XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 2322
Onorevoli Colleghi! - Il passaggio dalla concezione
della selvaggina quale res nullius a quella di fauna
selvatica costituente patrimonio indisponibile dello Stato
contenuta nell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1977, n.
968, e successivamente ribadita dall'articolo 1 della legge 11
febbraio 1992, n. 157, configura un nuovo tipo di proprietà da
parte dello Stato sulla fauna selvatica vivente in libertà;
una proprietà, senza possibilità di effettivo possesso.
Difatti, la legge n. 968 del 1977 e successivamente la
legge n. 157 del 1992, nel prevedere che la fauna selvatica fa
parte del patrimonio indisponibile dello Stato avrebbero
dovuto comportare la proprietà di tale fauna in capo alla
pubblica amministrazione, con conseguente applicabilità
dell'articolo 2052 del codice civile, atteso che il fondamento
della responsabilità per il danno cagionato da animali risiede
nel concetto di utilità che il proprietario o chi se ne serve
ritrae dall'animale.
Invero, allo stato sussiste una disparità di trattamento
tra il privato proprietario di un animale, il quale è
responsabile ai sensi dell'articolo 2052 del codice civile,
salvo che provi il caso fortuito, e la pubblica
amministrazione, pure proprietaria della fauna selvatica, che
di fatto è esonerata dal risarcimento dei danni de
quibus in quanto, in virtù di una sorta di privilegio, non
è tenuta ad alcun obbligo di sorveglianza sulla fauna
selvatica, in quanto alla medesima si applica l'articolo 2043
del codice civile.
E' pacifico pertanto, che l'ordinamento giuridico, allo
stato attuale, non presenta una sufficiente tutela del
soggetto che abbia subito danni dalla selvaggina.
In altri termini, all'acquisto della fauna al patrimonio
indisponibile dello Stato non corrisponde pure l'acquisto di
un potere di governo sugli animali stessi, potere che
costituirebbe il fondamento dell'articolo 2052 del codice
civile (soluzione questa, avanzata da alcune pronunce
giurisprudenziali di merito, secondo le quali l'articolo 2052
del codice civile è senz'altro applicabile agli animali
selvatici, e che la pubblica amministrazione sarà da
considerare proprietaria e custode di tutte le specie protette
esistenti sul territorio).
L'applicabilità anche agli animali selvatici delle
disposizioni di cui all'articolo 2052 del codice civile riceve
il consenso della migliore dottrina giuridica, la quale
ritiene che l'esclusione dell'applicabilità della norma ai
casi di specie, è, in realtà, un privilegio del tutto
ingiustificato a favore della pubblica amministrazione.
Difatti, lo Stato risulta l'unico proprietario, nel nostro
ordinamento, che non risponde dei danni arrecati dall'animale
proprio secondo il criterio di imputazione della
responsabilità prevista dall'articolo 2052 del codice civile,
ma risponde dei danni cagionati da animali selvatici
esclusivamente ai sensi dell'articolo 2043 del codice
medesimo.
Da tale situazione, accade così che le richieste dei
cittadini al risarcimento dei danni cagionati ai veicoli
scontratisi con animali selvatici di proprietà dello Stato
rimangono inevase in quanto la pubblica amministrazione
dichiara che sul luogo e al momento dell'incidente erano
apposti ai margini della strada, a distanze intervallate, i
cartelli stradali di pericolo.
Tale escamotage, in applicazione dei criteri
previsti dall'articolo 2043 del codice civile in base al
principio del neminem laedere, comporta per il cittadino
oltre al danno (veicolo danneggiato), la beffa
(l'impossibilità dello stesso di ottenere il risarcimento
oltre al dovere di corrispondere le eventuali spese di causa).
Invero, la stessa giurisprudenza di merito intervenuta sul
punto, nonché la stessa dottrina ha ritenuto che integra gli
estremi "dell'insidia" e "del trabocchetto" l'attraversamento
improvviso da parte di un animale selvatico di un tratto
stradale caratterizzato dalla presenza di varia selvaggina.
E' evidente che l'elemento soggettivo dell'insidia, ai
fini della sussistenza della responsabilità extracontrattuale
della pubblica amministrazione nei confronti dell'utente di
opere pubbliche, concretantesi nella non prevedibilità del
pericolo, non è a priori escluso dalla consapevolezza
dell'esistenza dello stesso, essendo necessario l'accertamento
in concreto della rappresentazione psicologica dell'ubicazione
del punto pericoloso.
Cartelli di segnale di pericolo per attraversamento di
animali selvatici sono oramai "piazzati" in ogni strada, sia
di montagna che di pianura, e pertanto sono oramai da
ritenersi inutili.
L'avere "messo" dei cartelli segnaletici non è sufficiente
pertanto a liberarsi da responsabilità dal momento che la
consapevolezza dell'esistenza di un pericolo e della sua
natura non fa venire necessariamente meno l'estremo della
imprevedibilità, propria dell'insidia, giacché non esclude
che, in concreto, appunto per il carattere obiettivo
dell'invisibilità insita nel trabocchetto, possa determinarsi
in chi è conscio del pericolo una rappresentazione dei luoghi
diversa da quella reale, con conseguente errore circa l'esatta
ubicazione del punto pericoloso.
Un segnale di caduta massi può rendere esente la pubblica
amministrazione da danni, dal momento che l'utente della
strada è a perfetta conoscenza del luogo del pericolo, ma
mettere segnali stradali di pericolo daini ad intervalli
(dimostrando con ciò la non esatta ubicazione del pericolo),
non può esimere la medesima dal risarcire danni a terzi.
La disparità di trattamento è ancor più evidente, ove si
consideri che la legge n. 968 del 1977 e, successivamente, la
legge n. 157 del 1992 hanno previsto un ambito di
risarcibilità dei danni provocati da animali selvatici
all'agricoltura, il che rileva, ai fini della presentazione
della presente proposta di legge, non tanto perché da tali
previsioni possa direttamente derivare la risarcibilità di
quelli estranei all'agricoltura, quanto perché la previsione è
ovviamente collegata alla condizione dello Stato di
proprietario degli animali stessi.
Da questo punto può ulteriormente argomentarsi, a
contrario, che la previsione esplicita della risarcibilità di
un genere di danni non può servire per escludere quella dei
danni di genere diverso, come nel caso di danno ad
autoveicoli.
Pertanto, mentre il conduttore di attività agricola
sarebbe esentato dal provare la responsabilità della pubblica
amministrazione per ottenere il risarcimento del danno
prodotto da animali selvatici, il singolo danneggiato dagli
stessi animali, invece, dovrebbe fornire tale prova.
Tale situazione è ancora più irragionevole, tenuto conto
che il presente momento storico è caratterizzato da una
massiccia immissione di animali selvatici, specie nei parchi
naturali, con forte incremento di incidenti stradali e danni a
terzi.
In definitiva, la presente proposta di legge si pone
l'obiettivo di superare l'attuale situazione anomala,
prevedendo che la responsabilità aquiliana della pubblica
amministrazione per danni causati ai veicoli della fauna
protetta di proprietà della stessa discenda dall'articolo 2052
del codice civile, secondo cui "il proprietario di un animale
o che se ne serve per il tempo in cui l'ha in uso, è
responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse
sotto custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che
provi il caso fortuito".