effetti penalizzanti sul trattamento previdenziale dovrebbero essere immediatamente percepiti.

L'esenzione delle imposte indirette è fondamentale per lo sviluppo degli investimenti immobiliari in forma dinamica e secondo esigenze anticicliche.
Infatti gli immobili, che in alcune Casse costituiscono l'entità maggiore degli investimenti, vengono acquistati gravati da I.V.A. indeducibile, stante il regime fiscale attuale. Pertanto vengono iscritti nei bilanci per un valore maggiore del prezzo ma, in caso di vendita, non possono recuperare il valore dell'I.V.A.. Si determina così un effetto distorsivo sia sulla convenienza all'investimento che sui corretti criteri di valutazione ai fini della redazione dei bilanci e, quindi, sul calcolo delle poste che, idealmente, formano le riserve. Inoltre viene penalizzato l'eventuale conferimento degli immobili in un fondo immobiliare o la loro cartolarizzazione, per «mobilizzarli» a fronte di una esigenza di liquidità che in talune Casse si pone, posto che a suo tempo privilegiarono gli investimenti immobiliari a discapito di quelli mobiliari, più facilmente liquidizzabili.
Il quadro potrebbe essere completato dai seguenti punti:
una forma previdenziale complementare, ovviamente in regime di capitalizzazione, con l'attivazione dei conti individuali, da far direttamente gestire dalle Casse;
consentire alle Casse di fornire agli associati una serie di garanzie assistenziali in campo sanitario, da finanziare con apposita contribuzione;
favorire la formazione di un Fondo di garanzia intercasse; una forma di tutela di tutti gli iscritti di tutte le Casse, mutuando le esperienze dei fondi di garanzia già esistenti per le banche e le assicurazioni.

Un'ultima annotazione riguarda il problema della totalizzazione.
Il problema, centrale e prioritario, di assicurare una sostenibilità di lungo periodo a tutte le Casse di previdenza professionali, che non ricevono alcun contributo da parte dello Stato, implica, peraltro, la soluzione di alcune importanti questioni, che oggi creano notevoli preoccupazioni, ben evidenziate nelle audizioni dei Presidenti.
In particolare la Commissione sottolinea la necessità di trovare una equa e sostenibile soluzione del problema della «totalizzazione dei periodi assicurativi» che, da un lato, ampli nei limiti del possibile, la platea dei soggetti interessati, comprendendovi anche soggetti oggi esclusi a norma dell'articolo 71 della legge n. 388 del 2000 (es. Psicologi, Biologi e Periti industriali), mentre dall'altro individui meccanismi per ridurre gli oneri per gli Enti, con particolare riferimento al sistema di calcolo delle prestazioni.
Una eccessiva generosità nel sistema di calcolo delle prestazioni derivanti da totalizzazione, infatti, non si concilia con la salvaguardia degli equilibri finanziari degli Enti pubblici e privati che dovranno attuare l'istituto.
Una soluzione equilibrata potrebbe essere costituita dal ricondurre, almeno nella gran parte dei casi, il calcolo delle prestazioni ad un sistema contributivo, accompagnato dalla previsione di un potere regolamentare che permetta alle singole Casse ulteriori adattamenti alla realtà specifica della propria categoria.
La Commissione esprime l'auspicio che anche la delega previdenziale, in discussione al Senato, possa essere adeguata a tale soluzione.
Sempre ad esigenze di salvaguardia di equilibri finanziari ma anche a necessità di razionalizzazione del sistema previdenziale risponde la soluzione dell'altro grave problema relativo al regime previdenziale dei proventi derivanti da attività di collaborazione coordinata e continuativa svolta da professionisti già iscritti ad una Cassa di categoria.


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Princìpi di logica previdenziale e di coerenza fra i vari ordinamenti fanno ritenere la necessità di un chiarimento legislativo definitivo che garantisca unicità alla posizione previdenziale del professionista riconducendone tutti i contributi versati presso la Cassa di previdenza di categoria.
L'ultimo profilo che merita una riflessione, sul piano della sostenibilità degli Enti di previdenza dei professionisti, è quello di porre un freno, mediante idonei correttivi legislativi, al fenomeno della corresponsione di indennità di maternità sproporzionate e fuori da ogni logica di tutela sociale.

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