XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4642
Onorevoli Colleghi! - Recenti studi evidenziano il
sempre crescente ricorso alle misure di prevenzione, in specie
patrimoniali, che, prescindendo dalla precedente realizzazione
di un reato e, anzi, al fine di scongiurarne la commissione da
parte di soggetti socialmente pericolosi, incidono, con
provvedimenti di sequestro e di confisca, sui beni che si
trovano nella disponibilità di questi ultimi.
In parallelo al rilevante incremento statistico dei casi
nei quali si è fatta applicazione di queste misure, si
consolida, presso la giurisprudenza di legittimità e
costituzionale, la tesi della natura giurisdizionale, e non
amministrativa, del procedimento di prevenzione.
Così, la Corte di cassazione, osservando che le misure di
prevenzione contemplate dalle leggi "antimafia" hanno funzione
afflittiva e mancano di finalità rieducative, ha da tempo
chiarito che, anche in questi casi, deve essere un organo
giurisdizionale a presiedere alla formazione della prova, nel
rispetto dei princìpi costituzionali (articoli 13 e 27 della
Costituzione) di riserva di legge e di
tassatività-determinatezza.
In questo modo, le misure di prevenzione possono meglio
inquadrarsi nel sistema normativo vigente, benché la loro
stessa essenza finisca comunque per limitare alcuni princìpi
fondamentali previsti nella Costituzione: primo fra tutti, il
principio di presunzione di non colpevolezza (articolo 27,
secondo comma, della Costituzione), in quanto i provvedimenti
in esame si fondano sul sospetto o sull'indizio.
Deve quindi considerarsi acquisita l'esigenza di
equilibrare la tutela della collettività ante o
praeter delictum, attuata attraverso le misure di
prevenzione, con il diritto di difesa del soggetto nell'ambito
del procedimento instaurato per l'adozione del provvedimento
preventivo.
Evidente e imprescindibile esplicazione di tale diritto di
difesa è la possibilità di impugnare le decisioni assunte in
relazione a queste misure, proponendo ricorso alla corte
d'appello e, per motivi di legittimità, alla Corte di
cassazione.
Eppure, l'articolo 4, undicesimo comma, della legge 27
dicembre 1956, n. 1423, (richiamato dal secondo comma
dell'articolo 3-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575)
prevede che il ricorso per cassazione, esperibile avverso il
decreto della corte d'appello, possa proporsi solo "per
violazione di legge".
Questa espressa limitazione dei motivi deducibili con
l'impugnazione dinanzi al giudice di legittimità ha dato luogo
a contrasti interpretativi, tuttora irrisolti.
Infatti, l'orientamento più garantista giudica ammissibili
i ricorsi che censurano la mancanza o la manifesta illogicità
della motivazione, risultante dal testo del provvedimento
impugnato; in altri casi, più recentemente, rilevando che la
norma citata fa esplicito riferimento all'ipotesi di
violazione di legge, senza richiamare i vizi della motivazione
(che integrerebbero diverso e specifico motivo di ricorso, ai
sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera e), del codice
di procedura penale), si è negata la possibilità di dedurre,
con questo mezzo di gravame, l'illogicità manifesta della
motivazione.
La dottrina ha da ultimo criticato l'orientamento
restrittivo prevalente nelle più recenti decisioni in materia,
sostenendo che il ricorso per cassazione deve considerarsi
proponibile per tutti i motivi indicati dal citato articolo
606 del codice di procedura penale.
I tentativi di dilatare, per via interpretativa, l'area
dei motivi deducibili con il ricorso per cassazione sono
certamente apprezzabili, in quanto, estendendo il vaglio di
legittimità, meglio garantiscono il diritto di difesa nel
procedimento di prevenzione; purtroppo, però, essi paiono
configgere con la vigente formulazione dell'undicesimo comma
dell'articolo 4 della legge n. l423 del 1956, che, come si è
detto, ammette il gravame solo per violazione di legge.
La presente proposta di legge interviene dunque (articolo
1) sulla norma citata, sopprimendo la locuzione limitativa
"per violazione di legge". Ampliando, di conseguenza, il
novero dei motivi deducibili con il ricorso per cassazione, si
consente comunque non solo alla difesa ma anche al pubblico
ministero (anch'egli legittimato all'impugnazione) di
sollecitare il sindacato di legittimità su tutti i profili
rilevanti della decisione impugnata.
Ulteriore modifica si propone (articolo 2) per consentire
alla parte che ha diritto di impugnare il decreto emesso dal
tribunale di esperire direttamente il ricorso per cassazione.
Infatti, si è talora negata l'ammissibilità di tale ricorso
per saltum nell'ambito del procedimento di prevenzione,
così sacrificando l'interesse delle parti ad accelerare i
tempi per ottenere una decisione definitiva.
Resta ferma, comunque, senza necessità di ulteriori
rinvii, l'applicabilità dell'articolo 580 del codice di
procedura penale, che dispone a proposito della conversione
del ricorso per cassazione in appello, qualora contro la
stessa decisione siano proposti mezzi di impugnazione diversi;
questa norma, in quanto rientra tra le disposizioni generali
in tema di impugnazioni, è già richiamata dal comma 2
dell'articolo 569 del codice di procedura penale e
dall'articolo 680, comma 3, del medesimo codice, cui appunto
rimanda l'ultimo comma dell'articolo 4 della legge n. 1423 del
1956.