La Camera,
premesso che:
sulla base di una casistica afferente a oltre 48.000 casi osservati di separazioni «difficili», tra quelli che effettivamente si realizzano quotidianamente, è possibile avere il quadro reale della preoccupante situazione delle «soluzioni finali» (attraverso suicidio o omicidio-suicidio), come conseguenza di devastazioni affettive dovute sia alla negazione di rapporti di genitorialità nel nostro Paese, sia a problemi inerenti la sottrazione internazionale dei minori da parte di uno dei genitori o, a livello nazionale, al permanere dell'affido esclusivo dei figli a uno solo dei coniugi nei casi di separazione o divorzio;
dal disagio sociale conseguente alle separazioni emergono soprattutto due problematiche: da un lato, gli uomini che lamentano difficoltà nell'incontrare i figli e dall'altro, le donne che lamentano difficoltà a ottenere con costanza il contributo al mantenimento; ciò anche in conseguenza di una consolidata giurisprudenza che nel nostro Paese, anche se la normativa vigente non lo esplicita, permette di stabilire in maniera consensuale tra i coniugi l'affido della prole già prima che la sentenza venga pronunciata, senza un approfondimento sul vissuto della famiglia che si separa e sulle attitudini e capacità del singolo genitore;
i dati Istat mostrano che il genitore affidatario è la madre nel 94 per cento dei casi, atteso che attualmente in Italia vige l'affido monoparentale, nonostante i tentativi, ormai da quattro legislature, di introdurre l'affido condiviso, la bigenitorialità: ed è partendo da questo quadro oggettivo che si può analizzare la differenza percentuale tra donne e uomini separati (ampiamente sfavorevole a questi ultimi) rispetto al totale dei suicidi analizzati;
troppo spesso vengono disilluse sia le legittime aspettative di emolumenti, sia quelle di relazionarsi con un figlio, come pure non viene riconosciuto il diritto leso di entrambi i soggetti coinvolti e vengono accolte solo le istanze di chi sui figli ambisce ad avere una competenza esclusiva, calpestando le esigenze del genitore non affidatario (perfettamente conscio della profonda ingiustizia messa in atto dalla controparte) e quelle dei figli;
la disparità di trattamento evidenziata genera psicopatologie, legate perlopiù alla constatazione di come tale iniquità sia perfettamente legale, mentre il sistema chiamato a gestire le separazioni non riconosce e non sanziona come lesione di un diritto bilaterale l'interruzione delle relazioni figli/genitore non affidatario; inoltre, il sistema legislativo non riconosce i ventennali studi di Gardner sulla parental alienation syndrome (sindrome da alienazione parentale), che si manifesta con una serie di manovre attuate con successo dal genitore affidatario per alienare il figlio dal genitore non residente, non si attiva per garantire il recupero degli incontri perduti, non si attiva per eliminare i boicottaggi e garantire futuri incontri regolari, non si attiva per il rimpatrio di un genitore affidatario fuggito all'estero con i figli e nemmeno per il rientro di un genitore affidatario trasferitosi in altra città, trasferimenti che, di fatto, rendono impossibili le modalità di frequentazione così come previste da sentenze e decreti, anche ove si tratti di accordi consensuali;
il soggetto vessato, qualora ricorra agli appositi canali per ripristinare la giustizia, ciò che riesce a ottenere è il sommarsi di ulteriori ingiustizie, in base alle quali la spirale di disperazione che viene innescata è devastante: il risultato finale è quello di aver creato una nuova tipologia di soggetti deboli;
statisticamente il padre che non riesce a vedere i figli si uccide, la madre che non riceve l'assegno no; nelle separazioni il soggetto debole per antonomasia non figura nella lista dei suicidi, sovvertendo ogni studio pubblicato negli annuari di statistica; chi, invece, è convenzionalmente definito soggetto forte viene spinto in un vortice di disagio sociale, senza alcuna via d'uscita, che sempre più spesso porta a togliersi la vita;
ancora troppi continuano ad agire pensando che il ruolo del padre è bene che rimanga circoscritto all'erogazione di fondi: da anni il professor Giovanni Bollea, noto neuropsichiatra infantile, e tanti altri suoi colleghi sostengono teorie diametralmente opposte;
l'uomo è di gran lunga in testa nell'elenco dei suicidi legati al disagio generato dalle separazioni e dai figli contesi, con 102 casi su un totale di 110 (93 per cento), seguito da 4 casi di suicidio di minori e 4 casi di donne che si tolgono la vita;
si riscontrano significative differenze percentuali estrapolando i soli suicidi maturati fra separati dai dati dei suicidi complessivi forniti dagli istituti di ricerca; ne risulta che gli uomini, in ogni caso, si tolgono la vita in percentuale maggiore di quanto non facciano le donne (all'incirca un suicidio femminile ogni tre suicidi maschili), senza però mai sfiorare il picco da monopolio che si riscontra fra i separati;
nelle separazioni sparisce o quasi la percentuale di donne suicide, che per tutti gli altri fattori di rischio (perdita del posto di lavoro, depressione, solitudine, indigenza, patologia allo stadio terminale, scomparsa di un congiunto ed altri) si attesta, invece, intorno al 25 per cento del totale, dal minimo del 23,7 per cento nel 1998 al massimo del 25,2 per cento nel 1999 e nel 2002;
la separazione, inoltre, rappresenta l'unico fattore di rischio che spinge al suicidio esclusivamente il padre, pur essendo l'unico fattore di rischio che coinvolge un target obbligatoriamente composto dall'identico numero di donne e uomini; i fatti di sangue costituiscono solo la punta dell'iceberg di un disagio sociale pericolosamente diffuso;
si sta modificando la tipologia dell'evento, fatto per cui il suicidio arriva con sempre maggiore frequenza al termine di una strage che coinvolge i figli e/o l'ex coniuge o altri componenti del nucleo familiare, con diversi gradi di parentela;
in relazione ai dati esposti, al loro forte incremento negli ultimi 10 anni e alle analogie rappresentate, in particolare, dall'esclusione di un rapporto affettivo continuativo con i propri figli, non è possibile continuare a parlare di raptus, poiché è evidente che dietro ogni tragedia esiste una lunga preparazione che si nutre di profonda e insopportabile sofferenza;
ad intervenire con urgenza al fine di recuperare, nell'ambito del diritto di famiglia, il valore della bigenitorialità, attraverso una più efficace operatività degli uffici diplomatici all'estero in rapporto alla sottrazione internazionale dei minori operata da uno dei due genitori, per lo più non affidatario;
a realizzare adeguate campagne di informazione relative al valore assoluto ed intangibile rappresentato dal «superiore interesse del minore», nello specifico a godere dell'aiuto, del conforto e del sostegno, non solo materiale, ma anche morale, di entrambi i genitori;
ad adottare iniziative, anche normative, volte ad affermare i principi della parità tra i generi;
ad attivarsi affinché, nell'attesa di nuove norme, vengano realizzate attività di aggiornamento degli operatori interessati, in campo giudiziario e sociale, al fine di eliminare il più possibile forme di affido esclusivo.
(1-00400) «Mazzuca Poggiolini, Boato».
(25 ottobre 2004)