XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 2859




        Onorevoli Colleghi! - Grande malcontento giustifica la forte protesta che si sta levando dai pensionati del pubblico comparto man mano che si prendono e si attuano le drastiche norme restrittive relative alle pensioni di reversibilità che hanno subìto due interventi ingiusti e limitativi nel tempo: il primo con l'articolo 15, commi 4 e 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ed il secondo, più massiccio e penalizzante, con l'articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
        Nella riforma del sistema pensionistico italiano, mentre per molti istituti si è proceduto con evidente prudenza al fine di protrarne gli effetti nel tempo, consentendo degli spazi organizzativi per la costituzione di rendite complementari ed integrative della pensione base, per le pensioni di reversibilità si è scelta la strada più corta con provvedimenti ex nunc, creando così allarme e notevoli disagi economici nelle famiglie dei pensionati. Infatti, già nella "piccola" riforma attuata con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, all'articolo 7, si operava una distinzione fra coloro che al 31 dicembre 1992 godevano di un'anzianità contributiva inferiore a 15 anni e coloro che vantavano un'anzianità maggiore.
        La legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare, e cioè la legge 8 agosto 1995, n. 335, all'articolo 1, commi 12 e 13, opera una divisione netta fra coloro che al 31 dicembre 1995 potevano far valere una anzianità contributiva inferiore ai 18 anni e coloro che, invece, 18 anni di anzianità, a tale data, li avevano superati, ai fini dell'applicabilità del sistema contributivo oppure retributivo.
        Uguale attenzione, però, non si è avuta per le cosiddette "pensioni indirette" per le quali la riforma radicale e peggiorativa si applica dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 335 del 1995 e cioè dal 17 agosto 1995, senza alcuna possibilità di appello.
        Se si tiene conto che tale normativa nell'immediato è destinata a persone anziane, che non hanno avuto il tempo di costituire pensioni integrative, che sono già state pesantemente penalizzate dalle cosiddette "pensioni d'annata", solo in parte recuperate dal decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1991, n. 59, e che sono state già private, con l'articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992, di quel piccolo adeguamento alla dinamica salariale che era previsto dalla legge 29 aprile 1976, n. 177, considerato che la citata legge n. 335 del 1995 ha degli effetti tanto più gravosi quanto più bassa è la "voce" pensioni del dante causa, è evidente quale riflesso peggiorativo ed antigiuridico venga a determinare il dettato del comma 41 dell'articolo 1 della medesima legge n. 335 del 1995.
        Tale comma, nell'estendere la disciplina del "trattamento pensionistico a favore dei superstiti di assicurato e pensionato vigente nell'ambito del regime dell'assicurazione generale obbligatoria" a tutte le forme esclusive e sostitutive di detto regime, ha introdotto per tutti i pensionati di reversibilità, del comparto pubblico e privato, un meccanismo gravemente peggiorativo ed ha stabilito che "gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti di cui alla tabella F" allegata alla citata legge n. 335 del 1995.
        Il riferimento al reddito colpisce il superstite del pensionato INPS, che percepiva, comunque, il 60 per cento della pensione del dante causa, mentre il nuovo sistema prevede successive e progressive riduzioni in rapporto al reddito proprio del percepente: 45 per cento; 36 per cento; 30 per cento. Ugualmente penalizzato risulta il superstite del pensionato pubblico, per il quale la normativa previgente (testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, articoli 88 e 99) prevedeva per il coniuge superstite una pensione calcolata sul 50 per cento della "voce" pensione e sul 100 per cento della quota indennità integrativa speciale.
        In ultima analisi, la nuova normativa modifica le pensioni di reversibilità indiscriminatamente, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti e senza un prudente esame dell'impatto sociale e politico, visto che i destinatari del provvedimento appartengono alla classe più debole e meno protetta della società: i pensionati. Ma ben altro elemento induce a una modifica radicale della normativa, con l'abrogazione del comma 41 dell'articolo 1 della legge n. 335 del 1995 e della relativa tabella F allegata.
        E' stata approvata recentemente la legge 18 ottobre 2001, n. 383, fortemente voluta dal Governo, in attuazione del programma elettorale della maggioranza liberaldemocratica: l'articolo 13, al comma 1, ha stabilito categoricamente che "l'imposta sulle successioni e donazioni è soppressa". Chiarimenti in merito ai riflessi delle nuove disposizioni inerenti alla citata legge recante "Primi interventi per il rilancio dell'economia" sono stati forniti dalla Direzione centrale trattamenti pensionistici dell'INPDAP nei seguenti termini: "L'articolo 13 della legge dispone la soppressione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni; sui beni caduti in successione, quindi, detta imposta non è più dovuta, indipendentemente dal loro valore e dal grado di parentela che intercorre tra il dante causa e i beneficiari" (informativa n. 23 del 28 febbraio 2002). Benissimo! La pensione di reversibilità non è forse da considerare un "bene" che il pensionato defunto lascia, a volte come unico estremo ricordo concreto, ai propri eredi? E le aliquote percentuali indicate nella citata tabella F non costituiscono forse una speciale "tassa di successione" che grava sull'esistenza dei superstiti?
        Anche l'abrogazione di tale "tassa particolare" serve, certamente, per il "rilancio dell'economia", che costituisce l'obiettivo del legislatore. Il presentatore della proposta di legge si rende conto che essa può apparire come il lancio di un grosso "macigno" nello stagno, ma è convinto che il provvedimento sia indispensabile per motivi di equità e di opportunità: sarebbe una clamorosa contraddizione disporre un passaggio di beni anche di inestimabile valore, senza oneri per gli eredi e, viceversa, punire i superstiti di un pensionato (al quale sono legati quasi sempre da un "grado di parentela" molto stretto) con la "legale" sottrazione di gran parte della pensione, spesso modesta.
        L'articolo 1 della proposta di legge è composto da due commi: con il comma 1 si prevede la soppressione pura e semplice della vigente normativa sulla pensione di reversibilità. Con il comma 2, alla luce delle disposizioni conseguenti alla soppressione dell'imposta sulle successioni e donazioni determinata dall'articolo 13 della legge n. 383 del 2001, si prevede la corresponsione della pensione in esame nella misura intera percepita dal dante causa.
        D'altronde il trattamento pensionistico, considerato come un "bene" liquido lasciato in eredità, è stato e continuerà ad essere sottoposto alla normale imposta diretta sul reddito.




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