XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 1558
Onorevoli Colleghi! - Alla base della presente proposta
di legge è uno studio condotto dall'associazione "Crescere
insieme", (nella seconda metà degli anni novanta) che da tempo
opera a tutela dei diritti dei minori.
La necessità di intervento nella normativa che disciplina
l'affidamento dei figli minori di genitori separati nasce da
circostanze oggettive, che evidenziano un profondo e diffuso
malessere.
E' anzitutto da ricordare che la problematica investe un
elevatissimo numero di persone, essendo le coppie separate il
25 per cento circa e i relativi figli minori oltre un milione,
secondo i dati ISTAT del 1998. Questi, secondo la medesima
fonte e per lo stesso anno, nel 90,9 per cento dei casi sono
affidati alla madre, cifra che equivale al 100 per cento dei
casi normali, essendo la frazione di soluzioni diverse (il
padre, i nonni, eccetera) da attribuire a situazioni di
impossibilità o a gravi carenze materne (psicopatie, droga,
alcolismo, eccetera). C'è da aggiungere che la possibilità di
accesso per il padre, in questi affidamenti a un solo
genitore, è abitualmente limitata a un fine settimana
alternato e a quindici giorni in estate. In questa situazione,
che trasforma di fatto la separazione tra i genitori in
perdita per i figli del genitore non-affidatario (Barbagli,
Saraceno, "Separarsi in Italia", Bologna, Il Mulino,
1998), non può stupire che si riscontri un'altissima
percentuale di minori disadattati che, nei casi meno gravi,
necessitano di trattamenti di psicoterapia, per avere
sviluppato una condizione di dipendenza dalla madre e di
rifiuto nei confronti del padre. A ciò si aggiunge l'elevata
conflittualità tra gli ex-coniugi, per i quali frequentemente
ai motivi personali di rancore si sommano le tensioni per un
rapporto con i figli mal risolto per entrambi. In sostanza,
quindi, l'affidamento a un solo genitore, ben lungi dal
privilegiare gli interessi del minore, come pure si propone in
teoria la legge vigente (che riforma le norme del codice
civile in materia di diritto di famiglia, legge n. 151 del
1975), si dimostra funzionale, e perfettamente, solo agli
interessi di padri poco consapevoli e responsabili, che
chiudendo i rapporti con l'ex-coniuge pensano di non avere più
altro dovere verso i figli che la corresponsione di un
assegno, e di madri frustrate o morbosamente possessive che
intendono servirsi dei figli per consumare vendette nei
confronti dell'ex-marito.
A questi problemi, costanti in tutti i Paesi ove esistano
separazione e divorzio, si è da tempo cercato di dare risposta
mediante forme diverse di affidamento ad entrambi i genitori,
utilizzate in misura crescente praticamente in ogni parte
civilizzata del mondo. Ad esempio, in 16 Stati degli USA su
cinquanta la joint custody, non solo legal, ma
anche physical, è la possibilità che il giudice è
obbligato a considerare per prima, e solo nel caso che risulti
tecnicamente inapplicabile è autorizzato, motivatamente, a
ricorrere ad altre soluzioni. Per quanto riguarda, in
particolare, l'Europa, i più avanzati Paesi stanno modificando
uno dopo l'altro i propri ordinamenti giuridici per
riconoscere nell'affidamento a entrambi i genitori la
soluzione più idonea a salvaguardare l'interesse del minore.
Così hanno fatto la Spagna fino dal 1981, il Regno Unito
(Children Act del 14 ottobre 1991), la Francia (legge 8
gennaio 1993) e il Belgio (legge 13 aprile 1995) ove sono
state parificate totalmente per i genitori separati le
responsabilità educative e le possibilità di convivenza con i
figli. In questo modo l'Europa si sta adeguando alla
Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20
novembre 1989, resa esecutiva la legge n. 176 del 1991. Ciò
mentre la Germania ha addirittura sancito l'incostituzionalità
dell'affidamento a un solo genitore (sentenza del
Bundesverfassungsgericht del 3 novembre 1982) con
motivazioni perfettamente adattabili anche all'Italia, se si
rammenta il dettato della Costituzione all'articolo 30, primo
comma.
Per quanto riguarda, dunque, il nostro Paese, negli anni
settanta (legge n. 151 del 1975) fu introdotto l'affidamento
congiunto, un istituto che, come disse il senatore Lipari nel
presentarlo al Senato della Repubblica, si propone di superare
la deleteria divisione in genitori del quotidiano e genitori
del tempo libero. D'altra parte, il progressivo adeguamento
dell'ordinamento giuridico non solo al principio della parità
e delle pari opportunità, ma al concreto mutamento del
costume, può essere visto nel coerente succedersi di leggi e
sentenze volte a riconoscere la plausibilità e opportunità
pratica della paritetica utilizzazione delle risorse che l'uno
e l'altro dei genitori possono mettere a disposizione dei
figli, dall'estensione al padre del diritto di assentarsi dal
lavoro per malattia del figlio (legge n. 903 del 1977),
ampliato in seguito dalla Corte costituzionale (sentenze n. 1
del 1987 e n. 341 del 1991) fino al riconoscimento del diritto
ai riposi giornalieri per l'assistenza al figlio nel suo primo
anno di vita (sentenza n. 179 del 1993).
Analogamente, si sarebbe quindi dovuto osservare un sempre
più frequente ricorso all'affidamento congiunto nelle cause di
separazione e divorzio. Ciò, viceversa, non solo non è
avvenuto, ma l'affidamento congiunto è stato ignorato a tal
punto che la sua esistenza nel nostro ordinamento è stata
vista da alcuni come una mera finzione giuridica (Canova,
Grasso; in Diritto di famiglia e delle persone, Milano,
Giuffré, 1991); ciò per favorire una soluzione, quella
monogenitoriale, che, oltre tutto, disattende completamente
l'articolo 30, primo comma, della Costituzione, secondo cui il
diritto-dovere di ciascuno dei genitori verso i figli non si
esaurisce con il mantenimento economico, ma si estende ai ben
più importanti compiti di educazione e istruzione: e non si
può certo sostenere che "vigilare sull'educazione" sia uguale
a educare.
Una analisi delle modalità secondo le quali è assunta la
decisione dell'affidamento mostra che indubbiamente alla
procedura va attribuita una buona parte delle responsabilità
della situazione attuale. Infatti, in sostanza l'affidamento
viene oggi stabilito nella rapidissima udienza presidenziale,
nella quale il magistrato non ha ancora elementi di giudizio
per scegliere consapevolmente entro l'intera gamma di
possibilità offerte dalla legge e quindi si affida alla
tradizione, consegnando quasi sempre, come detto, i figli alla
sola madre; né serve che tale provvedimento sia provvisorio,
perché anche quando, al termine di un giudizio, si conclude
che sarebbe stata preferibile una soluzione diversa, essendo
ormai passato molto tempo si finisce per lasciare le cose come
stanno per evitare di turbare nuovamente i figli. Né appare
convincente la giustificazione ufficiale del modo di operare
descritto, che riposa nella cosiddetta "dottrina della tenera
età" secondo cui, essendo i figli piccolissimi al momento
della separazione, si deve tener conto del fatto che il
"cordone ombelicale" con la madre non è ancora stato tagliato.
La falsità di tale concetto è infatti chiaramente evidenziata
dalle statistiche ufficiali: ad esempio, i dati ISTAT 1998
attestano che quasi il 90 per cento dei figli al momento della
separazione è di età superiore ai dieci anni. Lo stesso errato
presupposto è utilizzato da una antiquata dottrina che ha
avuto ampio seguito (Trabucchi, Rivista di Diritto
Civile, II semestre 1987, p. 134) laddove si sostiene che
l'affidamento a entrambi i genitori non è consigliabile perché
il "bimbo" ha bisogno di sentirsi protetto entro un unico
"nido", ove sarà orientato in modo univoco, e quindi bene; a
dispetto anche dell'universale riconoscimento della funzione
educativa della pluralità delle idee nonché dell'ovvia
considerazione che si è minori fino a diciotto anni di età e
quindi il "bimbo" attraverserà sicuramente età nelle quali la
mancanza del padre gli risulterà gravissima.
Forse, tuttavia, se l'affidamento congiunto ha incontrato
scarsissima fortuna in Italia è stato in larga misura a causa
della chiave di lettura che esso ha avuto da noi (di tale
istituto, infatti, esistono versioni che variano da un
ordinamento giuridico all'altro). Orbene, nei rarissimi casi
in cui è stato sperimentato, lo si è inteso come "esercizio
congiunto della potestà", nel senso che anche le decisioni su
questioni di minimo rilievo devono avere il nulla osta
contemporaneo di entrambi i genitori; e si è così andati
incontro a frequenti fallimenti del tutto scontati. Inoltre,
questa lettura strettamente associativa dell'affidamento
congiunto ha fatto sì che una bassissima conflittualità ne
fosse indispensabile premessa, rendendo con ciò effettivamente
l'istituto un inutile artificio giuridico, poichè ovviamente
in tale ipotesi funziona bene qualunque soluzione. Perciò
spesso psicologi e sociologi, pur considerando l'affidamento
congiunto la soluzione ottimale, hanno concluso le loro
analisi esprimendo il rammarico per la sua scarsa
applicabilità, una riserva legata solo al modo di intendere
l'istituto in Italia, che a volte ha creato malintesi e li ha
fatti considerare, a torto, come avversari dell'affidamento
congiunto. Ecco perché nel presentare una nuova proposta di
legge è apparso indispensabile abbandonare questo termine
sostituendolo con espressioni di non equivoca
interpretazione.
In definitiva, constatate le oggettive difficoltà, legate
a tempi, procedure e contenuti, che portano i magistrati a
ripetere costantemente le medesime infelici formule, si è
ritenuto opportuno alleggerirne il compito trasferendo presso
appositi centri di mediazione quegli aspetti che non hanno
nulla di giuridico - come il tentativo di riconciliazione e
l'individuazione delle più corrette modalità per realizzare un
nuovo assetto familiare - nonché, fondamentalmente, eliminando
il problema della scelta del genitore più idoneo ad essere
unico affidatario - nella convinzione che i genitori sono
entrambi necessari ai figli per una crescita armoniosa e che
quella conflittualità così spesso invocata per giustificare la
soluzione monogenitoriale è invece la conseguenza di essa
(Ronfani, Sociologia del diritto, n. 3, 1989, p. 102),
viste le abissali differenze di possibilità oggi stabilite tra
affidatario e non. Ciò spiega la non casuale rigidità con la
quale è stato privilegiato l'affidamento dei figli a entrambi
i genitori - con parallela drastica riduzione dei margini di
aleatorietà dei procedimenti giudiziali - rigidità alla quale
hanno del resto contribuito altre rilevanti considerazioni di
opportunità, come la convinzione che essere sicuri fin
dall'inizio che rispetto ai figli la conclusione sarà equa non
può che facilitare il raggiungimento di accordi anche sulle
altre questioni, evitando quella battaglia "a vincere" spesso
cara agli avvocati.
Centrale nella proposta di legge è infatti l'idea,
espressa in modo specifico nel nuovo articolo 155 del codice
civile, che la bigenitorialità non è solo una legittima
rivendicazione del genitore escluso dall'affidamento e
relegato alla mera funzione sostentatrice, ma un diritto
soggettivo del minore, da collocare nell'ambito dei diritti
della personalità. Di modo che per ciascuno dei genitori la
presenza nella vita dei figli non è più una facoltà che si può
non esercitare o di cui si può privare l'altro, ma un
diritto-dovere per il quale è prevista una tutela, se
minacciato, e al quale non ci si può sottrarre, ove faccia
comodo, come del resto è sancito dall'articolo 30, primo
comma, della Costituzione. Si è quindi elaborata una normativa
che garantisse l'effettività di questa fondamentale
affermazione in una dimensione non meramente programmatica,
bensì immediatamente precettiva.
Lo strumento giuridico adatto per lo scopo citato è stato
visto nell'affidamento a entrambi i genitori (articolo 155,
secondo comma), coerentemente configurato quale soluzione
principale e ordinaria, e non più meramente residuale rispetto
all'affidamento monogenitoriale, nonché irrinunciabile quando
ne sussiste l'applicabilità (terzo comma). Per evitare gli
equivoci che affliggono l'affidamento congiunto ci si è dunque
voluti ispirare al civilissimo modello svedese, sottolineando
che i genitori "restano" responsabili a vita nei confronti dei
figli, a prescindere dall'evoluzione dei loro rapporti
interpersonali. Nella proposta di legge, quindi, si intende
che solo le decisioni più importanti, come la scelta del
medico o della scuola, siano obbligatoriamente congiunte (come
già avviene ora anche per l'affidamento esclusivo), ma che per
il resto il giudice valuti se il grado di conflittualità
esistente permette un esercizio congiunto della potestà
(articolo 155-bis, quarto comma), oppure conviene
assegnare a padre e madre compiti distinti, e quindi facoltà
decisionali separate (articolo 155-bis, quinto comma).
In questo modo si realizza comunque la naturale prosecuzione
del regime precedente alla separazione, eventualmente con una
alternanza nelle responsabilità che non è legata al calendario
(come nell'affidamento alternato), ma a specifiche attività o
momenti di vita (acquistare un oggetto, frequentare una
palestra), come avviene nella famiglia unita.
In altre parole, si è lasciato al giudice solo il compito
di stabilire come organizzare un nuovo sistema di vita nel
quale, pur essendoci una partizione tra padre e madre dei
momenti di convivenza, i ruoli rimangono intatti, nel rispetto
del dettato costituzionale delle pari opportunità e della
conservazione dei diritti-doveri, e soprattutto evitando di
mettere i figli in quella drammatica condizione di scelta tra
i due genitori che, come documentano innumerevoli studi sulle
psicopatologie, porta spesso gravi e irreversibili danni alla
loro personalità.
E' giusto, infine, mettere in evidenza, in una fase di
evoluzione della società in cui le preoccupazioni per le sorti
della famiglia diventano sempre più pressanti, che
l'affidamento a entrambi i genitori (all'opposto della
soluzione monogenitoriale) mantenendo gli ex-coniugi in
contatto per il fine educativo dei figli, senza vincitori né
vinti e quindi senza spirito di rivincita, crea le condizioni
ideali perché ogni minimo spiraglio per una riconciliazione
possa essere sfruttato.
L'articolo 155-bis prospetta le modalità pratiche di
una effettiva realizzazione dell'affidamento bigenitoriale,
pur salvaguardando le esigenze di semplicità di vita del
bambino. E' questo un punto nel quale è sembrato opportuno
dispiegare la massima flessibilità. In sostanza si riconosce
un ampio grado di libertà autorizzando una scelta caso per
caso delle soluzioni, ma si sottolinea che comunque dovrà
essere fatto ogni sforzo per mantenere ampi spazi ad entrambi
i genitori. In altre parole, ci sarà ancora un genitore
convivente e uno no, ma tutte le possibilità di contatto con i
figli da parte di quello non convivente dovranno essere
raccolte e utilizzate; ad esempio, non sarà più pensabile che
si rifiuti l'offerta da parte del genitore non convivente di
assumersi il compito di andare regolarmente a prendere il
figlio a scuola o in palestra, per accompagnarlo ove sia
fissato che vada.
D'altra parte, lo strumento fondamentale per assicurare
una effettiva e serena presenza di entrambi i genitori nella
vita dei figli è apparso il "mantenimento diretto", un altro
punto centrale della proposta di legge (articolo
155-bis, terzo comma). Si ritiene, cioè, indispensabile,
nel ripartire l'onere del mantenimento dei figli, attribuire a
ciascuno dei genitori distinti capitoli di spesa, conseguendo
così tutta una serie di vantaggi, che vanno dalla piacevole e
gratificante sensazione per il bambino che entrambi i genitori
si occupano di lui, alla eliminazione del meccanismo
dell'assegno, altamente conflittuale (Chambers, Rethinking
the substantive roles for custody disputes in Divorce, 83
Michigan Law Rev., p. 128, 1984), alla migliore
protezione della prole dai rischi di mancata assistenza
economica (Del Boca, Biblioteca della libertà, n. 101,
p. 107, 1988), alla garanzia per il genitore convivente di
poter dividere con l'altro anche il peso materiale
dell'allevamento dei figli, alla possibilità per il genitore
non convivente di prendersi anch'esso per qualche aspetto cura
diretta di essi e condividere momenti di scelta (quarto
comma). Naturalmente per poter attribuire ai genitori compiti
specifici (quinto comma) il tribunale utilizzerà quanto
riferito dai genitori stessi, in caso di accordo, o la
relazione del consultorio di cui all'articolo 155-ter,
in caso di disaccordo. Indubbiamente, sarebbe teoricamente
possibile attribuire poteri decisionali al genitore non
convivente anche con il meccanismo dell'assegno, ma si
consideri, poiché ogni decisione ha quasi sempre delle
implicazioni economiche, quanto sarebbe conflittuale che un
genitore decida e l'altro paghi.
In questa ottica l'articolo 155-ter si preoccupa di
fornire ai genitori, ove necessario, uno strumento per
impostare correttamente un nuovo tipo di vita familiare,
accettando i necessari sacrifici non tanto per venire incontro
ai desideri dell'altro, quanto per rispettare le esigenze del
bambino. E che l'interesse di quest'ultimo sia ora
effettivamente al primo posto è sottolineato dalla sua
presenza (con esclusione della sola prima infanzia) al momento
di stabilire il nuovo assetto familiare, non più per
rispondere ad assurde richieste di scelta tra un genitore e
l'altro, ma per partecipare, in un contesto non traumatico,
alla costruzione della sua futura giornata, suggerendo ciò che
per lui possa risultare più agevole o meno scomodo.
Il secondo comma, d'altra parte, introduce il fondamentale
concetto di "progetto educativo" con il quale, in caso di
disaccordo, ciascun genitore chiarisce secondo quali criteri
intende che sia regolata la vita dei figli, con particolare
riguardo alle possibilità pratiche che saranno date ad essi di
fruire dell'apporto del genitore non convivente. In questo
modo sono messe a disposizione del giudice le informazioni
necessarie per effettuare una scelta consapevole nel caso in
cui, persistendo il disaccordo, ogni decisione sia rimessa a
lui. Informazioni che gli daranno anche la possibilità di
scoraggiare (terzo comma) atteggiamenti possessivi,
privilegiando per la convivenza il genitore più "corretto e
disponibile", meglio disposto a lasciare spazio all'altro e a
rispettare la figura e il ruolo, secondo un concetto già
entrato nella legislazione anglosassone, nonché secondo un
orientamento già da tempo affermato presso gli psicologi (vedi
ad esempio, Cigoli, Gulotta, Santi, Separazione, divorzio e
affidamento dei figli, Milano, Giuffré, 1983). Resta invece
fuori dell'intervento del consultorio la discussione degli
aspetti economici della separazione, in omaggio al principio
del rispetto delle competenze effettive di ciascuno, secondo
il quale il giudice non è uno psicologo, ma il mediatore non è
un giurista.
Quanto alla frequenza dell'intervento dei consultori per
spiegare e far capire ai genitori l'importanza e l'utilità
della presenza di entrambi per la crescita equilibrata dei
figli, è prevedibile che sia elevata in sede di prima
attuazione della legge, venendo da una lunghissima tradizione
monogenitoriale, ma che, evolvendo il costume, diventi sempre
più occasionale. Rimarrà, tuttavia, essenziale la funzione
preventiva dei centri rispetto alle separazioni, dovendo
questi essere intesi come strutture cui si potrà rivolgere in
ogni momento qualsiasi coppia in difficoltà. L'istituzione dei
centri, d'altra parte, soddisfa anche l'esigenza di affidare
un tentativo di riconciliazione tra i coniugi a personale con
preparazione specifica e con ampie disponibilità di tempo in
tutti quei casi in cui il giudice ne ravvisi la possibilità di
successo, come anticipato al secondo comma del nuovo articolo
155.
L'articolo 155-quater affronta il problema della
ineluttabilità o meno dell'affidamento bigenitoriale. Pur
essendo certamente auspicabile su di esso il consenso di
entrambi i genitori ed essendo certamente tenuto a lavorare a
tale scopo il consultorio di cui all'articolo 155-ter,
nello spirito dell'articolo 155 e per i motivi illustrati nel
commento all'articolo 155-bis, si è ritenuto giusto e
opportuno che non fosse condizione indispensabile e si è
limitata la soluzione monogenitoriale ai casi di vera
indegnità o incapacità di uno dei genitori, disincentivando i
tentativi di pretestuose e interessate opposizioni (secondo
comma).
E' interessante rammentare che si è sostenuto
(Scannicchio, Nuove leggi civili commentate, II semestre
1987, p. 972) per l'affidamento congiunto che esso, implicando
l'associazione dei genitori nell'esercizio della potestà, può
essere adottato solo se c'è accordo, e che la prima questione
sulla quale l'accordo deve esistere è l'adozione stessa
dell'affidamento congiunto. Di qui seguirebbe che esso non può
essere imposto, ma può essere disposto solo consensualmente.
Poiché la presente proposta di legge prevede anche l'esercizio
separato della potestà, l'obiezione potrebbe anche non essere
presa in considerazione. Può, tuttavia, essere comunque utile
far notare che è in realtà inconsistente, o al più
nominalistica. Infatti, già adesso sulle decisioni più
importanti è necessario l'accordo, anche quando l'affidamento
è a un solo genitore, quindi coerentemente si potrebbe
chiamare "congiunto" anche tale regime e rovesciare su di esso
l'obiezione di praticabilità solo consensuale: con molta
maggior ragione, visto che è certamente più giustificato
opporsi a una soluzione intrinsecamente iniqua (l'affidamento
esclusivo), che ostacolarne una equa.
L'articolo 155-quinquies, al primo comma, mira a
ricondurre l'assegnazione della casa coniugale all'esclusiva
funzionalità del nuovo assetto, eliminando la possibilità che
il continuare a fruire di essa perché si convive con i figli
comporti un vantaggio economico iniquo, visto che anche il
genitore abitualmente non convivente ha la necessità di
disporre di uguale spazio per ospitare i figli nei tempi
stabiliti, circostanza che oggi in pratica non viene mai
considerata, quasi nel presupposto che, intanto, il genitore
non affidatario finirà per sparire dalla vita dei figli. Il
vantaggio di questa precisazione (la valutazione economica
della disponibilità della casa) è particolarmente evidente ove
si pensi quanto spesso oggi si assista a false dispute
sull'affidamento dei figli che hanno in realtà come unico
scopo la conservazione dell'abitazione. Di particolare rilievo
è il caso in cui il genitore non convivente, oltre a
provvedere al mantenimento dei figli, debba anche
corrispondere all'altro un assegno personale e sia
proprietario della casa coniugale. In queste situazioni
l'elementare principio della valutazione del bene assegnato è
oggi quasi sempre disatteso, trovando solo sporadico
riconoscimento in alcune sentenze isolate della Corte di
cassazione, come l'importante sentenza a sezioni unite n.
11490 del 29 novembre 1990, dalla lunga e articolata
motivazione. Si è perciò ritenuto necessario proporne con
forza il definitivo riconoscimento legislativo.
Il secondo comma affronta il problema del trasferimento di
uno dei genitori in località remota, che nella situazione
attuale viene spesso deliberatamente cercato dall'uno o
dall'altro soltanto per tagliare del tutto i ponti con il
proprio passato, in totale contrasto con le esigenze dei figli
di restare legati ad esso. Aderendo ad una specifica richiesta
avanzata da figli di separati, che hanno lamentato questa
crescita artificiosa del proprio disagio, si è inteso dare una
indicazione di principio affermando che, pur nel rispetto
della libertà di movimento dei cittadini, in assenza di motivi
di forza maggiore questa operazione deve essere scoraggiata,
in nome del prevalente interesse del minore. Ad esempio,
potrebbe essere stabilito preventivamente che il minore
risieda di preferenza presso il genitore che non si sposta.
Con l'articolo 155-sexies si intende dare
indicazioni sulla corretta impostazione dei rapporti nella
famiglia separata. Sicuramente si tratta di un problema
culturale. La prassi attuale, che per evitare ogni contrasto
tra i genitori separati semplicisticamente toglie la parola a
uno di essi, trova la propria giustificazione nel principio
che ai figli giovi ricevere una educazione monocorde ("unicità
del modello educativo") e che si debba evitare che un bambino
frequenti pariteticamente i due genitori perché in tale modo
riceverebbe messaggi confusi. Prescindendo dal fatto che
appare altamente opinabile che il danno di perdere un
genitore, inevitabilmente legato all'affidamento esclusivo,
sia meno grave della ipotizzata confusione di idee, la
presente proposta di legge nasce invece nella convinzione che
per i figli sia forse addirittura vantaggioso ascoltare più
opinioni e confrontare idee e scelte di vita. Si può dare per
sicuro, infatti, che normalmente i motivi di divergenza che
hanno portato i coniugi alla rottura riguardavano i loro
caratteri e le loro persone e non certo il bene dei figli, del
quale sono entrambi ugualmente preoccupati. Può darsi
benissimo che vi siano tra loro differenze ideologiche o di
concezione e di stile di vita, ma non si comprende perché
caricare solo di valenze negative una circostanza che porta
invece con sé tanti vantaggi da essere, ad esempio, richiesta
alla scuola.
E si ritiene anche che l'attuale frequente aggressività
tra ex-coniugi sia in gran parte frutto di una visione
sbagliata del problema, generata e incoraggiata da quella
stessa prassi che, preoccupandosi primariamente dei poteri dei
genitori, li fa sentire protagonisti e non mette adeguatamente
l'accento sul loro dovere di evitare certi comportamenti
perché lesivi dell'interesse del minore, e a tale punto da
essere perseguibili. In altre parole, le indicazioni date
dall'articolo 155-sexies suonano certo come pura utopia
nella cultura attuale, ma non all'interno della normativa qui
proposta, perché per i genitori è ben diverso operare
nell'ambito di una giurisprudenza che più o meno velatamente
autorizza a considerare "indebita ingerenza" ogni forma di
partecipazione del genitore non affidatario alla vita dei
figli (Scannicchio, op. cit.) e la scoraggia, o sapendo che
dalla legge questa partecipazione è ricercata e protetta. In
particolare, aver posto il diritto del minore alla
bigenitorialità quale elemento centrale e portante della nuova
normativa comporta un adeguamento delle tecniche di sanzione
dei comportamenti con i quali uno dei genitori cerchi di
impedire o pregiudicare i rapporti con l'altro. Tali
comportamenti non configurano più la mera violazione, oggi per
altro solo blandamente sanzionata, di un obbligo di carattere
non patrimoniale nei confronti dell'altro genitore, bensì un
vero e proprio illecito a danno del minore, e ciò porta ad
applicare i tradizionali strumenti civilistici a tutela del
diritto soggettivo leso dall'altrui comportamento doloso o
colposo:
a) azione inibitoria (articolo 155-sexies,
secondo comma) disciplinata per quanto concerne i tempi e le
procedure di attuazione (al fine di evitare un eccessivo
protrarsi nel tempo dei comportamenti dannosi e il
consolidarsi di situazioni rimediabili solo a prezzo di
ulteriori traumi per il minore), e rimessa invece al prudente
apprezzamento discrezionale del giudice per ciò che concerne
la individuazione dei provvedimenti preclusivi. Quando però il
tipo di condotta lesiva è strettamente correlato con la
coabitazione con uno dei genitori (si pensi, ad esempio, ma
non solo, alla sistematica violazione dell'attuale "diritto di
visita") e sia inoltre recidivo rispetto a precedenti
comportamenti lesivi, già accertati e interdetti dal giudice,
è previsto l'automatico trasferimento della convivenza presso
l'altro genitore (terzo comma);
b) risarcimento del danno a favore del minore,
liquidato in via equitativa dal giudice e identificato nella
lesione in se stessa considerata di un suo diritto soggettivo
della personalità (quarto comma). Al fine di evitare una
degenerazione del contenzioso e abusi degli strumenti
predisposti si è limitata la loro esperibilità a fattispecie
già intrinsecamente lesive del diritto.
Analoghe considerazioni valgono per l'elemento soggettivo
dell'illecito: le caratteristiche dei comportamenti sanzionati
e la loro recidività sono tali da rendere ben difficile non
ravvisare in esse una volontà quanto meno negligente e da
imporre una presunzione di colpa superabile solo attraverso la
prova di fattori impedienti di oggettiva gravità.
L'articolo 155-septies tutela il minore dalle
possibili "fughe" di uno dei genitori di fronte ai doveri
economici, di cui sottolinea la gravità attraverso il ricorso
al codice penale. Si sottolinea, d'altra parte, che la
quantificazione del contributo non deve più essere affidata a
valutazioni del tutto soggettive del magistrato di turno (per
cui oggi capita che nello stesso tribunale e nella stessa
situazione di reddito si stabiliscano assegni che possono
differire anche di molto), ma essere agganciata a parametri
oggettivi e uniformi, come avviene da tempo in Germania.
L'articolo 155-octies riconosce esplicitamente la
possibilità di modificare il regime successivamente ai primi
impegni presi, ovviando all'attuale rigidità delle
disposizioni, per la quale provvedimenti assunti "al buio" in
sede di udienza presidenziale si trascinano poi per anni prima
che sia possibile apportare dei correttivi.
L'articolo 155-novies estende alla famiglia di fatto
la protezione dei diritti dei figli minori, tenendo conto
dell'alta incidenza delle separazioni proprio nelle famiglie
che nascono con le minori tutele.
Mentre gli articoli 3, 4 e 5 della proposta di legge
costituiscono adeguamenti del codice civile alla nuova
normativa, con l'articolo 6, al comma 1 si intende evitare che
problemi di copertura finanziaria possano ritardare
l'attuazione della legge, indicando la possibilità di affidare
temporaneamente le funzioni di mediazione familiare di cui
all'articolo 155-ter a personale già oggi utilizzato in
modo simile, e quindi senza variazione di spesa per lo Stato.
Il comma 2 interviene a favore delle situazioni già esistenti,
estendendo anche ad esse la possibilità di richiedere
l'applicazione della legge.
Per concludere, poche parole sui costi, economici e non,
della presente proposta di legge. Indubbiamente il meccanismo
suggerito è più laborioso e complesso dell'attuale e richiede
maggiore attenzione da parte del giudice, tuttavia non sembra
veramente il caso che una società che vuol dirsi civile scelga
di risparmiare a spese dei minori.