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PDL 4958

XIV LEGISLATURA

 

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CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4958



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DEIANA, PISA, BATTAGLIA, BELLINI, BOATO, BUFFO, CAMO, CARBONI, CENTO, CIMA, DAMERI, TITTI DE SIMONE, DI SERIO D'ANTONA, FOLENA, GIACCO, ALFONSO GIANNI, GIULIETTI, GRANDI, GRIGNAFFINI, MASCIA, PANATTONI, RIZZO, RUSSO SPENA, SASSO, SCIACCA, SINISCALCHI, TIDEI, TRUPIA, VENDOLA, ZANOTTI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause, sulle modalità e sulle procedure delle operazioni belliche svoltesi a Nassyria il 6 aprile 2004 nonché sul ruolo e sulle eventuali responsabilità del contingente militare italiano

Presentata il 3 maggio 2004


      

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Onorevoli Colleghi! - In Iraq assistiamo a una cruenta escalation di violenza bellica, in cui a sanguinose azioni di contrasto da parte di chi si oppone alla presenza delle truppe occupanti, fanno seguito, da parte dei comandi anglo-americani, forme estreme di rappresaglia per ristabilire il controllo della Coalition provisional Autority (CPA). Quello che è avvenuto nelle città del cosiddetto «triangolo sunnita» - in particolare a Falluja e a Najaf - nella primavera di quest'anno lo stanno a testimoniare in maniera inequivocabile. L'opposizione irachena si sta allargando a macchia d'olio, con azioni di guerriglia tradizionale che si alternano a sabotaggi, agguati suicidi, azioni di feroce terrorismo - che fanno il paio con la ferocia delle azioni di rappresaglia degli occupanti anglo-americani - contro occupanti e civili iracheni accusati di collaborazionismo. Neanche le creature più piccole e indifese sfuggono a questa spirale dell'odio, mentre crescono l'insofferenza e l'ostilità della popolazione civile nei confronti dell'occupazione militare, individuata sempre più nettamente come la causa prima del degrado economico, sociale e politico in cui è precipitato il Paese.
      L'Italia è coinvolta in maniera ormai chiara e diretta nel disastro prodotto dalla guerra preventiva e dal terribile dopoguerra di guerra che ne è seguito. L'invio del contingente italiano a sostegno della missione Antica Babilonia è destinato a subire in maniera crescente l'ostilità di quanti in Iraq sono intenzionati, costi quel che costi, a contrastare la presenza di truppe e di potere stranieri. Le argomentazioni del Governo circa il carattere umanitario
 

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della missione italiana nonché le suggestioni mediatiche relative alla buona accoglienza che la popolazione di Nassirya riserverebbe ai nostri militari, non soltanto non hanno mai retto alla prova del diritto internazionale e dei vincoli della nostra Costituzione sulla funzione delle Forze armate, ma ormai neanche più a quella dei fatti. Dopo la drammatica vicenda dell'agguato teso ai carabinieri italiani, che ha segnalato l'avvenuto coinvolgimento anche del sud del Paese nell'opposizione contro le truppe occupanti, la battaglia dei Ponti avvenuta a Nassirya il 6 aprile di quest'anno, ha portato alla luce la natura intrinsecamente bellica della missione militare italiana in Iraq. Il conflitto a fuoco sui Ponti è stato segnato infatti da un ricorso massiccio, da parte dei militari italiani, all'uso delle armi che ha provocato l'uccisione dai 15 ai 25 civili, oltre un numero imprecisato di feriti e di morti tra i manifestanti armati.
      Le testimonianze di militari che sono state raccolte dalla stampa direttamente a Nassirya nonché le dichiarazioni dello stesso generale Chiarini, responsabile del contingente italiano, confermano che si è trattato di uno scontro durissimo, che ha avuto pesanti conseguenze in termini di morti, feriti, coinvolgimento della popolazione civile. Il Governo ha fino ad oggi evitato un confronto serio nelle Aule del Parlamento sulla natura di questi accadimenti, che hanno visto protagonisti i militari italiani della missione Multinational Specialized Unit-MSU in un ruolo totalmente altro e diverso da quello che si è voluto attribuire alla missione Antica Babilonia. Tali fatti non possono essere ridotti dentro un asfittico e inconsistente dibattito parlamentare come è stato quello fin qui svolto, con informative separate e assolutamente incongrue rispetto alla necessità di un approfondito e ampio accertamento della dinamica dei fatti e del ruolo che i militari della missione Nuova Babilonia hanno avuto nella vicenda. Il Parlamento ha l'obbligo morale, oltre che istituzionale e costituzionale, di conoscere la verità dei fatti.
      Da questo punto di vista, sono assolutamente insoddisfacenti le dichiarazioni del Ministro della difesa Martino, secondo il quale: «la reazione dei reparti italiani è stata sempre portata nel rispetto delle Regole d'ingaggio, con particolare riguardo alla necessità ed alla proporzione dell'uso della forza». Le Regole d'ingaggio non sono mai state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale o portate in altro modo a conoscenza del Parlamento, né allo stesso modo sono stati mai chiariti quali fossero i rapporti tra il comando italiano e quello anglo-americano, perché è da quest'ultimo che dipende il nostro contingente, né quali margini di autonomia del contingente italiano esistano rispetto ad ordini che provengano dal comando britannico e si configurino come in contrasto con la natura attribuita dal Parlamento alla missione.
      Nella sua comunicazione alle Commissioni Difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica il Ministro Martino ha motivato l'operazione «Due Ponti» come nata dalla necessità di ripristinare le condizioni generali di sicurezza, dell'ordine pubblico e della libera circolazione nella città di Nassyria. Stando alle sue affermazioni si sarebbe trattato infatti di una serie di operazioni finalizzate ad acquisire il controllo dell'agibilità e della percorribilità dei tre ponti cittadini sul fiume. Le tre compagnie italiane che hanno condotto l'operazione con mezzi blindati, sarebbero state sottoposte ad attacchi di fuoco da parte di gruppi dotati di armi di ogni genere, anche pesanti, e nel corso della risposta si sarebbero registrate anche vittime fra i civili iracheni, probabilmente - è la stima del Ministro - circa 15 unità.
      Il Parlamento non può accontentarsi, di fronte a un simile evento, dei «purtroppo» espressi dal Ministro della difesa. La gravità dei fatti avvenuti è incontestabile. È stata messa a rischio la vita di decine di militari italiani e per la prima volta dalla fine della II guerra mondiale dei contingenti militari italiani hanno causato, con la loro azione, un eccidio di civili. Tutto ciò fa sorgere l'esigenza di un'approfondita verifica sia in merito alla dinamica dei fatti che hanno prodotto la decisione dell'intervento
 

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manu militari del contingente italiano, sia sugli aspetti di legittimità giuridica dello stesso intervento e delle conseguenze che ne sono derivate.
      Com'è noto, il 20 marzo del 2003 le Forze armate degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno sferrato un massiccio attacco con forze di terra e aeronavali contro lo Stato iracheno, che ha portato all'occupazione dell'intero territorio del Paese da parte delle potenze belligeranti. Dopo la fase della guerra guerreggiata non è stato stipulato alcun armistizio fra le parti, né alcun trattato di pace, in quanto lo Stato iracheno è stato dissolto per debellazione e i suoi dirigenti politici e militari sono stati destituiti e catturati dalle potenze occupanti. Il contesto giuridico nell'ambito del quale si svolge la missione delle Forze armate italiane si inserisce, secondo quanto votato in Parlamento, nel quadro della «partecipazione italiana all'azione multilaterale per la stabilizzazione e ricostruzione dell'Iraq e per il ripristino delle infrastrutture socioeconomiche di base, nonché per la realizzazione degli interventi umanitari in condizioni di sicurezza». Ciò è in evidente incompatibilità con la situazione irachena di cui lo stesso Consiglio di sicurezza dell'ONU ha preso atto, e che parla esplicitamente dell'occupazione dell'intero Iraq da parte delle potenze belligeranti. Con la risoluzione n. 1483 del 22 maggio 2003, l'ONU ha infatti richiamato gli Stati Uniti e il Regno Unito al pieno e completo rispetto delle obbligazioni che il diritto internazionale impone alle Potenze occupanti, ed in particolare al rispetto della IV Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949 e delle Convenzioni de L'Aja del 1907. Il contingente militare italiano che opera nell'ambito di questo contesto, sotto il comando unificato delle potenze occupanti, si trova, in conseguenza, nella stessa condizione di forza di occupazione, non diversamente dalla stessa CPA, ed è, pertanto, tenuto al rispetto delle norme della IV Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, resa esecutiva dall'Italia con la legge 27 ottobre 1951, n. 1739, che regolano la situazione giuridica dei territori occupati nel corso di un conflitto bellico, e, perciò, soggetti alla sovranità e all'amministrazione delle potenze occupanti. Tale Convenzione detta delle norme stringenti a tutela delle persone che vivono nei territori occupati. Sono considerate infatti «persone protette» e «non possono essere né uccise, né ferite o sottoposte ad atti di coercizione o tortura» poiché tali atti costituirebbero infrazioni gravi della Convenzione (ai sensi dell'articolo 147) e comporterebbero, a norma dell'articolo 146, l'obbligo di processare i responsabili.
      Tali vincoli e obblighi sono andati infranti nell'operazione militare condotta a Nassirya. Ma di tale operazione non si sa assolutamente nulla. Neanche il numero dei morti civili iracheni. Si hanno soltanto brandelli di informazioni, come quella fornita alla stampa - sempre meglio informata del Parlamento - dallo stesso generale Gian Marco Chiarini, responsabile del contingente italiano, il quale, riferendosi all'operazione dei ponti e agli uccisi iracheni, ha dichiarato «Non li abbiamo potuti contare». Nello stesso tempo esiste il rischio che il segreto militare venga imposto sull'intera vicenda, come sta a dimostrare l'incidente occorso al giornalista de La Repubblica Attilio Bolzoni, colpevole, secondo la denuncia che contro di lui è stata fatta da due ufficiali della brigata Ariete, di «procacciamento di documenti riservati».
      Per questi motivi, per gli interrogativi che essi pongono alle istituzioni democratiche del nostro Paese e all'opinione pubblica italiana, particolarmente sensibile alle ragioni della pace, si ritiene urgente e importante avviare al più presto un'inchiesta parlamentare e la presente proposta di legge istituisce a tale fine una apposita Commissione parlamentare di inchiesta.
      Ricostruire la verità su quanto avvenuto a Nassirya è nell'interesse del Paese e della credibilità delle istituzioni, comprese le Forze armate, agli occhi dei cittadini italiani e di quelli del resto del mondo.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e funzioni della Commissione parlamentare di inchiesta).

      1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause, sulle modalità e sulle procedure delle operazioni belliche svoltesi a Nassyria il 6 aprile 2004 nonché sul ruolo e sulle eventuali responsabilità del contingente militare italiano implicato nel combattimento, di seguito denominata «Commissione», con i seguenti compiti:

          a) accertare ogni circostanza rilevante dei fatti che hanno portato agli eventi del 6 aprile 2004 nei quali sono stati implicati militari italiani;

          b) accertare quale conoscenza del contesto ambientale in cui si sono svolti gli avvenimenti nei quali hanno avuto parte attiva i militari italiani abbiano avuto i responsabili del comando italiano a Nassyria nonché il grado di coinvolgimento, nella decisione di acquisire il controllo e l'agibilità dei tre ponti manu militari, tra il comando britannico e quello italiano;

          c) accertare quale autorità, nel contesto ambientale di cui alla lettera b), abbia dato l'ordine di procedere allo sgombero forzoso dei ponti sull'Eufrate, sparando indiscriminatamente sulla folla e provocando un massacro di civili, tra cui donne e bambini, che, a norma delle Convenzioni de L'Aja del 1907 e delle Convenzioni di Ginevra dell'8 dicembre 1949, rese esecutive dalla legge 27 ottobre 1951, n. 1739, sono considerati persone protette, e nel caso di un ordine del comando britannico, quale autonomia era prevista affinché i militari italiani potessero sottrarsi a tale ordine;

 

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          d) accertare se è legittimo che il contingente italiano, operante nel contesto di una missione umanitaria e di ricostruzione dell'Iraq ai sensi del decreto-legge 20 gennaio 2004, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 marzo 2004, n. 68, tenuto conto dei limiti e degli scopi umanitari entro i quali è stata legittimata la presenza dell'esercito italiano nel Paese, abbia aderito ad un ordine incompatibile con tale missione;

          e) accertare quali siano, nei dettagli, le regole d'ingaggio dei militari italiani a Nassyria, di cui il Parlamento italiano non è stato portato a conoscenza, che hanno consentito al contingente Multinational Specialized Unit - MSU di svolgere un'azione di attacco armato nei confronti di civili e se tali regole d'ingaggio siano coerenti e giustificate nell'ambito della missione umanitaria e di ricostruzione per la quale il contingente italiano si trova a Nassyria;

          f) accertare quali siano i rapporti tra il comando italiano e quello angloamericano, e quale sia il margine di autonomia del contingente italiano in merito a disposizioni contraddittorie in ordine alla natura della missione che è stata approvata;

          g) accertare se il livello di formazione impartito ai militari italiani sia stato esteso anche ai contenuti delle convenzioni internazionali e agli obblighi di tutela della popolazione civile, tenuto conto della complessità e della problematicità del contesto nel quale gli stessi militari operano;

          h) accertare l'identità delle persone protette private della vita o ferite nell'azione militare, e stabilire il loro reale numero.

Art. 2.
(Composizione e durata).

      1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in modo da rispecchiare

 

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la consistenza proporzionale di ciascun gruppo parlamentare e comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo costituito in almeno un ramo del Parlamento.
      2. L'Ufficio di presidenza della Commissione, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione stessa tra i suoi componenti. Nella elezione del presidente, se nessuno riporta la maggioranza assoluta dei voti, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggiore numero di voti. In caso di parità di voti, è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
      3. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente la Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggiore numero di voti. In caso di parità di voti, si procede ai sensi del comma 2.
      4. La Commissione approva, prima dell'inizio dell'attività di inchiesta, un regolamento interno per il proprio funzionamento.
      5. Le spese di funzionamento della Commissione sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.
      6. La Commissione conclude i suoi lavori entro dodici mesi dalla sua costituzione.

Art. 3.
(Attività della Commissione).

      1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le medesime limitazioni dell'autorità giudiziaria. Per le audizioni a testimonianza si applicano le disposizioni di cui agli articoli 366 e 372 del codice penale.
      2. Alla Commissione, limitatamente all'oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto di Stato né il segreto d'ufficio. Per i segreti professionale

 

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e bancario si applicano le norme vigenti. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato. Quando atti o documenti siano stati assoggettati al vincolo del segreto funzionale da parte delle competenti Commissioni parlamentari di inchiesta, detto segreto non può essere opposto alla Commissione.
      3. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e delle collaborazioni che ritiene necessarie. Può richiedere informazioni e documenti al Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, al Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica e al Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza. Può altresì richiedere al Governo e alle Forze armate tutti gli atti e i documenti necessari alle indagini di propria competenza. Può inoltre richiedere a Governi stranieri e a organizzazioni internazionali, a Forze armate straniere e a servizi di intelligence stranieri atti e documenti. Nel caso di Governi stranieri e di organizzazioni internazionali la richiesta è avanzata direttamente, fatte salve le norme di diritto internazionale vigenti, e ne viene data comunicazione al Governo italiano il quale non può opporre alcuna azione atta a ritardare o a impedire la trasmissione dei documenti o degli atti. Nel caso di Forze armate e di servizi di intelligence stranieri la richiesta è inoltrata al Governo dello Stato interessato.
      4. La Commissione, nell'ambito dei suoi lavori, può chiedere di interrogare o di audire membri di Governi stranieri e di organizzazioni internazionali in carica durante il conflitto o membri delle Forze armate, di polizia o di servizi di intelligence di altri Stati o comunque funzionari dei governi e di organizzazioni internazionali o delle loro emanazioni dirette o indirette, nel rispetto delle norme di diritto internazionale vigenti. Inoltre, la Commissione può richiedere documenti e atti degli Organi parlamentari di altri Stati che indagano su materie analoghe a quelle di cui all'articolo 1 e può chiedere di interrogare o di audire membri di tali Organi.
 

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      5. La Commissione o una sua delegazione può recarsi, anche al di fuori del territorio nazionale, ovunque sia necessario per acquisire informazioni utili ai suoi compiti di indagine.
      6. La Commissione può ottenere, anche in deroga a quanto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti o documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare, con decreto motivato e solo per ragioni di natura istruttoria, la trasmissione di copie degli atti e dei documenti richiesti. Il decreto ha efficacia per trenta giorni e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto.
      7. Tutte le volte che lo ritiene opportuno la Commissione può riunirsi in seduta segreta. La segretezza della seduta è decisa, di volta in volta, a maggioranza assoluta dei membri della Commissione.
      8. La Commissione, a maggioranza assoluta dei propri membri, decide quali atti e documenti possono essere divulgati. Devono comunque essere coperti da segreto i nomi, gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 4.
(Obbligo del segreto).

      1. I componenti della Commissione, i funzionari e il personale addetti alla Commissione stessa e tutte le altre persone che collaborano con la Commissione o compiono o concorrono a compiere atti di inchiesta oppure di tali atti vengono a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto, anche dopo la cessazione dell'incarico, per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, comma 8.
      2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione dell'obbligo di cui al comma 1, con informazioni diffuse

 

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in qualsiasi forma, è punita ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
      3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le stesse pene di cui al comma 2 si applicano a chiunque diffonde, in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione.

Art. 5.
(Trasmissione delle risultanze
alle autorità competenti).

      1. Le risultanze delle indagini compiute dalla Commissione sono trasmesse, al termine dei lavori della stessa, all'autorità giudiziaria competente per territorio, all'autorità giudiziaria militare competente per territorio, alla Corte penale internazionale e al Consiglio di sicurezza dell'ONU.

Art. 6.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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