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PDL 5082

XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5082



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato SINISCALCHI

Modifica all'articolo 276 del codice di procedura penale in materia di provvedimenti del giudice in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti una misura cautelare

Presentata il 23 giugno 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge ha ad oggetto la modifica di una disposizione - apparentemente non primaria - singolarmente significativa nell'ambito della disciplina afferente le condizioni e i presupposti di applicabilità delle misure cautelari coercitive. La norma in questione è quella relativa ai provvedimenti che il giudice assume in caso di trasgressione, da parte della persona sottoposta alla misura cautelare, delle prescrizioni imposte.
      Attualmente, una specifica disposizione normativa, il comma 1-ter dell'articolo 276 del codice di procedura penale, stabilisce che, in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari concernenti «il divieto di non allontanarsi dalla abitazione», il giudice, sostituendo la misura, dispone la custodia cautelare in carcere.
      Orbene, la suddetta «regola» opera un automatico ricorso alla sostituzione della misura cautelare in ragione della violazione dell'obbligo.
      Una sostituzione ope legis della misura coercitiva degli «arresti domiciliari» (articolo 284 del codice di procedura penale) con quella della «custodia cautelare in carcere» (articolo 285 del codice di procedura penale).
      Il giudice, ai sensi dell'articolo 276, comma 1-ter, del codice di procedura penale, revoca la misura degli arresti domiciliari e applica la - più afflittiva - custodia cautelare in carcere.
 

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      È una deroga espressa alla disposizione generale afferente i provvedimenti relativi alle trasgressioni delle prescrizioni imposte in costanza di misura cautelare.
      La ratio della norma appare molto chiara: allontanarsi dalla dimora comporta la giustificata quanto inevitabile «sanzione».
      Tuttavia, a ben vedere, l'assenza di riferimento alla valutazione del giudice in ordine alla accertata sussistenza delle esigenze di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale e al giudizio di cui all'articolo 275 del medesimo codice, modifica intrinsecamente la funzione e la finalità ultima della misura cautelare stessa.
      In concreto, ben potrebbe verificarsi che il giudice, pur ritenendo in concreto idonea e proporzionata la misura cautelare degli arresti domiciliari, «si veda costretto», nell'applicazione della disposizione normativa, a sostituire la misura con la custodia cautelare in carcere. È la natura afflittiva (o sanzionatoria) che sembra sostituirsi a quella cautelare. Una custodia cautelare in carcere disposta in modo automatico (ancorché riferibile ad una accertata infrazione) si discosta dalla finalità tipica che il legislatore ha inteso attribuire alla misura.
      In buona sostanza, viene sottratta al giudice la indispensabile valutazione afferente la «concretezza» delle esigenze (tutela della collettività, pericolo di fuga, pericolo per la genuinità degli elementi di prova) e la «adeguatezza e proporzionalità» della misura stessa al fatto reato.
      Sul punto, gli articoli 274 e 275 del citato codice di procedura penale, più volte modificati, rappresentano una piattaforma solida e coerente sulla quale il sistema delle misure cautelari personali si è, in concreto, sviluppato.
      Prescindendo dall'ineludibile presupposto indicato dall'articolo 273 del codice di procedura penale (fumus delicti), nell'intero assetto normativo, l'eventuale sussistenza del periculum in libertate, non può essere ritenuta se non all'esito di una concreta valutazione del giudice che dispone il provvedimento cautelare.
      A ciò deve aggiungersi sempre la valutazione del giudice relativa alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. Peraltro, come disposto dall'articolo 275 del codice di procedura penale (comma 2) «Ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata».
      Conseguentemente, non può che ritenersi indispensabile, per ragioni di coerenza sistematica e di compatibilità con la tenuta coerente della legislazione, riequilibrare la disposizione in questione ed eliminare un automatismo in malam partem consistente nell'inasprimento della misura.
      È necessario, dunque, che al giudice che procede sia sempre data la facoltà di valutare l'eventuale inadeguatezza della misura in essere (arresti domiciliari) alla luce delle esigenze da tutelare nel caso concreto.
      Non può essere preclusa tale penetrante valutazione al giudice, anche per consentire a quest'ultimo di calibrare il provvedimento sulla concretezza e sull'attualità delle esigenze.
      In buona sostanza, in ragione della peculiarità dell'infrazione, delle modalità della stessa, della natura del reato contestato, della personalità dell'indagato, il giudice deve valutare la necessità di disporre la sostituzione con misura più afflitiva, per la salvaguardia delle esigenze cautelari. Probabilmente, nelle applicazioni pratiche della modifica legislativa che si propone, nella maggior parte dei casi il giudice, revocando la precedente misura, si determinerà a disporre la custodia cautelare in carcere. Tanto in considerazione della frequente gravità, in concreto, della trasgressione alle prescrizioni relative all'allontanamento nonché alla luce della prognosi infausta relativa al futuro corso della misura stessa.
      Tuttavia tale determinazione - di inidoneità degli arresti domiciliari - sarà frutto esclusivo di concreta e specifica valutazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale nonché di
 

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una valutazione afferente l'adeguatezza e la proporzionalità di cui all'articolo 275 del medesimo codice.
      In conclusione, sia sotto un profilo di effettività della garanzia offerta da provvedimenti non automatici in materia di libertà personale, sia per ragioni di coerenza con le finalità proprie delle misure coercitive, la piena valutazione da parte del giudice delle specifiche esigenze cautelari e della concreta inidoneità degli arresti domiciliari, è in grado di contribuire alla evoluzione della già moderna e attenta legislazione in materia.
      Per tali ragioni, si propone l'abrogazione del comma 1-ter dell'articolo 276 del codice di procedura penale con la conseguente eliminazione della deroga imposta al comma 1 del medesimo articolo. Quest'ultimo, espressamente dispone: «In caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione. Quando si tratta di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura interdittiva, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo anche con una misura coercitiva».
      Tale ultima disposizione, priva della richiamata «deroga» di cui al comma 1-ter, rende più effettiva la finalità stessa conferita dal legislatore alla custodia cautelare in carcere.
 

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Art. 1.

      1. Il comma 1-ter dell'articolo 276 del codice di procedura penale è abrogato.


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