PDL 4771
XIV LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 4771
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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa del deputato FERRO
Modifiche alla disciplina delle società cooperative
Presentata il 3 marzo 2004
Onorevoli Colleghi! - Il Governo ha adottato il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, recante: «Riforma organica della disciplina delle società di capitali e
società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366».
Il provvedimento ha interessato una vasta parte del codice civile, che è stato riscritto dall'articolo 2325 all'articolo 2548, mentre sono stati introdotti nuovi articoli nelle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto n. 318 del 1942.
La legge di delega n. 366 del 2001 interessa tutte le società italiane, ma esclude dalla riforma pochissime cooperative: le banche popolari, le banche di credito cooperativo e i consorzi agrari (articolo 5, comma 3).
La norma di esclusione è stata ripetuta nel secondo comma dell'articolo 223-
terdecies delle citate disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, introdotto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 6 del 2003.
Tale norma non è attuale perché priva queste imprese della possibilità di usufruire di una moderna disciplina societaria realizzata sessanta anni dopo quella precedente, contenuta nel codice civile del 1942.
Alle società cooperative escluse dalla riforma continuano ad applicarsi le norme vigenti alla data di entrata in vigore della legge n. 366 del 2001 e cioè quasi tutti gli articoli del codice civile completamente riscritti e conservati per tali società nel testo redatto sessanta anni fa.
Tale norma è penalizzante; costringe, infatti, queste imprese ad essere disciplinate da norme desuete - tenute in vita artificialmente soltanto per esse - mentre la totalità delle cooperative ha norme completamente riscritte.
I casi sono due: o la riforma è peggiore della disciplina precedente, e allora non si comprende perché applicarla allo sterminato mondo delle società cooperative italiane, oppure è migliore della disciplina precedente, e allora è opportuno applicarla anche alle poche società cooperative escluse.
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Valga il vero. Le nuove norme sono necessarie e sufficienti per regolare tutte le società cooperative. Inutile, pertanto, tenere in vita le norme vigenti al 23 ottobre 2001. Irrazionale mantenere una doppia normativa.
Le società cooperative, che non sono ritenute meritevoli della nuova disciplina, sono normali imprese, presenti sul mercato come tutte le altre.
L'esclusione di queste cooperative dalla riforma può far pensare che esse siano destinate a vegetare in una zona d'ombra del sistema economico, e magari ad approfittare di una qualche protezione o agevolazione.
Una simile interpretazione è ingenerosa e, se fosse adombrata, sarebbe respinta dalle imprese interessate che non si sentono certo appartenenti a categorie «sotto tutela».
Procedendo nell'analisi per quanto riguarda le banche popolari, che attualmente sono quaranta, si rileva che esse non hanno mai avuto agevolazioni e non c'è motivo per negare ad esse la facoltà di adottare i nuovi istituti di governo e di controllo societario introdotti dalla riforma (sistema dualistico di cultura tedesca o sistema monastico modellato sul mondo anglosassone) che potranno avere benefici effetti sulla loro gestione.
Esse potranno, in ogni modo, preferire di mantenere gli istituti tradizionali italiani collaudati.
Riguardo alle banche di credito cooperativo, che attualmente sono quattrocentosessanta, esse sono state le prime ad essere interessate da un principio cardine della riforma: quello di esercitare il credito prevalentemente a favore dei soci (articolo 35 del testo unico di cui al decreto legislativo 1
o settembre 1993, n. 385).
Proprio ora che la riforma estende questo principio alla totalità delle cooperative a mutualità prevalente, le banche di credito cooperativo verrebbero tenute in disparte; l'esperienza, da esse maturata in questi anni, dovrebbe porle davanti a tutte le altre a testa alta.
C'è un altro importante aspetto che concerne le banche di credito cooperativo. La riforma regola la possibilità di perdere la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente (articolo 2545-
octies del codice civile, introdotto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 6 del 2003).
Se tale possibilità fosse consentita, esse sarebbero comprese nella specie di cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente. Tale situazione permetterebbe di modificare lo statuto per assumere la veste di banca popolare.
Il suddetto cambiamento potrebbe interessare quelle banche che hanno raggiunto una dimensione rilevante; sarebbe realizzato con l'autorizzazione dell'organo che governa le banche, in altre parole la Banca d'Italia, che valuterebbe - con i propri strumenti collaudati - che tale cambiamento non contrasti con una sana e prudente gestione.
Infine i consorzi agrari, che attualmente sono settanta. Essi sono costituiti in forma di società cooperativa perfettamente uguale a tutte le altre cooperative (la legge n. 410 del 1999 ha soppresso qualunque titolo speciale).
La deroga all'applicazione della riforma del diritto societario, prevista per essi, non può avere il sapore di una protezione o di una zona franca, mentre tutte le altre società cooperative non hanno privilegi. Una simile interpretazione sarebbe ingiusta per queste cooperative che non vogliono fare altro che il loro mestiere (vale a dire la fornitura di servizi agli agricoltori), e che sono orgogliose della loro conquistata natura privata nonché interessate all'integrazione con il restante mondo cooperativo, senza invocare
status speciali.
La riforma del diritto societario corrisponde alle esigenze di tutte le società, anche delle società cooperative [legge n. 366 del 2001, articolo 5, comma 2, lettera
f)].
Occorre quindi che il legislatore apra anche alle cooperative escluse la possibilità di usufruire delle nuove norme, abrogando esplicitamente gli articoli che impediscono l'accesso delle predette cooperative alla riforma societaria.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Il comma 3 dell'articolo 5 della legge 3 ottobre 2001, n. 366, è abrogato.
Art. 2.
1. L'articolo 223-terdecies delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, introdotto dall'articolo 9, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, è abrogato.
Art. 3.
1. La presente legge entra in vigore a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.