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Seduta del 3/7/2002


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Audizione del presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL, Paolo Lucchesi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale da parte degli enti preposti e sulle prospettive di riforma nazionale e comunitaria della disciplina relativa, l'audizione del presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL, dottor Paolo Lucchesi, che ringrazio per la sua presenza.
Il dottor Lucchesi affronterà le tematiche relative all'attività del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL. È probabile che la situazione particolare in cui svolgiamo la nostra audizione porterà ad affrontare tematiche di carattere meno generale riguardanti i fatti appena avvenuti. Possiamo dire che, da ieri sera, il dottor Lucchesi è rimasto l'unico rappresentante dell'ente, dopo le dimissioni presentate al Governo da parte del presidente e del consiglio d'amministrazione.

PAOLO LUCCHESI, Presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito. Vorrei prescindere dai fatti che stanno rischiando di bloccare l'attività dell'ente da circa 35 giorni, dal 28 maggio, e che ieri hanno condotto all'arresto del direttore generale ed alle conseguenti dimissioni degli organi di gestione, il consiglio d'amministrazione ed il presidente. Potrò, comunque, rispondere a domande anche su ciò in base alle notizie a me note.
Vorrei, invece, sviluppare una riflessione su tre ordini di questioni: il riordino del sistema previdenziale; la tutela infortunistica e della malattia professionale; il funzionamento dell'INAIL, soffermandomi in modo particolare sulle criticità strutturali e la questione del rapporto tra l'ente e le problematiche poste dalla modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione riguardante il federalismo.
Per quanto riguarda il riordino del sistema previdenziale, sin dal 1996, in un convegno al CNEL, i tre consigli di indirizzo e vigilanza manifestarono la necessità di rivedere l'assetto istituzionale degli enti, così come determinato dal decreto legislativo n. 479 del 1994. Ci si rendeva conto che la riforma, con l'attuazione del principio duale della separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione, era avvenuta con una soluzione che presentava criticità di fondo, che potevano essere aggravate dai comportamenti soggettivi di coloro che rivestivano funzioni in organi monocratici o collegiali.
La critica avanzata riguardava l'incerta e contraddittoria caratterizzazione dei poteri tra i vari organi; l'anomala previsione di una pluralità di organi di gestione - ben tre, due monocratici ed uno collegiale; la stessa anomalia della figura del presidente,


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che (malgrado il sistema fosse basato sulla separazione) riunificava in se stesso le due funzioni; la compressione inevitabile del ruolo della dirigenza, dovuta all'esistenza di troppi organi di gestione; i limiti appartenenti al sistema dei controlli, interni ed esterni.
Era evidente già allora la necessità di una revisione della normativa, giudizio rafforzatosi con il passare del tempo, alla luce dell'esperienza personalmente maturata in due dei quattro istituti previdenziali normati dal decreto legislativo n. 479 (sono stato per quattro anni presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INPS, prima di divenire presidente dello stesso organo all'interno dell'INAIL). Successivamente i tre consigli di indirizzo e vigilanza furono d'accordo - e penso che abbiano fornito anche un valido contributo - con il lavoro della precedente Commissione bicamerale di controllo, che influenzò gli orientamenti del legislatore per quanto riguarda la revisione degli assetti istituzionali e degli ordinamenti interni, con il «famoso» articolo 57 della legge n. 144 del 1999.
Riassumo brevemente le direttrici della razionalizzazione del comparto degli enti previdenziali, che - a mio parere - sono da riproporre.
In primo luogo, vorrei richiamare la necessità di una specializzazione degli enti e, quindi, della loro tendenziale riduzione, con la conferma della costituzione di due poli, uno pensionistico (formato dall'INPS, per quanto riguarda il sistema privato, e dall'INPDAP, per quanto riguarda quello pubblico) e l'altro, con un solo ente, relativo all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, cioè l'INAIL. Con tale scelta sarebbe inevitabile una linea tendenziale di superamento degli altri enti con funzioni analoghe (sottolineo il termine tendenziale per chiarire che nessuno desidera che ciò avvenga in termini estremamente rapidi).
Comunque, la revisione dell'attuale modello ordinamentale comporta inevitabilmente una scelta a monte tra il mantenimento del modello duale o il suo abbandono. Nel primo caso, l'intervento dovrebbe definire il ruolo ed i compiti degli organi con molta precisione e maggiore nettezza di quanto non sia previsto attualmente, con la loro riduzione a due (uno di indirizzo e vigilanza e l'altro di gestione), rendendo quindi più coerente l'applicazione del sistema della separazione delle funzioni del cosiddetto modello duale. Ne consegue la distinzione tra rappresentanza politica e legale-gestionale, affidata rispettivamente ai due organi, con il superamento dell'ambiguità dell'attuale figura del presidente. È auspicabile una riduzione abbastanza consistente del numero dei componenti degli organi (fra l'altro il consiglio di indirizzo e vigilanza da me presieduto è composto da 25 persone e 15 organizzazioni sociali, divenendo nei fatti più un'assemblea continua che un organo amministrativo). Sono irrinunciabili: la razionalizzazione dei controlli e dei relativi livelli in applicazione del decreto legislativo n. 286 del 1999 e una reale autonomia finanziaria, amministrativa, gestionale con attribuzione di potestà regolamentari.
Credo che si dovrebbe avere il coraggio di stabilire regole amministrative e contabili di natura civilistica, rendendo più chiari sia i bilanci degli istituti sia i risultati della gestione (anche in termini amministrativi economici) e fare in modo che si risponda di essa secondo le funzioni ricoperte. Devo dire che, soprattutto in questo periodo, alcuni guardano alla possibilità di un nuovo modello ordinamentale che superi il modello duale. Questo passaggio sostanziale comporterebbe l'inevitabile ritorno nella gestione delle parti sociali; infatti o si escludono del tutto le parti sociali dagli enti oppure questa è la conseguenza, che determina il superamento del principio della separazione delle funzioni.
Al di là di ciò che si può pensare di questa ipotesi, credo che essa comporti una revisione delle norme primarie; infatti, bene o male, il decreto legislativo n. 479 del 1994, anche se ha normato non adeguatamente, lo ha comunque fatto seguendo quel principio della separazione che ispira tutta la realtà pubblica e che non riguarda solo i quattro enti previdenziali.


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D'altra parte si tratta di un principio di separazione delle funzioni che trova ispirazione anche a livello europeo e non è limitato al caso italiano; al contrario, nel nostro paese è stato applicato guardando l'esperienza di altre nazioni.
Un particolare che mi colpisce molto perché nessuno ne parla mai - neanche i diretti interessati - riguarda la presenza delle parti sociali sul territorio. La cosa è ancora più singolare nel momento in cui, con la riforma della Costituzione, siamo passati ad uno Stato di natura federalista. Credo che questa presenza vada assolutamente prevista qualunque sia la scelta di modello ordinamentale centrale che si voglia fare. Bisogna quindi pensare a comitati territoriali con compiti di indirizzo e vigilanza e quindi con separazione di funzioni a livello regionale e con funzioni in un certo senso meno qualificate, di semplice verifica della qualità del servizio verso l'utenza e di rappresentanza delle parti sociali a livello provinciale. Ritengo che anche in questo caso si debba andare verso un forte snellimento della composizione e del funzionamento di questi organi. Vorrei esporre una opinione personale (la sostengo da tempo ma trova scarsi adepti): a mio avviso si potrebbero anche fondere i comitati territoriali dei tre istituti in un unico comitato. Gli indirizzi differenziati del livello centrale potrebbero essere più facilmente attuati a livello regionale con un unico comitato. Ciò comporterebbe sia uno snellimento sia un maggior potere di intervento.
Tutto il discorso fin qui fatto si completa evocando alcuni criteri di riorganizzazione che, a mio avviso, non si intravedono nella prevista delega per la riforma del sistema previdenziale; spero che vi siano, ma non ne sono sicuro. Si dovrebbe avere il coraggio di andare verso una aziendalizzazione spinta di questi istituti; ad esempio, sarebbe indispensabile pretendere un unico modello econometrico macroeconomico nel quale inserire un modello previsionale a breve, e soprattutto a medio e lungo termine, per garantire che gli organi abbiano una più oculata amministrazione; ciò anche in considerazione di verifiche, sia di compatibilità generale sia specifiche, che oggi non vengono compiute. Questo comporterebbe (se non con il medesimo modello almeno con modelli omogenei) l'adozione di sistemi di contabilità analitica e di controllo di gestione che oggi, all'interno degli istituti, sono più annunciati che effettivamente messi in pratica. Ritengo inoltre che ciò richieda una revisione della contrattazione che ancora risente di una concezione un po' tradizionale della realtà pubblica la quale, essendo a contatto diretto con il mondo del lavoro e con la sua frenetica evoluzione e cambiamento, necessita di una maggior duttilità, senza che le garanzie per i lavoratori siano diminuite.
Si dovrebbe pensare ad una maggiore autonomia gestionale degli istituti, anche di carattere amministrativo; di fatto oggi qualsiasi decisione avviene attraverso un defatigante rapporto con i ministeri che obiettivamente toglie molta efficienza e funzionalità.
Va assolutamente messo in pratica un modello organizzativo a forte decentramento funzionale e decisionale con trasferimenti di poteri decisionali sul territorio anche per avere un'interlocuzione adeguata con livelli istituzionali riformati.
Credo altresì che bisognerebbe avere un maggior coraggio nel praticare la politica delle sinergie e delle integrazioni operative. Penso alla creazione di corpi specialistici unificati, come una vigilanza unica sulla regolarità contributiva e contrattuale e quindi in una logica di controllo dell'evasione che potrebbe essere affidata all'INPS; oppure l'unificazione degli interventi sulla sicurezza del lavoro, distinguendo fra un compito di assistenza e consulenza, che potrebbe esser svolto dall'INAIL, e un compito di vigilanza ispettiva che, invece, potrebbe essere affidato interamente al servizio sanitario regionale; o ancora l'unificazione del servizio medico legale di INAIL ed INPS che, di fatto, è un doppione e produce perfino contenzioso fra i due enti; un'unica avvocatura sia per il supporto normativo nell'interpretazione


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delle leggi sia per la soluzione del contenzioso che è - più nell'INPS che nell'INAIL - abbastanza consistente.
Per quanto riguarda invece la realtà INAIL e la tutela infortunistica, non mi soffermo troppo sul disegno riformatore del decreto legislativo n. 38 del 2000, che rappresenta un punto di arrivo di un percorso di adeguamento ed ampliamento della tutela grazie anche al contributo dei molti soggetti che hanno facilitato il raggiungimento di questo obiettivo. Credo che conosciate meglio di me i punti qualificanti della riforma. Mi soffermerò solo su alcuni di questi; il nuovo sistema tariffario, che ha di fatto portato ad una riduzione permanente, strutturale, dei premi assicurativi da parte del sistema imprenditoriale per una cifra pari a 700 miliardi delle vecchie lire; la tutela del danno biologico di cui stiamo ultimando il monitoraggio anche in considerazione di ulteriori interventi di modifica della norma in oggetto, che ancora presenta qualche squilibrio tra la passata e l'attuale realtà; l'importante conferma dell'obbligo della denuncia nominativa degli assicurati, strumento rivelatosi importante contro l'evasione e che, fra l'altro, evidenzia in modo singolare come il numero degli infortuni nel primo giorno di lavoro sia due volte superiore a quello del secondo e che tra primo e secondo giorno di lavoro si ha un numero doppio di infortuni di quelli che avvengono nel terzo, quarto e quinto giorno di lavoro. Questo sta a dimostrare, quasi sicuramente, che gli infortuni del primo e del secondo giorno avvengono in una realtà di lavoro sommerso che emerge soltanto di fronte all'evento.
Penso anche agli incentivi alle imprese; abbiamo già distribuito 150 miliardi di lire in relazione a progetti sulla formazione e sulla comunicazione e 5.000 imprese hanno attivato questi percorsi formativi che coinvolgeranno non meno di quarantamila dipendenti. Abbiamo inoltre lanciato il bando per 450 miliardi in conto interesse (un contributo a fondo perduto rimane solo per i progetti speciali di particolare qualità); le previsioni studiate insieme ad una società esperta in rilevazioni ci dicono che circa 35-40 mila imprese presenteranno la domanda: un numero consistente.
Abbiamo avviato anche altre iniziative, alcune particolarmente positive, tra cui, ad esempio, il trasferimento all'INPS del pagamento delle rendite, la cartolarizzazione dei crediti, che oggi, con un anno di anticipo, ha permesso di raggiungere i risultati previsti per il mese di maggio del 2003; anche alcune riviste specializzate la hanno considerata come la migliore cartolarizzazione, securisation, della pubblica amministrazione.
Ho descritto il quadro attuale, composto più da luci che da ombre dal punto di vista legislativo e normativo, del nuovo ruolo che l'ente sta assumendo. La positività del disegno riformatore, che pone l'INAIL a pieno titolo nel sistema di sicurezza sociale del paese - con un'evoluzione qualitativamente significativa rispetto al vecchio ruolo puramente assicuratore - determina l'esigenza di completare la riforma legislativa del sistema con un quadro normativo più coerente, più efficace e più rispondente anche ai mutamenti intervenuti nel mondo del lavoro ed al bisogno di garanzie per i lavoratori e le imprese.
Da questa affermazione, discende direttamente l'esigenza di una organica revisione del testo unico del 1965, ormai più che obsoleto. Il testo unico è una contraddizione permanente rispetto all'esigenza di rinnovamento dell'ente, ma anche rispetto ad una funzione attiva della pubblica amministrazione, in quanto fotografa un mondo che non esiste più. È necessario intervenire prima possibile per adeguarlo ai cambiamenti della realtà produttiva.
Il consiglio di indirizzo e vigilanza, già nelle linee di indirizzo dello scorso anno, ha chiesto che la normativa determini la generalizzazione, per tutti i lavoratori e per tutti i rischi, della tutela, unificando - tra l'altro - pubblico e privato. Infatti, con il salto di qualità considerato non si capisce la permanenza delle distinzioni.
Occorre mettere a punto una migliore e organica revisione dei meccanismi di valutazione dei danni di origine professionale -


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e anche non professionale - e, soprattutto, l'adeguamento continuo delle tabelle delle malattie professionali. Attualmente le malattie professionali tabellate rappresentano un residuo insignificante, pari a circa il 15-20 per cento, mentre la parte rimanente riguarda malattie professionali non tabellate. Tuttavia, siamo in ritardo rispetto alle esigenze di riconoscimento e di tutela dell'attuale apparato produttivo. L'adeguamento è assolutamente necessario, se non vogliamo tutelare esclusivamente il passato.
È necessario assumere l'impegno della riforma dell'istituto del regresso con il consolidamento dell'esonero dalla responsabilità civile rispetto al sistema delle imprese ed occorrono, inoltre, meccanismi di delegificazione ai fini dell'ulteriore semplificazione del rapporto con le aziende e con gli assicurati, con nuove modalità di risoluzione del contenzioso tariffario.
L'intervento normativo dovrebbe completarsi trattando le due funzioni più qualificanti: i programmi di prevenzione e la riabilitazione ed il reinserimento. Per quanto riguarda i programmi di prevenzione, il decreto legislativo n. 38 del 2000 prevede un intervento mediante incentivi, sperimentalmente limitato ad un solo triennio. Un ente riformato - come abbiamo detto - deve considerare l'intervento mediante incentivi sulla prevenzione come un impegno strutturale, da ripetersi ogni anno, per non essere in contraddizione con le nuove funzioni assunte. Sarà, inoltre, necessario rivedere il meccanismo progettato, snellirlo e dotarlo di meccanismi di maggiore efficacia di risultato. La sperimentazione è stata troppo farraginosa e complessa nel rapporto con le imprese.
I piani di riabilitazione e reinserimento sono assolutamente necessari, in quanto costituiscono la continuità tra prevenzione primaria e secondaria: cura - rieducazione - riabilitazione - reinserimento. L'operazione normativa da compiere deve ricondurre gli interventi di riabilitazione e di reinserimento nell'ambito della funzione sociale ed assicurativa dell'INAIL.
L'ultima parte del mio intervento riguarda alcuni dati essenziali, noiosi ma che è necessario esporre, come sa bene il presidente Amoruso che, quando è venuto nella sede dell'ente, è stato seppellito dalle cifre. Premetto di dissentire rispetto alle affermazioni rilasciate nelle audizioni dal presidente Billia e dall'allora direttore generale Ricciotti, che considero troppo ottimistiche. Un istituto assicuratore non può essere valutato soltanto in relazione ad un attivo di bilancio o al deposito in tesoreria di un'ingente somma, pari a 7.500 miliardi di lire. Non è questo il modo per giudicare l'efficienza di un istituto anche assicuratore. Abbiamo bisogno di un risanamento della situazione economico-finanziaria attraverso la soluzione di alcuni problemi che affronterò sinteticamente, poiché su molte di tali questioni abbiamo documenti che posso far pervenire alla Commissione.
La gestione agricoltura ha accumulato nel corso degli anni, nei confronti della ex gestione industria, un debito che, secondo i dati del bilancio consuntivo del 2000 (l'ultimo approvato), ammonta a circa 21 miliardi di euro, di cui 12,5 in conto capitale e più di 8 in conto interessi. L'andamento crescente dei residui attivi nei confronti della pubblica amministrazione ammonta, sempre secondo il consuntivo 2000, ad oltre 2.000 miliardi di lire, di cui più di 1.700 verso lo Stato, in seguito ad una norma che afferma che, qualora in tesoreria vi sia un ammontare superiore al 14 per cento dello stanziamento in bilancio previsto per l'istituto, tutti i debiti che lo Stato ha verso l'istituto non vengono pagati. È una norma della finanziaria del 1997, forse allora necessaria per permettere alcune operazioni relative all'ingresso dell'Italia nell'Unione monetaria, che purtroppo è rimasta. È una norma almeno discutibile che rivela uno strano modo di concepire i rapporti finanziari.
Il debito del settore agricoltura rappresenta sicuramente un problema, perché, pur trattandosi di una partita di giro interna, determina cifre virtuali nel bilancio dell'istituto. La conseguenza è che si lucrano interessi su un credito inesigibile, ma questi interessi consentono una gestione


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attiva. Si tratta di un sistema strano che, con il passare degli anni, rischia di divenire del tutto virtuale. La progressiva riduzione delle riserve tecniche è più negativa. Infatti la loro non copertura significa che, in relazione agli impegni già assunti con il modello a capitalizzazione parziale, l'ente non ha riserve tecniche corrispondenti.
Questo deficit è pari ad oltre 9 miliardi di euro, mancano quindi circa 18 mila miliardi di lire. Se l'istituto dovesse, ad esempio, chiudere ora non sarebbe in grado di pagare i propri assicurati per un importo complessivo di 18 mila miliardi di lire.
Vi è poi la questione delle giacenze infruttifere in tesoreria; abbiamo compiuto un calcolo ed è risultato che in vent'anni di vigenza di questa norma l'istituto ha subito una perdita per mancanza di redditività di questa giacenze pari a sei miliardi e 200 mila euro, circa 12 mila miliardi di lire. Abbiamo predisposto un documento sulle tematiche dell'agricoltura che possiamo trasmettervi unitamente a dati riguardanti le riserve tecniche. Stiamo lavorando ad un progetto di risanamento da proporre alle istituzioni - Parlamento e Governo - e anche alle parti sociali. Ed al riguardo devo dire che esiste una valutazione diversa tra noi e quanto sostiene il presidente Billia.
Siamo a favore del mantenimento di un modello a capitalizzazione parziale; tra l'altro non si capisce come qualcuno, sostenitore del passaggio dal sistema pensionistico alla capitalizzazione, sia poi la stessa persona che vorrebbe a ripartizione un istituto assicuratore. Esiste una contraddizione e non riesco a mettere insieme le due cose: la logica è esattamente opposta.
È vero, comunque, che se anche l'istituto passasse a ripartizione il problema del debito rimarrebbe lo stesso. Non è scontato che in questo modo saremmo in grado di ridurre tariffe o premi; probabilmente dovremmo addirittura aumentarli, ma stiamo compiendo degli studi al riguardo ed appena avremo dei risultati ve li trasmetteremo. Occorre sicuramente un intervento legislativo che affronti la riforma del settore agricolo sia il problema del debito consolidato sia per l'assoluta necessità di portare subito la gestione agricola all'equilibrio: altrimenti si produce un ulteriore deficit annuo dell'ordine di un miliardo di euro.
Purtroppo l'istituto da solo non può farcela; d'altra parte si deve considerare che lo Stato concede 700 miliardi di lire l'anno come solidarietà nei confronti dell'agricoltura che, con questo sistema, di fatto, non producono un beneficio risolutivo in quanto esso resta in deficit. Credo invece che - dopo una verifica delle cifre in questione - vi potrebbe essere un intervento che consenta un risanamento di lungo periodo e crei le condizioni per una gestione in equilibrio subito. Occorrerà inoltre rivedere il modello concreto e rendere rigorosa l'osservanza delle regole e dei principi di un istituto assicuratore, cosa che oggi non è (ma per colpa di tutti). Si dovrà assicurare l'equilibrio delle singole gestioni; però nel momento in cui la ex gestione industria è stata suddivisa in quattro differenti gestioni, la solidarietà intergestionale non è più scontata e bisognerà rivedere il sistema solidaristico: probabilmente potrà esserlo all'interno dei macrosettori, più difficilmente tra di loro.
Occorre affrontare la questione della redditività degli accantonamenti in riserve tecniche con adeguate politiche di investimento sia mobiliare sia immobiliare; dovremo muoverci anche in una logica - almeno tendenziale - di contenimento del costo lavoro per le imprese, ma da legare alla prevenzione ed ai suoi risultati: quindi non una riduzione a prescindere dal rapporto col rischio.
Occorre realizzare una revisione periodica delle basi tecniche finanziarie e demografiche dell'istituto che sono ferme anche da 20 anni: è assurdo. Una assicurazione privata le rinnova ogni anno o due.
Lo snodo decisivo di questa operazione è la riconsiderazione dei rapporti tra Stato ed INAIL (al riguardo abbiamo già predisposto un documento che vi possiamo trasmettere) con la rimozione dell'obbligo


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del deposito infruttifero di tesoreria, la riformulazione di altri vincoli normativi tra cui quelli sulla tipologia e destinazione degli investimenti e sulla loro redditività. Non vogliamo sottrarci all'impegno degli investimenti sulla sanità, l'edilizia universitaria, eccetera, ma vogliamo finalizzarli meglio. Occorre affrontare la questione dei residui attivi e l'esclusione di ulteriori operazioni di cartolarizzazione degli immobili. Già la prima cartolarizzazione ha prodotto un danno (forse oggi sarà possibile conoscere la quantificazione chiesta alcuni mesi fa).
Il presidente Amoruso sa, avendogli inviato per conoscenza una lettera, che quando in questa sede intervenne il sottosegretario Armosino ed annunciò la seconda operazione di cartolarizzazione, il consiglio di indirizzo e vigilanza scrisse ai ministeri vigilanti chiedendo che l'INAIL - essendo un istituto assicuratore - venisse tenuto fuori da essa. Infatti la cartolarizzazione rappresenta per noi un abbattimento delle riserve tecniche che rende più rapido il raggiungimento del punto di rottura dell'equilibrio finanziario; punto che il nucleo di valutazione e controllo strategico ha stimato essere intorno al 2008-2009: con la cartolarizzazione tale termine si anticipa di un anno o più.
Infine è necessaria una rilettura del sistema in una ottica federalista; nel senso che vogliamo assolutamente riconoscere fino in fondo le prerogative e le responsabilità delle regioni sul sistema sanitario, anche per gli aspetti che sono contigui con quelli assicurativi; ma nello stesso tempo riteniamo che l'INAIL possa svolgere e dare garanzie rispetto ad una tutela integrata ed integrale sia con apporti specifici esclusivi sia con apporti da concordare con il sistema sanitario regionale. Pensiamo ad apporti di integrazione che offrano punti di eccellenza, e non costituiscano degli inutili doppioni (la spesa sanitaria mi sembra essere uno dei punti di criticità del nostro paese), fornendo quindi un ruolo INAIL che possa qualificare e migliorare la presenza sanitaria territoriale.
Stiamo realizzando accordi e convenzioni con le regioni, ma abbiamo bisogno e stiamo pensando ad un modello di relazioni da varare con il consenso della Conferenza Stato-regioni, in modo da costituire un forte punto di riferimento su cui inserire i singoli accordi territoriali. In ciò tenendo presente anche le diversità della sanità nel territorio: quella della Lombardia sicuramente non è uguale a quella della Basilicata. A fronte della pluralità dei soggetti pubblici abilitati ad operare nelle stesse materie nasce l'esigenza di questa integrazione per garantire una tutela globale.
Queste sono le tematiche sulle quali ci stiamo muovendo. Su esse stiamo predisponendo approfondimenti e documentazione; buona parte di essa sarà pronta già prima del periodo estivo.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Lucchesi sia per la sua ricca relazione sia per la documentazione che vorrà fornirci e che distribuiremo ai componenti della Commissione.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre questioni o chiedere chiarimenti.

ANTONIO PIZZINATO. Desidero innanzitutto ringraziare il presidente Lucchesi per l'ampia e puntuale relazione. Vorrei formulare una domanda che prende spunto da alcune sue osservazioni. Egli ha affermato che si va verso una riorganizzazione con due istituti: uno per la previdenza - se ho ben compreso pubblica - ed uno per quanto riguarda le assicurazioni (tra l'altro le forme di prevenzione, con le ultime norme, riguardano anche le attività casalinghe).
In questa riorganizzazione mi sembra di aver colto alcuni aspetti riguardanti una regionalizzazione conseguente alla riforma costituzionale e una serie di attività, di sinergie, quali ad esempio ispezioni, archivio, centro contabile e complessivamente il sistema informatico.
Per quanto riguarda i due organi di gestione, essendo personalmente contrario al rientro nel consiglio di amministrazione


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(e quindi nella gestione) delle parti sociali, che mi auguro abbiano solo funzioni di indirizzo e di controllo estremamente puntuali, vorrei sapere come pensa sia possibile superare il dualismo tra consiglio di amministrazione e direzione.
Inoltre, alla luce della sua esperienza, può fornirci notizie rispetto a quanto avvenuto, considerato che sono uno dei parlamentari che, in occasione della discussione della legge finanziaria di qualche anno fa, sollevò seri problemi a tale riguardo? La discussione riguardava le modalità di scelta e fui ripreso dall'attuale presidente della Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato, il senatore Grillo: oggi, invece, ci troviamo proprio dinanzi a tali avvenimenti. Se il Consiglio di indirizzo e vigilanza non ha percepito quanto avveniva, forse non gli sono state date condizioni di lavoro sufficienti, dato che tra le sue funzioni vi è anche quella del controllo.

LINO DUILIO. Relativamente al sistema duale, al di là delle due possibili modalità e prospettive riguardanti gli enti (anche in una precedente audizione con il presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INPS è emersa questa duplice possibilità su cui sarà necessario riflettere), mi interesserebbe conoscere la sua opinione sui pro e i contro di tale sistema (mi rendo conto che la valutazione è relativa all'esistenza di organi che determinano confusione). Se ho ben capito, lei optava per la prima prospettiva, che prevederebbe la scomparsa del presidente del consiglio di amministrazione, figura da lei definita ambigua.
Il dibattito relativo all'istituzione dei consigli di indirizzo e vigilanza è ruotato, per molti anni, intorno alla necessità di definire i termini «indirizzo» e «vigilanza», con una confusione generata non solo dall'eccessiva presenza di organi, ma anche dalla mancanza di chiarezza della mission. Essendo lei presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL, le chiedo, sulla scorta della sua esperienza, di chiarire tale significato. Alla luce di tale chiarimento, sarà probabilmente più agevole, da parte nostra, decidere a livello istituzionale il modello da determinare.
All'interno del discorso relativo alla vigilanza, lei ha già affrontato la questione della cartolarizzazione. Nell'audizione dei rappresentanti dell'INPS è emerso che la cartolarizzazione non ha portato alcun beneficio perché, effettuando un'analisi comparata tra gli introiti delle precedenti procedure e quelli della cartolarizzazione, si nota una differenza marginale. Tra l'altro, la cartolarizzazione comporta facilità di introiti per i casi «normali», cioè casi in cui i soldi sarebbero ugualmente incassati, mentre non risolve nulla nei casi complessi, che arricchiscono la partita dei crediti insoluti. Vorrei sapere da lei, se possibile anche in modo comparativo, quale sia l'esito di questa innovazione.
Inoltre, mi risulta che periodicamente nell'istituto, per esigenze obiettive, vi sono processi massivi di informatizzazione diffusa - probabilmente mi collego ad una idea personale di vigilanza non precisa - che producono disastri terrificanti e prolungati per l'utenza: file interminabili, risposte mancate, sistemi che non colloquiano, aziende che aspettano, persone che non ricevono soldi e così via. Poiché si tratta di fatti che avvengono ciclicamente, vorrei sapere se la vostra funzione di vigilanza possa contribuire ad evitarli. Sono convinto che l'ente pubblico sia il volto della politica nei riguardi dei cittadini e tali avvenimenti producono una delegittimazione progressiva di cui gli organi di vigilanza dovrebbero maggiormente occuparsi.
Collegandomi ancora ad un'idea di vigilanza che - ripeto - probabilmente non è precisa, ma che non attiene a profili che non siano di natura istituzionale, vorrei soffermarmi sui tristi avvenimenti di questi giorni, nel merito dei quali - peraltro - non intendo entrare. Poiché anche tali avvenimenti hanno un carattere ciclico e «sporcano» l'immagine dell'istituto producendo frustrazione ed umiliazione, vorrei sapere se il Consiglio di indirizzo e vigilanza si è mai preoccupato di predisporre misure interne che rendano più complicato un atteggiamento «delinquenziale»,


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quando esista. Voi difendete il sistema a capitalizzazione misto e ponete il problema delle riserve tecniche non alimentate - finanziate quindi attraverso una necessaria serie di investimenti -: avete affrontato questo problema, onde evitare che tali fatti avvengano?
Lei, inoltre, ha affermato che, avendo diviso in quattro le gestioni, in seguito al decreto legislativo n. 38 del 2000, sia più difficile la solidarietà all'interno delle gestioni medesime.
Credo si debba trovare il sistema affinché questa solidarietà esista. Non so se questo può avvenire attraverso un ripensamento del premio di assicurazione, che contempli al suo interno una quota di solidarietà e che sia dunque trasversale alle gestioni. Certamente, se questo discorso della solidarietà intersettoriale si conclude, mi chiedo sinceramente perché un istituto di questo tipo debba essere pubblico. Anche per le assicurazioni private si pagano i premi di assicurazione e si riscuote quanto previsto dalla polizza.
Ho già avuto modo di chiarire in precedenti occasioni che ritengo che l'istituto, dovendo tenere insieme i tre livelli cui accennava il presidente Lucchesi - prevenzione, assicurazione e riabilitazione -, dovrebbe rimanere pubblico. Mi piacerebbe che questi tre aspetti, piuttosto che venir evocati astrattamente e genericamente in queste sedi, venissero maggiormente messi in pratica. Non ho ancora ben capito quando, dove e come all'interno dell'istituto vi leghiate a questi tre momenti (al di là della monetizzazione che fa risparmiare denaro quando c'è prevenzione). Concretamente, se dovessimo dire ad un cittadino che l'istituto pubblico si giustifica perché lega insieme prevenzione, assicurazione e riabilitazione come, dove e attraverso quali misure e quali risultati gli mostriamo ciò?
Concludo sul sistema della capitalizzazione mista, che forse meriterebbe un discorso a sé. È un tema che va approfondito, perché al riguardo vi sono delle opinioni differenti: lei citava il presidente Billia, ma questo avviene anche nelle forze politiche. Sarebbe interessante se il sistema venisse in qualche modo rivisitato se è vero che - come credo - sia utile per la causa delle assicurazioni contro gli infortuni.

PRESIDENTE. Si è parlato di validità o meno del sistema duale. Si tratta di uno degli argomenti alla base di tutta la discussione sui progetti di riforma del sistema. Uno degli argomenti che si pongono alla attenzione è proprio la non determinatezza delle funzioni di indirizzo e vigilanza che spesso porta a delle interconnessioni con la gestione. Non so se voler entrare nelle funzioni di gestione proprie dei consigli di amministrazione sia un tentativo o una naturale tendenza da parte dei consigli di indirizzo e vigilanza. Da questo punto di vista, valutare come e perché ciò avvenga potrebbe essere utile ai fini delle considerazioni sulla validità o meno del sistema duale.
Per quanto concerne l'ipotesi di un polo pubblico e di uno privato, abbiamo già avuto modo di rilevare come un polo pubblico in sostanza già esista, grazie alla creazione dell'INPDAP. Per ciò che riguarda il polo privato, alcune esperienze del passato non hanno dati risultati molto positivi. L'aver accorpato nell'INPS vari settori e segmenti ha portato spesso, più che ad uniformare la gestione del settore privato, al mantenimento di gestioni differenziate e quindi a creare ancor maggiori difficoltà di gestione all'interno dell'INPS (rendendo ancora più difficile la gestione generale).
A volte mantenere delle specificità può essere utile e necessario specialmente quando queste gestioni funzionano e danno dei risultati positivi. Abbiamo visto che nei casi di accorpamento a volte i risultati positivi esistenti in precedenza sono diventati drammaticamente negativi e questo dovrebbe essere argomento di valutazione.
Condivido le argomentazioni emerse sia adesso sia durante il nostro incontro presso la sede del Consiglio di indirizzo e vigilanza, riguardo agli effetti della cartolarizzazione degli immobili - nel rispetto della normativa vigente - e per la copertura


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delle riserve tecniche abbiamo visto come questo sia un problema gravissimo.
Un argomento che dovrebbe essere oggetto della nostra valutazione e delle nostre proposte è l'obbligo per l'INAIL del deposito infruttifero delle liquidità presso la tesoreria. Si creerebbe così un doppio danno: la cartolarizzazione depaupera le riserve tecniche del patrimonio immobiliare dell'istituto ed il ricavato dalla cartolarizzazione diventa infruttifero nel momento in cui viene depositato presso la tesoreria. Se ciò può valere in qualche modo per l'INPDAP, dove in fin dei conti si tratta di una partita di giro di soldi che sono sempre dello Stato, nel momento in cui ciò riguarda l'INAIL, e quindi soldi che sono anche dei lavoratori e delle imprese, il discorso diventa difficile.
Presidente Lucchesi, nell'affrontare il tema del processo di riorganizzazione e quindi di accorpamento, lei ha citato anche una fase di razionalizzazione dell'utilizzo dei servizi, ad esempio di una avvocatura unica tra INPS ed INAIL. Si tratta di un argomento interessante e desidero affrontarlo anche riguardo ai processi di informatizzazione, che certamente sono un aspetto importante in questo momento. Abbiamo di fronte, ad esempio, il caso, molto discusso in questi ultimi tempi, della creazione del call center. In principio vi è stata una fase molto confusa quando i tre enti, INPS, INAIL ed INPDAP, hanno proceduto autonomamente nella previsione della creazione di tre call center autonomi. Si è discusso ad esempio del perché non si fosse tenuta una gara e vi fossero state delle assegnazioni dirette facendo sorgere delle domande cui non siamo riusciti ad ottenere delle risposte. Per quanto riguarda l'annullamento di queste procedure e l'idea di creare un unico call center, mi domando se questo possa essere oggettivamente uno strumento utile ai tre enti o se invece non sarebbe più vantaggioso, in modo limpido e trasparente, mettere in rete i differenti sistemi dei tre enti, individuando così uno strumento che possa costare di meno, funzionare meglio e fornire migliori servizi ai cittadini.
In merito agli ultimi eventi, si dovrebbe considerare l'intervento del CIV come vigilanza non solo sull'efficace gestione del patrimonio ma anche sugli investimenti. Posso portare degli esempi riguardanti il mio territorio, la Puglia, dove abbiamo assistito e assistiamo tuttora a degli interventi di acquisizione da parte dell'INAIL per svariate decine di miliardi di lire di alcuni immobili che una volta comprati sono rimasti vuoti. Si deve capire il perché di queste operazioni; è importante creare un patrimonio, ma questo deve rendere, altrimenti dobbiamo chiederci perché si realizza un certo tipo di investimenti.
Approfondiremo questo argomento in altra sede e con altri responsabili, ma si deve attuare un concetto di controllo generale; se si spendono 35 o 83 miliardi per comprare uno stabile vuoto che rimarrà tale perché inutilizzabile, allora bisogna veramente domandarsi perché ciò è stato fatto.
Do la parola al presidente Lucchesi per la sua replica.

PAOLO LUCCHESI, Presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL. Per quanto riguarda l'osservazione del senatore Pizzinato, preciso che personalmente guardo ad una riorganizzazione basata su due poli: uno pensionistico (pubblico e privato) e uno relativo alla prevenzione ed assicurazione, e quindi alla tutela del rischio nel mondo del lavoro. Ciò consente una specializzazione degli enti, finora chiamati a fare troppe cose; spesso si tratta di compiti di stretta derivazione dalla funzione istituzionale, ma molte volte svolgono funzioni spurie, con perdita di efficienza e funzionalità. Credo che oggi la pubblica amministrazione, se vuole reggere l'impatto con le nuove esigenze della società debba specializzarsi. Questa è la logica che mi porta ad ipotizzare due poli con tre istituti: un polo pensionistico composto da pubblico e privato ed un polo assicurativo. Il polo pensionistico, anche se con due distinte componenti, svolgerebbe funzioni simili; progressivamente, poi, con l'uniformazione dell'impiego pubblico con quello privato,


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queste due componenti tenderanno a diventare una.
In relazione alla pletora degli altri istituti, ho parlato di gradualità perché credo che una linea di specializzazione sia inevitabile. Ma bisogna distinguere: se vi sono istituti che svolgono bene la loro funzione, non vedo perché debbano essere assorbiti.
Non è invece accettabile difendere, anche in modo aggressivo, la propria autonomia fin quando la situazione rimane virtuosa, per poi mutare improvvisamente atteggiamento qualora versi in condizioni catastrofiche. Si assiste, così, a quanto già avvenuto: la situazione debitoria si aggrava, si chiede di essere assorbiti dall'INPS per poi pesare sul fondo pensione dei lavoratori dipendenti. Questa operazione costituisce la voce più importante del deficit dell'ente previdenziale: pochi lavoratori, proporzionalmente al complesso delle pensioni - nell'ordine di 10-15 punti percentuali -, determinano una perdita spropositata rispetto all'intera platea. Ritengo sia inammissibile.
Occorre poi chiarire tra cattiva e buona amministrazione. È molto semplice essere considerati buoni amministratori di istituti finché il rapporto tra lavoratori e pensionati è positivo, con un numero dei primi nettamente superiore a quello dei secondi. Ma quando, nel corso degli anni, questo rapporto si deteriora, allora emergono chiaramente le criticità, che però preesistevano! E necessario, dunque, assumersi fino in fondo la responsabilità della gestione, oppure si accetti di perdere l'autonomia ed essere assorbiti: ciò permetterebbe, quantomeno, a mio modo di vedere, l'uniformità delle regole, di cui attualmente si avverte il difetto.
Ritengo assurdo, in un sistema pensionistico pubblico, avere regole e trattamenti differenziati, sia di contribuzione sia di prestazione. E ciò mi induce a reputare fondamentale una tempestiva operazione di razionalizzazione e specializzazione.
Ciò non toglie che, qualora si riscontrino positive gestioni, rispetto delle regole, capacità di autofinanziamento e funzionalità, si possa procedere senza subire cambiamenti di rotta, fino alla fine dei secoli! In segno di apprezzamento, ai capaci batteremo anche le mani. Ma è davanti agli occhi di tutti che in molte categorie le condizioni appaiono disastrose.

ANTONIO PIZZINATO. Il prossimo nodo da affrontare sarà quello dei dirigenti d'azienda.

PRESIDENTE. Senatore Pizzinato, tratteremo domani questo specifico argomento.

PAOLO LUCCHESI, Presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INAIL. Fino a qualche anno fa l'INPDAI era considerato un modello di funzionamento, perché era in attivo, il rapporto era 2 a 1: adesso che tale proporzione si è deteriorata, la situazione dell'istituto è diversa. Così, ora, si manifesta l'intendimento di entrare in INPS, essere inseriti nel sistema generale, mantenendo però condizioni di privilegio: consentitemi l'espressione, mi pare una soluzione troppo di comodo anche se è quanto accaduto con altri. In questo modo, sarebbe il sistema pubblico INPS a divenire centro di imputazione delle responsabilità, quando, tuttavia, tutti i soggetti coinvolti dovrebbero essere chiamati in causa, a cominciare dalle parti sociali interessate, avendo concorso a determinare il quadro complessivo attuale.
Quando parlo di riorganizzazione - e questo intendo chiarirlo subito - mi riferisco ad un processo in cui gli istituti debbano rimanere «nazionali», pur articolandosi sul territorio in modo tale da garantire una presenza diffusa e capillare, così da instaurare un rapporto alla pari con regioni, province, aree metropolitane.
Vengo ora agli aspetti inerenti alle sinergie. Ad essere sinceri, ritengo non si sia fatto tutto il possibile. I risultati appaiono insoddisfacenti. Ad esempio, sulla realtà territoriale degli istituti, anche in una logica di razionalizzazione del patrimonio immobiliare, non reputo opportuno continuare a promuovere investimenti separati nella medesima città, per aprire sedi INPS, INAIL e INPDAP, magari nel


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raggio di 500 metri: sarebbe più proficuo e razionale prevedere un insediamento unico, favorendo sinergie, economicità di gestione, maggiore funzionalità migliorando anche il rapporto con l'utenza. Queste sono le iniziative da sostenere.
Quanto al modello ordinamentale da adottare, personalmente propendo per il modello duale, per un motivo molto semplice: è preferibile escludere dalla gestione le parti sociali. Dopodiché tra un modello non duale che funziona e un modello duale che non funziona, ammetto di preferire quello che funziona.
Si tratta, quindi, di verificare se il modello duale è in grado o meno di funzionare in modo soddisfacente. Questo è l'interrogativo da porsi prima di scegliere: non si tratta, dunque, di un'opzione pregiudiziale. E credo pure non si possa misurare la funzionalità del modello duale con una legislazione che - ed era noto fin dall'inizio - si dimostra del tutto inadeguata. La normativa di cui al decreto legislativo n. 479 del 1994 si è rivelata tale: il meccanismo non poteva funzionare e coloro che erano dotati di esperienza gestionale lo hanno rilevato a partire dalla semplice lettura del dispositivo.
Se, allora, si intende sposare il modello duale, è necessario mettere mano coraggiosamente all'attuale, e apportare modifiche molto profonde, definendo con chiarezza i ruoli di indirizzo e vigilanza, ma anche quelli della gestione.
Detto ciò, aggiungo che comunque rimarrà sempre un'area grigia, intrinseca a due organi distinti. Si tratta di verificare se essa è contenuta entro limiti fisiologici oppure è ampia sino a divenire patologica. Oggi è così. Inoltre molto di ciò che può avvenire è imputabile anche alla maggiore o minore avvedutezza dei titolari preposti: più la linea di confine si assottiglia e maggiore risulterà la tendenza ad invadersi reciprocamente le sfere di competenza. È inevitabile. Per quanto riguarda la mia esperienza, tranne il primo biennio in INPS, non sono stato testimone di contenziosi esasperati con gli organi di gestione. La norma va rivista, e probabilmente sarebbe risolutivo attribuire con chiarezza al CIV le funzioni strategiche e di pianificazione: piani pluriennali, linee di indirizzo generali, anche con riferimento ai bilanci, col preventivo inteso come strumento di programmazione, e non mera sistemazione di voci economico-finanziarie.
Anche gli orientamenti sulle sinergie all'interno del mondo previdenziale dovrebbero essere di competenza dell'organo di indirizzo. Nessun rilievo faccio sulla vigilanza, che deve esercitarsi esclusivamente in riferimento al rispetto degli indirizzi assegnati agli organi di gestione. È una vigilanza squisitamente politica, di carattere generale che caso mai richiede vincoli di attuazione.
Cosa diversa il controllo. La domanda sui fatti di ieri: come è potuto sfuggire ad ogni controllo? Se è vero - ed io sostengo il principio della presunzione di innocenza - quello che la magistratura sta affermando, il problema è gravissimo: è possibile che, in questa pletora di organi di controllo, nessuno si sia accorto di nulla?
Mi pare talmente improbabile che personalmente stento a credere a quanto reso pubblico, altrimenti dovremmo mettere in discussione il sistema intero, non solo INAIL con conseguenze forse ancora più gravi.
Riguardo alla cartolarizzazione, dobbiamo distinguere tra la cartolarizzazione dei crediti e quella del patrimonio immobiliare. Per quanto concerne il primo caso, si è riscontrato un chiaro effetto positivo, soprattutto per l'INPS, perché finalmente è stato fatto ordine su questa voce. Si è avuto invece un risultato meno eclatante all'INAIL, poiché la dimensione del credito era più limitata.
L'INAIL ha una capacità di riscossione intorno al 95 per cento; per il nostro istituto la cartolarizzazione sistematica dei crediti non ha senso; è un'operazione che si può realizzare, invece, saltuariamente quando questa quota del 95 per cento determina un accumulo dei crediti.
L'INPS, al contrario, non ha questa capacità di riscossione e quindi può darsi che per questo istituto l'ipotesi sia corretta.


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Sul tema degli immobili va fatto un distinguo: per l'INPDAP, si tratta di una vera e propria partita di giro, ma anche per l'INPS, essendo a ripartizione, si configura quasi come una partita di giro, in quanto si ricorre alla tesoreria per pagare le prestazioni. Per l'INAIL è cosa diversa. Per un istituto assicuratore con capitalizzazione comporterebbe un abbattimento delle riserve tecniche. O si mette in discussione il modello, oppure si deve considerare che abbiamo scelto un modello e viene praticato il non rispetto delle sue regole costitutive: come si giustifica? È incredibile.
Si dovrebbe affrontare il problema alla radice e mettere in discussione il modello di finanziamento; personalmente, opterò sempre per un modello a capitalizzazione mista; tra l'altro, in Europa, altri istituti similari all'INAIL, che avevano un sistema a ripartizione, stanno andando verso un sistema a capitalizzazione e non riesco a capire perché noi, che già l'abbiamo, dobbiamo cancellarlo senza per altro determinare vantaggi all'utenza. Infatti, se il modello a ripartizione determinasse un abbattimento delle tariffe, allora capirei che nell'equazione costi-benefici lo si preferisca: però così non è, o almeno non è dimostrato.
Sugli eventi di questi giorni non posso dire molto: tra segreto istruttorio e quant'altro ciò che sappiamo è veramente poco. Forse siete a conoscenza che il presidente Billia, il direttore generale, il sottoscritto ed un altro dirigente dell'istituto siamo stati ascoltati dal pubblico ministero come persone a conoscenza dei fatti. In quell'occasione debbo dire che le due domande rivoltemi sono state un po' singolari: «quale ruolo svolgo all'interno dell'INAIL» e se «conoscevo l'indirizzo dell'abitazione del dottor Ricciotti». La comparizione sarà servita al pubblico ministero ma a me, con queste due domande, non è servita a capire nulla.
Quanto posso dire è che qui entra in gioco la direzione centrale patrimonio, che per certi versi ha dimostrato di essere efficiente. Si consideri la cartolarizzazione dei crediti; la vendita del patrimonio immobiliare ad uso abitativo (la percentuale di vendita dell'INAIL è superiore di diversi punti a quella di tutti gli altri istituti); lo scarso livello contenzioso rispetto ad altri istituti in queste operazioni di alienazioni che abbiamo realizzato; la prima cartolarizzazione degli immobili. Pertanto, per questi aspetti, non si può dire che la direzione centrale patrimonio non funzionasse, al contrario, funziona e ha funzionato e al riguardo, oltre ai risultati quantitativi per sé eloquenti, vi è stato il riconoscimento esterno dei Ministeri vigilanti e non solo.
In realtà, ciò che non funziona come dovrebbe è proprio la gestione patrimoniale degli immobili, perché le procedure vi sono ma vengono gestite un po' all'italiana, vengono cioè rispettate fino a un certo punto secondo le diverse situazioni. Il rapporto fra strutture centrali e strutture territoriali è lasciato all'improvvisazione e non esiste una proceduralizzazione precisa della documentazione. Vi è una gestione un po' superficiale che - ormai è chiaro - ha determinato due inconvenienti: una eccessiva discrezionalità decisionale e un sistema farraginoso. In un sistema così è obiettivamente più facile che possa annidarsi il fenomeno corruttivo.
Non credo invece a quanto viene sostenuto, e cioè che vi sia un sistema strutturato di corruzione su tutta la gestione degli investimenti. Vi è, casomai, una inadeguata gestione. Il caso sottolineato dal presidente Amoruso in Puglia è vero; molto dipende dal fatto che non si rispettano le regole di un istituto assicuratore, non si sa se l'investimento rende quanto dovrebbe.
Tutti sono a conoscenza, dal Governo alle parti sociali, che gli investimenti non rendono quanto prevede il tasso di attualizzazione, ma nessuno interviene perché una serie di altri vincoli determina questo modo di procedere. Si è creata una mentalità sbagliata; ritengo che su questa, come su altre questioni, gli organi di gestione, cui spetta la pertinenza dei regolamenti, debbano stabilire dei comportamenti


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vincolanti in modo da recuperare anche l'inefficienza gestionale interna.
L'onorevole Duilio poneva l'attenzione sulla periodica esigenza di rinnovare il settore informatico. Ciò è normale. Onorevole Duilio, lei, per quanto riguarda il problema dell'INAIL ha usato dei termini duri: avrebbe potuto tranquillamente usarne anche di più duri. Nel nostro istituto alcuni mesi fa abbiamo rischiato il black-out cioè la chiusura di alcune realtà territoriali, perché il sistema non funzionava!
Abbiamo avuto un peggioramento dei dati produttivi dal 30 al 50 per cento: drammatico! Ciò è stato determinato da responsabilità interne ed esterne. Responsabilità interne vi sono perché una modifica di sistema di questa dimensione comporta un problema organizzativo prima che tecnologico: in realtà, è stato vissuto solo come un problema tecnologico, cioè di sostituzione di una parte dell'hardware e di una gran parte del software. Si tratta invece di un problema innanzitutto organizzativo; se non si prevede e non si programma nei dettagli un passaggio di sistema, una migrazione di questo tipo determina queste gravi criticità operative. In ciò interviene anche il difetto dell'istituto di essere stato strutturato a compartimenti stagni per cui ogni direzione centrale aveva la sua procedura e alcune di queste non dialogavano tra loro: assurdo.
Ciò è stato in parte determinato anche da un intervento sbagliato da parte dell'AIPA. In questi casi è necessario progettare l'intero sistema e svolgere magari un appalto unico. È stato invece imposto un sistema di appalti articolato che può essere stato gradito ai compartimenti stagni, ma avendo esso determinato assegnazioni ad aziende diverse che non dialogavano tra loro, quando si è messo insieme il sistema, questo non ha funzionato. Ormai sono dieci mesi che stiamo «ricucendo» i pezzi; pensiamo di uscire del tutto da questa crisi alla fine di ottobre, non prima. Ora non si stanno producendo ulteriori danni, siamo in fase di recupero, ma si giungerà al recupero totale anche delle giacenze soltanto verso la fine di ottobre.
Infine, e rispondo al presidente Amoruso, preciso che non sono pregiudizialmente contrario ad un call center unico, ma anche in questo caso si rischia di compiere una scelta con modalità sbagliate. Un call center unico presuppone un sistema vissuto come unico; si deve prima di tutto pensare ad un confronto di strategie e di condivisione organizzativa all'interno dei tre istituti, poi si può realizzare un unico call center. Se vogliamo mettere il carro davanti ai buoi si sa che il carro resterà fermo.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Lucchesi per la sua disponibilità e i colleghi intervenuti. Dichiaro chiusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,55.

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