XIV LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 1436 - 2072 - 2110 - 2351 - 2373-A
Onorevoli Colleghi! - La volontà di espungere
dall'articolo 27 della Costituzione il riferimento alla pena
di morte è stata unanimemente manifestata dalla Commissione
Affari costituzionali che ha approvato questo testo unificato,
sul quale si sono espresse favorevolmente le Commissioni
Giustizia e Difesa.
Tale intendimento è, peraltro, condiviso da tutte le forze
politiche presenti in Parlamento e fa parte del patrimonio di
valori della grande maggioranza dei cittadini italiani.
La civiltà giuridica italiana già dalla fine del XIX
secolo, riprendendo l'insegnamento di Cesare Beccaria, ha
negato il diritto dello Stato a condannare i cittadini alla
pena capitale.
Il primo codice penale dell'Italia unitaria, adottato nel
1889 sotto il governo Zanardelli, fra i primi in Europa, non
contemplava tra le pene comminnabili la pena di morte.
La pena di morte fu successivamente reintrodotta
nell'ordinamento, negli anni Venti, e la sua reintroduzione
confermata nel Codice penale del 1930, per i delitti contro la
personalità dello Stato (attentato al Re ed al Capo del
Governo, insurrezione armata, spionaggio politico e militare,
eccetera) e per i più gravi delitti comuni, come l'omicidio
aggravato e la strage.
Essa, tuttavia, fu poi nuovamente soppressa dal decreto
legislativo luogotenenziale 10 agosto 1944, n. 244 "Abolizione
della pena di morte nel codice penale" e, dopo un temporaneo
ripristino, come misura eccezionale e temporanea contro le più
gravi forme di delinquenza, ad opera del decreto legislativo
luogotenenziale 10 maggio 1945, n. 234 "Disposizioni penali di
carattere straordinario", fu infine definitivamente abolita
dall'articolo 27, comma quarto, della Costituzione che, però,
ne prevede la comminazione nei casi previsti dalle leggi
militari di guerra.
Della eccezione al principio generale del rifiuto della
pena di morte non ci si è mai avvalsi: nessuna condanna alla
pena capitale è stata eseguita dopo l'entrata in vigore della
Costituzione. L'ultima esecuzione avvenuta in Italia, infatti,
fu effettuata a Torino il 4 marzo del 1947.
In attuazione del dettato costituzionale venne emanato il
decreto legislativo 22 gennaio 1948, n. 21, recante
"Disposizioni di coordinamento in conseguenza dell'abolizione
della pena di morte", che dispose l'abolizione della pena di
morte prevista da leggi speciali diverse da quelle militari di
guerra, compreso il codice penale militare di pace.
La legge 13 ottobre 1994, n. 589, "Abolizione della pena
di morte nel codice penale militare di guerra", nella XII
legislatura, ha, infine, disposto l'abolizione della pena di
morte dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
militari di guerra e la sostituzione con la pena massima
prevista dal codice penale. Come si evidenzia dalla lettura
dei lavori parlamentari di tale legge, la scelta di introdurre
una formula ampia e irreversibile di abolizione della pena di
morte dal codice penale militare di guerra e dalle leggi
penali militari di guerra, escludendo riferimenti a specifiche
norme, è stata assunta anche al fine di evitare il pericolo di
omettere riferimenti ad ulteriori norme che mantenessero la
possibilità della pena di morte.
Il tentativo di modificare l'articolo 27 della
Costituzione è stato già portato avanti senza successo nel
corso della XIII legislatura.
Il 23 luglio 1997, giorno in cui veniva eseguita, negli
Stati Uniti d'America, la condanna a morte di Joseph O'Dell,
la I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei
deputati approvava il testo unificato delle proposte di legge
costituzionale A.C. 3484 e 3680. Successivamente il 14 aprile
1999, l'Assemblea di Montecitorio procedeva alla prima
approvazione. L'iter, tuttavia, non veniva ripreso al
Senato.
Nella relazione per l'Assemblea, il relatore Maccanico
affermava "l'approvazione della modifica all'articolo 27 della
Costituzione è, quindi, il punto di partenza di un comune
percorso culturale e politico, che appare doveroso per i
parlamentari di un paese democratico fondato sui diritti
dell'uomo".
Questa considerazione rimane valida e sarà opportuno, nel
corso di questa legislatura darvi seguito.
La scelta contro la pena di morte accomuna molti paesi e
le organizzazioni internazionali cui essi partecipano.
Chiara in tal senso è la politica portata avanti dalle
Nazioni Unite. Il secondo Protocollo facoltativo del Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 15 dicembre
1989, ratificato ed eseguito con la legge 9 dicembre 1994, n.
734, stabilisce che nessuno Stato aderente possa giustiziare
alcun individuo soggetto alla sua giurisdizione. L'unica
riserva ammessa dal Protocollo riguarda l'applicazione della
pena capitale in tempo di guerra, comminata a seguito di una
sentenza per un delitto di natura militare di gravità estrema
commesso in tempo di guerra. Ne risulta, invece,
implicitamente esclusa la previsione della pena capitale nei
codici militari in tempo di pace.
L'azione internazionale dell'Unione europea per la
promozione e la protezione
dei diritti umani, che si esplica sia nel quadro della
politica estera e di sicurezza comune, sia nel complesso delle
relazioni esterne, è sempre più attenta e vigile.
In particolare l'Unione europea, in linea con gli obblighi
stabiliti dalla comunità internazionale che riconosce e
garantisce in sede di convenzioni e di dichiarazioni i diritti
fondamentali dell'uomo:
condanna pubblicamente le violazioni dei diritti
dell'uomo dovunque esse siano perpetrate;
interviene presso le autorità dei paesi in causa per
indurli a far cessare dette violazioni;
adotta provvedimenti atti ad esercitare pressioni sulle
autorità dei paesi in questione.
Il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali costituisce, infatti, uno degli obiettivi
generali della politica estera e di sicurezza comune. A tal
fine, la maggioranza degli accordi stipulati con i paesi terzi
riguarda sempre anche il "dialogo politico", concernente lo
Stato di diritto, la democratizzazione, i diritti dell'uomo.
Questa componente è inserita in tutte le nuove strategie
dell'Unione nei confronti dei paesi asiatici, dei paesi
mediterranei, dei paesi latino-americani.
In questo contesto l'Unione europea opera da molti anni a
favore dell'abolizione della pena capitale, che costituisce
una ferma posizione politica approvata da tutti gli Stati
membri.
Nella dichiarazione sull'abolizione della pena di morte,
allegata al trattato di Amsterdam, si prende atto che dopo la
firma del sesto protocollo della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo del 1983, la pena di morte è stata abolita
nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione e non è
stata applicata in nessuno di essi.
La Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza il 7
dicembre 2000, prevede che nessuno possa essere condannato
alla pena di morte, né giustiziato (articolo 2) e che nessuno
può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in
cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di
morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o
degradanti (articolo 19).
Fra i numerosi atti di indirizzo adottati dalle
istituzioni comunitarie, appare opportuno ricordare che il 29
giugno 1998, il Consiglio dell'Unione ha adottato, quale parte
integrante della sua politica in materia di diritti dell'uomo,
"Orientamenti per una politica dell'Unione europea nei
confronti dei paesi terzi in materia di pena di morte",
ribaditi nell'ultima relazione annuale dell'Unione europea sui
diritti dell'uomo presentata il 24 settembre 2001. In
particolare, in tali Orientamenti l'Unione europea si
prefigge di adoperarsi in vista dell'abolizione universale
della pena di morte, di chiedere che, nei paesi in cui vige
ancora la pena di morte, la sua applicazione sia
progressivamente limitata e insistere affinché le condanne
siano comminate ed eseguite nel rispetto di norme minime.
Secondo gli Orientamenti, inoltre, l'Unione europea
solleverà la questione dell'abolizione della pena di morte e
di una sua moratoria nei consessi multilaterali e incoraggerà
gli Stati ad aderire al secondo protocollo facoltativo del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,
adottato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e ad
analoghi strumenti regionali volti all'abolizione della pena
di morte.
Il problema della pena di morte è stato trattato in
contatti bilaterali con una serie di paesi, compresi la Cina e
gli Stati Uniti. L'Unione europea ha esposto la sua politica e
i governi in questione sono stati invitati a prendere
iniziative per l'abolizione della pena di morte. Inoltre,
l'Unione è intervenuta in numerosi casi specifici, chiedendo
la non applicazione della pena capitale, ad esempio nei casi
di condanne comminate a soggetti in giovane età, o la
revisione della legislazione.
Nel quadro dell'azione internazionale a favore
dell'abolizione della pena di morte, occorre altresì ricordare
che l'Unione ha presentato, per il terzo anno consecutivo, un
progetto di risoluzione presso la Commissione delle Nazioni
Unite per i Diritti Umani sul tema della pena di morte.
La risoluzione è stata adottata il 25 aprile 2001 e, come
le precedenti, esorta gli Stati firmatari del Patto
Internazionale relativo ai Diritti Civili e Politici a
ratificare il già citato Secondo Protocollo Facoltativo. Nella
risoluzione si chiede altresì di escludere dalla pena capitale
i disabili, i condannati coinvolti in procedimenti ancora
pendenti, di restringere comunque il numero di reati
sanzionabili con la pena capitale e di disporre una moratoria
in vista dell'abolizione totale.
L'8 maggio 2001 la Commissione europea ha adottato una
comunicazione relativa al ruolo dell'UE nella promozione dei
diritti umani e della democratizzazione nei paesi terzi.
La comunicazione è il primo documento di strategia globale
sui diritti umani nell'ambito delle relazioni esterne
presentato dalla Commissione dal 1995; con essa non si intende
riscrivere la politica di fondo in materia, bensì inserirla
nel contesto dell'impostazione strategica generale della
Commissione nel campo delle relazioni esterne.
Il documento tiene conto degli sviluppi recenti del quadro
giuridico e politico in cui vengono realizzate le attività
dell'UE, compresi i Trattati di Amsterdam e Nizza e la Carta
dei diritti fondamentali.
La comunicazione individua tre campi nei quali la
Commissione può operare più efficacemente:
1) promuovere politiche coerenti a sostegno dei diritti
umani e della democratizzazione; si tratta di garantire la
coerenza tra le diverse politiche dell'UE, soprattutto a
livello di politica estera e di sicurezza comune, nonché di
assicurare la coerenza e la complementarità delle azioni
realizzate a livello di UE e di Stati membri;
2) privilegiare i diritti umani e la democratizzazione
nelle relazioni tra l'Unione europea e i paesi terzi e
adottare un'impostazione più attiva, in particolare sfruttando
le opportunità offerte dal dialogo politico, dalle relazioni
commerciali e dall'aiuto esterno. La Commissione intende
integrare sistematicamente le questioni relative ai diritti
umani e alla democratizzazione nel dialogo politico con i
paesi terzi e nei suoi programmi di assistenza;
3) adottare un'impostazione più strategica per
l'Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani
(EIDHR) e adeguare i programmi e i progetti in tale settore
agli impegni dell'Unione europea nei confronti dei diritti
umani e della democrazia.
Un'attenzione particolare deve poi essere dedicata al
ruolo del Parlamento europeo che nel corso degli anni ha
rivolto costanti appelli (segnatamente con le sue relazioni
annuali sui diritti dell'uomo nel mondo, le risoluzioni
preparatorie alla Conferenza intergovernativa conclusasi col
Trattato di Amsterdam, nonché diverse audizioni pubbliche in
materia di diritti umani e politica estera) per far sì che la
tutela dei diritti umani abbia un ruolo centrale nella
definizione di una politica estera comune.
In particolare, il Parlamento europeo ha preso posizione
contro la pena di morte in più occasioni, sia in relazione a
esecuzioni capitali presso altri Stati, sia a favore
dell'adozione di una moratoria da parte di tutti quegli Stati
che contemplano tale pena. In particolare il Parlamento
europeo ha ripetutamente:
chiesto agli Stati membri di non permettere
l'estradizione di alcuno per reati passibili di pena di morte
verso gli Stati che continuino a prevederla nel loro
ordinamento giuridico;
invitato la Commissione e il Consiglio a promuovere
l'abolizione della pena di morte nel quadro delle loro
relazioni con i paesi terzi, anche in occasione del negoziato
per accordi con tali paesi;
chiesto che l'Unione europea prendesse l'iniziativa
presso le Nazioni Unite affinché l'Assemblea generale si
esprimesse al più presto su una moratoria universale e
sull'abolizione della pena di morte;
ricordato che, secondo la dichiarazione allegata al
Trattato di Amsterdam sulla pena di morte, nessun paese
candidato in cui tale pena è ancora applicabile potrà aderire
all'Unione.
Nella risoluzione sulla pena di morte negli Stati Uniti,
del 6 luglio 2000 il Parlamento europeo ha reiterato la
richiesta di abolizione della pena capitale e di imposizione
immediata di una moratoria nei paesi in cui la pena capitale
esiste ancora; in una risoluzione del 26 ottobre 2000,
sull'attuazione delle linee di bilancio inerenti alle campagne
a favore di una moratoria sull'esecuzione della pena capitale,
il Parlamento europeo ha inoltre ribadito che l'abolizione
della pena capitale rappresenta una conquista etica
dell'Unione europea e ha invitato la Commissione a sostenere
qualsiasi iniziativa che sia in grado di contribuire
all'abolizione della pena capitale o alla promozione di una
moratoria universale della stessa, chiedendole di considerare
queste ultime un fattore determinante nelle relazioni tra
l'Unione europea e i paesi terzi.
Il 5 luglio 2001, il Parlamento europeo ha approvato una
risoluzione sui diritti dell'uomo nel mondo nel 2000 e la
politica dell'Unione europea sui diritti dell'uomo nella
quale, relativamente alle problematiche connesse alla pena
capitale:
approva gli orientamenti della
politica comunitaria sulla pena di morte nei confronti dei
paesi terzi;
ribadisce che la pena capitale imposta ai minori di 18
anni e ai ritardati mentali contravviene al patto
internazionale sui diritti civili e politici nonché al diritto
internazionale consuetudinario; chiede a tutti gli Stati di
procedere ad una moratoria di tutte le esecuzioni al fine di
abolire completamente la pena di morte;
ribadisce fermamente la richiesta rivolta a Stati
Uniti, Cina, Arabia Saudita, Congo, Iran e ad altri Stati di
porre fine immediatamente a tutte le esecuzioni.
Nella stessa data, il Parlamento europeo ha adottato una
risoluzione sulla pena di morte e l'introduzione di una
giornata europea contro la pena capitale. Richiamandosi alle
conclusioni del primo congresso mondiale contro la pena di
morte, gli eurodeputati condannano l'applicazione della pena
capitale ancora vigente in 87 Paesi; chiedono alla Commissione
di ritenere la pena capitale e la moratoria universale delle
condanne come elementi essenziali delle relazioni tra l'UE e i
Paesi terzi; propongono l'istituzione di una Giornata europea
contro la pena di morte.
Nell'ambito delle iniziative avviate dall'Unione europea a
seguito degli attentati dell'11 settembre, il 19 settembre
2001 la Commissione ha presentato due proposte di decisione:
una relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di
consegna tra Stati membri (COM(2001)522) ed una relativa alla
lotta contro il terrorismo (COM(2001)521). In particolare, la
prima proposta mira a sostituire i procedimenti tradizionali
di estradizione con un sistema di consegna tra le autorità
giudiziarie basato sul mandato di cattura europeo. Recependo
uno degli emendamenti approvati dal Parlamento europeo in
prima lettura, nella proposta è stata inserito, tra i
considerando, il divieto di estradare la persona ricercata
verso un Paese terzo qualora sussista il rischio che essa
venga condannata alla pena di morte.
La lotta al terrorismo figura tra le priorità della
Presidenza spagnola, che al riguardo, tra l'altro, intende
rafforzare la cooperazione giudiziaria con gli Stati Uniti
attraverso la stipulazione di uno specifico accordo. Il
Parlamento europeo si è già espresso in proposito con una
risoluzione, approvata il 13 novembre 2001, nella quale si
chiede che la pena di morte venga completamente abolita negli
Stati Uniti e si rileva che l'estradizione di una persona
ricercata dovrebbe essere subordinata alla garanzia che non
sia applicata nei suoi confronti la pena capitale.
Nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del 28
febbraio 2002, i ministri degli Stati membri hanno stabilito
di attribuire alla Presidenza spagnola, entro il 25 aprile
2002, il mandato per negoziare l'accordo di cooperazione
giudiziaria con gli Stati Uniti. Il tema delle garanzie
rispetto alla pena di morte rimane uno degli aspetti più
delicati dell'intero negoziato.
Oltre alle iniziative dell'Unione europea, deve essere
ricordata l'attività del Consiglio d'Europa. Il principale
strumento internazionale elaborato dal Consiglio d'Europa
nell'ambito della campagna a favore dell'abolizione della pena
di morte è costituito dal Protocollo n. 6 alla Convenzione per
la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
relativo all'abolizione della pena di morte in tempo di pace.
Il Protocollo, adottato nel 1983 ed entrato in vigore nel
1985, è stato ratificato da 39 Stati membri (l'Italia ha
ratificato il Protocollo n. 6 con Legge n. 8 del 2 gennaio
1989). Armenia, Azerbaijan e Russia hanno, per ora, solo
firmato il Protocollo, ma si prevede una ratifica a breve
termine. L'unico paese a non aver firmato il Protocollo è la
Turchia, che tuttavia osserva la moratoria delle esecuzioni da
17 anni.
Il Protocollo n. 6 introduce, all'articolo 1, il principio
dell'abolizione della pena di morte, imponendo così agli Stati
firmatari di cancellare la pena capitale dalla propria
legislazione. Il diritto all'abolizione della pena di morte
viene definito, sempre all'articolo 1, un diritto soggettivo
dell'individuo.
Anche l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha
svolto un ruolo di primo piano, approvando alcuni
significativi documenti contro la pena di morte.
Tra le prese di posizioni più rilevanti dell'Assemblea si
ricorda la Raccomandazione 1246 (1994) sull'abolizione della
pena capitale, in cui si afferma che "la pena di morte non può
avere un posto legittimo nel sistema penale delle società
civili e la sua applicazione può equipararsi alla tortura ed
ai trattamenti inumani e degradanti, ai sensi dell'articolo 3
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo". L'articolo 6
della Raccomandazione contiene una serie di proposte rivolte
al Comitato dei Ministri, tra cui l'invito a predisporre un
Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo che abolisca la pena di morte sia in tempo di pace
che in tempo di guerra, con l'esplicito obbligo per gli Stati
firmatari a non reinserire questa pena nella legislazione
nazionale.
Un fondamentale progresso è stato realizzato con la
Risoluzione 1044 (1994) con cui l'Assemblea parlamentare ha
reso l'immediata moratoria delle esecuzioni e l'abolizione
della pena di morte condizioni preliminari per aderire al
Consiglio d'Europa. Quest'obbligo è stato nuovamente
riaffermato nella Risoluzione 1097 (1996) dove, peraltro,
l'Assemblea ribadisce il proprio impegno ad assistere i paesi
che desiderino abolire la pena capitale. Uno specifico appello
è rivolto ai Parlamenti dei paesi retenzionisti affinché
aboliscano la pena capitale entro la fine del millennio.
La proposta di un coinvolgimento diretto delle istituzioni
del Consiglio d'Europa nella campagna contro la pena di morte
è alla base della Raccomandazione 1302 (1996). In questo
documento l'Assemblea raccomanda al Consiglio di sostenere
finanziariamente e dal punto di vista logistico le campagne
nazionali di informazione sull'abolizione della pena di morte;
di organizzare conferenze internazionali su questa tematica e
di considerare l'approccio verso l'abolizione della pena
capitale dei paesi che richiedano l'adesione quale elemento
per stabilire l'ammissione.
Nella Risoluzione 1187 (1999) su "L'Europa, un continente
esente dalla pena di morte", l'Assemblea del Consiglio
d'Europa, nel confermare quanto già affermato in altri suoi
documenti, ribadisce il principio per cui la pena di morte
deve considerarsi una pena inumana e degradante, nonché una
violazione del più fondamentale dei diritti dell'uomo, ossia
il diritto alla vita. L'Assemblea conferma, inoltre, il
proprio impegno ad assistere i paesi desiderosi di eliminare
la pena di morte dal proprio ordinamento, con campagne di
informazione e l'organizzazione di seminari di
sensibilizzazione.
Il 25 giugno 2001 l'Assemblea del Consiglio d'Europa ha
approvato la risoluzione 1253 (2001) su "L'abolizione della
pena di morte nei paesi osservatori del Consiglio d'Europa".
Ai sensi della Risoluzione statutaria (93)26, "gli Stati
desiderosi di ottenere lo status di osservatori presso
il Consiglio d'Europa, sono tenuti ad accettare i principi di
democrazia e di preminenza del diritto e il principio per cui
tutte le persone poste sotto la sua giurisdizione devono poter
godere dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali".
Questa norma risulterebbe dunque violata nel caso di
applicazione della pena di morte. Tra i paesi che hanno lo
status di osservatori presso il Consiglio d'Europa,
ossia il Canada (dal 1996), il Giappone (dal 1996), il Messico
(dal 1999) e gli Stati Uniti (dal 1996), i soli due paesi che
ancora conservano la pena di morte nel proprio ordinamento e
non attuano una moratoria delle esecuzioni sono il Giappone e
gli Stati Uniti.
Nel condannare fermamente questo stato di cose,
l'Assemblea ha invitato i due paesi ad introdurre, senza alcun
indugio, la moratoria delle esecuzioni, ad adottare le
necessarie disposizioni per abolire la pena di morte ed a
migliorare le condizioni di detenzione nel "braccio della
morte".
A livello parlamentare, l'Assemblea si impegna ad
intraprendere e incoraggiare il dialogo con i parlamentari del
Giappone e degli Stati Uniti. Tuttavia, qualora entro il 1^
gennaio 2003, non venissero realizzati considerevoli progressi
nei due paesi, dovrà essere messo in discussione il
mantenimento dello status di osservatore dei due
paesi.
Infine, l'Assemblea ha stabilito che, allo scopo di
evitare situazioni simili in futuro, lo status di
osservatore venga concesso solo a quei paesi che rispettino
strettamente la moratoria delle esecuzioni o abbiano già
abolito la pena di morte nel proprio ordinamento.
Il Consiglio d'Europa è stato promotore, insieme al
Parlamento europeo, della riunione solenne dei Presidenti dei
Parlamenti a favore dell'abolizione della pena di morte.
Il Presidente dell'Assemblée Nationale, d'intesa con la
Presidente del Parlamento Europeo e con il Presidente
dell'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa, ha preso l'iniziativa di
promuovere una riunione dei Presidenti dei Parlamenti di tutto
il mondo che intendano aderire alla campagna per l'abolizione
della pena di morte. Hanno accordato il loro patrocinio il
Presidente della Camera dei deputati italiana e il Presidente
del Bundestag, nonché i Presidenti dei Parlamenti austriaco,
belga e portoghese.
La riunione dei Presidenti si è svolta a Strasburgo il 22
giugno 2001, presso il Parlamento europeo, sotto la presidenza
della Presidente N. Fontaine e del Presidente dell'Assemblea
parlamentare del Consiglio d'Europa, Lord Russell Johnston.
Sono stati invitati tutti i Presidenti dei Parlamenti dell'UE
nonché un gruppo di Presidenti rappresentativo delle diverse
aree geografiche, selezionato sulla base del criterio della
recente abolizione della pena di morte.
Oltre ai Presidenti, sono intervenuti nel corso della
seduta alcuni "grandi testimoni", ed in particolare Mahmoud
Ben Romdhane di Amnesty International, Sidiki Kaba della
Federazione per i Diritti dell'Uomo, Mario Marazziti della
Comunità di Sant'Egidio e Michel Taube di Ensemble contre
la peine de mort, Associazione promotrice del Congresso
mondiale contro la pena di morte.
Al termine della riunione, i Presidenti dei Parlamenti
hanno sottoscritto un Appello solenne a tutti gli Stati
affinché dichiarino, senza indugio e dovunque nel mondo, una
moratoria delle esecuzioni dei condannati a morte e prendano
delle iniziative volte ad abolire la pena di morte dalla loro
legislazione interna.
Il Parlamento italiano è stato rappresentato dal
Presidente della Camera dei deputati, on. Pier Ferdinando
Casini, che è intervenuto anche a nome del Presidente del
Senato.
Il più recente contributo del Consiglio d'Europa è
rappresentato dall'approvazione del Protocollo n. 13 allegato
alla Convenzione per la tutela dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali e gli strumenti di indirizzo adottati.
Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha
trasmesso il 21 novembre 2001 all'Assemblea Parlamentare, che
ha espresso parere favorevole nella sessione 2002 del 21-25
gennaio 2002, il testo del progetto di Protocollo n. 13 alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per ottenere il
previsto parere.
Il testo del Protocollo n. 13 si propone l'abolizione
totale e indiscriminata della pena di morte, escludendo, in
via di principio, anche tutti quei casi per cui tale pena
poteva essere ancora prevista, casi che sono contemplati nel
Protocollo n. 6 alla Convenzione.
In particolare il progetto di Protocollo prevede, fra
l'altro, che:
la pena di morte è abolita. Nessuno può esservi
condannato né possono essere eseguite esecuzioni capitali;
non sono autorizzate deroghe a titolo dell'articolo 15
della Convenzione (che le prevede in caso di guerra o di
pericolo per la vita pubblica);
non sono ammesse riserve a titolo dell'articolo 57
della Convenzione.
Il Comitato dei ministri ha, dunque, adottato
definitivamente il protocollo lo scorso 21 febbraio. Il
protocollo, a partire dal 3 maggio 2002, sarà aperto alla
firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa.
Anche al fine di poter procedere ad una ratifica di tale
protocollo è necessario modificare l'articolo 27 della
Costituzione, rendendo impossibile, attraverso la legislazione
di rango primario, la reintroduzione della pena capitale nel
nostro ordimento.
Al termine di questa relazione, per la quale mi sono
avvalso della preziosa collaborazione tecnico-giuridica del
servizio Studi della Camera, ringrazio tutti i parlamentari
che, senza distinzione di schieramento politico, hanno
convenuto in modo unanime sulla opportunità di questa modifica
costituzionale, all'insegna della più alta tradizione della
civiltà giuridica italiana.
Marco BOATO, Relatore