XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 2228
Onorevoli Colleghi! - I derivati della pianta
"cannabis indica" sono stati utilizzati, sin
dall'antichità, quale rimedio naturale per diverse malattie:
li troviamo citati per la prima volta per il trattamento di
"disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e
debolezza mentale", nel Pen Ts'ao, un testo di medicina
cinese che ci è giunto in una copia del I secolo dopo Cristo e
che è tradizionalmente attribuito all'imperatore Shen Nung
(III millennio avanti Cristo).
Citati in testi europei fin dal 1600 (Robert Burton,
The Anatomy of Melancholy, 1621), i preparati a base di
"cannabis indica" furono ufficialmente adottati dalla
medicina occidentale nel corso del XIX secolo
(W.B.O''Shaughnessy, 1839) per le loro proprietà antiemetiche,
analgesiche e anticonvulsivanti.
Preparati a base di "cannabis indica" si trovavano
sugli scaffali della gran parte delle farmacie, in Europa come
negli Stati Uniti d'America (USA), sino alla seconda guerra
mondiale e oltre.
Tuttavia, a seguito della proibizione negli USA (1937),
questa pianta, ricca di princìpi farmacologicamente attivi ed
etichettata ormai come "droga", cadde in pochi anni in disuso
anche a fini medici; e - a seguito, tra l'altro, del
tumultuoso sviluppo di nuovi farmaci di sintesi, che in un
certo senso bloccò la ricerca scientifica sui farmaci
tradizionali di origine vegetale - scomparve dalle farmacopee
dei maggiori Paesi occidentali.
A decorrere dagli anni ottanta si è assistito a un ritorno
di interesse scientifico per queste sostanze, legato
soprattutto alla scoperta del cosiddetto "sistema cannabinoide
endogeno". Sono stati dapprima (1990) scoperti, nel nostro
organismo, recettori capaci di legarsi con il
tetraidrocannabinolo (THC), il fondamentale principio attivo
della "cannabis indica", e si è arrivati successivamente
(1992) a isolare il primo "cannabinoide endogeno" capace di
legarsi ai suddetti recettori, un derivato dell'acido
arachidonico, a cui fu dato il nome di anandamide. Queste
scoperte hanno dato vita a una notevole attività di ricerca
scientifica, che ha portato a una rivalutazione del potenziale
ruolo terapeutico dei cannabinoidi.
Allo stato attuale, le ricerche scientifiche sugli effetti
terapeutici dei derivati della "cannabis indica" sono
tutt'altro che concluse e i loro risultati sono tutt'altro che
definitivi. E' auspicabile, pertanto, che le ricerche
continuino e che si sviluppino anche nel nostro Paese: ma i
risultati finora acquisiti sono già assai significativi. Uno
dei maggiori campi di utilizzo è il trattamento della profonda
nausea e del vomito incontrollabile conseguenti alla
chemioterapia antitumorale: sono stati effettuati numerosi
studi clinici controllati (in doppio cieco, contro placebo),
che hanno documentato la maggiore efficacia del THC rispetto
alle terapie tradizionali.
Altro campo di utilizzo in cui vi è una provata efficacia,
documentata da numerosi studi clinici controllati, è quello
della stimolazione dell'appetito nei pazienti con sindrome da
deperimento causata dall'AIDS.
A seguito di tali evidenze scientifiche in parecchi Paesi,
tra i quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania,
l'Olanda e Israele, si è arrivati all'inserimento nel
prontuario farmaceutico di cannabinoidi sintetici (dronabinol
e nabilone), liberamente prescrivibili per il trattamento
delle suddette patologie.
Vi sono, poi, numerose altre patologie per le quali
convincenti evidenze preliminari hanno portato alla
progettazione di studi clinici controllati, molti dei quali in
corso.
E' il caso della sclerosi multipla, patologia nella quale
i cannabinoidi sembrerebbero in grado di dominare gli spasmi
muscolari. Risultati preliminari molto incoraggianti,
pubblicati su prestigiose riviste scientifiche, hanno portato
all'autorizzazione di studi clinici controllati, attualmente
in corso in Gran Bretagna, in Germania e negli USA. Esistono
anche segnalazioni di benèfici effetti sugli spasmi muscolari
secondari a lesioni traumatiche del midollo spinale.
I cannabinoidi, in particolare il cannabidiolo, hanno
evidenziato notevoli proprietà anti-infiammatorie, e sono in
corso studi controllati sul loro utilizzo nell'artrite
reumatoide, una grave malattia autoimmune che in molti casi
diventa seriamente invalidante.
Un altro campo molto promettente è quello della terapia
del dolore, in cui la "cannabis indica" o i suoi
derivati potrebbero proporsi, in casi particolari, come
alternativa agli analgesici oggi disponibili, compresi gli
oppioidi. Le proprietà analgesiche, già note ai medici del XIX
secolo, sono state recentemente analizzate dalla letteratura
scientifica internazionale, portando alla realizzazione di
studi clinici controllati anche in questo campo.
Una grande attenzione è stata dedicata negli ultimi tempi
alle proprietà neuroprotettive dei cannabinoidi. Come ha
dimostrato un recente studio, cui hanno collaborato anche
ricercatori italiani, essi agiscono come potenti agenti
antiossidanti, in grado di neutralizzare le sostanze ossidanti
nocive che si sviluppano, a livello cerebrale, in caso di
trauma cranico o di ictus. Questi risultati, ottenuti in
laboratorio, hanno avuto una prima conferma da uno studio
clinico compiuto in Israele su pazienti con trauma cranico.
Futuri campi d'impiego potrebbero essere le patologie
neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer e il morbo di
Parkinson, ma per queste applicazioni servono ulteriori
verifiche cliniche.
Nei malati di glaucoma, una patologia connotata, tra
l'altro, da un aumento della pressione intraoculare che può
condurre alla cecità, ci sono numerose evidenze aneddotiche
che il delta-9-THC possa ridurre la pressione intraoculare.
Tali evidenze hanno avuto il conforto di uno studio clinico in
doppio cieco di piccole dimensioni.
Le proprietà anticonvulsivanti dei derivati della
"cannabis indica" sono testimoniate da alcuni studi su
animali nonché da esperienze aneddotiche di malati di
epilessia, che testimoniano una riduzione delle crisi e del
fabbisogno di farmaci. Mancano però, a tutt'oggi, studi
clinici controllati di significative dimensioni.
Il fatto che la "cannabis indica" sia un efficace
broncodilatatore è noto da tempo, ma il suo potenziale
utilizzo terapeutico nei soggetti asmatici è stato sinora
limitato dalla mancanza di una via di somministrazione
adeguata. Lo sviluppo delle ricerche su derivati assumibili
per aerosol potrebbe aprire la strada anche a questa
utilizzazione.
Interessanti informazioni sui potenziali effetti
antipertensivi potrebbero venire da ricerche in corso presso
la University of Nottingham Medical School (Gran
Bretagna) sugli effetti degli endocannabinoidi sulla
circolazione sanguigna. Partendo dalla constatazione che gli
endocannabinoidi endogeni hanno mostrato di possedere effetti
ipotensivi, i ricercatori britannici stanno valutando il
possibile impiego terapeutico di tale acquisizione.
La recente segnalazione, al congresso della Società
italiana per lo studio dell'arteriosclerosi, di un possibile
effetto antiarteriosclerotico accentua ulteriormente
l'interesse per un possibile impiego di queste sostanze in
campo cardiovascolare.
Un ulteriore potenziale campo di utilizzo potrebbe essere
quello della terapia dei tumori. Alla recente dimostrazione
dell'efficacia degli endocannabinoidi nell'inibire la
proliferazione del tumore della mammella, opera di un gruppo
di ricercatori italiani, si è aggiunta la segnalazione di
alcuni ricercatori spagnoli, i quali hanno evidenziato come il
delta-9-THC è in grado di produrre la morte delle cellule dei
gliomi cerebrali, una varietà molto aggressiva di tumore
cerebrale. In entrambi i casi si tratta, è il caso di
sottolinearlo, di dati ottenuti in vitro, ma che aprono
la strada a interessanti filoni di ricerca per possibili
impieghi terapeutici nell'uomo.
Infine, pur riconoscendosi la necessità di ulteriori
ricerche tossicologiche, non è possibile trascurare il dato
empirico della scarsissima tossicità acuta e cronica della
"cannabis indica", non esistono, infatti, casi di morte
documentati, anche a seguito di abuso, e gli studi finora
effettuati su consumatori cronici non hanno evidenziato
effetti tossici significativi a carico di alcun organo o
apparato.
L'insieme di queste evidenze ha portato autorevoli
istituzioni scientifiche quali la British Medical
Association, l'Institute of Medicine della National Academy of
Science (USA) e il Committee on Science and Technology
della Camera dei Lord britannica, a esprimersi
favorevolmente rispetto all'uso terapeutico dei cannabinoidi,
raccomandando una modifica in tal senso delle normative dei
rispettivi Paesi e promuovendo ulteriori ricerche in questo
campo.
E' opportuno ricordare che la presente proposta di legge
si informa al pieno rispetto della normativa internazionale,
in particolare alla convenzione unica sugli stupefacenti,
adottata a New York il 30 marzo 1961, resa esecutiva
dall'ordinamento italiano con la legge 5 giugno 1974, n. 412,
la quale nel Preambolo recita: "Le Parti (...) Riconoscendo
che l'uso medico degli stupefacenti è indispensabile al fine
di alleviare il dolore e che le misure dovute devono essere
prese al fine di assicurare che gli stupefacenti siano
disponibili a tale scopo (...) Desiderose di concludere una
convenzione internazionale accettabile da tutti, diretta a
sostituire la maggior parte dei trattati esistenti relativi
agli stupefacenti, limitando l'uso degli stupefacenti a fini
medici e scientifici e stabilendo una costante cooperazione
internazionale per rendere operanti tali principi e
raggiungere tali fini (...)".
All'articolo 4, la convenzione enuncia che: "Le Parti
adotteranno le misure legislative e amministrative che si
renderanno necessarie: (...) c) salvo le disposizioni
della presente convenzione, per limitare esclusivamente a fini
medici e scientifici la produzione, la fabbricazione,
l'esportazione, l'importazione, la distribuzione, il
commercio, l'uso e la detenzione di stupefacenti".
Essa prevede, inoltre, all'articolo 28, paragrafo 1, che:
"Se una Parte autorizza la coltivazione della pianta di
cannabis per la produzione di cannabis o della
resina della cannabis dovrà applicare il regime di
controllo previsto dall'articolo 23 per quel che è disposto
per il controllo del papavero da oppio".
Anche la convenzione sulle sostanze psicotrope, adottata a
Vienna il 21 febbraio 1971, resa esecutiva dal nostro Paese
dalla legge 25 maggio 1981, n. 385, enuncia nel Preambolo che:
"Le Parti, (...) Riconoscendo che l'uso delle sostanze
psicotrope a fini medici e scientifici è indispensabile e che
la possibilità di procurarsi delle sostanze a tali fini non
dovrebbe essere oggetto di alcuna restrizione ingiustificata
(...)".
Detta convenzione iscrive nella tabella I, al numero 10, i
"tetraidrocannabinoli, tutti gli isomeri" fornendo la seguente
denominazione chimica: "1-idrossi-3-pentil-6^, 7, 10,
10^-tetraidro-6, 6, 9-trimetil-6-H-dibenzo (b, d) pirano".
All'articolo 7, paragrafo 1, lettera a), la medesima
convenzione, recita: "In merito alle sostanze della Tabella I,
le Parti dovranno:
a) proibire qualunque utilizzazione di tali
sostanze, salvo a fini scientifici o medici molto limitati da
parte di soggetti debitamente autorizzati che operano in enti
medici o scientifici dipendenti direttamente dai loro Governi
o espressamente autorizzati dagli stessi; (...)".
Anche la normativa nazionale depone nello stesso senso.
L'articolo 72 del testo unico relativo alle sostanze
stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica
n. 309 del 1990, prevede che: "E' consentito l'uso terapeutico
di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o
psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di
cura in relazione alle particolari condizioni patalogiche del
soggetto".
L'articolo 43 del medesimo testo unico prevede che i
medici possano prescrivere, fra l'altro, sostanze di cui alle
tabelle I, che al numero 6 comprende i tetraidrocannabinoli e
i loro analoghi, e II (cannabis indica e sue
preparazioni) previste dall'articolo 14 ed elenca le relative
modalità.
L'articolo 27 del citato testo unico disciplina le
formalità necessarie per richiedere l'autorizzazione alla
coltivazione di stupefacenti ad enti ed imprese che intendano
impiegare e commerciare all'ingrosso stupefacenti per fini
medici.
La "cannabis indica" nelle forme di foglie, olio e
resina è anche elencata nella tabella 2, che è compresa
all'interno della tabella VII della X edizione della
"Farmacopea ufficiale" (decreto del Ministro della sanità 9
ottobre 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 266
del 13 novembre 1998).
La proposta di legge intende promuovere la diffusione di
informazioni rivolte ai medici, mirate all'impiego appropriato
dei farmaci contenenti i princìpi attivi della pianta
"cannabis indica", a fronte delle attuali evidenze
scientifiche acquisite. Essa intende inoltre facilitare la
prescrivibilità dei farmaci a base di "cannabis indica",
in quanto la normativa vigente, attraverso complicate
procedure, non consente di fatto alle persone ammalate la
possibilità di poter fruire dei farmaci contenenti i princìpi
attivi della "cannabis indica".
Ciò confligge apertamente anche con quanto affermato dai
Preamboli delle citate convenzioni di New York (resa esecutiva
con legge n. 412 del 1974) e di Vienna (resa esecutiva con
legge n. 385 del 1981).
Questa situazione è ormai inaccettabile. E' grave che
persone sofferenti siano esposte al rischio di subire sanzioni
per essersi procurate - non avendo altra scelta - illegalmente
una sostanza a fini terapeutici.
Una disposizione di legge che ammetta di diritto, ma neghi
o renda difficoltosa di fatto, la disponibilità legale di
farmaci per persone che soffrono, non è affatto rispettosa del
principio personalistico solennemente sancito nella
Costituzione all'articolo 2 e ribadito all'articolo 32, primo
comma, dove si enuncia: "La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo (...)". E' di tutta
evidenza che tale disposizione riconosce come pienamente
legittimo il diritto del cittadino di ottenere realmente
farmaci - attraverso canali legali - volti alla cura della
malattia, o comunque al lenimento delle proprie sofferenze.
La presente proposta di legge intende inoltre abrogare il
reato previsto dall'articolo 83 (Prescrizioni abusive)
del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990. In questo modo da un lato si vuole
porre una netta distinzione fra l'errore professionale del
medico e le fattispecie ben più gravi previste dall'articolo
73 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti
psicotrope), che rimarrebbero in vigore. Dall'altro si
vuole restituire al medico libertà terapeutica, garanzia di
prescrizione e dignità professionale, anche nel caso di
trattamento oggetto di discussione scientifica, possibilità
che deve essere riconosciuta al sanitario nell'esercizio della
propria professione al riparo da sanzioni.
Deve competere infatti solo al medico, sulla base delle
proprie conoscenze ed esperienze, prescrivere il farmaco più
adatto ed opportuno per la terapia del singolo paziente.
Peraltro il reato in parola si è prestato ad
interpretazioni molto discutibili. Vi sono stati numerosi
medici, anche specialisti operanti nei servizi per la
tossicodipendenze, condannati per prescrizioni reputate
"abusive" essenzialmente per incompetenza o
disinformazione.
L'abrogazione del reato di prescrizione abusiva di cui al
vigente articolo 83 del citato testo unico non mira a fornire
impunità per gli errori dei medici ma solamente intende porre
una necessaria distinzione tra l'errore tecnico-professionale
del sanitario e la cessione di stupefacenti, condotte che non
possono essere sanzionate nello stesso modo.
L'esistenza di tale reato ha prodotto nella classe medica
un comprensibile timore nella prescrizione di farmaci
stupefacenti, per cui il loro utilizzo si è contratto in
maniera abnorme provocando situazioni di indicibile sofferenza
per i malati e per le loro famiglie.
Le virtù terapeutiche della "cannabis indica" hanno
indotto lo Stato del Canada ad approvare un provvedimento
legislativo chiamato "Marijuana Medical Access
Regulations" ed entrato in vigore in data 14 luglio 2001.
Tale provvedimento consentirà l'uso di "cannabis indica"
sotto rigoroso controllo medico, a persone che versano in
gravi condizioni di salute. La sostanza potrà essere
utilizzata per il trattamento di nausea e vomito conseguenti
alle terapie antitumorali e anti-AIDS, come stimolante per
l'appetito nei pazienti con sindrome da deperimento da AIDS,
per la riduzione degli spasmi in pazienti affetti da sclerosi
multipla e per ridurre la frequenza delle crisi nei pazienti
affetti da epilessia, includendo i malati terminali, nei casi
in cui i trattamenti convenzionali non riescono a dare
sollievo.
Al momento non esiste nessun coltivatore di "cannabis
indica" autorizzato in Italia. Questa situazione è data del
fatto che la vigente formulazione dell'articolo 26
(Coltivazioni e produzioni vietate) del citato testo
unico ha dato luogo ad equivoci interpretativi, in quanto esso
sembra autorizzare - secondo il comma 1 - alla coltivazione di
"piante di coca di qualsiasi specie, di piante di canapa
indiana, di funghi allucinogeni e delle specie di papavero
(papaver somniferum) (...)" esclusivamente - secondo la
lettera del comma 2 - "istituti universitari e laboratori
pubblici aventi fini istituzionali di ricerca" alla
coltivazione delle piante sopra indicate per scopi
scientifici, sperimentali o didattici". Tale articolo omette
stranamente di citare altri soggetti quali enti od imprese che
potrebbero ricevere, ai sensi degli articoli 16 (Elenco
delle imprese autorizzate), 17 (Obbligo di
autorizzazione), 27 (Autorizzazione alla
coltivazione), 31 (Quote di fabbricazione) e 32
(Autorizzazione alla fabbricazione), debita
autorizzazione per realizzare attività di coltivazione e di
fabbricazione relative alle sostanze citate.
Quanto sopra esposto ha determinato incertezze
interpretative per cui ad oggi non esiste nessun coltivatore
autorizzato a produrre legalmente per uso medico stupefacenti,
fra cui la "cannabis indica", nonostante vi fossero
soggetti che hanno avanzato richiesta di coltivare canapa
indiana destinando la produzione a fini medici nell'ambito
delle forme previste dalla legge.
L'articolo 1 della presente proposta di legge modifica la
vigente formulazione dell'articolo 26 del citato testo unico,
introducendo la disposizione per cui i soggetti che possono
ricevere l'autorizzazione alla coltivazione dal Ministro della
salute possono essere anche enti, imprese, istituiti
universitari e laboratori pubblici. L'articolo in oggetto
promuove, altresì, attraverso la Direzione generale della
valutazione dei medicinali e della farmacovigilanza del
Dipartimento della tutela della salute umana, della sanità
pubblica veterinaria e dei rapporti internazionali - Ministero
della salute, una specifica attività di informazione, rivolta
agli operatori sanitari, con l'obiettivo di far conoscere
l'impiego appropriato dei medicinali contenenti i princìpi
attivi della pianta "cannabis indica". Esso inoltre
disciplina le modalità di prescrizione dei farmaci contenenti
i derivati naturali e sintetici della pianta stessa,
semplificando le procedure per l'ottenimento dei farmaci.
L'articolo 2 abroga il reato previsto dall'articolo 83
(Prescrizioni abusive) del citato testo unico.
L'articolo 3 intende rendere concretamente disponibili
preparazioni medicinali a base di "cannabis indica" per
i soggetti che necessitano di essa attraverso un regolamento
emanato con decreto del Presidente della Repubblica, recante
norme sulla costituzione di aree coltivabili per fare fronte
al fabbisogno nazionale.
L'articolo 4 istituisce una commissione di esperti che
dovrà redigere un rapporto sullo stato delle conoscenze
medico-scientifiche relative ai cannabinoidi naturali e di
sintesi.
L'articolo 5 intende sancire il principio dello "stato di
necessità medica" secondo cui un soggetto che si è procurato
della "cannabis indica" per esclusivo uso terapeutico
non può essere soggetto a sanzioni.
L'articolo 6, inserisce nella vigente "Farmacopea
ufficiale" della Repubblica italiana i derivati della
"cannabis indica" "dronabinol" e "nabilone" contenuti in
farmaci acquistabili in numerosi Paesi europei ed
extra-europei.
La proposta di legge si caratterizza per tre elementi
costitutivi di forte presa valoriale:
1) la solidarietà;
2) la responsabilità;
3) la libertà.
Solidarietà, rispetto al mondo del dolore e della
sofferenza che merita una severa e concreta considerazione da
parte del legislatore.
Responsabilità, intesa come capacità della politica di
gestire con equilibrio, volontà e senza intenzioni speculative
e strumentali una vicenda tanto delicata.
Libertà, come valore supremo di identificazione nella
difesa dei diritti soggettivi, quale appunto è quello della
tutela della salute, ma anche libertà come capacità dello
Stato di coniugare laicità e sentimenti, senso religioso e
rispetto umano.
La presente proposta di legge riprende, in parte, il
disegno di legge presentato nella XIII legislatura del
senatore Luigi Manconi (Verdi) in data 28 novembre 2000, atto
Senato n. 4899.
Al presente testo hanno collaborato: Angelo Averni,
Claudio Cappuccino e Salvatore Grasso, membri del consiglio
direttivo dell'Associazione per la cannabis
terapeutica.