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Seduta del 14/5/2002


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Audizione del presidente dell'INAIL, Gianni Billia.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale da parte degli enti preposti e sulle prospettive di riforma nazionale e comunitaria della disciplina relativa, l'audizione del presidente dell'INAIL, professor Gianni Billia.
Saluto e ringrazio il professore Gianni Billia per aver voluto corrispondere all'invito della Commissione. Ringrazio altresì le dottoresse Daniela Vagni e Luciana Pietravalle, che lo accompagnano.
Vorrei anzitutto dare qualche ragguaglio circa l'indagine conoscitiva deliberata dalla nostra Commissione anche per dare al presidente Billia una traccia di come sia stato impostato il nostro lavoro.
L'indagine conoscitiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e di assistenza sociale da parte degli enti preposti e sulle prospettive di riforma nazionale e comunitaria della disciplina relativa, deliberata dalla Commissione nella seduta del 13 febbraio 2002 - secondo il programma definito in sede di ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi parlamentari del 23 febbraio 2002 - ha la finalità di effettuare una valutazione complessiva sulla gestione delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale da parte degli enti pubblici preposti, verificando, da un lato, le condizioni di gestione delle forma di previdenza e assistenza sociale da parte degli enti pubblici principali (INPS, INAIL, INPDAP, INPDAI), e, dall'altro, lo stato di attuazione della disciplina relativa alle forme private, o su base volontaristica, di gestione delle forme di assistenza e di previdenza.
Allo scopo di allargare il precostituito campo di indagine, è apparso opportuno porre a confronto le situazioni esistenti in alcuni paesi europei, anche tenendo conto del generale processo di liberalizzazione dei processi lavorativi e dell'utilizzo di nuove soluzioni normative di disciplina del rapporto di impiego.
Inoltre, così come esplicitamente dichiarato negli atti parlamentari, la Commissione ha ritenuto di non potere prescindere anche da quanto previsto dal disegno di legge C. 2145 in materia di riforma del sistema previdenziale e di riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria (il cui esame presso la XI Commissione della Camera dei deputati è in corso di svolgimento), che coinvolge alcuni profili di competenza della Commissione, recando all'articolo 3 una delega legislativa al Governo per il riordino degli enti pubblici di previdenza e di assistenza obbligatoria, con l'obiettivo di una maggiore funzionalità ed efficacia dell'attività ad essi demandata e di una complessiva riduzione dei costi gestionali.


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Si ricorda, quindi, che scopo dell'indagine è consentire alla Commissione l'approfondimento della conoscenza nei settori indicati: a) lo stato di gestione delle forme di previdenza e assistenza sociale da parte dei principali istituti ed enti preposti; b) l'attuazione dei processi di revisione attuati in altri paesi in riferimento alle tendenze riformatrici definite in sede comunitaria e negli ordinamenti di altri paesi; c) l'analisi delle prospettive di riforma delle forme di gestione di sistemi previdenziali e assistenziali privatistici o a prevalente connotazione privata, anche in ordine ad eventuali nuove funzioni e ai nuovi compiti assegnati alla Commissione parlamentare per il controllo sull'attività degli enti gestori delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale
L'audizione in oggetto si colloca tra le altre svolte dalla Commissione nell'ambito dell'indagine: quella - svoltasi il 20 febbraio 2002 - del ministro del lavoro e delle politiche sociali, onorevole Roberto Maroni; quella del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, onorevole Maria Teresa Armosino (svoltasi il 9 aprile 2002); quella - svoltasi il 17 aprile 2002 - del presidente dell'INPS, professore Massimo Paci e del direttore generale, dottore Fabio Trizzino (quest'ultimo, per la verità, poi sostituito, causa ragioni di salute, dal vicedirettore generale, dottore Antonio Prauscello); quella del ministro per l'innovazione e le tecnologie, ingegnere Lucio Stanca (7 maggio 2002).
Do, quindi, subito la parola al presidente Billia.

GIANNI BILLIA, Presidente dell'INAIL. Ringrazio sentitamente la Commissione per l'invito rivoltomi e per l'ascolto che, con la vostra presenza, prestate al mio intervento. Ricordo il grande lavoro svolto insieme a molti di voi negli anni trascorsi e anche di ciò vi ringrazio. Mi pare molto importante la vostra valutazione; proprio ieri sono stato a Berlino ospite dell'HVBG - Ente tedesco omologo dell'INAIL - : da due anni studiamo, insieme, con i tedeschi gli aspetti del benchmarking, per identificare le migliori prassi cui dovrà uniformarsi la nuova sicurezza sociale. Fondamentale non è più soltanto il rapporto di un ente con un altro; il problema, nella situazione attuale, riguarda le aziende e i lavoratori. È molto chiara la rilevanza del sistema Sanità-INPS-INAIL, attesa l'importanza degli ammortizzatori sociali, la crescita piuttosto forte del lavoro in nero nonché quella, conseguente, degli incidenti sul lavoro. Dall'esame condotto con gli amici tedeschi, insieme ai quali abbiamo elaborato un documento, appariva già evidente la diversa composizione dei costi del lavoro dei due paesi, specie per quanto riguarda l'imposizione sui redditi dei lavoratori appartenenti alle fasce più basse di reddito.
Un'altra valutazione molto importante riguarda quei lavoratori che continuino a lavorare dopo il collocamento a riposo; pur di non dovere sopportare oneri fiscali eccessivi, costoro preferiscono uscire dal mercato del lavoro, finendo nel circuito del sommerso.
A fronte del sistema di finanziamento a ripartizione proprio dell'INPS, l'INAIL si basa su un sistema «misto» di capitalizzazione; in realtà, la situazione del nostro ente è alquanto diversa da quella che si realizza con un autentico processo di capitalizzazione. L'INAIL detiene, infatti, un patrimonio di 15.000 miliardi di lire, dei quali, però, ben settemila giacciono, ad interesse zero, in Tesoreria. Ciò implica, inevitabilmente, che si paghino più contributi e più imposte di quelle che sarebbero necessarie; tralascio di ricordare quante volte discussi dell'argomento con l'amico Ragioniere generale dello Stato. In titoli abbiamo 2 mila miliardi. Inoltre, disponiamo di circa 3 mila miliardi per investimenti realizzati nei settori dell'università, della sanità e in altri di pubblico interesse. Già nel 1999, avuto inizio il processo di dismissione del patrimonio immobiliare ad uso abitativo, avevamo deciso di distinguere gli immobili non di pregio, costituiti da oltre 11 mila unità, per un valore di 2 mila miliardi, da quelli di pregio il cui valore si aggirava sui 1000 miliardi. In materia di dismissione ordinaria, a volte si afferma che gli enti sono


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rimasti indietro: voglio sottolineare come prima della cartolarizzazione su 11 mila appartamenti ne avevamo venduti oltre 3000 e incassato anticipi per altri 4400. Dal momento in cui è nata la SCIP abbiamo trasferito gli immobili per i quali erano già stati pagati gli acconti, le cui procedure di vendita sarebbero state definite dalla SCIP. Abbiamo avuto un confronto molto forte con il precedente Governo in materia di vendita del nostro patrimonio immobiliare di pregio, perché fin dal 1999 la nostra posizione è stata quella di vendere all'asta al miglior offerente. So che, ancora adesso, presso il Ministero si stanno valutando gli appartamenti, di pregio, molti dei quali a Roma sono situati nella zona dei Parioli. Noi continuiamo a sostenere che un immobile in quella zona è un appartamento di pregio. Come stiamo affermando fin dal 1999 che se per caso dovessimo vendere unità abitative in zone come quella dei Parioli, o di piazza di Spagna, con uno sconto per gli inquilini tra il 30 e il 40 per cento, il business sarebbe troppo difficile da spiegare. Tra l'altro, non sono certamente affittati a nostri dipendenti o ad altri lavoratori questo genere di appartamenti. L'istituto, di fatto, ha fornito un importante contributo su questa linea.
Consentitemi ora di affrontare il problema del cambiamento del ruolo dell'Istituto sia nei confronti del datore di lavoro che del lavoratore. Attualmente disponiamo dei dati Eurostat relativi alla spesa pubblica per prestazioni sociali sostenute nel 1999. Comprendere le differenze tra Italia e Germania è un punto fondamentale. La spesa pubblica totale per prestazioni sociali (in percentuale sul P.I.L.) è in Germania del 28,6 per cento e in Italia del 24,3 per cento. Occuparsi soltanto della politica delle pensioni dimenticandosi delle altre prestazioni sociali vuol dire non capire che il lavoratore deve essere considerato non solo sotto il profilo previdenziale, ma anche per il trattamento di disoccupazione e per le somme destinate alla famiglia. Con riferimento alle pensioni, la Germania spende il 12,1 per cento e l'Italia il 15,6. Vorrei ricordare che per la Germania si tratta di un dato al netto e per l'Italia al lordo; considerato che le tasse sono, mediamente, il 13 per cento, la quota del 15,6 per cento dovrebbe calare al 14 per cento netto. Questo è un punto fondamentale perché è vero che noi paghiamo di più per le pensioni, ma la differenza fra Germania e Italia è tra il 12,1 e il 14 per cento.
Il secondo dato che vorrei sottolineare è quello relativo al cambiamento del sistema produttivo nazionale negli ultimi cinque-sette anni. Abbiamo assistito alla caduta delle grandi aziende: l'IRI non esiste più, così come la Montedison. È caduta la grandissima azienda (Pirelli, Fiat). In passato c'era un ministro per il Mezzogiorno, c'era un ministro per le Partecipazioni statali. Oggi siamo senza una strategia per le aziende del nostro paese. In base alle statistiche che vi ho fornito, il numero delle aziende che impiegano tra 1 e 15 dipendenti sono 970 mila e i lavoratori interessati sono approssimativamente 3,4 milioni. Le imprese che occupano tra 1 e 49 dipendenti sono un milione e 40 mila e i lavoratori interessati 5 milioni e 80 mila. Le imprese che occupano più di 49 dipendenti sono meno di 30 mila e i lavoratori interessati poco più di quattro milioni. Questo è un dato significativo di come è cambiato il paese. Quale è il livello di conoscenza del nuovo modello? Quale è la struttura, il marketing, qual'è, soprattutto, la produzione che noi realizziamo, le strategie che adottiamo? Mi fa piacere vedere industriali come Cremonini che vendono al Belgio, Barilla che fa accordi importanti con l'estero, penso anche a Tanzi nel settore del latte e derivati. Tuttavia, nelle tecnologie di fondo, nell'elettronica, nella chimica fine, nei settori navale ed aeronautico il nostro paese ha perso molto.
Vorrei ora esaminare il tema dei lavoratori parasubordinati.
Nel 1995 abbiamo cominciato a considerare la condizione di questi lavoratori, che non erano né dipendenti né autonomi: questi lavoratori pagano contributi del 14 per cento che portano ogni anno nelle casse dell'INPS circa 5.000 miliardi. Il loro


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numero è cresciuto, dal 1996 al 2001, da circa un milione a più di due milioni. Grazie al Decreto 38 del 2000 questi lavoratori sono oggi assicurati, anche all'INAIL. Nella maggior parte dei casi il lavoratore parasubordinato opera per progetti; si forma una certa esperienza lavorativa e poi concluso il progetto, cambia attività.
Ritengo necessario ora prendere in esame il tema degli infortuni mortali; ho consegnato una tabella che mostra come la percentuale italiana sia più alta rispetto a quella tedesca: ricordo, però, che in Germania esistono ben 4000 tecnici che vanno nelle aziende e si occupano di formazione e prevenzione. Quando la formazione e la prevenzione erano affidate all'ENI e all'IRI, cioè quando la grande azienda produceva la maggior parte delle forniture c'era la formazione continua e si impiegavano in questa attività persone che disponevano di un elevato grado di conoscenza. Oggi la piccola e media azienda è «sola» ed i lavoratori hanno pagato un costo molto alto in termini di infortuni.
Per questo l'INAIL ha avviato attività di formazione finanziando corsi per 150 miliardi che interesseranno circa 600.000 lavoratori.
Pagheremo inoltre 450 miliardi di interessi, perché vogliamo che le piccole aziende cambino le vecchie macchine, adeguandole alle norme di sicurezza previste dal decreto legislativo 625. Sappiamo perfettamente, infatti, che le piccole e medie imprese, pur di risparmiare, comprano macchine usate, che spesso causano incidenti pericolosi. I finanziamenti, che saranno erogati dagli istituti di credito cui sono stati affidati i relativi servizi, movimenteranno risorse per complessivi 4.000 miliardi. L'INAIL ha stimato in circa 40.000 le aziende interessate all'iniziativa.
Per fortuna, le statistiche indicano un calo (avvenuto tra il 2000 ed il 2001) del numero di infortuni mortali nelle aziende che hanno un numero di lavoratori dipendenti compreso tra 1 e 49; le morti sul lavoro registrate in questa categoria di imprese è stata nel 2001, di 354, mentre il numero complessivo degli infortuni mortali tra i lavoratori dipendenti dell'induzione è di 645.
Si tratta di un dato ancora molto pesante, ma quelli più preoccupanti, che sarà mia cura inviarvi, si registrano nelle imprese fino a 15 dipendenti; in quest'ultima categoria di imprese, infatti, i lavoratori dipendenti sono circa 3 milioni e 400 mila.
Tale cifra pone di fronte l'INAIL ad una situazione molto difficile.
Vorrei brevemente illustrare una tabella, di fonte Eurostat, sul numero di infortuni mortali in Europa, compresi quelli in itinere. Nel 1998 in Germania, dove sono impiegati 20 milioni di lavoratori in più dell'Italia, si è verificato un numero di infortuni mortali minore di quello italiano (lo stesso discorso vale per la Francia).
Stiamo lavorando con i partner stranieri per presentare tabelle più aggiornate.
Riguardo al problema dell'incidenza percentuale degli infortuni per numero di giorni intercorsi tra l'assunzione ed il verificarsi dell'evento lesivo, notiamo che essa è più alta nel primo e secondo giorno rispetto a quelli successivi (intorno al 3,5 per cento). Questo è un sintomo evidente di come molti lavoratori «in nero» vengono denunciati solo quando subiscono un infortunio.
Per quanto riguarda gli infortuni mortali occorsi ai lavoratori dipendenti extracomunitari, vorrei ricordare che nel 1987 abbiamo registrato due casi, mentre nel 2000 gli infortuni mortali sono stati 70.
La crescita della piccola impresa è avvenuta senza una adeguata conoscenza e senza formazione: questo denota una grave mancanza dell'Italia! Secondo i dati INAIL sull'occupazione, nel Triveneto sono occupati 150 mila lavoratori extracomunitari. Chi fa formazione professionale a queste persone? Nell'azienda INALCA di Cremonini lavorano 600 ghanesi, competenti ed addestrati; ma gli altri? In questa importante azienda di Modena gli italiani non lavorano più la carne: lo fanno gli africani.


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Si tratta di un problema fondamentale, ad esempio nel settore agricolo.
Nel corso del 2001 abbiamo svolto una forte azione di supporto nei confronti delle aziende per giungere ad una migliore conoscenza dei rischi; devo anche dire che non sono i nostri ispettori né i rappresentanti della Guardia di finanza che possono risolvere il problema. È necessario a mio avviso avviare un'azione nei confronti delle strutture organizzative di sindacati, datori di lavoro, lavoratori, delle piccole e medie aziende; ritengo che ciò rappresenti uno dei punti fondamentali sul quale agire.
Da due anni è stato approvato un provvedimento normativo molto importante: le aziende per assumere un lavoratore devono necessariamente comunicare all'INAIL il codice fiscale e altri dati del lavoratore, attraverso i quali l'INAIL ha costruito un «contatore» in tempo reale. Va comunque sottolineata una differenza nei dati sugli extracomunitari; quelli che lavorano in Sicilia sarebbero 12.000 mentre quelli nel Triveneto sarebbero 150.000: da ciò si intuisce la presenza di alcune anomalie.
Quando parliamo degli incidenti gravi sul luogo di lavoro dobbiamo prendere in considerazione il dato di chi si è infortunato «formalmente» il primo od il secondo giorno lavorativo. Questo è un dato che molti di voi avranno già rilevato e per un approfondimento - in particolare sui dati relativi all'anno 2001 - rinvio ad un grafico che abbiamo realizzato in collaborazione con i nostri colleghi tedeschi (allegato alla documentazione che abbiamo predisposto).
Un altro aspetto di cui vorrei parlare è quello relativo alle pensioni di anzianità; tutti sappiamo che il lavoratore che una volta andava in pensione con il trattamento minimo doveva avere almeno 15 anni di contributi versati, mi riferisco al periodo 1980-1985; negli anni 2000 sono diminuite le pensioni minime (per le quali sono oggi necessari 20 anni di contributi) ed aumenteranno le pensioni di anzianità. Ciò è avvenuto perché su questo tema a partire dal 1992 vi è stata una battaglia molto forte; ricordo che stiamo parlando di persone con 37, 38 anni di contributi, ancora giovani se hanno cominciato a lavorare a 15-16 anni; anche se va detto in verità che nel caso in questione è l'azienda che preferisce cambiare questi lavoratori e non questi ultimi che vogliono andarsene.
Un altro dato fondamentale è che nel 1990 si sono avuti 156 mila prepensionamenti con età inferiore a quella di vecchiaia rispetto ai 128 mila del 2000, mentre per quanto riguarda le pensioni di anzianità con età inferiore a quella di vecchiaia queste sono passate dalle 199 mila del 1990 alle 799 mila del 2000. Questa analisi è in qualche modo una rivisitazione del discorso che facevo poc'anzi in relazione alle caratteristiche delle piccole e medie aziende. Il nostro paese è cambiato enormemente rispetto ai tempi in cui mi trovavo all'ENI o all'IRI anche se va chiarito - ed anche l'ex ministro Treu si espresso al riguardo - che non possiamo pensare che delle persone che abbiano iniziato a lavorare a 15 anni, una volta raggiunti i 38 anni di contributi intendano usufruire delle pensioni di anzianità e proseguire a lavorare come dipendenti per ottenere poi una riduzione del 30 per cento del trattamento. Questo è rilevabile molto chiaramente analizzando la situazione in Germania, dove il pensionato che continua a lavorare non ha diritto alla pensione complementare ma paga meno tasse e perciò lavora in «chiaro».
Questa è una crisi che è definibile secondo lo schema di Gauss; vorrei che sia ben chiaro che non è possibile ridurre del 30 o 40 per cento il trattamento previdenziale per quei pensionati che hanno 40 anni di contributi versati ed hanno un'età molto inferiore ai 65 anni e intendono continuare a lavorare, perché altrimenti lo costringiamo ad uscire dal mercato del lavoro.
Secondo i dati INPS, attualmente sarebbero non più di 200 mila i pensionati che continuano a lavorare ufficialmente. La situazione è invece molto diversa in Germania, dove hanno dovuto affrontare un problema di ben diversa portata. Il


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concetto è che non si può ridurre la pensione del 30 per cento a chi già paga le tasse, anche se magari è giusto che paghi un contributo di solidarietà all'INAIL. Si deve poi pensare alle variabili da affrontare se si guarda alla situazione complessiva dell'Unione europea, dove in prospettiva i temi del mondo del lavoro dei vari paesi saranno sempre più strettamente collegati fra loro.
Tornando alla prevenzione vorrei sottolineare che, tutto sommato, abbiamo fatto molto come INAIL ma poco come paese. Ad esempio, grazie ai finanziamenti del nostro Istituto circa 5 mila aziende faranno corsi di formazione in materia di sicurezza; almeno 40 mila piccole aziende adegueranno gli impianti alle norme vigenti perché ci faremo carico degli interessi; ci occuperemo inoltre di finanziare oltre 1.200 borse di studio sia per laureati che per diplomati. Sono cifre molto piccole rispetto alle necessità e ciò specie se si considera che abbiamo un milione di extracomunitari, due milioni di lavoratori parasubordinati, 3 milioni e mezzo di lavoratori impiegati in aziende che hanno tra 1 e 15 dipendenti, mentre i lavoratori impiegati in aziende che hanno tra 1 e 49 dipendenti sono oltre 5 milioni. Se si tiene conto di queste cifre allora bisogna chiedersi quale debba essere al riguardo la strategia di un paese e come possa lo Stato creare le basi per una crescita del sistema; non si tratta di marketing ma degli obiettivi di Delors. Di ciò ho spesso discusso sia con voi sia alcuni anni fa come l'amico Pasquale Saraceno concludendo che il Governo non può che seguire il Parlamento ed i suoi obiettivi per i prossimi 5 o 10 anni; così potrà nascere un modello per le piccole, medie e grandi aziende. Se non vi è un obiettivo stabilito dal Parlamento, come si può ottenere un progresso del sistema?
Oggi il dibattito intorno ai temi della sanità, dell'INAIL, dell'INPS, è molto chiaro. Vorrei ricordare i dati della Germania: vi sono 3 milioni e 500 mila lavoratori nelle piccole e medie imprese formati, controllati e addestrati. Questa è la dimensione, ed i tedeschi lo dicono anche a noi: il problema sono le regole con cui queste persone entrano a lavorare.
Ringrazio i membri di questa Commissione, con molti dei quali ho lavorato anche in passato, e concludo dicendo che ho avvertito in modo molto forte la necessità di porre attenzione, anche sulla base del confronto con la Germania, sul modello di sviluppo del Paese nei prossimi anni.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Billia per la sua relazione e do ora la parola ai colleghi che intendano porre domande.

TIZIANO TREU. Vorrei chiedere al presidente Billia informazioni riguardo agli investimenti nell'attività di prevenzione.

ANTONIO PIZZINATO. Presidente Billia, vorrei rivolgerle solo tre rapidissime domande. In primo luogo, lei ha evidenziato il processo di dismissione degli immobili, ed ha accennato ad un caso - del tutto esemplificativo - relativo agli immobili di pregio. Poiché vi è una diversità tra i vari enti e l'INAIL presenta una sua specificità, vorrei avere maggiori informazioni sul processo di dismissione degli immobili di pregio a fronte delle nuove misure e sugli effetti che potrebbe avere sull'istituto.
In secondo luogo, approfitto della sua presenza, avendo lei diretto i due maggiori istituti previdenziali nel nostro paese, perché forse è in grado di fornire una risposta ad un interrogativo, già affrontato più volte, che ho rivolto anche al ministro Stanca. Se si vuole essere efficaci nella lotta al lavoro nero, nella prevenzione antinfortunistica e nella lotta all'evasione contributiva, a mio avviso il sistema informatico diventa decisivo. Ricordo che, anche se con ritardi nell'attuazione, il Titolo V della Costituzione è stato modificato prevedendo una competenza delle regioni in questa materia. Vorrei chiederle allora se, grazie al livello di tecnologia informatica cui siamo arrivati, sia proprio fuori dal mondo ipotizzare una «banca


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dati centrale» (uso un'espressione impropria dal punto di vista tecnico, ma in questo modo è più chiaro) utilizzabile dall'INAIL, dagli istituti previdenziali, dalle istituzioni del mercato del lavoro e dalle loro articolazioni regionali. Dal momento che l'assicurazione previdenziale ed antinfortunistica riguarda sia il lavoro autonomo, sia il lavoro dipendente sia, dallo scorso anno, anche il lavoro domestico, credo che se esistesse un sistema informatico capace di collegare tutti e tre gli ambiti, saremmo in condizione di operare con maggiore efficacia in questo campo. Ritengo che non esistano problemi di violazione della privacy, perché lei ci insegna che da quando abbiamo iniziato ad ampliare la possibilità di accesso, per esempio alle bollette di consumo energetico, ciò è consentito: considero questo uno dei passaggi decisivi per i prossimi anni.
Infine, vorrei sapere in che modo sia possibile svolgere un'azione più efficace nella prevenzione antinfortunistica. Lei ha precedentemente fornito i dati relativi alla Germania; anche se il nostro è un paese molto articolato (del resto, anche la Germania lo è: quella dell'est non è uguale a quella dell'ovest), ricordo che solo in Lombardia - e si tratta della regione più sviluppata del paese - la percentuale di infortuni sul lavoro in rapporto al numero dei lavoratori attivi è doppia rispetto a quella tedesca. Quali sono le cause, che cosa è possibile fare, che cosa è necessario cambiare?

PRESIDENTE. Vorrei rivolgere anch'io una domanda al presidente Billia. Secondo lei, quali sono le nuove missioni dell'INAIL, in particolare in relazione alle prospettive comunitarie ed alle ultime politiche adottate dal Governo italiano?
Se non vi sono ulteriori domande, darei ora la parola alla presidente Billia per la replica.

GIANNI BILLIA, Presidente dell'INAIL. Ringrazio i membri della Commissione per le questioni che sono state poste, perché toccano gli aspetti principali del problema.
Per rispondere al quesito posto dal senatore Treu, vorrei dire che l'attività di prevenzione e formazione è stata un successo. Ad esempio, sono stato recentemente a Brescia, e vi posso fornire un dato incredibile. Si pensa che Milano sia la città più ricca, grazie alle banche ed alla finanza: invece, è Brescia. In questa città, le aziende con meno di 15 dipendenti sono il 94 per cento del totale. Quando sono venuto a conoscenza di questo dato, ho scoperto che pochi avevano compreso realmente la dimensione del fenomeno, quando proprio a Brescia (una città che il senatore Pizzinato conosce molto bene) sono nati i sindacati.
Perché il 94 per cento sono piccole o medie imprese? Perché esiste la rete, o in altri termini la filiera, e non c'è più la catena di montaggio. Alla FIAT, ad esempio, esistevano i reparti e la catena di montaggio; adesso, la catena di montaggio non c'è più e al posto dei reparti vi sono le piccole o medie imprese. Tra queste imprese passano i camion - magari in cinque, sei o otto aziende - e queste si scambiano il prodotto nelle sue fasi di lavorazione fino a giungere al prodotto finale che finisce sul mercato. Questo è il discorso fondamentale. E sapete quale è il progetto fondamentale per gli industriali di Brescia?
La formazione e l'addestramento, fattori indispensabili, sui quali stiamo investendo insieme, perché la necessità di mantenere alta la produzione e il livello di attenzione, sono diventate fondamentali cause di rischio. Con la catena di montaggio non si poteva interrompere la produzione; ora è diverso, anche per la responsabilità e la conoscenza del ruolo da parte del lavoratore. Oggi la parte ripetitiva e meccanica è svolta dal robot ed al lavoratore è richiesta una conoscenza tecnologica e informatica maggiore. La velocizzazione della produzione dovuta all'utilizzo dei robot aumenta il rischio degli incidenti nella lavorazione e fa sì che siano sufficienti dimensioni aziendali ridotte anche solo di 10 o 15 dipendenti: questa è l'evoluzione del sistema.
Ritengo fondamentale per il nostro paese che l'attività di formazione e consulenza dell'INAIL sia svolta insieme con


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l'ENEA, le Regioni, le ASL, l'ISPESL e che tale attività dovrà avere alla base un'adeguata rete informativa, per venire a quanto diceva il senatore Pizzinato.
Un altro aspetto molto importante per la prevenzione è il ruolo svolto dalla medicina del lavoro, come sa bene il senatore Treu. La grande azienda aveva i medici del lavoro che controllavano la qualità, la conoscenza ed altro. Ora che la grande azienda è scomparsa potremmo fare progetti più mirati (come è accaduto per il settore degli autotrasportatori), prevedendo un accordo diretto con i medici del lavoro in modo che si rechino presso le piccole aziende per monitorare i rischi presenti nei luoghi di lavoro e non soltanto il lavoratore.
In Germania l'obbligo di studio è 16 anni e si va a lavorare a 17 anni, mentre in Italia l'obbligo di studio è ancora a 14 anni e si può lavorare da 15. Se è necessario innalzare l'età pensionabile, è bene iniziare a considerare l'età di ingresso nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda le nuove missioni dell'INAIL, un cenno particolare merita l'attività di riabilitazione e protesi, con riferimento ad ambiti internazionali.
Due anni fa abbiamo partecipato ad un progetto per realizzare un Centro Protesi in Libia sul modello di quello INAIL di Vigorso di Budrio l'INAIL ha elaborato un progetto di ristrutturazione di un immobile già adibito a struttura sanitaria, situato a Bengasi, il cui importo complessivo di circa dieci miliardi di lire è stato finanziato dall'ONU. Il nostro intervento però non intende semplicemente limitarsi ai lavori di ristrutturazione ed alla fornitura di apparecchiature e strumentazioni, ma obiettivo qualificante del programma è la formazione di tecnici ortopedici. Nell'incontro avuto con il ministro degli esteri libico Shalgam ho affermato che non è sufficiente realizzare protesi e presidi, ma bisogna insieme dare rilevanza alla formazione di tecnici qualificati.
Ho fatto parte della missione italiana che il 10 aprile scorso si è recata in Libia per presentare i prodotti italiani di piccole aziende il cui mercato è in espansione. Il futuro, anche delle piccole e medie aziende del settore dell'artigianato, è quello di costruire macchine da esportare in altri paesi, come la Libia, per poi acquistare da loro i prodotti finiti. In questo modo si può arrivare a creare un legame produttivo con la cosiddetta Riva sud del Mediterraneo, superando la strategia passata legata ai grossi enti pubblici come l'ENI e l'IRI o le grandi aziende come la FIAT (pensiamo a Togliattigrad). Il Centro di Bengasi è stato inaugurato il 10 aprile alla presenza del Sottosegretario agli Esteri Onorevole Mantica e il documento in lingua inglese ed araba che vi ho distribuito è stato consegnato proprio in quell'occasione.

ANTONIO PIZZINATO. Quale è la percentuale di investimenti immobiliari nel settore dell'università?

GIANNI BILLIA, Presidente dell'INAIL. Dobbiamo partire da circa mille miliardi per investimenti di cui trecentocinquanta miliardi riferibile all'università per il 2001. L'attuale procedura non sembra particolarmente efficace, in quanto noi presentiamo i bilanci quando sono deliberati e poi li inviamo al Ministero per l'approvazione. È necessario cambiare e pianificare quanto spenderemo mediamente nei prossimi 3 anni: circa trecentocinquanta miliardi ogni anno (mi riferisco all'università) ed eventualmente modificare il piano durante tale periodo, se necessario.
La percentuale di investimenti nei settori di pubblico interesse, della sanità e dell'università corrisponde a circa il 55 per cento del totale dei nostri investimenti. Tuttavia anche in questo caso non bisogna guardare i bilanci quando già sono approvati, ma presentare progetti almeno triennali in base ai dati che l'ente fornisce al ministro. Al riguardo, mi domando perché l'istituto abbia in questo momento 3,6 miliardi di euro presso la tesoreria impiegati ad interessi zero! Perché non si sono realizzati in breve tempo dei progetti per impiegarli proficuamente? Ma anche qualora ottenessimo su questa somma un interesse del 4 per cento, ciò non sarebbe sufficiente.


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Per quanto riguarda gli immobili ribadisco che vogliamo seguire la linea esposta prima, vogliamo concentrare tutti gli investimenti nei settori della sanità, dell'università e di pubblico interesse e liberarci di tutti gli edifici residenziali. Le vicende trascorse che riguardano gli investimenti ad uso abitativo non sono state molto edificanti. La mia proposta era e rimane quella di vendere tutto il patrimonio di pregio all'asta, perché l'incasso sarebbe sicuramente maggiore.
Ritengo infine che la dimensione della riprogettazione dei settori che riguardano la formazione, la prevenzione ed i servizi alle piccole e medie aziende per gli extracomunitari, per i parasubordinati, nonché per la maggior parte giovani entrati nel settore tecnologico senza che questo fosse il loro mestiere, deve essere di ampio respiro.
Mi interesserebbe inoltre capire come verrà risolta la questione dell'impiego dei pensionati di anzianità; attualmente vi sono 400 mila pensionati ex autonomi e 800 mila pensionati ex dipendenti per motivi di anzianità gran parte dei quali continuano a lavorare in nero. Se queste persone invece di lavorare in nero venissero invogliate ad emergere grazie ad un diverso sistema fiscale, ci si avvicinerebbe alla mentalità tedesca. L'idea che l'anziano non debba continuare a lavorare dopo la pensione per far posto ad un giovane, significa non aver capito il compito che la politica deve svolgere nel nostro paese.
Bisogna formare i giovani, reinserendo contemporaneamente anche i cinquantenni preparati affinché si possa eliminare il lavoro nero, con ricadute rilevanti anche dal punto di vista delle entrate fiscali. Voglio ricordare che ho potuto constatare, nei vari ruoli che ho ricoperto nella pubblica amministrazione, come sia diffusa la convinzione che il lavoro nero incide sui mancati introiti dell'IVA per almeno il 30 per cento; se ciò è vero significa che è tutto il sistema a dover essere riprogettato.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Billia per il suo intervento e dichiaro chiusa l'audizione. Sospendo per qualche minuto la seduta.

La seduta, sospesa alle 14.45, è ripresa alle 14.50.

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