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PDL 2774

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2774



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato TAORMINA

Interpretazione autentica dell'articolo 629 del codice di procedura penale, in materia di condanne soggette a revisione

Presentata il 21 maggio 2002


      

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Onorevoli Colleghi! - L'intervento di cui alla presente proposta di legge si rende necessario per superare l'orientamento interpretativo, avallato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui l'istituto della revisione non potrebbe trovare spazio rispetto alle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
      Alla base di tale restrittiva conclusione viene posto il principio secondo cui la sentenza di patteggiamento non sarebbe equiparabile ad una sentenza di condanna sicchè, in definitiva, da essa non potrebbe derivare il riconoscimento giudiziale completo della responsabilità dell'imputato neppure nell'ipotesi in cui la pronunzia de qua venga emessa, a norma dell'articolo 448, comma 1, del codice di procedura penale, all'esito del dibattimento, una volta ritenuto ingiustificato il dissenso del pubblico ministero.
      In ogni caso, infatti, si rileva che la tipica funzione giurisdizionale del giudice del dibattimento troverebbe un limite di fronte alla richiesta di pena concordata tra le parti. Essa, in sintesi, non si svolgerebbe con pienezza in quanto il momento negoziale, in un certo senso, giustificherebbe il decremento del tasso di approfondimento dell'attività di accertamento del fatto e della responsabilità dell'imputato compiuta dal giudice, il quale è normativamente vincolato alla sola verifica, con riferimento a tale procedimento speciale, della insussistenza di cause di proscioglimento ai sensi dell'articolo 129 del codice di procedura penale.
      Proprio la mancanza, nella sentenza di patteggiamento, di un accertamento giudiziale pieno spiegherebbe perché essa dovrebbe
 

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essere insensibile alla scoperta di nuove prove e perfino al conflitto teorico tra giudicati.
      Si deve osservare come siffatta conclusione desti non poche perplessità sotto il profilo della «tenuta» costituzionale del sistema il quale, oltre che sul piano della disparità di trattamento, risulta esposto al rischio di una violazione del diritto di difesa oltre che di quello di presunzione di non colpevolezza dell'imputato.
      È stato, in particolare, notato in dottrina come la asserita non revisionabilità delle sentenze di condanna sia fatta logicamente dipendere dalla non pienezza dell'accertamento giurisdizionale sul fatto e sulla responsabilità dell'imputato, quasi che il consenso dell'imputato compensi un decremento del tasso di certezza dell'accertamento stesso.
      Senonchè è agevole obiettare come nella specie entrino in gioco valori assolutamente indisponibili e come, di fronte al precetto costituzionale della presunzione di non colpevolezza, la logica negoziale non potrebbe in alcun modo giustificare l'adozione di provvedimenti incidenti sulla libertà personale privi dei necessari requisiti di certezza.
      La disponibilità, infatti, come si conviene in un processo di parti, può incidere sulle prove e al limite sulle modalità della loro formazione, ma non già sul giudizio, che è prerogativa sulla quale, essendo titolare il giudice, non possono incidere le parti.
      Sotto un altro profilo occorre altresì rilevare come non si riesca a condurre razionalmente al sistema, una volta ritenuta la revisione incompatibile con le sentenze di patteggiamento, la previsione che, invece, consente la praticabilità di tale mezzo di impugnazione straordinario rispetto al decreto penale di condanna (articolo 629 del codice di procedura penale).
      Per quanti sforzi si vogliano fare, infatti, è certo che, sul piano del contraddittorio, i due procedimenti sono pressoché sovrapponibili (potendosi equiparare alla richiesta dell'imputato di essere sottoposto ad una pena la rinunzia a proporre opposizione avverso una condanna richiesta dal solo pubblico ministero), come identico appare il tipo di accertamento sulla responsabilità compiuto dal giudice nei due procedimenti speciali, sempre segnato dall'articolo 129 del codice di procedura penale.
      A fronte, poi, della pretesa non pienezza dell'accertamento contenuto nella sentenza di patteggiamento, si assiste ad una sempre maggiore tendenza ad equiparare la stessa alla sentenza emessa all'esito del giudizio.
      Ne è un esempio tangibile la rilevanza che la legge n. 97 del 2001 ha assegnato alla sentenza emessa a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale. Non solo, infatti, secondo quanto dispone il combinato disposto degli articoli 445, comma 1, e 653, comma 2, del codice di procedura penale (quest'ultimo modificato dalla richiamata legge n. 97 del 2001) tutte le sentenze penali irrevocabili hanno efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare, ma ciò che più conta è che tale efficacia sia espressamente collegata all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che l'imputato lo abbia commesso.
      Contrariamente, dunque, a quanto si ritiene, l'ordinamento ha equiparato gli effetti dell'accertamento della sentenza di patteggiamento a quelli della sentenza di condanna emessa all'esito del dibattimento e se ciò, analogamente, non accade con riferimento al giudizio civile o amministrativo di danno (nei quali, invece, ha efficacia di giudicato la sola sentenza di condanna emessa in seguito a dibattimento, articolo 651 del codice di procedura penale), la differenza non sembra dipendere da una ontologica incompatibilità tra i due tipi di accertamento quanto, semmai, da una scelta discrezionale del legislatore, giustificata dalla esigenza di allargare, in talune situazioni, i benefìci a cui l'imputato può andare incontro laddove rinunzi al dibattimento.
      Ora, se proprio l'ordinamento fa mostra di equiparare gli effetti delle sentenze di patteggiamento a quelli prodotti dalle sentenze di condanna pronunziate all'esito
 

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del dibattimento (ed a tale riguardo nella richiamata legge n. 97 del 2001 tale equiparazione è pressoché totale), non si riesce a comprendere la ragione per la quale la sentenza di condanna emessa all'esito del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti debba rimanere insensibile di fronte alla scoperta di prove nuove e perfino al conflitto teorico di giudicati.
      La logica negoziale, infatti, non può mai giustificare tale limite. Se da un lato, infatti, la volontarietà della accettazione della condanna da parte dell'imputato richiedente può servire a spiegare la richiamata limitazione dell'esercizio della funzione giurisdizionale, dall'altro essa non può giustificare la non praticabilità di rimedi straordinari, in quanto la scoperta della prova nuova, come la sopravvenienza di tutte le altre situazioni previste dall'articolo 630 del codice di procedura penale, sono a dimostrare non soltanto la possibile ingiustizia della condanna, circostanza questa intollerabile in uno Stato di diritto, ma anche l'errore essenziale in cui versava l'imputato e, dunque, in definitiva, la natura viziata del consenso negoziale dallo stesso a suo tempo prestato.
      È ovvio, una volta chiarito che anche la sentenza di patteggiamento debba essere sottoposta alle vicende risolutive della efficacia di giudicato previste ordinariamente per tutti gli altri provvedimenti di condanna, come il procedimento non necessiti di particolari adeguamenti dovendosi lo stesso, una volta dato ingresso al mezzo di impugnazione straordinaria, svolgere secondo gli stessi criteri che regolano la revisione dei decreti penali di condanna.
      Al fine di ripristinare, da un lato, la necessaria ragionevolezza del sistema e di eliminare, dall'altro, perplessità in ordine alla applicabilità dell'istituto della revisione a tutte le sentenze di applicazione della pena in ogni tempo pronunziate, si reputa preferibile intervenire nella presente materia con una disposizione di interpretazione autentica.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Nell'articolo 629, comma 1, del codice di procedura penale le parole: «sentenze di condanna» devono interpretarsi nel senso che in tali sentenze sono comprese anche le sentenze emesse a norma del titolo II del libro VI del medesimo codice.


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