XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 2571
Onorevoli Colleghi! - Nel 1948, anno in cui entrò in
vigore la Costituzione, l'Italia era un Paese con un'economia
prostrata e sostanzialmente agricola: si pensi che al primo
censimento del 1951 lavorava in agricoltura circa il 42,2 per
cento della popolazione attiva.
A più di cinquant'anni di distanza, il volto dell'Italia è
mutato in modo radicale, fino a divenire per certi versi
irriconoscibile, grazie a un processo di modernizzazione tanto
rapido e intenso da avere pochi eguali nella storia europea.
In proposito, è sufficiente riportare alcuni significativi
dati statistici. L'Italia è la sesta potenza economica
mondiale in termini di prodotto interno lordo (PIL); il
reddito pro capite, che alla fine degli anni quaranta
era circa la metà di quello del Regno Unito, oggi lo supera.
Il grado di apertura reale verso l'estero, misurato dal
rapporto tra interscambio dei beni e servizi e PIL, è oggi del
45 per cento, in linea con quello dei maggiori Paesi
dell'Unione europea. Si può a ben ragione affermare che il
tenore di vita dei cittadini italiani sia tra i più elevati
del mondo.
Un progresso di simili proporzioni si è verificato
soprattutto grazie alla moltiplicazione delle iniziative
imprenditoriali che hanno reso possibile l'affermazione
dell'economia aperta nel nostro Paese. Secondo statistiche
aggiornate al marzo 2001, il numero delle imprese nazionali è
pari a 4.657.667: proprio in questo patrimonio unico in
termini di dinamismo economico e intraprendenza va ricercata
l'eccezionale spinta propulsiva che ha dato il via al
cosiddetto "miracolo economico italiano" e alla piena
integrazione del nostro Paese nel sistema occidentale di
mercato.
Non solo, ma l'impresa in quanto soggetto sociale e in
quanto struttura di organizzazione delle risorse si è rivelata
tanto vincente da oltrepassare i confini del puro profitto
economico e da fare il proprio ingresso anche nel tessuto
sociale e culturale del Paese. Si pensi, solo per fare un
esempio, al settore delle fondazioni, le quali si presentano
come vere e proprie imprese no profit e svolgono
quotidianamente un ruolo cruciale per lo sviluppo materiale e
intellettuale della collettività.
Paradossalmente, il poderoso e tenace sforzo
imprenditoriale che ha dato vita agli eccezionali risultati
cui si è fatto sin qui riferimento, non ha ancora trovato
alcun riscontro o riconoscimento all'interno della
Costituzione.
Quest'ultima contiene, all'interno del titolo III della
parte prima, una serie di disposizioni che nel loro complesso
concorrono a formare la cosiddetta "Costituzione economica".
Tali norme, cioè, hanno lo scopo di dettare i princìpi
fondamentali che tanto i privati quanto lo Stato devono
rispettare nell'esercizio dell'attività economica. In
particolare, rientra in tale contesto normativo la disciplina
della libertà di iniziativa economica, vale a dire della
facoltà per i privati di scegliere i mezzi più idonei tramite
cui produrre beni o servizi da immettere sul mercato.
Vi è quindi la necessità di modificare il testo
dell'articolo 41 della Costituzione, in modo da introdurvi un
riferimento espresso all'impresa in quanto soggetto
insostituibile e centrale per il progresso economico e sociale
del Paese. Ciò in quanto l'impianto costituzionale in esame è
ormai obsoleto e inadeguato rispetto alle strutture e alle
esigenze proprie delle economie di mercato dei nostri
giorni.
L'articolo 41 si limita a garantire al primo comma che
"l'iniziativa economica privata è libera". Lo stesso articolo,
tuttavia, nei due commi successivi, sottopone la citata
libertà a due categorie di restrizioni, relativa la prima alle
sue modalità di esercizio (il secondo comma stabilisce che
essa non può svolgersi "in contrasto con l'utilità sociale o
in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana"), la seconda alle sue finalità generali (il
terzo comma prevede che "la legge determina i programmi e i
controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali").
Risulta di immediata evidenza il sensibile disequilibrio
fra un generico riconoscimento della libertà di iniziativa
economica - concentrato in poche e sintetiche parole - e una
prospettazione - al contrario analitica - delle differenti
limitazioni da apportare alla stessa libertà di iniziativa.
In altri termini, la Costituzione è affetta da un duplice
vuoto giuridico.
In primo luogo, manca ogni riferimento all'impresa come
"soggetto" centrale dello sviluppo economico e come
fondamentale elemento di coesione sociale del Paese. Al
contrario, l'impresa è richiamata soltanto come potenziale
"oggetto" di esproprio per realizzare finalità sociali e
interessi di carattere generale. Il dettato dell'articolo 41
rispecchia una cultura alquanto diffusa nella società degli
anni quaranta del novecento, che evidenziava dell'economia di
mercato soprattutto i limiti e i risvolti negativi, quali la
ricerca esasperata del profitto individuale e il conseguente
rischio di un "capitalismo selvaggio" portatore di laceranti
disuguaglianze sociali.
In secondo luogo, è completamente assente nella nostra
Costituzione il concetto di economia aperta. Non è presa in
considerazione la logica del mercato, vale a dire la
dimensione dell'impresa e delle interazioni di quest'ultima
con le altre imprese, con i fattori di produzione e con i
consumatori. E' vero che l'articolo 42 riconosce e tutela la
proprietà privata, ma è altrettanto vero che ciò costituisce
una condizione necessaria, ma non sufficiente da sola, ad
assicurare la piena realizzazione di un'economia di
mercato.
Due processi hanno recentemente contribuito ad alimentare
un nuovo e più positivo giudizio sull'impresa, finalmente
considerata come insostituibile fonte di lavoro e di reddito
per la collettività: il tracollo dei modelli alternativi al
capitalismo e l'affermazione dei princìpi liberali su cui si
fonda l'intera costruzione dell'Unione europea.
A quest'ultimo proposito merita di essere sottolineato il
paragrafo 1 dell'articolo 4 del Trattato che istituisce la
Comunità europea: "(...) l'azione degli Stati membri e della
Comunità comprende, alle condizioni e secondo il ritmo
previsti dal presente Trattato, l'adozione di una politica
economica che è fondata sullo stretto coordinamento delle
politiche degli Stati membri, sul mercato interno e sulla
definizione di obiettivi comuni, condotta conformemente al
principio di un'economia di mercato aperta e in libera
concorrenza".
Da parte sua, la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, solennemente proclamata il 7 dicembre
2000 dal Consiglio europeo riunito a Nizza, include la libertà
di impresa fra quei valori e princìpi (indivisibili e
universali) condivisi fra gli Stati membri dell'Unione
europea. Infatti, l'articolo 16 della Carta garantisce la
"libertà d'impresa, conformemente al diritto comunitario e
alle legislazioni e prassi nazionali".
In conclusione, nell'attuale contesto della
globalizzazione delle moderne economie, sembra giunto il
momento di sanare le lacune costituzionali cui si è fatto
riferimento. Perciò, appare giusto e opportuno emendare
l'articolo 41 della Costituzione per apportarvi le dovute
modifiche, che consentano di restituire dignità all'impresa e
che riconoscano finalmente a quest'ultima e all'economia di
mercato il ruolo di veri e propri motori propulsivi e dunque
di protagonisti della vita economica e sociale del nostro
Paese.