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PDL 6157

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 6157



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BULGARELLI

Disposizioni a tutela dell'uso personale e senza fine di lucro nella riproduzione di software, libri di testo e brani musicali

Presentata il 27 ottobre 2005

      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge ha come obiettivo il ripristino di un concetto fondamentale e cioè che la copia per uso personale di un prodotto intellettuale non può essere perseguita, sia perché questo produrrebbe limitazioni alla diffusione di conoscenze e di saperi all'interno della società, sia perché nel prezzo di vendita finale di un prodotto intellettuale - sempre più elevato - è già ampiamente conteggiata la possibilità di una sua riproduzione non per fine di lucro. Del resto, all'affermazione commerciale di un'opera intellettuale giova che la sua circolazione sia la più vasta possibile; non è un caso che, ad esempio, nel campo del software, le maggiori aziende abbiano per anni perseguito una politica di incentivazione delle copie non originali al fine di conquistare con i loro prodotti posizioni dominanti sul mercato. La stessa società Microsoft, del resto, è finita nel mirino dell'antitrust statunitense proprio per aver adottato una politica di questo tipo. Altro esempio degli effetti benefici, per il mercato, della duplicazione, soprattutto in termini di marketing, è dato dalla vicenda Napster, il sito che per anni ha permesso di scaricare gratuitamente agli utenti della rete brani musicali e che, in seguito, è stato costretto, a causa dell'azione giudiziaria intentata dalle major, a far pagare il downloading agli utenti. Ebbene, invece di avere ricadute positive sulle vendite dei compact disc «ufficiali», l'irreggimentazione di Napster ne ha provocato una fortissima flessione, essendo venuta meno la sua funzione di volano pubblicitario per l'industria discografica fin lì svolta. La legislazione, invece, in nome della difesa del diritto d'autore, ha imboccato da qualche tempo la strada del
 

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sanzionamento generalizzato per le cosiddette «riproduzioni illecite», introducendo, così, ulteriori limitazioni alla possibilità di accedere alla cultura, soprattutto per i giovani. Basti pensare al «giro di vite» sulla fotocopiatura, francamente inaccettabile, considerando che per moltissimi giovani essa rappresenta una forma di difesa contro i costi insostenibili dei libri di testo e contro le finte «nuove edizioni» che periodicamente vengono immesse sul mercato. La scelta fatta con l'articolo 2 della legge 18 agosto 2000, n. 248, che ha modificato l'articolo 68 della legge n. 633 del 1941 (sul diritto d'autore), di limitare al 15 per cento le fotocopie o xerocopie delle opere di ingegno, troverebbe una sua giustificazione solo in presenza di un mercato calmierato dove i bassi prezzi delle opere, in particolare dei libri di testo, andassero a colmare il gap imposto con tale limitazione.
      Allo stesso modo appare incomprensibile l'intervento restrittivo sulle biblioteche pubbliche, dato che vengono posti divieti che produrranno una diminuzione delle prestazioni di servizi culturali soprattutto da parte delle piccole biblioteche.
      Oltre a ciò, vi è una considerazione di carattere generale da fare ed essa riguarda l'obsolescenza del concetto di diritto d'autore. Oggi esiste un gigantesco sistema di controllo monopolistico sulle creazioni intellettuali che, tramite il sistema dei diritti d'autore, consente agli editori di fare profitti enormi e di orientare il mercato a loro piacimento. Solo le opere di cui hanno acquisito i diritti - e per un numero sempre crescente di anni, attualmente settanta anni dopo la morte dell'autore - vengono promosse e fatte circolare. Agli autori, d'altro canto, rimane solo una piccola parte dei ricavi (al massimo il 10 per cento) e il pubblico viene privato della possibilità di conoscere quelle opere per le quali le case editrici hanno ritenuto di non dover investire in diritti. Per questa via l'industria culturale costruisce una sorta di regime protezionistico e si appropria indebitamente di saperi che dovrebbero essere lasciati liberi di circolare. Due esempi, a questo riguardo, sono particolarmente eclatanti. Il primo riguarda il software, anch'esso rigidamente coperto da copyright anche se non esistono programmi sviluppati da un solo autore ma da decine, se non centinaia, di persone, che lavorano come dipendenti di multinazionali come la Microsoft, e che curano, ognuna di esse, porzioni limitate di codice. A loro volta queste persone utilizzano per il loro lavoro conoscenze che provengono - soprattutto attraverso INTERNET - da un esercito di creatori anonimi, che animano il frenetico scambio di saperi e di intelligenze dal quale l'informatica è nata e senza il quale non avrebbe futuro. Costoro non sono figure astratte: basti pensare alle migliaia di utenti che, su invito delle case produttrici, testano gratuitamente su INTERNET le versioni «beta» dei programmi prima che essi siano immessi sul mercato. Il prodotto finale è dunque opera di un lavoro collettivo, per cui non si capisce quale sia l'«autore» di cui la multinazionale vanta i diritti. L'esito di tutto ciò è paradossale: coloro che, in vario modo, hanno contribuito in qualche maniera a far nascere il prodotto, invece di essere retribuiti sono costretti a pagare - e tanto - per poterlo utilizzare. L'altro esempio riguarda il progetto di biblioteca universale digitale che prima Google e poi un consorzio di associazioni no profit, di università e di archivi on line, ha in cantiere di rendere disponibile gratuitamente in rete nei prossimi anni. Anche in questo caso, i promotori saranno costretti a iniziare il loro lavoro dalle cosiddette «opere di pubblico dominio» - quelle sulle quali non gravano più i diritti - mentre per le altre (e parliamo di centinaia di migliaia di opere del novecento, spesso fondamentali) ci sarà bisogno dell'autorizzazione esplicita degli editori, i quali, sicuramente, in molti casi non la concederanno. Ora, qui abbiamo di fronte un altro paradosso: da un lato c'è INTERNET e le sue enormi possibilità di circolazione e di socializzazione dei saperi; dall'altro c'è un gruppo ristretto di aziende che di fatto sabota e vanifica questa opportunità ma che proprio grazie a INTERNET accresce enormemente i suoi mercati (basti
 

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pensare alle vendite on line). INTERNET rappresenta, infatti, la nuova dimensione della comunicazione ed è necessario che in particolare chi ha scelto la rete e le tecnologie informatiche come oggetto del proprio business ne accetti logiche e funzionamento senza invocare pretestuosamente ottocentesche misure protezionistiche.
      Con l'articolo 2 della proposta di legge si sostituisce la dizione «per trarre profitto» con quella «a fine di lucro». La distinzione è fondamentale e la stessa giurisprudenza in più occasioni si è pronunciata a riguardo, operando, per esempio, i necessari distinguo tra copia per uso personale e commercio di software pirata, dunque tra «fine di lucro» e semplice profitto. II termine «lucro» indica infatti esclusivamente un guadagno patrimoniale consistente nell'acquisizione di uno o più beni; esso non coincide in linea di principio con il termine profitto, che ha un significato ben più ampio. Dunque la duplicazione e la detenzione acquistano rilievo penale solo se finalizzate rispettivamente al lucro e alla commercializzazione, sono cioè sanzionabili solo se sorrette dal dolo specifico. In sé la duplicazione di un programma non assurge in alcun modo a fatto penalmente rilevante. Nella normativa vigente, le parole «a fine di lucro» sono state sostituite con la frase «per trarre profitto», annullando la doverosa distinzione tra «lucro» e «profitto», rendendo molto più confuso il quadro di riferimento. Ciò ha permesso alla BSA (Business Software Alliance), l'alleanza dei produttori di software, di mettere in campo, da qualche anno a questa parte, campagne di pressione volte a far interpretare la legge in modo che il «profitto» sia esteso fino alla copia per uso personale di un programma e dunque punito con la stessa durezza riservata a chi copia programmi a fine di lucro, per rivenderli clandestinamente e guadagnarci. Una punizione che va da sei mesi a sei anni di carcere, pene analoghe a quelle riservate in caso di omicidio colposo plurimo. Di qui la necessità di ripristinare il «fine di lucro», come oggetto del reato. Opportunamente alcuni magistrati hanno fatto le necessarie distinzioni tra copia a uso personale e commercio di software privato, tra «fine di lucro» e semplice profitto. La più famosa di queste sentenze è quella del 26 novembre 1996, emessa dalla pretura circondariale di Cagliari nel caso esaminato dal giudice Massimo Deplano. Nella sentenza si legge che «la duplicazione e la detenzione acquistano rilievo penale in tanto in quanto siano finalizzate rispettivamente al lucro e alla commercializzazione. Tali condotte sono pertanto sanzionate solo se sorrette dal dolo specifico indicato. In particolare deve ritenersi che, di per sé, la duplicazione del programma non solo non assurge in alcun modo a fatto penalmente rilevante, ma è senza dubbio consentita dalla normativa attuale in tema di diritto d'autore. Le modifiche alla legge sul diritto d'autore sembrano nate proprio per contrastare il citato orientamento giurisprudenziale basato, tra l'altro, proprio sulla differenza tra lucro e profitto. (...) Il termine lucro indica esclusivamente un guadagno patrimoniale consistente nell'acquisizione di uno o più beni; esso non coincide in linea di principio con il termine profitto, che ha un significato ben più ampio».
      Si passa, ora, a un sintetico esame delle disposizioni recate dalla proposta di legge.
      Con l'articolo 1 si abolisce il limite del 15 per cento nella riproduzione di libri e si cancella la farraginosa procedura mirante ad impedire l'uso delle fotocopiatrici.
      Con l'articolo 2 si sostituisce la dizione «per trarne profitto» con «a fine di lucro» che esclude, come spiegato, l'uso personale dall'ambito dei reati.
      Con l'articolo 3 si interviene sull'articolo 174-ter della legge n. 633 del 1941 che sanziona non solo la duplicazione e la riproduzione, ma anche l'utilizzo di opere tutelate. Appare evidente la necessità di escludere esplicitamente le sanzioni per l'uso personale al fine di evitare che venga considerato reato anche l'uso casalingo del videoregistratore o del masterizzatore.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 68 della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 3, le parole: «, nei limiti del quindici per cento di ciascun volume o fascicolo di periodico, escluse le pagine di pubblicità,» sono soppresse;

          b) il comma 4 è abrogato;

          c) al comma 5:

              1) al primo periodo, le parole: «nei limiti stabiliti dal medesimo comma 3» sono soppresse;

              2) il terzo periodo è soppresso.

Art. 2.

      1. All'articolo 171-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 1, le parole: «per trarne profitto» sono sostituite dalle seguenti: «a fine di lucro»;

          b) al comma 2, le parole: «al fine di trarne profitto» sono sostituite dalle seguenti: «a fine di lucro».

Art. 3.

      1. Al comma 1 dell'articolo 174-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, sono premesse le seguenti parole: «Ad eccezione dell'uso personale senza fine di lucro».


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