XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 3661




        Onorevoli Colleghi! - Ci sono pagine, nella storia dei popoli e degli uomini, che grondano di dolore e di ingiustizia. Oltre cinquant'anni fa con il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1430 del 1947, si scrisse una di quelle pagine. Essa sancì la mutilazione territoriale delle terre orientali d'Italia e la perdita della gran parte della Venezia Giulia e della Dalmazia; segnò la tragedia degli italiani di Trieste, che visse un lungo dopoguerra terminato solo il 26 ottobre 1954 con il ritorno della città all'Italia; la tragedia degli italiani dell'Istria, del Quarnaro e della Dalmazia; la tragedia di un esodo incompreso, che fu scelta di dignità e di amore per la libertà e per la propria patria; la tragedia di un esodo che disperse 350 mila uomini e donne in ogni angolo d'Italia e del mondo; la tragedia di migliaia di famiglie abbandonate a se stesse, in balia del terrore che si respirava nell'Istria insanguinata dagli eccidi di migliaia e migliaia di uomini scaraventati nelle foibe dai partigiani jugoslavi perché colpevoli di essere italiani: quelle foibe che monsignor Antonio Santin, arcivescovo di Trieste e Capodistria, definì "calvari con il vertice sprofondato nelle viscere della terra". Ventimila furono i morti senza croce: si spopolarono, d'un tratto, paesi e città, lidi e campagne. Quasi tutti se ne andarono, lasciarono le case, i propri morti, serrando il pianto in gola, stringendo nella mano un pugno della rossa terra istriana. Portarono via le povere cose, qualche ricordo, un'insegna, una fotografia, un vecchio quadro, una bandiera.
        Il bel dialetto veneto, la dolce lingua del sì, non si sentirono quasi più cantare e rimasero muti i leoni di San Marco, le pietre degli archi e delle arene, i cento e cento campanili.
        Per la prima volta, nel 2003, le associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati hanno celebrato la "Giornata nazionale della memoria e della testimonianza" con il riconoscimento e la partecipazione ufficiale del Governo.
        A questo primo grande segnale di attenzione deve ora seguire un diverso e più vasto riconoscimento, deve ricostruirsi una memoria nazionale e collettiva fuori dalle vecchie divisioni, dalle passioni e dai rancori, condivisa da tutti gli italiani.
        Una cosa chiede la gente dell'esilio, il popolo giuliano-dalmata: che sia riconosciuto il valore di quell'esodo, che fu un grande plebiscito di italianità e di libertà; che questa pagina di storia diventi davvero patrimonio della coscienza di tutti gli italiani, squarciando il velo, la congiura del silenzio di questi cinquant'anni e più. Il nostro appello a voi, deputati della Repubblica, che uno ad uno e tutti assieme rappresentate la nazione italiana, è un appello alla riconquista e al recupero della memoria storica, perché una nazione senza memoria è una nazione senza futuro. La nostra nazione, nella ininterrotta continuità storica del suo divenire, ha scritto duemila anni di storia su quella sponda orientale dell'Adriatico e noi dobbiamo oggi e per il futuro alimentare ancora, per quanto ci è possibile, quella fiammella di italianità che, nonostante tutto, arde tuttora in queste terre. Lasciateci allora volare idealmente oltre la terra e oltre il mare e ricordare l'altare di Perasto, dove duecento anni fa, era il 1797, all'indomani della pace di Campoformido, fu ammainato il gonfalone della Serenissima Repubblica di Venezia e fu sepolto sotto l'altare mentre l'ultimo capitano di Venezia, il capitano Viscovic, pronunciava quelle parole che sono rimaste l'orgoglio e il giuramento dei dalmati: "ti con nu e nu con ti".
        Pensiamo alla nobilissima Repubblica di Ragusa e al suo antico motto Libertas, pensiamo alle antiche isole di Dalmazia ed ai loro statuti latini, ad Arbe del Santo Marino, a Curzola di Marco Polo e del Milione, pensiamo a Spalato del palazzo di Diocleziano a Salona, al Baiamonti e al Rismondo, a Traù, quella piccola Venezia con i suoi leoni, alla Sebenico di Niccolò Tommaseo, alla stupenda Zara che fu Iadera, la bizantina Diadora, perla di italianità e di venezianità; pensiamo a Cherso di Francesco Patrizio e di Lussino e dei suoi valenti capitani, di Veglia dove comparve il primo leone di San Marco, nel 1250; ricordiamo Fiume, la romana Tarsatica, dove correva il limes italicus della decima regio - Venetia et Histria, Fiume del sogno italiano, "Fiume l'olocausta"; pensiamo ad Abbazia, perla del Quarnaro, a Pola che fu Pietas Julia con la sua grande arena romana, Pola che Dante cantava "presso del Carnaro che Italia chiude e i suoi termini bagna"; pensiamo a Rovigno, che fu Rubinium, a Parenzo che fu Julia Parentium, ai loro campanili ed ai loro leoni alati; a Pisino con il castello sulla grande foiba, la Pisino di Fabio Filzi, impiccato a Trento nel castello del Buon Consiglio assieme a Cesare Battisti; e poi ricordiamo Montona e la sua torre merlata; Buie, la sentinella dell'Istria, patria di Donato Ragosa; e poi Umago, Isola, Pirano di Giuseppe Tartini e del suo "Trillo del Diavolo". E infine Capodistria, che fu la Giustinopoli, cantata da Giosuè Carducci, Capodistria che donò all'Italia Nazario Sauro. Egli, la notte del 10 agosto del 1916, prima di essere impiccato, scrisse al suo figlio maggiore le parole che restano idealmente il giuramento alla Patria degli istriani e dei figli degli istriani, e dei figli dei figli dei figli che verranno: "E tu giura, o Nino, e fallo giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per comprendere, che sarete sempre e dovunque prima di tutto italiani".
        Onorevoli colleghi! Non dubitiamo che ognuno di voi saprà comprendere il profondo significato morale e nazionale della presente proposta di legge che vuole istituire, nell'anniversario del Trattato di pace che strappò all'Italia le terre d'Istria, di Fiume e della Dalmazia, il "Giorno della memoria e della testimonianza": per non dimenticare quelle terre e quel popolo di esuli per amore dell'Italia.




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