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PDL 5311-A 5310-bis-A

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5311-A
   N. 5310-bis-A



ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI


RELAZIONE GENERALE DELLA V COMMISSIONE PERMANENTE

(BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)
Presentata alla Presidenza il 3 novembre 2004

(Relatori per la maggioranza:
GARNERO SANTANCHÈ, per il disegno di legge n. 5311;
CROSETTO, per il disegno di legge n. 5310-bis)

sul

DISEGNO DI LEGGE

(N.  5311)

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(SINISCALCO)

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007

Presentato il 30 settembre 2004


NOTA: Relazioni di minoranza presentate nelle Commissioni permanenti sugli stati di previsione del disegno di legge di bilancio e sulle parti del disegno di legge finanziaria di rispettiva competenza.
 

Pag. 2

e sul

DISEGNO DI LEGGE

(N.  5310-bis)

presentato dal ministro dell'economia e delle finanze
(SINISCALCO)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)

Presentato il 30 settembre 2004

ALLEGATO 2
RELAZIONI DI MINORANZA DELLE COMMISSIONI PERMANENTI

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RELAZIONI DI MINORANZA PRESENTATE NELLE COMMISSIONI PERMANENTI AI SENSI DELL'ARTICOLO 120, TERZO COMMA, DEL REGOLAMENTO, SUGLI STATI DI PREVISIONE DEL DISEGNO DI LEGGE DI BILANCIO E SULLE PARTI DEL DISEGNO DI LEGGE FINANZIARIA DI RISPETTIVA COMPETENZA


INDICE


IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)
Pag. 5
VI COMMISSIONE PERMANENTE
(Finanze)
Pag. 5
VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente e lavori pubblici)
Pag. 29
X COMMISSIONE PERMANENTE
(Attività produttive, commercio e turismo)
Pag. 41

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Pag. 5

IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)
 

Pag. 7

IV COMMISSIONE PERMANENTE
(Difesa)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione del Ministero della difesa
per l'anno finanziario 2005
(Tabella n. 12)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (5310-bis)

dei deputati

Minniti, Molinari, Ruzzante, Pisa, De Brasi, Santino Loddo,
Angioni, Tanoni, Pinotti, Lumia, Luongo, Rotundo


      Rilevato che:

          già nel triennio 2002-2004, le risorse assegnate al Mistero della difesa, se valutate in termini reali, hanno avuto un andamento decrescente, con l'effetto di penalizzare in misura significativa:

          l'esercizio, al punto che la stessa nota aggiuntiva redatta dal Ministero della difesa in occasione della presentazione del bilancio di previsione del 2004 parlava di: «una decisa battuta di arresto nell'andamento delle risorse da destinare ai sistemi vitali e qualificanti della Difesa, rendendo ulteriormente problematico, se non mettendolo a rischio, l'intero processo di riforme». Tagliare sull'esercizio significa incidere direttamente sulla funzionalità dello strumento militare in quanto vengono ridotte le risorse destinate alle attività addestrative, alla formazione, alla manutenzione e all'efficienza di sistemi d'arma, di mezzi e di infrastrutture, al mantenimento dei livelli di scorta, e quindi sulla prontezza operativa e sull'efficienza dello strumento militare;

 

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          gli investimenti che sono destinati all'ammodernamento dello strumento militare erano già stati nel bilancio previsionale del 2004 ridotti del 9,2 per cento rispetto a quelli del 2001.

      Questa minore disponibilità di risorse non ha consentito di rispettare programmazioni assunte da tempo in materia di ammodernamento delle infrastrutture, ricapitalizzazione delle componenti logistiche, accordi internazionali per l'acquisizione di mezzi e di sistemi d'arma, e i piani di programmazione industriale che sono stati rivisti e slittati nel tempo.

      Le spese per il personale sono le uniche ad essere aumentate. Tale crescita è dovuta non tanto ad un miglioramento dei livelli stipendiali del personale, che sono cresciuti meno dell'inflazione come è accaduto per gli altri contratti del settore pubblico, quanto per effetto della sostituzione del personale di leva (remunerato soltanto con il «soldo» giornaliero) con i volontari.

      Sempre nel 2004, nel luglio scorso è intervenuto sul bilancio di previsione del 2004 il decreto tagliaspese che ha sottratto alla Difesa 977 milioni di euro così ripartiti:

          437 milioni sull'esercizio;

          540 milioni sugli investimenti.

      Su una situazione così già fortemente compromessa si è innestata la manovra di quest'anno. Il bilancio previsionale del 2004 assegnava alla Difesa 19.811 milioni di euro che per effetto del decreto tagliaspese sono diventati 18.834. A maggio del 2004 il Ministero dell'economia ha chiesto di formulare la previsione per l'anno 2005 che è stata quantificata in 20.793 milioni di euro (giustificati dalla necessità di recuperare il trend negativo degli ultimi tre anni) ma soprattutto con i crescenti impegni chiesti alla Difesa in termini di incremento di attività operative e di impieghi fuori area.
      La sospensione anticipata del servizio militare di leva, approvata nel giugno di quest'anno ha assegnato alla Difesa ulteriori 393 milioni di euro, portando quindi lo stanziamento previsionale a 20.793 milioni di euro, cifra che il Governo ha iscritto nel bilancio dello Stato come previsione per il Ministero della difesa a legislazione vigente.
      La legge finanziaria ha introdotto con l'articolo 3 il meccanismo dei risparmi di spesa (tetto del 2 per cento) che sono in sostanza dei tagli sui bilanci di previsione. Alla Difesa vengono tolti 1.357, 86 milioni di euro così ripartiti:

          576,82 milioni di euro in meno sugli investimenti fissi lordi;

          781,14 milioni di euro sui consumi intermedi.

      Si tratta di riduzioni nelle previsioni di bilancio a legislazione vigente per il 2005 pari al 19,08 per cento per gli investimenti e al 20,4 per cento per i consumi intermedi.
      Vengono di conseguenza penalizzate ben 41 Unità previsionali di Bilancio sia dell'area centrale della Difesa sia dell'esercito, marina e aeronautica e dell'arma dei carabinieri su diversi capitoli che vanno dalle spese generali di funzionamento al benessere del personale, dai mezzi operativi e strumentali all'ammodernamento e rinnovamento, alla formazione e all'addestramento, fino all'informatica e all'edilizia di servizio. Inoltre le previsioni e le programmazioni relative a vari programmi di ammodernamento e di riorganizzazione subiscono l'ennesima dilazione nel tempo.
      La compensazione introdotta a favore della Difesa con la stessa legge finanziaria (articolo 35 comma 12) sulla base della cessione di un consistente pacchetto di immobili dalla Difesa alla Agenzia del Demanio con la concessione di un controvalore fino a 954 milioni di euro da parte della Cassa depositi e prestiti ha in se molte contraddizioni che debbono essere chiarite.
      La prima riguarda la necessità che il Governo dichiari formalmente che tali beni non includeranno gli alloggi di servizio.

 

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      La seconda riguarda l'entità e la natura del rimborso.
      L'anticipazione finanziaria che opererà la Cassa Depositi e Prestiti a favore della Difesa (e che il Tesoro ripianerà direttamente alla Cassa, utilizzando i proventi delle cartolarizzazioni) sarà versata all'entrata del bilancio dello stato per essere riassegnata al dicastero della Difesa su appositi fondi relativi ai consumi intermedi e agli investimenti fissi lordi.
      Il rientro non viene quindi iscritto nel bilancio ordinario della Difesa per il 2005, e l'anno prossimo queste risorse non ci saranno o comunque dovranno essere ceduti altri beni, il che vale a dire che il taglio di 1.357,86 milioni di euro è strutturale e soltanto nel 2005 è parzialmente ripianato attraverso la vendita di immobili.
      Per rimediare sarebbe necessario un intervento legislativo urgente.
      L'insieme delle decisioni assunte con la legge finanziaria dimostrano che siamo di fronte ad una situazione insostenibile.
      L'obiettivo che pure il Governo si era dato di intraprendere un percorso positivo per avvicinare il rapporto tra stanziamento per la funzione Difesa e Pil alla soglia del 1,5 per cento considerandola un valore medio da raggiungere nel quadro dei comportamenti dei principali paesi europei, in questi ultimi quattro anni è stato irrimediabilmente compromesso. Infatti negli ultimi tre anni l'andamento è stato decrescente:

          1,079 per cento nel 2002;

          1,061 per cento nel 2003;

          1,048 per cento nel 2004;

      e si assesterà intorno all'1,042 nel 2005, se non verrà risolta la questione della anticipazione finanziaria della Cassa Depositi e Prestiti; in ogni caso l'obbiettivo di risalire verso l'1,5 del rapporto funzione Difesa/Pil appare irrimediabilmente compromesso e inoltre appare estremamente difficile anche per il futuro recuperare risultati significativi al raggiungimento di questo stesso obbiettivo.
      Il personale militare ha già subito delle scelte che, soprattutto per ciò che riguarda i volontari e i gradi apicali dei ruoli intermedi, sono state giudicate penalizzanti e apertamente contestate all'atto della loro formalizzazione con il provvedimento sui cosiddetti «parametri stipendiali» con i quali è stata negata qualunque possibilità di carriera economica al crescere dell'anzianità di servizio, all'intera platea dei volontari delle Forze armate.
      Nulla è stato previsto per l'adozione di provvedimenti correttivi al sistema di retribuzione basato sui parametri che entrerà in vigore dal primo gennaio 2005.
      Il passaggio al sistema professionale non dispone di risorse finanziarie adeguate per intervenire, come sarebbe necessario, per migliorare la condizione del volontario delle Forze Armate e si fa leva per garantire il livello dei reclutamenti sostenendoli con un obbligo dagli effetti più negativi che positivi.
      Sarebbe inoltre necessario:

          prevedere un più adeguato accantonamento che consenta di promuovere un provvedimento per un più generale riordino delle carriere di tutti i ruoli delle Forze armate e delle Forze di polizia;

          finanziare un piano casa per alloggi di servizio attraverso la vendita diretta agli utenti di parte consistente dell'attuale patrimonio utilizzando il ricavato anche per la ristrutturazione di alcune caserme, considerandoli elementi necessari per il buon esito delle iniziative di reclutamento dei volontari rinunciando alla ipotesi di cartolarizzare migliaia di alloggi di servizio senza ritorno significativo per la Difesa e con grave danno per le famiglie militari con reddito medio-basso;

          dare attuazione alla costituzione di un fondo pensioni integrativo in grado di assorbire gli attuali assetti patrimoniali delle casse ufficiali e sottufficiali e dare copertura previdenziale adeguata a quella che è ormai la maggioranza del personale militare; quello cioè entrato in servizio dopo il 1995 (anno della riforma previdenziale) nei ruoli dei marescialli e degli

 

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ufficiali, tutto il personale appartenente al ruolo dei volontari e tutti coloro che alla data del 1995 avevano un'anzianità di servizio inferiore ai 19 anni effettivi;

          prevedere la necessaria copertura finanziaria al disegno di legge-quadro recante «Norme sullo stato giuridico e il trattamento economico dei militari inviati alle operazione all'estero», fermo in Commissione difesa della Camera per mancanza di copertura finanziaria;

          prevedere la necessaria copertura finanziaria al disegno di legge recante «Norme in favore dei militari di leva e di carriera infortunati o caduti durante il periodo di servizio», fermo in Commissione difesa della Camera per mancanza di copertura finanziaria che lo stesso Governo ha stimato essere dell'ordine di circa 120 milioni di euro dichiarando però di non essere in grado di reperirli. Si tratta di una situazione moralmente inaccettabile poiché la legge si propone di erogare un risarcimento simbolico (50 mila euro) a chi ha perso un figlio o è rimasto menomato per tutta la vita per accidenti occorsigli durante il servizio di leva. L'anno in cui si attua la sospensione anticipata e cioè la fine del servizio di leva non può non coincidere con questo obbligo morale di un risarcimento ai più sfortunati per il quale i soldi «debbono essere assolutamente trovati»;

          prevedere un adeguato accantonamento finanziario per approvare norme che definiscano le misure e gli strumenti operativi in grado di garantire al personale militare la tutela della salute, la prevenzione dai molteplici rischi derivanti dalle attività istituzionali e un sistema risarcitorio più favorevole;

          prevedere un adeguato accantonamento finanziario per avviare un programma di ridislocazione di enti e strutture delle Forze Armate verso le regioni del Sud e le isole, la dove avviene la quasi totalità del reclutamento;

          incrementare il Fondo Unico di amministrazione del personale civile della Difesa per consentire la realizzazione di un programma straordinario di formazione e di riqualificazione del personale civile in grado di corrispondere alle esigenze della ristrutturazione delle Forze armate;

          è necessario in fine prevedere una più adeguata copertura finanziaria ai piani di ammodernamento delle Forze Armate, con particolare riguardo ai progetti più qualificanti per restare al passo con le esigenze operative poste dall'impiego delle nostre Forze Armate sullo scenario internazionale e anche dal processo di costituzione di quella che appare ormai un'esigenza irrinunciabile e cioè l'integrazione europea ed il progetto di difesa comune.
      Tutto ciò considerato, si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.

 

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VI COMMISSIONE PERMANENTE
(Finanze)

 

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VI COMMISSIONE PERMANENTE
(Finanze)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione dell'entrata
per l'anno finanziario 2005
(Tabella n. 1)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (5310-bis)

dei deputati

Benvenuto, Pinza, Pistone, Lettieri, Grandi, Fluvi, Tolotti, Nannicini, Coluccini, Cennamo, Nicola Rossi


      Esaminato, per i profili di propria competenza, il disegno di legge A.C. 5310-bis, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005);

          premesso che:

              la manovra di bilancio 2005 predisposta dal Governo evidenzia il carattere recessivo delle proposte in essa contenute, nonché l'illusionismo contabile e l'inganno fiscale dietro ai quali si intende celare la vera natura di molte delle norme in essa contenute; in particolare, lo sminuzzamento delle imposte (attraverso la crescita dei tributi locali), la vendita dei demani, l'inclusione di tasse ed imposte nei prezzi dei prodotti e dei servizi, i prestiti pubblici, l'occultamento abile degli effetti dell'imposta, le false promesse di attenuazione o abolizione delle imposte sono le caratteristiche della manovra economica che si sostanzia in una politica di illusioni, anzi soprattutto di illusionismo;

 

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              sul piano istituzionale, si tende a risolvere la crisi della «democrazia di bilancio» rendendo sempre meno rilevante l'esame parlamentare dei documenti di bilancio, e concedendo la più ampia discrezionalità all'Esecutivo di modificare in via amministrativa le residue decisioni assunte dal Parlamento in materia;

              la manovra non dà risposte ai problemi più acuti del Paese, da quello del rischio di declino del sistema economico e produttivo a quello della distribuzione fortemente sperequata del reddito, dal blocco dei consumi alla precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro, dando risposte sbagliate alla necessaria modernizzazione del welfare;

              non è ancora chiaro se, quando e come, le misure per lo sviluppo saranno inserite nella manovra;

              non convincono i conti della manovra per il 2005, mentre continuano a non tornare i conti relativi al 2004; in particolare, gli aspetti critici degli andamenti di finanza pubblica per il 2004 riguardano il condono edilizio ed il concordato preventivo (le quali dovevano garantire un gettito complessivo pari a 5,6 miliardi di euro, ma che, dopo le leggi regionali che ridurranno la portata del condono, e la scarsa adesione registratasi al concordato fiscale, realizzeranno un gettito inferiore rispetto alle previsioni di 3-4 miliardi di euro); la fuoriuscita dell'Anas dal comparto delle pubbliche amministrazioni (la condizione per il nullaosta comunitario, secondo cui almeno il 50 per cento delle entrate di tale azienda sia reperito sul mercato, non si è infatti realizzata, facendo così venir meno risparmi contabilizzati circa 3 miliardi); le dismissioni di immobili (non è stata avviata l'operazione Scip 3 relativa agli immobili della Difesa e mancano all'appello 9 miliardi di euro); la manovra correttiva del luglio 2004, realizzata con il decreto - legge n. 168 del 2004 (le maggiori entrate previste pari a 7,5 miliardi, sono in dubbio dopo che anche la Relazione della Corte dei conti ha messo in luce gli effetti di trascinamento, al rialzo, del decreto cosiddetto «taglia spese» del 2002 sui conti 2003);

              in sintesi, per il raggiungimento dell'obiettivo del contenimento del deficit al 2,9 per cento mancano più di 10 miliardi di euro, e dunque il deficit per il 2004, salvo nuovi ulteriori interventi, sarà in realtà superiore al 3 per cento;

              per quanto riguarda i conti del 2005 si rileva come l'andamento tendenziale da correggere sia maggiore rispetto a quello indicato dal Governo e come, pur assumendo il deficit tendenziale pari al 4,4 per cento del PIL e l'obiettivo della sua riduzione al 2,7 per cento (- 1,7 per cento), la manovra correttiva proposta, pari a 24 miliardi di euro, non sia realizzabile con le misure disposte;

              la manovra di 24 miliardi di euro, costituita da interventi di riduzione della spesa (che, applicando il cosiddetto «metodo Brown» del tetto del 2 per cento ed il rafforzamento della Consip, determinerebbe tagli alla spesa corrente di 6,5 miliardi e tagli alla spesa in conto capitale per 3 miliardi), da entrate una tantum pari a 7 miliardi (di cui, dismissioni immobiliari dirette, e cartolarizzazioni per 6,3 miliardi), interventi di manutenzione del gettito (in realtà corrispondenti a maggiori entrate ordinarie) per 7,5 miliardi, minori interessi sul debito per 1,5 miliardi e maggiori spese per 1,5 miliardi, appare pertanto poco credibile;

              il tetto del 2 per cento per le spese per il triennio 2005-2007 è in realtà un taglio molto sensibile delle disponibilità, considerando che nell'ultimo triennio le spese correnti sono aumentate annualmente del 5 per cento;

              il tetto del 2 per cento si applica alla spesa complessiva delle Pubbliche amministrazioni, in relazione alle corrispondenti previsioni aggiornate del precedente anno come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica; per il bilancio dello Stato esso si applica agli stanziamenti iniziali di competenza e di cassa, come ridotti dalla manovra correttiva operata con il decreto - legge n. 168 del 2004;

              sono escluse dal tetto del 2 per cento le spese pensionistiche e per altre

 

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prestazioni sociali, che vengono aumentate del 3,9 per cento, né verrebbe inciso l'andamento tendenziale della spesa per il personale (con occupazione costante), con un aumento del 3,7 per cento rispetto agli ultimi rinnovi contrattuali;

              su 9,5 miliardi di minori spese derivanti dall'introduzione del tetto del 2 per cento, 1,9 riguardano la spesa dei Ministeri e 7,6 devono essere risparmiati da altri enti, in particolare dagli enti territoriali: in particolare la Corte dei Conti ha specificato che il 60 per cento dei tagli determinati dal tetto del 2 per cento ricadrà sugli enti territoriali, i quali subiranno una decurtazione complessiva pari a 5,7 miliardi di euro rispetto al tendenziale;

              in ogni caso, impostare il bilancio mediante un confronto con le spese effettive dell'anno precedente anziché con l'andamento tendenziale degli 8.000 capitoli di spesa, rafforza il potere contrattuale di chi vuole controllare le uscite, mentre ora l'onere della prova grava sui ministeri che intendono spendere più del tetto di spesa fissato;

              negli ultimi 5 anni (2000-2004), eccetto la spesa per interessi (-1,2 per cento) e le spese in conto capitale (10,2 per cento), che da sole rappresentano un quinto circa della spesa pubblica complessiva, tutte le uscite hanno superato l'inflazione (10,6 per cento), ed il tasso di l'incremento del Pil (15,7 per cento);

              la spesa sanitaria è aumentata del 34,5 per cento, quella per le pensioni del 20,1 per cento, quella per il personale del 23,7 per cento;

              la spesa corrente 2005 al netto degli interessi dovrebbe essere pari a 555,6 miliardi di euro, a fronte di un valore nel 2004 pari a 535,9 miliardi, con un aumento del 3,6 per cento, pari a 19,7 miliardi in termini assoluti; con l'introduzione del tetto del 2 per cento si otterrebbe un risparmio di circa 9 miliardi, dal quale occorre tuttavia detrarre le spese escluse dal tetto (pensioni, spese sociali, sicurezza), di modo che il volume di stanziamenti soggetto al vincolo del 2 per cento ammonta a circa 300 miliardi, che salirebbe dai 301,3 miliardi nel 2004 ai 313,4 miliardi nel 2005, con un incremento del 4 per cento, ovvero di 12,1 miliardi: pertanto il risparmio potrebbe salire a circa 6 miliardi, riducendosi tuttavia a 5 miliardi se si escludessero le spese sanitarie (90 miliardi) dal vincolo del tetto;

              il Ministero dell'economia stima che le spese non vincolate sono circa il 7 per cento del totale, a fronte di un 93 per cento che è in vario modo obbligatorio o dovuto;

              per quanto riguarda le entrate una tantum, le indicazioni contenute nel disegno di legge finanziaria sono oltremodo generiche e rinviano alle operazioni immobiliari già disposte e da programmare, quali la cartolarizzazione relativa alla vendita di edifici pubblici (Scip 4), la vendita diretta a trattativa privata e le operazioni di lease back: quest'ultima modalità di dismissione immobiliare rappresenta una forma mascherata di indebitamento sul lungo termine, ed anche in questo caso appare inattendibile la quantificazione di 6,3 miliardi relativa alle maggiori entrate ascrivibili a tale misura, anche perché operazioni analoghe previste per l'anno 2004 non sono state ancora concluse;

              le misure per la cosiddetta manutenzione del gettito, che in realtà nascondono un incremento della pressione fiscale, si articolano, per quanto riguarda gli interventi sulla tassazione degli immobili, nell'introduzione dell'obbligo di comunicare all'Agenzia delle entrate i dati catastali e i codici fiscali relativi alle utenze (luce, gas, acqua, telefono) per i nuovi contratti al fine di realizzare controlli incrociati e combattere il fenomeno degli affitti in nero; nella comunicazione all'Anagrafe tributaria delle dichiarazioni di inizio attività edile (DIA), nella richiesta del codice fiscale in tutti gli atti del settore edilizio, nella definizione di canoni di locazione minimi sulla base di parametri, nella previsione di nullità per i contratti di

 

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affitto non registrati, nell'applicazione della Tarsu sull'80 per cento della superficie catastale, in misure per fare emergere immobili non censiti e nell'introduzione dell'obbligo di stipulare una polizza assicurativa contro le calamità;

              per quanto riguarda invece il settore IVA, le misure contenute nel disegno di legge finanziaria riguardano l'introduzione dell'obbligo di presentazione, in sede di comunicazione annuale IVA, dell'elenco clienti e fornitori, nella corresponsabilità dell'acquirente per l'evasione IVA, nell'introduzione dello strumento della pianificazione fiscale concordata triennale per imprenditori, artigiani e professionisti, su proposta dell'Agenzia delle entrate, che comporta, tra l'altro, l'esclusione dall'accertamento, l'applicazione di un'aliquota ridotta del 4 per cento sull'extrareddito e l'esclusione dei contributi previdenziali sull'extrareddito, la revisione degli studi di settore sulla base dei dati Istat, e la reintroduzione del reato di omesso versamento di ritenute da parte di sostituti d'imposta per un importo superiore a 50 mila euro annui;

              per quanto riguarda le misure che tendono a limitare l'evasione e l'elusione fiscale i condoni fiscali approvati in questi ultimi tre anni di governo del centrodestra hanno ampliato l'area dell'evasione ed hanno interrotto quel rapporto fiduciario tra l'Amministrazione finanziaria ed i contribuenti che con metodo e pazienza i Governi di centrosinistra erano riusciti a riannodare;

              l'aumento della TARSU è una misura generalizzata di aumento della tassa sui rifiuti che andrebbe viceversa collegata, come nei Paesi più evoluti, all'effettiva quantità di rifiuti prodotti agevolando la raccolta differenziata dei medesimi;

              la definizione di un canone di locazione minimo rischia di risolversi in un aumento degli affitti, peraltro già a livelli proibitivi: gli interventi fiscali sulle abitazioni dovrebbe invece procedere con la necessaria cautela, stante l'emergenza abitativa esistente nei grandi centri urbani;

              viene reintrodotta una sorta di minimum tax per i lavoratori autonomi e per gli imprenditori che ha caratteri vessatori, dopo avere, nell'ultimo triennio, consentito a tali categorie un laissez faire fiscale che rappresenta uno dei motivi delle difficoltà di bilancio attuali, passando così da un estremo all'altro;

              in ogni caso il gettito atteso da queste misure (7,5 miliardi) supera di 1,5 miliardi di euro i tagli promessi, con un futuro provvedimento, all'Irap ed all'Irpef, per complessivi 6 miliardi, senza calcolare che la polizza obbligatoria contro le calamità, come attualmente prevista, rappresenta una vera e propria tassa di scopo;

              la previsione di minori interessi sul debito contenuta nella Nota di aggiornamento del Dpef, presentata contestualmente al disegno di legge finanziaria, viene ridotta dal 5,3 per cento al 5,1 per cento del Pil: tale riduzione, plausibile, annulla lo spazio di manovra a disposizione del Governo per ulteriori aggiustamenti; questa somma dovrebbe in realtà essere pari a 2,8 miliardi circa, 1,3 miliardi in più rispetto a quelli utilizzati per le poche disposizioni a favore dello sviluppo contenute nel disegno di legge finanziaria (1,5 miliardi);

              le misure per lo sviluppo nel loro insieme sono quantificate in appena 1,5 miliardi di euro, e sono costituite esclusivamente dall'aumento di 50 milioni della dotazione del Fondo di garanzia per la riassicurazione dei rischi da parte dell'Ismea, dalla proroga del regime speciale Iva e dell'aliquota ridotta Irap per l'agricoltura ed agevolazioni fiscali in favore della pesca, dall'agevolazione per l'acquisto di Pc per i sedicenni, per gli insegnanti e per i dipendenti pubblici, dall'aumento del contributo per l'acquisto del decoder per la Tv digitale terrestre, dalla conferma degli incentivi per la banda larga, dall'aumento del fondo di garanzia per l'innovazione tecnologica per le Pmi;

              al contrario, nessuna misura riguarda la riduzione delle tasse per tutti promessa dal Governo a più riprese, (pari

 

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a 5 miliardi di riduzione dell'Irpef ed a 1 solo miliardo di riduzione dell'Irap), mentre la pressione fiscale relativa al 2004 è pari al 45,5 per cento del Pil, minore, per via dei condoni, rispetto al 46,3 per cento del 2003, ma identica rispetto a quella del biennio 2000-2001;

              nonostante tali promesse la pressione fiscale viene incrementata di 7,5 miliardi di euro, sostanzialmente intervenendo sulle imposte pagate dai piccoli imprenditori e dai lavoratori autonomi;

              le maggiori entrate previste dalla pianificazione fiscale concordata presuppongono un'adesione massiccia di imprese e lavoratori autonomi alla definizione presuntiva dei loro redditi da parte dell'Amministrazione finanziaria: tuttavia, stante l'esito del concordato fiscale biennale previsto per il 2004-2005 i dubbi in merito alla riuscita di tale operazione sono doverosi;

              l'intervento di manutenzione del gettito in riferimento ai lavoratori autonomi è difficilmente coerente con l'intento dichiarato di ottenere prezzi scontati, o perlomeno costanti, in una situazione di domanda interna calante;

              l'aumento della Tarsu e l'obbligo di sottoscrivere una polizza assicurativa per i rischi catastrofali contribuiranno ulteriormente all'aumento della pressione fiscale;

              in sostanza, la manovra finanziaria per il 2005 prevede l'aumento di 9 tasse e l'istituzione di due nuove tasse;

              gli aumenti riguardano la Tarsu, l'addizionale Irpef regionale, l'addizionale Irpef comunale, l'aumento dal 3 al 10 per cento delle ritenute sulle vincite al gioco del Lotto, l'accisa sui tabacchi, il bollo per atti giudiziari, l'Ici (tramite rivalutazione estimi catastali), l'introduzione di una sorta di minimum tax per i lavoratori autonomi, derivante dal combinato disposto della pianificazione fiscale concordata triennale per imprenditori, artigiani e professionisti, della revisione degli studi di settore sulla base dei dati Istat, e dall'aumento delle tariffe applicabili in materia di motorizzazione terrestre e navale, quali patenti, certificazioni, duplicati e revisioni;

              le nuove forme di prelievo sono costituite dall'introduzione della polizza obbligatoria contro le calamità e del pedaggio sul 20 per cento delle strade gestite dall'ANAS;

              in particolare triplicano le imposte sulla casa, con un vero e proprio effetto domino determinato dall'incremento delle rendite previsto dal disegno di legge finanziaria; il cambiamento previsto della categoria catastale dell'immobile (per esempio da A3 ad A2) porterà ad un conseguente aumento dell'imponibile per i singoli immobili; gli immobili interessati sono, secondo le stime, 400.000, e gli effetti sui tributi sulle compravendite (se si denuncia il valore catastale minimo per non avere accertamenti fiscali) e sull'IRPEF determinano un aggravio che va dal 42 per cento (da A3 ad A2), al 70 per cento (da A4 ad A3), fino 140 per cento (da A4 ad A2);

              per la quarta volta di seguito il Governo non prevede la restituzione del fiscal drag, che costituisce invece uno dei contenuti vincolanti della legge finanziaria indicato dalla legge che regolamenta la sessione di bilancio: anche in tal modo si realizza un silenzioso ma costante incremento della pressione fiscale sui redditi reali, attraverso una vera e propria tassa occulta; analogamente, non è prevista, per il secondo anno consecutivo, l'applicazione della cosiddetta clausola di salvaguardia al TFR (un miliardo di euro di tasse in più in due anni), ed è stato altresì diminuito lo stanziamento per la restituzione dei crediti di imposta alle imprese ed ai contribuenti, il cui stock ammonta oramai a 15 miliardi di euro;

              nel complesso la manovra determina incrementi del prelievo pari a 7,5 miliardi, derivanti dalla cosiddetta manutenzione del gettito, a 3-4 miliardi derivanti dagli interventi relativi alla polizza assicurativa catastrofale, alle imposte locali, ed al pedaggiamento delle strade statali, nonché tagli per 6 miliardi, comportando

 

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4-5 miliardi di euro (10.000 miliardi delle vecchie lire) di tasse in più;

              l'indice della «miseria fiscale», elaborato dalla rivista specializzata americana Forbes colloca l'Italia al 47o posto sui 51 paesi considerati: in una posizione peggiore si trovano solo Francia, Belgio, Svezia e Cina; il Paese occupa la posizione nella classifica sull'indice di «felicità fiscale»: confrontando quanto rimane nelle tasche di un lavoratore italiano con famiglia monoreddito di 50 mila euro l'anno e 2 figli, ai cittadini italiani ed alla sua famiglia ne restano solo 31 mila;

              i crediti d'imposta non restituiti alle famiglie e delle imprese hanno raggiunto i 20 miliardi di euro, pari ad oltre un punto del PIL, i tempi medi per ottenere un rimborso sono aumentati a 8,3 anni ed è ancora inattuata la previsione dello Statuto dei diritti del contribuente che prevede sin dall'anno di imposta 2002 la compensazione tra crediti e debiti delle obbligazioni tributarie;

              nel 2003, grazie ai condoni ed alle tasse occulte (come l'aumento del prelievo sul TFR e la mancata restituzione del fiscal drag) la pressione fiscale ha raggiunto il 46,3 per cento (un punto in più del livello al quale l'aveva lasciata il centro sinistra), con un incremento delle entrate del 3,5 per cento. La tendenza all'aumento della pressione fiscale non si è arrestata nel 2004: l'incremento è stato del 3,7 per cento, con una incidenza maggiore per l'IRPEF (prevalentemente quindi per pensionati e lavoratori dipendenti) che ha registrato un incremento del 5 per cento; anche le imposte indirette sono aumentate (3,3 per cento), con una concentrazione prevalente sull'IVA per i prodotti petroliferi;

              sono crollati i bonus alle aziende per gli investimenti e per l'occupazione, con conseguenze per le famiglie ed il lavoro; rispetto al 2002 le agevolazioni sono passate da 1.880 milioni di euro a 730, con una riduzione del 60 per cento dei benefici: in sostanza è stato accolto solo il 28 per cento delle richieste, e nel 2004 c'è stata una ulteriore drastica riduzione del 50 per cento;

              per quanto riguarda l'IRPEF, il prelievo occulto ha riguardato: l'incremento della tassazione sul TFR, passato dal 18 al 23 per cento (maggiori entrate in due anni di 1 miliardo di euro a carico di una platea di 800.000 lavoratori, concentrati prevalentemente al Nord), la «deduzione per assicurare la progressività dell'imposizione» con la no-tax area (ci sono tre distinte tipologie di contribuenti: valore massimo teorico di 7.500 euro per i dipendenti, 7.000 euro per i pensionati e 4.500 euro per gli autonomi) ha determinato una crescita del prelievo marginale (aumento dell'imposta rispetto all'aumento del reddito) ben più elevato di quello desumibile dal puro e semplice andamento delle curve delle aliquote legali, la mancata restituzione del drenaggio fiscale, che si realizza attraverso il mancato adeguamento delle aliquote, delle deduzioni e delle detrazioni all'inflazione;

              negli ultimi tre anni l'indice d'inflazione per il calcolo del drenaggio fiscale ha subito una variazione del 2,8 per cento, del 2,4 per cento e del 2,6 per cento senza che il Governo provvedesse, nelle leggi finanziarie per il 2002, 2003 e 2004, a operare la restituzione; anche il disegno di legge finanziaria per il 2005 non contiene indicazioni al riguardo, mentre sono stati invece annullati gli sgravi fiscali previsti dalla legge finanziaria per il 2001 varata dal Governo di centrosinistra per il biennio successivo, tesi a limitare gli effetti del drenaggio fiscale: ciò ha significato una riduzione del reddito familiare di 3,8 miliardi di euro, colpendo 25 milioni di cittadini e 16 milioni di famiglie, mentre altri 2 miliardi sono da mettere in conto per il 2005;

              per quanto riguarda l'IVA, la mancata sterilizzazione dell'imposta sull'aumento dei prodotti petroliferi (benzina, gasolio, ecc.) ha un effetto perverso: man mano che cresce il costo industriale del petrolio c'è una sorta di «tangente» per il fisco che è determinata da un prelievo

 

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aggiuntivo pari al 20 per cento del maggiore costo di produzione;

              a tutto ciò si aggiunge l'ostilità che si è sinora espressa sulle iniziative legislative a favore dei risparmiatori; nonostante la demagogia sparsa a piene mani, il Governo ha boicottato tutte le proposte di legge volte ad adottare misure concrete per assicurare trasparenza e correttezza, individuando le responsabilità e risarcendo i truffati. Il panorama è sconcertante, in quanto ci sono 825.000 risparmiatori ingannati e danneggiati: 450.000 per 14 miliardi di euro sul crack dei bond argentini, 35.000 per 1 miliardo e 250 milioni di euro per i bond Cirio, 135.000 per 10 miliardi di euro per i bond Parmalat, 73.500 per 10 miliardi di euro per i bond Bipop Carire, 100.000 per 1 miliardo e 350 milioni di euro per i bond My Way e 4 You, 6.500 per 250 milioni di euro per i bond Giacomelli, 25.000 per 350 milioni di euro per i bond Finmatica;

              la politica del Governo appare inoltre assolutamente «piratesca» nei confronti dei costi nel campo dei servizi bancari ed assicurativi, che nel 2004, nonostante gli appelli della stessa Banca d'Italia, sono vertiginosamente aumentati, triplicandosi o quadruplicandosi;

              anche l'andamento del prezzo del petrolio ha avuto nel 2004 conseguenze negative sul potere d'acquisto delle famiglie e sulla stessa competitività delle imprese. Si può calcolare in un 8 per cento l'aumento dei costi riferito all'aumento della benzina (più 12 per cento), del gasolio (più 12,5 per cento), sul riscaldamento, sui trasporti pubblici e privati, sulle tariffe elettriche, sull'agricoltura, sull'utilizzo dell'energia: sui prezzi lo Stato lucra l'IVA. Nonostante le denunce delle associazioni dei consumatori, non si è voluto sterilizzare, come è avvenuto nel passato, l'aumento dell'IVA, con effetti disastrosi sull'inflazione;

              l'aspetto recessivo della manovra si dimostra ancor più evidente considerando l'annunciata riforma delle agevolazioni alle imprese e le insufficienti risorse stanziate per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego;

              la riforma delle agevolazioni alle imprese penalizza il Mezzogiorno e blocca gli investimenti, ed avrà effetti sostanziali, non tutti positivi, sulle politiche di sostegno allo sviluppo;

              sulla base delle informazioni disponibili, la riforma dovrebbe prevedere, a decorrere dal 2005, la trasformazione di tutti gli aiuti alle imprese in finanziamenti agevolati erogati dalla Cassa Depositi e Prestiti, rimborsati secondo un piano di ammortamenti trentennale, accollando allo Stato, a carico degli stanziamenti delle vigenti leggi d'incentivazione, l'onere corrispondente alla differenza tra il tasso di mercato dei finanziamenti ed un tasso agevolato dello 0,50 per cento; i finanziamenti saranno alimentati attraverso un apposito fondo rotativo (pari, forse, a 10 miliardi di euro), costituito dalla Cassa tramite il risparmio postale; i meccanismi di funzionamento delle singole norme di agevolazione dovranno essere adeguati, per tener conto delle diverse modalità di calcolo e di corresponsione dell'aiuto; sui rimborsi dei finanziamenti opererebbe la garanzia dello Stato in favore della Cassa;

              il nuovo meccanismo prevede, in sintesi, la trasformazione dell'onere dello Stato da onere per capitale (nella forma degli attuali contributi) in onere per interessi, l'accollo alla Cassa l'onere del reperimento della linea capitale per l'erogazione dei finanziamenti, il trasferimento dallo Stato alle imprese di una quota dell'onere finanziario (rimborso dei finanziamenti) finora sostenuto per l'erogazione dei contributi in conto capitale;

              un'analisi più dettagliata della riforma potrà essere effettuata solo alla luce del contenuto del disegno di legge collegato che il Governo si accingerebbe a presentare, ma è possibile fin d'ora rilevare come, dal lato delle imprese, il nuovo meccanismo riduca fortemente l'effetto incentivante, soprattutto per le imprese meridionali: si passa infatti da un'agevolazione effettiva (equivalente sovvenzione)

 

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del 50 per cento nel Mezzogiorno (65 per cento in Calabria) ad una, stimata, del 34 per cento (l'accorciamento del periodo di ammortamento ridurrebbe ulteriormente l'intensità dell'aiuto); inoltre, la trasformazione dei contributi in finanziamenti produce un immediato peggioramento degli equilibri finanziari, in conseguenza dell'obbligo di restituzione del capitale erogato;

              dal lato della finanza pubblica, invece, l'onere a carico dello Stato si riduce alla sola corresponsione degli interessi, ma, nello stesso tempo, una quota rilevante di risorse del risparmio postale viene sottratta al suo impiego istituzionale, con possibili negative ripercussioni sull'operatività della Cassa Depositi e Prestiti;

              dal lato della Cassa Depositi e prestiti è ragionevole ipotizzare che le sofferenze maturate alla fine di un così ampio periodo di ammortamento (30 anni) saranno molto elevate, con conseguenti rischi di esposizione finanziaria della Cassa e del suo azionista: si rischia pertanto di realizzare risparmi per rinviare ad un momento futuro le perdite;

              per quanto riguarda il funzionamento dell'ipotizzato fondo rotativo, la rotatività del fondo stesso appare più virtuale che sostanziale, considerato che occorrono 30 anni per il completo reintegro delle somme erogate: pertanto la Cassa Depositi e Prestiti sarà costretta a reintegrare periodicamente il fondo ricorrendo a nuova provvista ogni 3/4 anni, per mantenere inalterato il valore iniziale di quest'ultimo;

              dal lato del sistema creditizio la riforma elimina il problema della scarsa partecipazione finanziaria del sistema creditizio ai progetti ammessi ad agevolazione: tuttavia, invece di favorire l'utilizzo del sistema creditizio privato, si accentra l'intero volano finanziario sul sistema creditizio pubblico, senza considerare che la concentrazione presso la Cassa Depositi e Prestiti di un ammontare così consistente di finanziamenti non potrà non produrre effetti distorsivi sul regolare funzionamento del mercato creditizio e finanziario;

              dal lato delle procedure amministrative il nuovo meccanismo presuppone una completa rivisitazione delle procedure amministrative di concessione ed erogazione delle agevolazioni, e comporterà quindi la necessità di rivedere integralmente i regolamenti e le circolari di attuazione, nonché, in alcuni casi, anche i contratti in essere con i soggetti privati incaricati dell'istruttoria e dell'erogazione delle agevolazioni; inoltre sarà comunque necessario notificare il nuovo meccanismo alla Commissione europea per la prescritta autorizzazione: è pertanto ragionevole ipotizzare che tutto il 2005 dovrà essere utilizzato per tale attività con conseguente blocco di qualsiasi intervento agevolativo;

              dopo 26 mesi dall'inizio della stagione contrattuale 2002-2005 i contratti dei comparti Università, Ricerca, Afam, Enti articolo 70, Dirigenze di tutte le aree, Medici, non sono ancora stati conclusi;

              per tale motivo circa 280.000 lavoratori vedono pesantemente messo in discussione il potere di acquisto delle loro retribuzioni e vedono negato il loro diritto ad avere un contratto di lavoro; inoltre contratti già firmati, come quello della Sanità, hanno visto il loro iter ritardato da interventi della Corte dei Conti;

              la conclusione di tutti i contratti è parte di un impegno esplicito assunto dal Governo nel Protocollo di intesa sul pubblico impiego del febbraio 2002;

              il disegno di legge finanziaria per il 2005 rappresenta per le autonomie territoriali una vera e propria manovra di finanza straordinaria, in quanto le regole del patto di stabilità interno, sia nelle definizioni, sia nelle regole da applicare nei successivi esercizi, sono, di fatto, interamente riscritte;

              agli enti territoriali - Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano - nonché a tutti gli enti locali (province, comuni, comunità montane, unioni di comuni, città metropolitane, comunità isolane,

 

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consorzi tra enti locali) si applica il principio unico dell'evoluzione controllata della spesa già previsto per le pubbliche amministrazioni;

              per gli enti locali, il principio generale, costituito dal limite di spesa complessivo non superiore al 2 per cento rispetto alle previsioni aggiornate indicate nella Relazione Previsionale e Programmatica per il 2005, considerata la inapplicabilità pratica di tale criterio, viene stabilito, per l'anno 2005, come «crescita non superiore al 4,8 per cento delle spese finali, correnti e in conto capitale»; la base di calcolo è l'anno 2003, al netto delle spese di personale, delle spese derivanti da operazioni finanziarie e di quelle a favore delle altre amministrazioni pubbliche individuate in apposito elenco;

              per le Regioni e le Province autonome le spese finali 2003 assunte come base di calcolo non devono tener conto della spesa sanitaria;

              il limite del 2 per cento riguarda tutte le risorse disponibili, sia la competenza sia i residui, e si applica sia agli impegni che i pagamenti;

              per le Regioni, la disciplina del patto di stabilità è dettata nella legislazione vigente dall'articolo 1 del decreto - legge n. 347 del 2001, il quale stabilisce, per gli anni 2003 e 2004, un limite all'incremento degli impegni di spesa e dei pagamenti relativi alle spese correnti in misura pari al tasso di inflazione programmato stabilito nel DPEF (per il 2004 l'1,7 per cento);

              in base alla legislazione vigente, per le Regioni il limite all'incremento di spesa per il 2005 dovrebbe quindi essere pari alle spese - correnti e in conto capitale - del 2003, più l'inflazione programmata (1,6 per cento), sommate alle spese del 2004 più l'inflazione programmata (1,7 per cento): pertanto per il 2005, in base alle vecchie regole, la spesa non dovrebbe crescere più del 3,3 per cento, mentre il disegno di legge finanziaria stabilisce un tetto del 4,8 per cento, calcolato sulla base delle spese del 2003, determinando quindi un differenziale positivo dell'1,5 per cento;

              l'introduzione di un tetto così elevato si giustifica solo se è possibile dimostrare che l'andamento tendenziale della spesa sarebbe stato molto più alto, rispetto al quale il tetto del 2 per cento rappresenti un risparmio: ciò indica che nel DPEF, anziché costruire un tendenziale in base alla legislazione vigente (che scontava un aumento del 3,3 per cento), si è dovuto necessariamente prendere atto che la dinamica della spesa era del tutto fuori controllo, e che quindi gli enti potrebbero non avere rispettato il patto di stabilità, in quanto le soglie fissate erano largamente irrealistiche;

              paradossalmente, il tetto del 2 per cento applicato ai residui colpisce anche gli enti che avevano una dinamica di spesa relativamente bassa e, quindi, un indice di realizzazione della spesa piuttosto limitato;

              il limite del 2 per cento ai pagamenti potrebbe anche generare onerose controversie se gli impegni contrattuali ai quali si è vincolato l'ente prevedono erogazioni con cadenze stabilite; di certo esso rallenterà i pagamenti e determinerà una lievitazione degli oneri per interessi;

              particolari conseguenze negative potranno verificarsi con riferimento agli appalti di lavori, per i quali i pagamenti sono tipicamente connessi allo stato avanzamento lavori: in questi casi un rallentamento delle erogazioni finanziarie non può che determinare il rinvio, e perfino il blocco di molti lavori pubblici;

              tale misura determinerà inoltre un'ulteriore crescita dei crediti della pubblica amministrazione, aggravando le conseguenze della cronica inefficienza della stessa pubblica amministrazione nel liquidare i debiti pregressi, che ha generato situazioni di illiquidità e, talora, perfino di insolvenza in aziende di fornitura di beni e di servizi che, come committenti abituali della pubblica amministrazione, possono

 

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essere definite creditori «strutturali» della stessa pubblica amministrazione;

              appare evidente come il meccanismo escogitato dal Governo per il rispetto degli obblighi assunti in sede comunitaria produca effetti deflazionistici, e quindi riduca il livello di attività economica, determinando, ad un tempo, stagnazione e inflazione;

              gli effetti di stagnazione saranno determinati dal blocco dei pagamenti e degli impegni di spesa, mentre quelli inflattivi saranno generati dal fatto che gli enti potranno eccedere i limiti di crescita solo per spese di investimento nei limiti della maggiori entrate derivanti da maggiorazioni di aliquote e di tariffe; essendo esclusa la possibilità di superare il tetto del 2 per cento per spese correnti, un'amministrazione virtuosa che intenda incrementare gli investimenti in infrastrutture dovrà prevedere un corrispondente incremento del prelievo fiscale sulle comunità locali in termini di aumenti di aliquote o di tariffe: si determinerà così un'inflazione da imposte proprio negli enti che hanno un maggiore fabbisogno di infrastrutture, quali Regioni, Province e Comuni del Mezzogiorno, enti con servizi carenti nello smaltimento dei rifiuti, nel ciclo delle acque, nella rete stradale, senza considerare la concorrenza fiscale tra territori, che in questo caso opererà con un meccanismo perequativo alla rovescia, in quanto dovranno applicare un prelievo fiscale più oneroso proprio quei territori che hanno maggiore necessità di infrastrutture (ad esempio i comuni disagiati del Mezzogiorno) e che secondo i dettami di una politica industriale «virtuosa» dovrebbero incentivare l'allocazione di attività produttive e gli investimenti esteri mediante un prelievo fiscale più vantaggioso;

              appare preoccupante il criterio stabilito per la dinamica della spesa negli anni successivi, al quale non dovrà superare il 2 per cento rispetto alla spesa programmatica dell'anno precedente: ciò comporterà, in sostanza, che, indipendentemente dalla spesa effettiva riscontrata l'anno precedente - che potrebbe essere anche ben superiore al 2 per cento, per esempio, per straordinarie esigenze (calamità naturali, siccità in un territorio agricolo, forte calo delle presenze in un territorio a vocazione turistica) il limite del 2 per cento sarà sempre parametrato alla spesa «obiettivo», anche se permangono ragioni fondate per superare il limite stabilito per legge;

              per gli enti locali e territoriali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto di stabilità interno stabiliti l'anno precedente c'è un aggiornamento anche delle sanzioni, in quanto essi, a decorrere dal 2006, non possono effettuare spese in misura superiore all'ammontare di spesa dell'ultimo anno in cui hanno rispettato il patto;

              se l'ente è sempre stato inadempiente il limite è pari alla spesa del penultimo anno precedente l'accertamento (e quindi il 2004 se l'accertamento è nel 2006) ridotta del 10 per cento; sulla base di quest'ultima disposizione, paradossalmente, conviene agli enti compiere spese ingenti, non rispettando mai il patto, in modo che l'anno in cui si accerta il mancato rispetto dello stesso il limite di spesa sia fissato ad un livello molto alto che resta tale anche se decurtato del 10 per cento;

              inoltre, le disposizioni dettate in questa materia dal disegno di legge finanziaria prevedono che tali enti non possono assumere personale, a qualsiasi titolo, né possono ricorrere all'indebitamento per gli investimenti;

              sotto tale ultimo aspetto la previsione secondo la quale gli istituti di credito non possono concedere un mutuo o collocare un prestito obbligazionario senza attestazione dell'ente che accerti il rispetto del patto nell'anno precedente comporta la conseguenza paradossale che se un ente ha sempre rispettato il patto di stabilità non ottiene alcun finanziamento per gli investimenti se non l'ha rispettato l'ultimo anno, mentre se l'amministrazione ha

 

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avuto una gestione scellerata, senza mai rispettato il patto di stabilità, ma riesce a rispettarlo solo l'anno precedente la richiesta di finanziamento, ottiene tutti i mutui richiesti;

              il limite all'indebitamento vigente stabilisce per le amministrazioni decentrate un ampio margine, essendo infatti fissato in misura pari al 25 per cento delle entrate annuali complessive dei primi tre titoli del bilancio dell'ente;

              l'obiettivo di stabilizzazione previsto per i Comuni dalle norme, espressamente abrogate dal disegno di legge finanziaria, che finora disciplinavano il patto di stabilità, era pari al disavanzo finanziario dell'anno precedente, aumentato del tasso di inflazione programmato, e poteva pertanto essere conseguito in termini più flessibili che per le regioni, perché il disavanzo poteva essere conseguito sia agendo sulle spese, sia, a parità di spesa, sulle entrate;

              con la fissazione di un rigido tetto di spesa (2 per cento) si riducono anche i margini di manovra per gli enti locali, perché non è possibile intervenire sulle entrate per mantenere il disavanzo al livello degli anni precedenti;

              secondo la relazione tecnica al disegno di legge finanziaria, la manovra 2005 per le Regioni e le Province autonome, fissando un tetto del 2 per cento alle uscite complessive, determina un taglio di 201 milioni di euro per il 2005, di 252 milioni per il 2006 e di 304 milioni per il 2007;

              sempre secondo la relazione tecnica, per le Province e i Comuni, un incremento del 2 per cento sulle uscite complessive (al netto del personale) comporta un taglio di 1.039 milioni di euro per il 2005, 1.752 milioni per il 2006 e 2.642 milioni per il 2007;

              la relazione tecnica non considera tuttavia gli effetti, in termini di taglio alla spesa, su altri enti locali pure colpiti dalle norme, quali le unioni di comuni, le città metropolitane, le comunità isolane, i consorzi di funzioni cui partecipano gli enti locali, per i quali non si dispongono, secondo quanto indicato dal Governo, dati di riferimento;

              le comunità montane, con il medesimo tetto alla spesa, subiranno una decurtazione delle spese pari a 24 milioni di euro per il 2005, a 43 milioni per il 2006 e a 64 milioni per il 2007;

              complessivamente, le autonomie locali subiscono un taglio alle spese pari a 1.270 milioni di euro per il 2005, a 2057 milioni per il 2006 ed a 3.024 milioni per il 2007;

              l'articolo 22 del disegno di legge finanziaria dispone significativi interventi nel settore sanitario: secondo l'accordo Stato-Regioni dell'agosto 2001, nel 2004 il contributo dello Stato al finanziamento della sanità è di 81.837 milioni di euro (compresi 550 milioni per i rinnovi contrattuali del personale);

              per il 2005 il disegno di legge finanziaria stabilisce che il contributo dello Stato al finanziamento della Sanità è pari a 88.250 milioni di euro, con un incremento, rispetto al 2004, di 6.413 milioni di euro (in termini percentuali, del 7,8 per cento); si tratta di un incremento sostanzioso, ma insufficiente a compensare la dinamica effettiva della spesa che il Governo stima, nella relazione tecnica, pari a 92.500 milioni di euro per il 2005: mancano, dunque, 4.250 milioni di euro, pari alla misura del risparmio che il Governo attribuisce alla norma;

              appare quindi del tutto irrealistico stabilire un limite di incremento del 2 per cento al concorso dello Stato per il finanziamento della sanità per gli anni successivi al 2005, considerando che i costi dei Livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) già nel 2002 hanno superato di 4,8 miliardi di euro la spesa prevista;

              per ricondurre la spesa sanitaria nei limiti di una crescita del 2 per cento all'anno, il disegno di legge finanziaria prevede una nuova intesa, che condizionerà l'accesso delle Regioni al finanziamento

 

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integrativo dello Stato ad una serie di obblighi in base ai quali la spesa farmaceutica a carico delle Regioni (pari al 40 per cento del totale) non potrà crescere più del 16 per cento, i costi di produzione dei servizi sanitari non dovranno crescere più del 2 per cento, e le Regioni debbano garantire l'equilibrio economico-finanziario, arrivando anche a rimuovere i direttori delle Asl in caso di mancato conseguimento di tale obiettivo;

              il Governo potrà attivare misure sostitutive - e quindi, in sostanza, commissariare la Regione - se questa, in presenza di un disavanzo, non abbia attivato tutti i provvedimenti necessari per la copertura;

              constatato che per far uscire il Paese dall'attuale situazione stagnazione sarebbe invece necessario:

          a) avviare - nel confronto con gli altri governi europei e con la Commissione europea - la riforma del Patto di stabilità e crescita europeo, al fine di eliminarne il carattere prociclico e di integrarne obiettivi e parametri con la strategia definita nella Conferenza intergovernativa di Lisbona del 2000;

          b) invertire la tendenza alla caduta dell'avanzo primario, riportandolo entro tre anni prossimo al livello del 5 per cento, al fine di accelerare la riduzione del volume globale del debito pubblico;

          c) operare la stabilizzazione della finanza pubblica senza ridurre il volume della spesa sociale in rapporto al PIL, in vista di una sua ripresa, finanziata dalla riduzione della spesa per il servizio del debito;

          d) accompagnare il ritorno ad un avanzo primario attorno al 5 per cento con una accelerazione del processo di riduzione del volume globale del debito, destinando esclusivamente a questo scopo i proventi derivanti dalla valorizzazione dell'ingente attivo emerso dal conto patrimoniale dello Stato (137 per cento del PIL);

          e) non procedere alla riduzione generalizzata (e socialmente squilibrata, come previsto nella legge di delega per la riforma del sistema fiscale statale) della pressione fiscale prevista dal DPEF, oltre quella già prevista dal quadro tendenziale a legislazione vigente, ma governare tale riduzione per promuovere lo sviluppo (riducendo l'IRAP sugli investimenti nella ricerca), per assicurare maggiore equità sociale al sistema di prelievo (favorendo i redditi medio-bassi e le famiglie), per rendere possibile la restituzione del fiscal drag, per ridurre il cuneo contributivo, per estendere l'applicazione della clausola di salvaguardia sul trattamento fiscale del TFR e rimborsare i crediti d'imposta ai contribuenti ed alle imprese;

          f) utilizzare tutte le risorse finanziarie disponibili per il pieno conseguimento degli obiettivi fissati dalla Conferenza intergovernativa di Lisbona: ricerca, formazione, innovazione, infrastrutturazione immateriale, invecchiamento attivo, formazione continua, innalzamento del livello di partecipazione alla forza di lavoro, a partire dalle giovani donne;

          g) intervenire nel settore previdenziale definendo un paniere più sensibile per i pensionati per la rivalutazione delle pensioni, ripristinare un sistema di rivalutazione delle pensioni che superi il meccanismo delle fasce per evitare fenomeni di appiattimento (cosiddette pensioni d'annata), superare le odiose discriminazioni sulle pensioni di reversibilità ed attuare la delega per ridurre sensibilmente le aliquote fiscali sulla previdenza complementare;

          h) definire, valutando attentamente le opere da realizzare dal punto di vista della loro sostenibilità ambientale e della loro funzionalità, un Piano infrastrutturale con priorità per il Mezzogiorno, puntando alla ottimizzazione delle reti ferroviarie ed idriche, alla realizzazione delle autostrade del mare;

          i) con riferimento alle politiche ambientali, realizzare interventi per la difesa del suolo, la bonifica dei siti inquinati,

 

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l'ottimizzazione della gestione dei rifiuti, nonché prevedere adeguati incentivi per l'innovazione tecnologica e la ricerca applicata alle fonti energetiche rinnovabili, in modo da promuovere l'uso efficiente delle risorse energetiche e lo sviluppo delle fonti rinnovabili, nel rispetto degli impegni sottoscritti con il Protocollo di Kyoto;

          l) riconoscere assoluta priorità nell'agenda del Governo e, di riflesso, del Parlamento, a due riforme che non comportano oneri: quella del sistema fallimentare e quella per la tutela del risparmio, che possano essere entrambe approvate entro il primo trimestre del 2005;

          m) realizzare urgentemente la riforma delle professioni e del settore dell'energia, aprendo tali comparti alla concorrenza, in modo da diminuire i costi per le imprese e le famiglie;

          n) modificare la legge che regola il fenomeno dell'immigrazione, la quale risulta gravemente penalizzante per il sistema economico;

          o) finanziare, attraverso il ripristino dell'imposta di successione (come riformata dalla legge n. 488 del 1999) un selettivo intervento di sostegno delle famiglie più povere con figli minori e anziani non autosufficienti;

          p) fornire maggiori garanzie previdenziali ai lavoratori più precari;

          q) definire, di concerto con il sistema delle autonomie regionali e locali, un permanente Patto di stabilità e crescita interno, che abbia lo stesso carattere di stabilità e flessibilità, e che non sia modificabile né in corso di anno (come accaduto nel 2004), né da ogni legge finanziaria, né sulla base di scelte unilaterali del Governo centrale;

          r) riprendere il cammino - interrotto da tre anni - del processo di liberalizzazione dei mercati chiusi e caratterizzati da situazioni di monopolio e di oligopolio;

          s) ripristinare i crediti automatici di imposta per la nuova occupazione e gli investimenti nel Sud, modulandone l'applicazione secondo il volume di risorse disponibili, senza tuttavia intaccarne il carattere automatico, per dare certezza alle imprese e attrarre per questa via investimenti esterni;

          t) procedere, nell'ambito della politica di ristrutturazione e sviluppo della spesa sociale, alla costruzione di un sistema universale di ammortizzatori sociali, capaci di sostenere l'insieme dei lavoratori nelle fasi di difficoltà,

          u) applicare il principio della sussidiarietà, restituendo sovranità sul piano fiscale al contribuente: sussidiarietà fiscale, infatti, significa riconoscergli la possibilità di concorrere alle spese pubbliche, destinando una parte dell'imponibile alle ONLUS attraverso donazioni fortemente agevolate fiscalmente; il terzo settore, ove operano 4 milioni di cittadini, straordinariamente vitale, è un nuovo possibile fulcro dell'erogazione di prestazioni ad alto valore reale ed a basso costo sociale, che si aggiunge e completa il tradizionale sistema di welfare;

          v) ripristinare il meccanismo di invarianza del carico fiscale complessivo (accisa più IVA) introdotto nella XIII legislatura dal Governo D'Alema nell'autunno 1999 e inspiegabilmente abbandonato nel 2002.

      Per tali considerazioni si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.

 

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VI COMMISSIONE PERMANENTE
(Finanze)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2005

(Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza)

Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (5310-bis)

dei deputati

Benvenuto, Pinza, Lettieri, Pistone


      Esaminate, per le parti di competenza, la Tabella n. 2, Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2005, del disegno di legge C. 5311, recante «Bilancio dello Stato per l'anno 2004 e bilancio pluriennale 2005-2007», e le connesse parti del disegno di legge C. 5310-bis, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria per l'anno 2005)»;

      sottolineato come le disposizioni di cui agli articoli 2 e 3 del disegno di legge finanziaria, recanti limiti all'incremento delle spese delle pubbliche amministrazioni, incidono negativamente, secondo la documentazione fornita dal Ministero

 

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dell'economia e delle finanze, sugli stanziamenti relativi alle Agenzie fiscali, al SECIT ed alla Guardia di finanza, compromettendone la funzionalità e la operatività nell'azione di contrasto all'evasione fiscale;

      considerato altresì che si riducono gli stanziamenti per i rimborsi dei crediti d'imposta dovuti ai contribuenti ed alle imprese, e che nulla è previsto per estendere l'applicazione della clausola di salvaguardia ai trattamenti di fine rapporto.

      Per tali considerazioni si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)
 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione del Ministero delleconomia e delle finanze per l'anno finanziario 2005 (Tabella n. 2, limitatamente alle parti di competenza)

Disposizione per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)(5310-bis)

dei deputati

Vigni, Realacci, Iannuzzi, Pappaterra, Nesi, Lion, Abbondanzieri, Bandoli, Chianale, Dameri, Raffaella Mariani, Piglionica, Sandri, Vianello, Zunino, Reduzzi.


      Esaminato lo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2005 (tabella n. 2), limitatamente alle parti di competenza, e le connesse parti del disegno di legge finanziaria;

      considerato che le unità previsionali di base relative alla Protezione civile, transitate nel Centro di responsabilità n. 3 Tesoro: U.P.B. 3.1.5.15 (parte corrente) e U.P.B. 3.2.10.3 (parte di conto capitale) denominata Presidenza del Consiglio dei Ministri - Protezione civile, registrano quasi esclusivamente variazioni in diminuzione rispetto alle previsioni per l'anno finanziario 2004;

      giudicato negativamente il fatto che l'articolo 26 del disegno di legge finanziaria, ai commi 1 e 2, dispone l'assicurazione obbligatoria contro il rischio derivante da calamità naturali;

 

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      valutata l'assoluta necessità di sopprimere i citati commi 1 e 2 dell'articolo 26, che, pur a fronte di un condivisibile obiettivo di prevenzione, non possono certamente risolvere i problemi esistenti, tanto meno se dispongono l'obbligatorietà di un vincolo, in maniera indiscriminata e complessiva;

      giudicato invece necessario porre l'accento sul rafforzamento degli interventi di prevenzione dai rischi e di protezione dei cittadini, anche al fine di uscire da situazioni caratterizzate costantemente da emergenze;

      ritenuto opportuno compiere ogni possibile sforzo per l'incremento dei fondi destinati agli interventi di prevenzione dal dissesto idrogeologico e, in generale, alla ricostruzione delle zone colpite da eventi calamitosi;

      rilevato, in tale ambito, che la manovra finanziaria per il 2005 non contiene alcun nuovo limite di impegno per la ricostruzione dei territori di Umbria e Marche colpiti dal sisma del 1997, mentre prevede nuovi stanziamenti per eventi calamitosi, anche di minor rilievo, verificatisi in altre zone del Paese.

      Tutto ciò considerato si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per l'anno finanziario 2005 (Tabella n. 9)

Disposizione per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (5310-bis)

dei deputati

Vianello, Realacci, Pappaterra, Vendola, Zanella, Vigni, Abbondanzieri, Bandoli, Chianale, Dameri, Raffaella Mariani, Piglionica, Sandri, Zunino, Reduzzi, Banti.


      Esaminato il disegno di legge n. 5310-bis, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2005);

          considerato che:

              sul piano istituzionale, si tende a risolvere la crisi della «democrazia di bilancio» rendendo sempre meno rilevante l'esame parlamentare dei documenti di bilancio, e più ampia la discrezionalità dell'Esecutivo nel modificare, per via amministrativa, le residue decisioni parlamentari in materia;

              nella manovra 2005 non sono previsti interventi per dare risposta adeguata ai problemi più acuti del Paese, dai rischi di declino del nostro sistema economico e produttivo alla distribuzione fortemente sperequata del reddito, dal blocco dei consumi alla precarizzazione crescente dei

 

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rapporti di lavoro ed alla necessaria modernizzazione delle politiche sociali;

              l'eliminazione del collegato di sessione e la conseguente necessità di trasferire nella legge finanziaria parte delle prescrizioni prima inserite in tale provvedimento non consentono di valutare se, e con quali modalità e risorse le promesse misure per la competitività e lo sviluppo saranno inserite nella manovra;

              il Parlamento non dispone ancora oggi di dati completi sulla manovra di bilancio, nonostante il disegno di legge finanziaria sia stato presentato alle Camere il 30 settembre scorso;

              i dati aggiornati con le note depositate in data 6 ottobre dal Governo consentono solo di valutare gli effetti dell'articolato della Finanziaria, quantificabile in 22.431,63 milioni di euro;

              il Governo non ha messo a disposizione del Parlamento la Relazione Previsionale e Programmatica - per la parte seconda e i relativi allegati - e pertanto non è ancora possibile quantificare adeguatamente gli effetti sui saldi finanza pubblica della manovra 2005;

              la Relazione Previsionale e Programmatica - la cui presentazione è fissata, dalla legge 468/78 per il 30 settembre di ogni anno - è essenziale anche per valutare le conseguenze macroeconomiche e sulla finanza pubblica della «nuova regola» di azione per il contenimento della spesa della P.A.: il limite all'incremento di tale spesa complessiva viene fissato infatti al 2 per cento rispetto alle previsioni aggiornate indicate nella Relazione Previsionale e Programmatica 2005;

              non appaiono chiari neppure i conti relativi all'anno 2004, importanti sia per determinare il deficit tendenziale, al 2005, da correggere, che lo stock del debito da ridurre nel corso del prossimo anno;

      valutato che:

          nella manovra 2005 il principio unico dell'evoluzione controllata della spesa nell'ambito di un tetto del 2 per cento per il triennio 2005-2007 è un taglio molto significativo delle disponibilità di tutte le amministrazioni e degli enti territoriali: nell'ultimo triennio, le spese correnti sono crescenti ad un ritmo del 5 per cento all'anno;

          per il bilancio dello Stato, tale decurtazione si applica agli stanziamenti iniziali di competenza e di cassa già ridotti dalla manovra correttiva del decreto-legge n.    168, approvata nel luglio 2004;

          la soglia «generale» del 2 per cento alla spesa presenta profili di dubbia costituzionalità: il Parlamento dovrebbe approvare tagli severi di spesa senza sapere su quali norme si va, in concreto, ad incidere; l'esame dei contenuti propri, coerenti con i compiti attribuiti alla legge finanziaria deve necessariamente estendersi all'ammissibilità costituzionale di alcune norme ed in particolare dell'articolo 3 del disegno di legge Finanziaria;

          appare ineludibile che il Governo, in modo analitico, integri opportunamente la Finanziaria per rendere chiaro quali leggi sono sottoposte al limite del 2 per cento, specificando i relativi effetti sui capitoli, e sulle unità previsionali di base;

          il principio «unico» del 2 per cento è in contrasto con l'articolo 81 della Costituzione che riserva alle Camere, ogni anno, l'approvazione del bilancio, approvazione che deve essere puntuale;

          gli effetti della manovra 2005 appaiono dubbi: il «taglio» del 2 per cento è di difficile, concreta applicazione; più del 90 per cento delle spese sono infatti obbligatorie e derivano da norme legislative che dovrebbero essere, contestualmente, modificate;

          detraendo dalle spese correnti le spese escluse dal tetto (pensioni, spese sociali, sicurezza, eccetera), la somma soggetta al vincolo del 2 per cento ammonta a circa 313,4 miliardi per il 2005; la decurtazione possibile potrebbe non essere superiore a 5 miliardi di euro; il risparmio

 

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indicato (quantificato in 6,2 miliardi) appare pertanto sovrastimato;

          anche il tetto alle spese degli Enti locali è di difficile realizzazione: nell'ultimo biennio le spese delle Amministrazioni locali, al netto del costo del personale, sono aumentate dell'11,7 per cento passando dai 122.933 milioni di euro del 2001 ai 137.377 milioni di euro del 2003, con un'inflazione che cresce, nello stesso periodo, del 5,1 per cento;

          per le autonomie territoriali, la finanziaria 2005 rappresenta una vera e propria manovra di finanza straordinaria: le regole del patto di stabilità interno - sia nelle definizioni, sia nelle regole da applicare nei successivi esercizi - sono, di fatto, interamente riscritte;

          la Finanziaria consente alle autonomie locali la possibilità di eccedere i limiti di crescita programmati solo per spese di investimento nei limiti delle maggiori entrate derivanti da maggiorazioni di aliquote e di tariffe;

          per rispettare la soglia di legge, gli enti decentrati saranno pertanto costretti a ricorrere ad un inasprimento della tassazione locale, con gravi conseguenze sui servizi, sul sistema produttivo e il lavoro autonomo;

          la prevista estensione ai comuni sotto i 5.000 abitanti del patto di stabilità - e quindi della regola unica di controllo della spesa complessiva - appare del tutto insostenibile, sia dal punto di vista economico che amministrativo;

          il «principio unico dell'evoluzione controllata della spesa» fotografando la spesa «storica» di tutte le amministrazioni rappresenta la rinuncia ad una seria programmazione della spesa pubblica, che dovrebbe valutare opportunamente - in relazione ai fabbisogni dei singoli settori - dove tagliare e quanto incrementare le singole voci (ruolo della politica); l'applicazione «seria» di un metodo di evoluzione «controllata» della spesa - già adottato in Europa, dal Regno Unito - richiede per la sua implementazione un lungo periodo di lavoro analitico, di dibattito, di scelte reali, ed, ogni anno, una verifica delle decisioni da assumere per ogni semestre;

          non vi è traccia, nella manovra, della riduzione delle tasse promessa dal Governo, con un tax relief complessivo, di 6 miliardi di euro (la delega fiscale prevedeva che le minori entrate derivanti dalla progressiva attuazione della riforma dell'Irpef avrebbero dovuto trovare copertura nell'ambito delle annuali manovre di finanza pubblica), con la Finanziaria 2005 si incrementa la pressione fiscale di 7,5 miliardi di euro, sostanzialmente intervenendo sulle imposte pagate dai piccoli imprenditori e dal lavoro autonomo; complessivamente, si possono individuare nella Finanziaria di quest'anno dieci interventi di prelievo fiscale, tra nuove tasse e incrementi dei tributi esistenti;

          per il quarto anno consecutivo dall'inizio della legislatura, il Governo non prevede la restituzione del fiscal drag; da notare che «le correzioni delle imposte conseguenti all'andamento dell'inflazione» rientrano tra i contenuti essenziali della legge finanziaria indicati dalla legge n. 468/78 che disciplina la sessione di bilancio; anche per questa via si determina un silenzioso ma costante incremento della pressione fiscale sui redditi reali; insufficienti appaiono le risorse stanziate per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego;

          quanto agli investimenti, di particolare gravità appare il tetto di 460 milioni di euro previsto per le spese in conto capitale relative alle opere della legge obiettivo; si determina, così, un sostanziale blocco degli investimenti pubblici;

          per il Mezzogiorno, la prevista riforma delle agevolazioni e il ridimensionamento dei fondi per le aree sottoutilizzate e per le opere pubbliche, riduce ulteriormente le potenzialità di crescita e di superamento del divario territoriale;

          la manovra configura una serie di interventi con un forte impatto recessivo,

 

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con freno agli investimenti pubblici e privati ed ai consumi;

            valutato, inoltre, il provvedimento nello specifico delle materie di competenza e, in particolare che:

          lo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio fa registrare la più forte riduzione in termini di previsioni di spesa degli ultimi quattro anni, confermando, in tal modo, la tendenza del Governo a considerare le politiche ambientali come un vincolo ed un ostacolo allo sviluppo del Paese tali da dover essere ridimensionate attraverso la limitazione delle possibilità operative del dicastero cui competono;

          dall'analisi comparata delle previsioni di spesa per gli anni 2004 e 2005 si evidenzia, infatti, una riduzione in termini percentuali pari ad oltre il 18 per cento;

          con il medesimo metro di giudizio, tra l'altro, non può che essere interpretata la dinamica attraverso la quale le poche risorse destinate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sono assegnate ai diversi centri di responsabilità, la maggior parte delle quali (ben oltre il 55 per cento) viene iscritta in dotazione al Gabinetto e agli uffici di diretta collaborazione, mantenendo in piedi una logica che ha prodotto, in questa legislatura, il progressivo ridimensionamento delle strutture operative del dicastero, e la conseguente e continua «appropriazione indebita» di funzioni prettamente amministrative da parte degli organi di governo politico;

          non appare neppure casuale, sempre in tale logica, la scelta di operare le riduzioni più sostanziali sui capitoli afferenti alle Unità Previsionali di Base «Ricerca ambientale e sviluppo» (alla quale compete la gestione delle risorse per l'attuazione del protocollo di Kyoto) e «Difesa del suolo» (alla quale competono, tra l'altro, le attività connesse alla salvaguardia dai rischi delle calamità naturali);

          tale scelta, d'altro canto, risulta essere coerente con la decisione di rendere obbligatoria, per i cittadini, la stipula di polizze assicurative contro tali eventi, causando, in tal modo, un ulteriore aumento della tassazione indiretta;

          la manovra economica proposta, anche sotto il profilo ambientale, risulta essere, a tutti gli effetti, mirata al progressivo disimpegno dello Stato da tutte le politiche di tutela e salvaguardia della salute dei cittadini e, in assoluta controtendenza rispetto al resto dei Paesi della Comunità europea e internazionale, all'abbandono delle politiche di sviluppo basate su scelte di compatibilità e sostenibilità ambientale, la rinuncia ad affrontare con risorse adeguate l'attività di bonifica dei siti contaminati;

          sotto questo profilo, d'altro canto, è possibile leggere anche altre disposizioni contenute nel disegno di legge presentato dal Governo e, in particolare, quella dell'articolo 32, comma 9, che consente agli enti locali il recupero del gettito attraverso la revisione della TA.RSU.; quella prevista all'articolo 37, comma 38, per la quale non si darà luogo, per il quarto anno consecutivo, all'emanazione del D.P.C.M. per l'introduzione della cosiddetta Carbon Tax e alla destinazione delle risorse così recuperate a interventi di carattere ambientale; e quella di ulteriore dismissione del patrimonio pubblico attraverso l'utilizzo di regole poco trasparenti e di dubbia efficacia in ordine agli obiettivi che ci si pone.

      Tutto ciò considerato si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.

 

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VIII COMMISSIONE PERMANENTE
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione del Ministero della infrastrutture e dei trasporti, limitatamente alle parti di competenza per l'anno finanziario 2005 (Tabella n. 10)

Disposizione per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (5310-bis)

dei deputati

Vigni, Realacci, Iannuzzi, Pappaterra, Nesi, Lion, Abbondanzieri, Bandoli, Chianale, Dameri, Raffaella Mariani, Piglionica, Sandri, Vianello, Zunino, Reduzzi, Banti.


      Esaminato il disegno di legge contenente disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Finanziaria 2005) relativo alla tabella n. 10;

      premesso che:

          per quanto riguarda le opere pubbliche e le infrastrutture:

              la Finanziaria 2005 segna un forte ulteriore ridimensionamento degli investimenti pubblici;

              con il Dpef il Governo manifestava l'intenzione di destinare alle opere strategiche stanziamenti per circa 7 miliardi di euro, considerato il minimo indispensabile per il proseguimento del programma della legge obiettivo;

 

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              la Finanziaria non prevede invece nessuna risorsa aggiuntiva rispetto a quanto già attivato in precedenza; considerata l'esiguità delle risorse disponibili e lo scarto enorme con il fabbisogno per la realizzazione del programma, ciò sancisce il sostanziale fallimento degli impegni per le infrastrutture che il Governo aveva annunciato con tanta enfasi fin dal suo inizio;

              una drastica riduzione delle disponibilità finanziarie riguarderà anche l'ANAS spa e le Ferrovie;

              dal confronto degli importi da iscrivere nel bilancio 2005, riportati nella tabella F, con i corrispondenti importi della Finanziaria dello scorso anno per gli interventi infrastrutturali, emerge per il 2005 una riduzione delle risorse (pari all'1,7 per cento in termini reali rispetto al 2004);

              questa diminuzione di risorse si somma a quella già osservata lo scorso anno, in cui la riduzione ha raggiunto il 19 per cento in termini reali rispetto all'anno precedente; quindi la contrazione di risorse nel 2005 rispetto al 2003 supererà in termini reali il 20 per cento;

              la previsione sul contenimento generale della spesa prevista all'articolo 2 della legge Finanziaria, introducendo un limite nell'incremento della spesa al 2 per cento rispetto all'anno precedente, avrà come effetto una complessiva riduzione del livello degli investimenti dello Stato nel 2005 in opere di ammodernamento dello Stato. Il settore maggiormente colpito risulterà quello delle opere ordinarie, in quanto i vincoli posti a carico degli enti locali comporteranno pesanti rallentamenti nei nuovi investimenti e un rischio di blocco dei lavori in corso d'opera;

              l'ipotesi di cessione della proprietà di tratti della rete viaria stradale appare gravissima e del tutto inaccettabile, e tale da mettere in discussione l'intero sistema di governo e di gestione della viabilità nazionale, con gravi conseguenze sia dal punto di vista economico finanziario che della tutela dell'interesse pubblico;

              l'ipotesi di pedaggiamento di circa il 20 per cento della rete viaria statale, avanzata in modo confuso e del tutto inaccettabile, risulta finalizzata esclusivamente all'esigenza di far cassa ed aggraverebbe i costi sostenuti dalle famiglie per la mobilità, introducendo un ulteriore ed indistinto balzello;

          per quanto riguarda i problemi della casa:

              non sono previste norme che rendano permanenti e strutturali le agevolazioni fiscali per le ristrutturazioni edilizie, nonché per tutti gli interventi finalizzati alla sicurezza degli edifici e alla loro qualità ambientale ed al risparmio energetico, all'abbattimento delle barriere architettoniche, alla riqualificazione urbana;

              le risorse assegnate al Fondo per l'accesso alle locazioni abitative risultano inadeguate a soddisfare le richieste delle famiglie a più basso reddito ed in diminuzione rispetto al 2004;

              nelle tabelle della Finanziaria non sono previste risorse a sostegno della proposta annunciata di riqualificazione urbana denominata «legge obiettivo per le città», né per il proseguimento ed il rilancio di interventi di riqualificazione delle aree urbane;

              l'insieme delle misure previste per la casa (rivalutazione degli estimi catastali, polizza anti calamità) comporterà un pesante inasprimento della tassazione sugli immobili;

          sarebbe necessario:

              escludere le spese destinate alle infrastrutture dal criterio proposto dal Governo per frenare l'aumento della spesa pubblica, in quanto appare del tutto incompatibile con la dinamica degli investimenti infrastrutturali;

 

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              sopprimere il comma 19 dell'articolo 35 relativo alla vendita di strade nazionali assoggettabili a pedaggio;

              prevedere finalmente, dopo tanti vuoti annunci e promesse roboanti, un forte aumento degli investimenti per le opere pubbliche indicando in modo puntuale gli impegni finanziari e ripristinando una corretta programmazione con la selezione rigorosa di circoscritte priorità;

              assicurare adeguate risorse per le opere ordinarie, per la riqualificazione delle reti idriche e per la difesa del suolo e per il risanamento idrogeologico, opere che tanta rilevanza hanno per la salvaguardia del territorio e spesso attese dalle comunità locali; il finanziamento di questa essenziale e vitale tipologia di infrastrutture non può essere sacrificato alle cosiddette «grandi opere», le quali vanno identificate nel novero ristretto delle opere di autentico valore strategico nazionale;

              prevedere un complesso organico di interventi fiscali e finanziari, nonché misure di razionalizzazione normativa per rilanciare con i fatti e non con vuoti slogan gli interventi per la riqualificazione urbana, il recupero edilizio ed il rilancio delle città;

              in questo quadro si dovrebbero individuare misure concrete e specifiche, anche utilizzando la leva fiscale per affrontare i problemi legati alle politiche abitative ed alla casa, con particolare attenzione al problema degli affitti.

      Tutto ciò considerato si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.

 

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X COMMISSIONE PERMANENTE
(Attività produttive, commercio e turismo)

 

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X COMMISSIONE PERMANENTE
(Attività produttive, commercio e turismo)

RELAZIONE     DI     MINORANZA

sui

DISEGNI DI LEGGE

Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2005
e bilancio pluriennale per il triennio 2005-2007 (5311)

Stato di previsione del Ministero delle attività produttive per l'anno finanziario 2005 (Tabella n. 3)

Disposizione per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005) (5310-bis)

dei deputati

Gambini, Nieddu, Cazzaro, Nigra, Cialente,
Quartiani, Lulli, Rugghia, Boiardi, Grotto.


      Esaminata la tabella n. 3, relativa allo stato di previsione del Ministero delle attività produttive per l'anno finanziario 2005, del disegno di legge di bilancio (C. 5311 Governo) e le connesse parti del disegno di legge finanziaria (C. 5310-bis Governo);

      considerato che:

          sul piano istituzionale, si tende a risolvere la crisi della «democrazia di bilancio» rendendo sempre meno rilevante l'esame parlamentare dei documenti di bilancio e più ampia la discrezionalità dell'Esecutivo nel modificare, per via amministrativa, le residue decisioni parlamentari in materia;

          nella manovra 2005 non sono previsti interventi per dare risposta adeguata ai problemi più acuti del Paese, dai rischi di declino del nostro sistema economico e produttivo alla distribuzione fortemente sperequata del reddito, dal blocco dei

 

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consumi alla precarizzazione crescente dei rapporti di lavoro ed alla necessaria modernizzazione delle politiche sociali;

          l'eliminazione del collegato di sessione e la conseguente necessità di trasferire nella legge finanziaria parte delle prescrizioni prima inserite in tale provvedimento non consentono di valutare se, e con quali modalità e risorse, le promesse misure per la competitività e lo sviluppo saranno inserite nella manovra;

          il Parlamento non dispone ancora oggi di dati completi sulla manovra di bilancio, nonostante il disegno di legge finanziaria sia stato presentato alle Camere il 30 settembre scorso;

          i dati aggiornati con le note depositate in data 6 ottobre dal Governo consentono solo di valutare gli effetti dell'articolato della Finanziaria, quantificabile in 22.431,63 milioni di euro;

          il Governo non ha messo a disposizione del Parlamento la Relazione previsionale e programmatica - per la parte seconda e i relativi allegati - e pertanto non è ancora possibile quantificare adeguatamente gli effetti sui saldi finanza pubblica della manovra 2005;

          la Relazione previsionale e programmatica - la cui presentazione è fissata, dalla legge n. 468 del 1978, per il 30 settembre di ogni anno - è essenziale anche per valutare le conseguenze macroeconomiche e sulla finanza pubblica della «nuova regola» di azione per il contenimento della spesa della pubblica amministrazione: il limite all'incremento di tale spesa complessiva viene fissato infatti al 2 per cento rispetto alle previsioni aggiornate indicate nella Relazione previsionale e programmatica 2005;

          non appaiono chiari neppure i conti relativi all'anno 2004, importanti sia per determinare il deficit tendenziale, relativo al 2005, da correggere, che lo stock del debito da ridurre nel corso del prossimo anno;

      valutato che:

          nella manovra 2005 il principio unico dell'evoluzione controllata della spesa nell'ambito di un tetto del 2 per cento per il triennio 2005-2007 è un taglio molto significativo delle disponibilità di tutte le amministrazioni e degli enti territoriali: nell'ultimo triennio, le spese correnti sono cresciuti ad un ritmo del 5 per cento all'anno;

          per il bilancio dello Stato, tale decurtazione si applica agli stanziamenti iniziali di competenza e di cassa già ridotti dalla manovra correttiva del decreto-legge n. 168/04 approvata nel luglio 2004;

          la soglia «generale» del 2 per cento alla spesa presenta profili di dubbia costituzionalità: il Parlamento dovrebbe approvare tagli severi di spesa senza sapere su quali norme si va, in concreto, ad incidere; l'esame dei contenuti propri, coerenti con i compiti attribuiti alla legge finanziaria deve necessariamente estendersi all'ammissibilità costituzionale di alcune norme ed in particolare dell'articolo 3 del disegno di legge finanziaria;

          appare ineludibile che il Governo, in modo analitico, integri opportunamente la Finanziaria per rendere chiaro quali leggi sono sottoposte al limite del 2 per cento, specificando i relativi effetti sui capitoli, e sulle unità previsionali di base;

          il principio «unico» del 2 per cento è in contrasto con l'articolo 81 Costituzione che riserva alle Camere, ogni anno, l'approvazione del bilancio, approvazione che deve essere puntuale;

          gli effetti della manovra 2005 appaiono dubbi: il «taglio» del 2 per cento è nel concreto di difficile applicazione: più del 90 per cento delle spese sono infatti obbligatorie e derivano da norme legislative che dovrebbero essere, contestualmente, modificate;

          detraendo dalle spese correnti le spese escluse dal tetto (pensioni, spese sociali, sicurezza, ecc.), la somma soggetta al vincolo del 2 per cento ammonta a circa 313,4 miliardi per il 2005; la decurtazione possibile potrebbe non essere superiore a

 

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5 miliardi di euro; il risparmio indicato (quantificato in 6,2 miliardi) appare pertanto sovrastimato;

          anche il tetto alle spese degli Enti locali è di difficile realizzazione: nell'ultimo biennio le spese delle Amministrazioni locali, al netto del costo del personale, sono aumentate dell'11,7 per cento passando dai 122.933 milioni di euro del 2001 ai 137.377 milioni di euro del 2003, con un'inflazione che cresce, nello stesso periodo, del 5,1 per cento;

          per le autonomie territoriali, la finanziaria 2005 rappresenta una vera e propria manovra di finanza straordinaria: le regole del patto di stabilità interno - sia nelle definizioni, sia nelle regole da applicare nei successivi esercizi - sono, di fatto, interamente riscritte;

          la Finanziaria consente alle autonomie locali la possibilità di eccedere i limiti di crescita programmati solo per spese di investimento nei limiti delle maggiori entrate derivanti da maggiorazioni di aliquote e di tariffe;

          per rispettare la soglia di legge, gli enti decentrati saranno pertanto costretti a ricorrere ad un inasprimento della tassazione locale, con gravi conseguenze sui servizi, sul sistema produttivo e il lavoro autonomo;

          la prevista estensione ai comuni sotto i 5.000 abitanti del patto di stabilità - e quindi della regola unica di controllo della spesa complessiva - appare del tutto insostenibile, sia dal punto di vista economico che amministrativo;

          il «principio unico dell'evoluzione controllata della spesa» fotografando la spesa «storica» di tutte le amministrazioni rappresenta la rinuncia ad una seria programmazione della spesa pubblica, che dovrebbe valutare opportunamente - in relazione ai fabbisogni dei singoli settori - dove tagliare e quanto incrementare le singole voci (ruolo della politica); l'applicazione «seria» di un metodo di evoluzione «controllata» della spesa - già adottato in Europa, dal Regno Unito - richiede per la sua implementazione un lungo periodo di lavoro analitico, di dibattito, di scelte reali, ed, ogni anno, una verifica delle decisioni da assumere per ogni semestre;

          mentre non vi è traccia, nella manovra, della riduzione delle tasse promessa dal Governo, con un «tax relief» complessivo, di 6 miliardi di euro (la delega fiscale prevedeva che le minori entrate derivanti dalla progressiva attuazione della riforma dell'Irpef avrebbero dovuto trovare copertura nell'ambito delle annuali manovre di finanza pubblica), con la Finanziaria 2005 si incrementa la pressione fiscale di 7,5 miliardi di euro, sostanzialmente intervenendo sulle imposte pagate dai piccoli imprenditori e dal lavoro autonomo; complessivamente, si possono individuare nella Finanziaria di quest'anno dieci interventi di prelievo fiscale, tra nuove tasse e incrementi dei tributi esistenti;

          per il quarto anno consecutivo dall'inizio della legislatura, il Governo non prevede la restituzione del fiscal drag; da notare che «le correzioni delle imposte conseguenti all'andamento dell'inflazione» rientrano tra i contenuti essenziali della legge finanziaria indicati dalla legge n. 468/78 che disciplina la sessione di bilancio; anche per questa via si determina un silenzioso ma costante incremento della pressione fiscale sui redditi reali; insufficienti appaiono le risorse stanziate per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego;

          quanto agli investimenti, di particolare gravità appare il tetto di 460 milioni di euro previsto per le spese in conto capitale relative alle opere della legge obiettivo; si determina, così, un sostanziale blocco degli investimenti pubblici;

          per il Mezzogiorno, la prevista riforma delle agevolazioni e il ridimensionamento dei fondi per le aree sottoutilizzate e per le opere pubbliche, riduce ulteriormente le potenzialità di crescita e di superamento del divario territoriale;

          la manovra configura una serie di interventi con un forte impatto recessivo,

 

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con freno agli investimenti pubblici e privati ed ai consumi, particolarmente per quanto riguarda la limitazione ai pagamenti di 1.000 milioni di euro del fondo incentivi alle imprese e di 1750 milioni di euro per quanto attiene la legge 488 del 1992 e gli strumenti della programmazione negoziata;

          riguardo il delicato tema del carovita il Governo ha assunto nelle scorse settimane due posizioni contrastanti privilegiando da un lato il rapporto con la grande distribuzione, dall'altro instaurando un rapporto con alcuni comuni che si sono distinti per una particolare attenzione a tale problematica;

          restano tuttavia deboli le iniziative dirette a frenare il carovita, mentre è inesistente una politica volta al rilancio dei consumi anche per sostenere i settori del commercio, per i quali si acuisce una grave crisi indotta dal calo continuo dei consumi;

          valutato il disegno di legge nello specifico, si esprimono inoltre le seguenti osservazioni:

          la crisi del principali settori produttivi si è ulteriormente aggravata e, oltre a rendere ancora più pesanti le prospettive per l'insieme dell'economia italiana, rappresenta un fattore di estrema preoccupazione per le migliaia di lavoratori coinvolti e per le numerose imprese di piccole e medie dimensioni che ne costituiscono l'indotto;

          l'Italia scivola al 47o posto nella graduatoria mondiale dei paesi maggiormente competitivi, mentre continua la situazione di crisi dell'industria automobilistica italiana;

          è sempre più evidente il grande ritardo e l'obsolescenza degli assetti del capitalismo italiano oltre che l'incapacità del Governo di disporre eventi di breve, medio e lungo termine per evitare che l'Italia perda ulteriore terreno nell'ambito dell'economia globale;

          i gravi casi di default industriali, anche alla luce del disimpegno delle forze politiche della maggioranza riguardo alla proposta di legge sulla tutela del risparmio, appaiono a un anno di distanza dal caso Parmalat sempre più gravi ed inaccettabili per le conseguenze sulla fiducia dei risparmiatori e sull'insieme della comunità nazionale;

          la crisi dell'industria automobilistica nazionale permane e richiede politiche di sostegno che debbono orientarsi soprattutto verso agevolazioni volte a favorire l'acquisto di vetture nuove a basso impatto ambientale, in primo luogo quelle alimentate a metano, prevedendo agevolazioni fiscali e tributarie per la conversione dell'indotto e sopprimendo l'imposta provinciale di trascrizione per gli autoveicoli usati;

          per le imprese in crisi sono necessari nuovi strumenti di agevolazione, già presenti e diffusi nei maggiori paesi europei, per favorire l'ingresso di venture capital nelle imprese medesime ed è indispensabile rafforzare il sistema dei Confidi anche per consentire un adeguamento del sistema alle nuove regole di «Basilea 2»;

          nell'attuale congiuntura internazionale i prodotti del made in Italy attraversano una crisi che può indebolire sensibilmente la capacità competitiva dell'economia italiana e sono quindi necessarie sia azioni efficaci di contrasto ai fenomeni di contraffazione, sia massicci investimenti in ricerca e sviluppo anche nei settori maturi, mentre le misure recate dalla manovra appaiono confuse ed insufficienti a scongiurare il rischio di declino del nostro Paese;

          in tale contesto anche un settore come il turismo, che tradizionalmente ha retto la sfida dei momenti più difficili dell'economia nazionale, attraversa una fase di pesanti incertezze per il combinarsi di una serie di fattori negativi, quali la guerra in Iraq e le minacce del terrorismo, la crisi economica internazionale e la conseguente sfiducia dei consumatori e infine la negativa congiuntura economica

 

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attraversata da mercati particolarmente importanti per il turismo italiano, quale quello tedesco;

          in una situazione tanto preoccupante appare assurdo che la riforma dell'ENIT slitti sine die e che viceversa si proponga da parte del Governo l'aumento del 300 per cento dei canoni per le concessioni demaniali a fini turistico-ricreativi, che incombe sulla categoria degli operatori balneari ormai dalla scorsa manovra di finanza pubblica del 2004 e che si accompagna alla scomparsa del finanziamento della legge n. 135 del 2001 per lo sviluppo dei sistemi turistici locali e al taglio delle risorse previste per l'ENIT, contenuti nella legge finanziaria per l'anno 2005;

          il taglio generalizzato degli incentivi alle imprese, la limitazione delle risorse per il Mezzogiorno e per leggi speciali, allontana in generale la prospettiva di una ripresa, mettendo le piccole e medie imprese, nervatura del nostro sistema economico, in gravi difficoltà a reperire commesse sui mercati internazionali;

          appare particolarmente grave la carenza di proposte concrete per il rilancio del Mezzogiorno, manca infatti una strategia di politica economica mentre si è assiste alla cancellazione progressiva delle agevolazioni preesistenti in materia di innovazione, sviluppo ed occupazione, alla riduzione dell'operatività degli strumenti automatici esistenti e al depotenziamento delle politiche di sviluppo locale, quali i patti territoriali e i contatti d'area;

          anche per il 2005, come già per il 2003 e il 2004, la manovra di finanza pubblica non qualifica la spesa per gli investimenti nei settori della ricerca, dell'innovazione e della formazione, settori che per l'Italia possono avere un effetto di moltiplicazione del prodotto interno lordo e, nello stesso tempo impegna risorse esigue rispetto alle esigenze di ricollocazione produttiva del Paese;

          con riferimento alla necessità di sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese nel campo della ricerca sarebbe indispensabile introdurre meccanismi incentivanti che includano i consorzi e ogni altra aggregazione tra imprese, a partire dai distretti industriali, nelle politiche di sostegno pubblico mirate all'internazionalizzazione del sistema-paese, anche aumentando le risorse per l'attività promozionale dell'ICE: devono quindi essere aumentate nettamente, adeguandole alle nuove necessità della ricerca imposte dallo sviluppo delle tecnologie e delle conoscenze, le risorse destinate al sostegno alla ricerca scientifica e tecnologica e all'ENEA;

          con riferimento alla liberalizzazione dei settori più rilevanti dell'industria italiana, rimane centrale l'esigenza di accelerare il processo di innovazione e di liberalizzazione dei mercati e delle reti infrastrutturali, anche al fine di ridurre nel medio periodo l'impatto dei costi di sistemi ormai inefficienti sulle dinamiche inflazionistiche: è il caso del settore energetico sottoposto alla pressante necessità di diversificazione delle fonti e di innovazione tecnologica che, nonostante la miriade di provvedimenti messi in campo dal Governo, rimane in una situazione di incertezza, che non favorisce gli investimenti, né produce alcun vantaggio tariffario per gli utenti;

          con riferimento al settore del commercio le poche risorse destinate al settore scompaiono dalla legge finanziaria 2005, imperversa invece la polemica sul carovita con il tentativo di addebitare al commercio tradizionale la responsabilità degli aumenti indiscriminati dei prezzi, mentre si tace sull'aumento delle tariffe e dei servizi, molto spesso dovuti allo slittamento dei processi di liberalizzazione dei mercati;

          in tale contesto risultano assolutamente punitive le norme che intendono reintrodurre l'elenco clienti e fornitori e ritoccare verso l'alto gli studi di settore: un modo per colpire chi già paga e tutelare indirettamente l'evasione fiscale fomentata con le varie forme di condono fiscale;

          con riferimento alla tutela del potere d'acquisto dei consumatori e allo sviluppo

 

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dei settori della piccola e media impresa il disegno di legge in esame non contiene misure adeguate, mentre sarebbe necessario:

          riguardo al carovita, sostenere con risorse adeguate le attività che i Comuni più virtuosi svolgono sul territorio, prevedendo il finanziamento delle iniziative locali di contenimento dei prezzi che coinvolgono l'intera filiera alimentare e non alimentare, valorizzano i prodotti locali e le campagne di informazione dei consumatori sul consumo intelligente;

          favorire l'innovazione del commercio tradizionale con il ripristino del credito d'imposta per la riqualificazione della rete distributiva ed in particolare degli esercizi di vicinato, il sostegno all'e-commerce, il ripristino delle norme sulle ristrutturazioni immobiliari, l'agevolazione all'acquisto dei locali in affitto, la rottamazione del commercio ed un maggiore finanziamento delle norme sulla sicurezza;

          sostenere il made in Italy attraverso la valorizzazione della proprietà intellettuale, del processo produttivo e delle capacità professionali, la tutela del consumatore, l'incentivazione dei processi di innovazione e della competitività, regolamentando la tracciabilità dei prodotti, introducendo efficaci norme anticontraffazione e agevolazioni fiscali per la promozione delle attività di prevenzione dei fenomeni di contraffazione;

          istituire un marchio che identifichi i prodotti il cui processo produttivo è realizzato interamente in Italia ed un marchio che identifichi i prodotti che si segnalano per specifiche caratteristiche di originalità e di creatività, realizzati in Italia, mentre devono essere estese anche al settore tessile abbigliamento le misure che prevedono un utilizzo più flessibile e razionale della Cassa Integrazione Guadagni;

          adottare misure per contrastare le importazioni illegali di capi di abbigliamento provenienti da paesi extracomunitari e per contrastare il fenomeno della contraffazione e delle frodi che ha raggiunto dimensioni più che ragguardevoli, ed introdurre una normativa specifica in materia di etichettatura che consenta la tracciabilità dei prodotti commercializzati all'interno della Unione Europea;

          prevedere un intervento più consistente di sostegno al settore delle esportazioni extracomunitarie, (in particolare per il sistema moda, l'agroalimentare di qualità, ecc.) con lo scopo di supportare l'impegno delle imprese esportatrici colpite dalla crisi nel recuperare quote di mercato;

          promuovere misure fiscali di sostegno alla creazione di consorzi, di incentivo agli investimenti nella ricerca applicata e rendere effettivamente operante il Fondo per l'Innovazione Tecnologica (ex legge 46/82) riguardo al finanziamento dei campionari e alla ideazione di nuove collezioni di prodotti;

          prevedere la cancellazione della limitazione ai pagamenti che riguardano il fondo incentivi alle imprese, ed in particolare per il Mezzogiorno, la legge n. 488 del 1992 e la programmazione negoziata;

          per i settori della piccola e media impresa artigiana prevedere un cospicuo rifinanziamento delle risorse destinate al fondamentale strumento dell'Artigiancassa e alla legge Sabatini che costituisce un indispensabile e funzionale supporto per l'acquisto o la locazione finanziaria di nuove macchine utensili;

          riguardo ai canoni delle concessioni demaniali a fini turistico-ricreativi introdurre una norma che sterilizzi l'impatto degli aumenti del 300 per cento previsti dal decreto-legge n. 269 e promuova di concerto con le regioni la verifica delle classificazioni in base alla legge n. 494 del 1993 e l'entità dei relativi canoni;

          per il rilancio del turismo, prevedere il rifinanziamento della legge n. 135 del 2001, per quanto riguarda lo sviluppo dei sistemi turistici locali e il fondo di rotazione per il prestito e il risparmio turistico, oltre all'aumento delle risorse per la promozione del turismo italiano sui mercati esteri, a partire da quelle destinate all'ENIT;

 

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          adottare un pacchetto di misure volte a favorire l'innovazione delle aziende turistiche, come la proroga del credito d'imposta per l'acquisto di beni strumentali e della deducibilità delle quote di ammortamento per le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento degli immobili, la possibilità per le imprese di tutti i settori di dedurre l'IVA sui costi sostenuti per i cosiddetti viaggi d'affari e l'introduzione di un'aliquota IVA al 10 per cento per case ed appartamenti per vacanze, stabilimenti balneari, esecuzioni musicali effettuate in pubblici esercizi, discoteche e locali da ballo, settore nautico.

      Tutto ciò considerato si esprime una valutazione negativa sui documenti di bilancio predisposti dal Governo.


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