XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 204
Onorevoli Colleghi! - Gli ultimi anni sono stati quanto
mai significativi per quanto riguarda il fenomeno della
mobilità migratoria: basti pensare all'inclusione dell'Italia
nel sistema di Schengen e al lavoro parlamentare che ha reso
possibile l'approvazione della legge 6 marzo 1998, n. 40 e
successivamente l'emanazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
A partire dal secondo dopoguerra ad oggi, è possibile
individuare e distinguere almeno tre grandi fasi del fenomeno
migratorio mondiale, ciascuna delle quali legata
indissolubilmente a differenti congiunture economiche e a
diverse circostanze politiche e sociali. La prima fase è
quella che, partendo dall'immediato dopoguerra, termina
intorno alla fine degli anni sessanta: essa appare
caratterizzata da ciò che è stato definito "liberismo
migratorio", ovvero dallo spostamento di consistenti gruppi di
migranti da una nazione all'altra (spesso a causa della
difficile ricostruzione post-bellica, incoraggiati alla
partenza dai loro stessi Paesi d'origine), senza alcuna
regolamentazione dei flussi sul piano normativo. In questo
periodo i principali "esportatori" sono stati i Paesi europei
del Mediterraneo e in particolare proprio l'Italia.
La seconda fase è compresa tra la fine degli anni sessanta
e la fine degli anni settanta.
Nell'ultima fase, che dagli inizi degli anni ottanta
arriva fino ai nostri giorni, il fenomeno migratorio è venuto
facendosi molto più complesso e articolato rispetto alle
epoche passate, sia perché è andato rapidamente interessando
un maggior numero di Paesi di provenienza e di approdo, sia
perché ha continuamente coinvolto organismi e fattori della
vita comune sempre più numerosi.
L'ondata migratoria è pertanto ormai divenuta fenomeno
mondiale che sembra destinato a ridisegnare in modo più
variegato, grazie a un nuovo scenario di etnie e di culture,
la struttura sociale e occupazionale.
Eppure l'immigrazione rischia, per una buona parte della
popolazione, di restare qualcosa di estraneo, pur essendo un
segno dei tempi che ci accompagnerà anche nel prossimo
secolo.
Qualsiasi rassegna sullo stato delle migrazioni nei vari
continenti è condizionata dal fatto che spesso i dati
risultano difficilmente comparabili dal momento che i sistemi
di rilevazione non sono omogenei. Ad esempio, nella stessa
Europa - dove pure il rilevamento statistico è considerato
indispensabile - sono registrati come "stranieri" coloro che
intendono risiedere all'estero o per più di un anno
(Danimarca, Svezia, Svizzera), o per più di sei mesi
(Norvegia), o per almeno tre mesi (Italia), mentre i
richiedenti asilo non sempre sono inclusi nelle
registrazioni.
La stima dell'intera popolazione straniera presente in
tutti i Paesi del mondo (inclusi i rifugiati) viene di volta
in volta elaborata sia in base alle anagrafi e ai registri
degli stranieri, laddove esistono, sia soprattutto in base ai
censimenti.
In ogni caso, secondo una stima della "Population
Division" dell'ONU ("World Population Prospects: the
1996 Revision", che ha rivisto le stime contenute nella
"Population Newsletter" pubblicata nel 1995 dall'ONU
stessa) le migrazioni coinvolgono, a livello planetario, più
di 100 milioni di individui: in particolare, le persone che
vivono al di fuori del loro Stato di nascita risultano passate
da 75 milioni nel 1965 a 84 nel 1975 (aumento annuo dell'1,2
per cento), a 105 nel 1985 (aumento annuo del 2,2 per cento),
a 119 all'inizio del 1990 (aumento annuo del 2,6 per cento).
Poiché l'incremento avviene in media al ritmo di circa un
milione all'anno, si calcola che attualmente abbiano raggiunto
il numero complessivo di circa 130 milioni, di cui quasi il 55
per cento è concentrato nei Paesi in via di sviluppo e il
restante nei Paesi a sviluppo avanzato. In tali condizioni
strutturali proprie dell'attuale contesto mondiale, è naturale
prevedere che i movimenti migratori assumeranno dimensioni
ancora più rilevanti.
Ai sensi dell'articolo 5 del citato testo unico possono
soggiornare in Italia i cittadini stranieri muniti di carta di
soggiorno (rilasciata agli stranieri con più di cinque anni di
residenza), di permesso di soggiorno (da richiedere entro otto
giorni al questore della provincia competente) o titolo
equipollente rilasciato da uno Stato dell'Unione europea (ad
essi è rilasciata una ricevuta della dichiarazione di
soggiorno). Una innovazione giuridica di rilevante portata,
introdotta dalla legge n. 40 del 1998, consiste nella
previsione di una carta di soggiorno a tempo indeterminato, da
rilasciare allo straniero regolarmente soggiornante da almeno
cinque anni per motivi suscettibili di rinnovo, il quale
dimostri di avere un reddito sufficiente per il sostentamento
proprio e dei familiari e non sia stato condannato per aver
commesso delitti di particolare gravità (ai sensi degli
articoli 380 e 381 del codice di procedura penale). Questi
cittadini stranieri, che costituiranno l'immigrazione
maggiormente inserita nella società italiana, godranno di una
più completa equiparazione agli italiani per quanto riguarda
l'accesso ai servizi, l'esercizio di una attività lavorativa,
la libertà di movimento in esenzione di visti e la stessa
partecipazione all'elettorato attivo quando questa innovazione
verrà recepita nel nostro ordinamento giuridico, così come è
già avvenuto in altri Stati membri dell'Unione europea.
Il tasso di stabilità generale, rapportato alla
popolazione straniera complessiva, è pari al 54,7 per cento:
infatti, al 31 dicembre 1991, i soggiornanti con permesso di
soggiorno in corso di validità erano 859.571. Supera, invece,
il 60 per cento il tasso di stabilità rapportato ai motivi che
implicano un certo soggiorno duraturo, in particolare per
lavoro. Indubbiamente, ci troviamo di fronte ad un alto tasso
di stabilità, di cui la rilevazione statistica ci invita a
prendere atto dando maggiore spessore alla politica di
inserimento e lasciando cadere la presunzione di
un'immigrazione in prevalenza temporanea.
In ogni modo sono andate delineandosi alcune tendenze di
rilevante significato sociale:
1) l'immigrazione è un fenomeno di mobilità ma con
tendenza al radicamento nel Paese, salvo gli spostamenti da
una provincia all'altra;
2) la percentuale dei residenti di lunga durata è più
alta di quanto si potesse immaginare;
3) il radicamento in atto è destinato a far aumentare i
ricongiungimenti familiari, i matrimoni e quindi anche il
numero dei minori;
4) in un contesto simile è fondamentale un'adeguata
politica di integrazione.
Per quanto riguarda l'obiettivo dell'integrazione, bisogna
adoperarsi per promuovere una molteplicità di iniziative che
consentano di recuperare i ritardi e di rispondere
adeguatamente alla voglia di convivenza degli immigrati,
assicurando anche la disponibilità a ritornare in prospettiva
sulle disposizioni in materia di cittadinanza. Nel diritto, la
cittadinanza è una posizione soggettiva, importante in quanto
presupposto di diritti e di doveri civili e politici.
L'Italia, nello scenario europeo, è un Paese di
immigrazione di media grandezza quanto allo stock di
immigrati, mentre è ancora ridotta la loro incidenza sulla
popolazione residente.
La nostra legge sulla nazionalità è del 1992, ma è
arcaica, arretrata rispetto alle nuove realtà nate con
l'immigrazione. E' troppo legata e condizionata dal vecchio
jus sanguinis e dalla tutela della discendenza. Il
criterio dello jus sanguinis attribuisce, infatti, la
cittadinanza sulla base della situazione giuridica di
filiazione.
Se dobbiamo tenere conto delle attuali vicende migratorie,
occorre tenere nella debita considerazione quel milione e 86
mila immigrati regolari che rappresentano la maggioranza
silenziosa del nostro Paese, soggetto cruciale non solo per la
politica dell'immigrazione italiana ma anche per la convivenza
civile in Italia. Tanto più che l'Italia non si è creata sulla
base del sangue, ma grazie a un mosaico di identità che hanno
scelto di unirsi. La cittadinanza deve rispettare questa
matrice. Infatti, non sono un'eccezione i figli di immigrati
che parlano esprimendosi nei dialetti locali o che vanno allo
stadio per tifare per le squadre di calcio locali.
E' ora di abbandonare la cultura dell'emergenza nei
confronti dell'immigrazione; ciò richiede la costruzione di
una nuova convivenza, di un nuovo modo di vivere proprio con
quel milione e 86 mila immigrati regolari.
Serve una revisione improcastinabile, urgente: dunque,
occorre aprirsi a forme di cittadinanza più moderne, basate
sulla condivisione dei valori culturali e costituzionali di un
Paese e non sull'etnia.
L'impianto odierno della legge sulla cittadinanza italiana
(legge 5 febbraio 1992, n. 91) prescrive un tempo troppo lungo
per acquisire la cittadinanza. Il requisito per ottenerla è
agevole in caso di matrimonio (sei mesi di attesa) e più
restrittivo nell'ipotesi di naturalizzazione ordinaria (dieci
anni di residenza), per cui il numero dei casi attualmente è
destinato ad un sensibile aumento quando il grosso degli
stranieri potrà vantare i necessari requisiti.
La nostra è una legge che tutela la discendenza ed è
doveroso cambiarla. E' negata la cittadinanza ai bambini che
nascono e crescono in Italia: devono aspettare fino a diciotto
anni in una specie di limbo, fare una domanda e poi magari
possono vedersela respingere.
Vari giuristi sottolineano l'alto tasso di discrezionalità
delle procedure e la difficoltà delle prassi. L'esempio,
infatti, è dato da chi è nato in Italia da "clandestino", ma i
cui genitori si sono regolarizzati e che però al compimento
del diciottesimo anno non può dimostrare l'iscrizione
anagrafica dalla nascita. In tale caso la cittadinanza, molto
probabilmente, gli viene negata.
Occorre stabilire il diritto alla cittadinanza in base al
luogo dove si nasce, ovvero allo jus soli. In base a
tale criterio la cittadinanza è attribuita a colui che nasce
nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla
cittadinanza dei genitori. Tale collegamento è presente in
generale, nella legislazione di quegli Stati a carattere
immigratorio e/o con problemi demografici. Il legislatore
italiano ha finora previsto l'acquisto della cittadinanza
iure soli per evitare l'apolidia del soggetto, sul
presupposto che il legame rappresentato dalla nascita in
Italia, ossia nell'ambito spaziale in cui si esplica il potere
di governo del nostro Paese, valga ad inserire il soggetto
nella comunità nazionale. In questa stessa prospettiva, la
nascita su nave o su aeromobile battente bandiera italiana
quando il mezzo di trasporto sia, secondo il diritto
internazionale, soggetto al potere di governo dello Stato
della bandiera, assume anch'essa il valore di legame
significativo con l'Italia idoneo a giustificare
l'attribuzione della cittadinanza a quei soggetti che,
altrimenti, diventerebbero apolidi.
La presente proposta di legge contiene, pertanto, una
modifica a quanto previsto dalla disposizione dell'articolo 1
della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto
della cittadinanza italiana ed ha lo scopo di facilitare
l'inserimento e l'integrazione, a determinate condizioni, di
chi nasce in Italia. Infatti, non può essere considerato corpo
estraneo chi nasce in Italia da genitori che hanno entrambi la
residenza in questa nazione da almeno tre anni e chi nasce da
genitori di cui almeno uno sia in possesso di carta di
soggiorno.