Il malessere che attraversa il mondo del calcio professionistico è da tempo sotto gli occhi di tutti e il dibattito sull'individuazione di rimedi adeguati alla gravità della situazione è aperto in tutto il paese. Il recente richiamo del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi viene a sottolineare una volta di più, con particolare autorevolezza, la necessità che ciascuno faccia la propria parte per promuovere la rigenerazione di questo importante settore.
L'indagine conoscitiva sul calcio professionistico della VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) della Camera dei deputati è stata deliberata il 4 marzo 2004, proprio nell'intento di acquisire una visione d'insieme delle dinamiche evolutive del fenomeno calcistico, che consentisse al Parlamento e al Governo di sottrarsi alla logica degli interventi emergenziali e di definire, nel confronto con tutte le componenti sociali ed economiche interessate, linee di indirizzo e orientamenti condivisi per uno sviluppo equilibrato e sostenibile dell'intera organizzazione calcistica.
Tale esigenza ha preso le mosse dalla considerazione che il mondo del calcio sta attraversando ormai da lungo tempo una fase di evoluzione che ha progressivamente modificato l'equilibrio tra la dimensione propriamente sportiva e quella spettacolare del fenomeno, con il conseguente mutamento delle tradizionali modalità di fruizione e percezione dello spettacolo calcistico, anche a scapito, specie nei campionati minori, della partecipazione diretta del pubblico all'evento sportivo.
Si è verificata una profonda alterazione dei tradizionali equilibri organizzativi e finanziari del sistema e dei rapporti tra le sue diverse componenti, che ha determinato contrapposizioni di interessi sempre più evidenti tra le società di vertice, inserite in un circuito sportivo e spettacolare di livello europeo, le società minori degli stessi campionati professionistici, le società dilettantistiche e di base. Il tutto con ricadute non limitate al mondo del calcio, ma estese all'intera organizzazione sportiva del paese, la cui principale fonte di finanziamento, specie per quanto riguarda le discipline minori, è tuttora rappresentata dai proventi dei concorsi pronostici gestiti dal CONI.
In questo ambito, infatti, il gettito dei concorsi connessi con le manifestazioni calcistiche, dai quali deriva la parte assolutamente preponderante delle entrate per concorsi pronostici, ha registrato una progressiva flessione cui non sembrano estranee le nuove modalità di svolgimento frazionato nel tempo dei campionati professionistici, imposte dalle esigenze di diffusione televisiva.
Le emergenze finanziarie e amministrative che negli ultimi anni hanno interessato l'organizzazione calcistica, inducendo il Governo ad adottare provvedimenti d'urgenza per evitare il dissesto delle società professionistiche e consentire l'avvio dei campionati, sono evidentemente
LE RISULTANZE DELL'INDAGINE:
DATI E OPINIONI
1. L'EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO
In materia di sport professionistico, la disciplina generale è contenuta nella legge 23 marzo 1981, n. 91, recante «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti», cui è sotteso il principio fondamentale per il quale l'attività sportiva è libera, sia che venga svolta in forma individuale o collettiva, a livello dilettantistico o professionistico.
La legge definisce «sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica». La prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato; in presenza di determinate situazioni si considera oggetto di contratto di lavoro autonomo.
Il rapporto di lavoro professionistico, con il conseguente tesseramento, si costituisce con la stipulazione di un contratto in forma scritta tra l'atleta e la società destinataria della prestazione sportiva. La durata dei contratti viene stabilita con libera trattativa tra l'atleta e la società e non può essere superiore a cinque anni.
È ammessa la cessione del contratto prima della scadenza da una società sportiva ad un'altra, purché vi consenta l'altra parte e siano osservate le modalità fissate dalle federazioni sportive. Le federazioni sportive devono prevedere un premio di addestramento e formazione tecnica dovuto dalla società con la quale un atleta stipula il primo contratto da professionista alla società con la quale l'atleta ha svolto la sua ultima attività dilettantistica.
La legge contiene anche disposizioni sulla tutela assicurativa, sanitaria e previdenziale degli sportivi professionisti, nonché sul trattamento tributario dei redditi derivanti dalle prestazioni sportive e dagli altri contratti tipici del settore dello sport professionistico.
Nel settore professionistico possono operare solamente le società costituite nelle forme della società per azioni o società a responsabilità limitata. Alcuni interventi degli ultimi anni hanno modificato sostanzialmente la disciplina delle società sportive.
Innanzitutto, con il decreto-legge 20 settembre 1996, n. 485, recante «Disposizioni urgenti per le società sportive professionistiche», convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 1996, n. 586, si è consentito alle società professionistiche il perseguimento dello scopo di lucro e quindi l'identificazione con le altre società commerciali disciplinate dalle leggi comuni e, innanzitutto, dal codice civile; è stata infatti eliminata la disposizione che obbligava le società
Un ulteriore intervento in favore della critica situazione finanziaria delle società calcistiche si è avuto con il decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante «Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27 (cosiddetto «spalmadebiti»). Tale provvedimento, attraverso l'introduzione dell'articolo 18-bis nella legge n. 91 del 1981, ha consentito alle società sportive di capitalizzare le svalutazioni dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori. Le società che si sono avvalse della facoltà introdotta dalla norma procedono, ai fini civilistici e fiscali, all'ammortamento della svalutazione iscritta in dieci rate annuali di pari importo. Come evidenziato dalla Consob, tale provvedimento ha evitato immediati dissesti finanziari, ma non ha affrontato i problemi di tipo strutturale del mercato e, inoltre, con riferimento alle società quotate in borsa, ha comportato un deciso allontanamento dall'obiettivo di armonizzare nell'ambito del mercato europeo gli standard contabili e di migliorare la qualità dell'informazione finanziaria.
Da ultimo, è intervenuto il decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante «Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva», convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280 (relativo al cosiddetto «caso Catania»), che ha definito le relazioni tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria, sancendo il principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato internazionale olimpico (CIO); tale autonomia trova un limite unicamente a fronte di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale.
Si ricorda che l'attività delle società professionistiche è disciplinata dalla FIGC che prevede un sistema sanzionatorio, rappresentato dal Codice di giustizia sportiva. Tale Codice contiene la definizione di illecito sportivo e amministrativo, indica i diritti e i doveri delle società affiliate in materia di tesseramenti e cessioni, sancisce la responsabilità delle società, anche per fatti connessi ai propri dirigenti e tesserati nonché ai propri sostenitori. Esso prevede, inoltre, che tutti coloro che svolgono attività nell'ambito della federazione assumono l'impegno di accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e particolari adottati dalla FIGC e dai suoi organi, inclusi quelli di giustizia sportiva, fatto salvo, ove applicabile, il ricorso alla giustizia ordinaria.
Il decreto ha quindi previsto una riserva di giurisdizione sportiva, avente ad oggetto materie di natura tecnica quali l'osservanza delle norme regolamentari, organizzative e statutarie per garantire il corretto svolgimento delle competizioni e le sanzioni disciplinari sportive. La giurisdizione esclusiva si estende, inoltre, anche alle materie previste dalle clausole compromissorie contenute negli statuti e nei regolamenti del CONI e delle federazioni, nonché nei contratti degli sportivi professionisti, alle quali viene quindi assicurata copertura
2. LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO DEL CALCIO NEGLI ULTIMI ANNI
Oltre alle descritte modifiche normative, il calcio italiano ha dovuto affrontare negli ultimi anni una serie di trasformazioni particolarmente rilevanti:
la citata sentenza «Bosman», che ha applicato il principio della libera circolazione dei lavoratori nell'ambito dell'Unione europea al mondo del calcio, e la decisione della Corte federale del 2001 in materia di giocatori extracomunitari, che ha riconosciuto il principio di non discriminazione in relazione alla razza e alla nazionalità;
l'esplosione del calcio come prodotto televisivo (basti pensare che nella stagione 2002-2003 si è registrato un raddoppio del volume dei ricavi rispetto a quella 1996-1997), riconducibile anche all'apertura del nuovo mercato dei diritti criptati a seguito l'introduzione nel panorama televisivo italiano delle pay-tv. L'ingresso delle televisioni nel calcio ha comportato tre importanti conseguenze:
1) la modifica della tipologia delle entrate del calcio che oggi deriva, in media, per oltre il 50 per cento dai diritti televisivi (per le grandi società si arriva all'80 per cento), solo per il 10-15 per cento dalla vendita di biglietti, e per il resto da sponsorizzazioni, merchandising ecc.;
2) il frazionamento delle competizioni - soprattutto quelle ad alto livello - per esigenze di trasmissione televisiva, che ha contribuito alla diminuzione dell'interesse per i concorsi e le scommesse, provocando la progressiva riduzione di un'importante entrata per il settore;
3) una consistente perdita di pubblico negli stadi, con un grave danno per gli introiti derivanti da biglietti e sponsorizzazioni da stadio;
Alla luce di quanto sinteticamente descritto, il sistema calcio si trova in una fase di recessione che ha investito tutti i principali mercati di riferimento del settore, anche per effetto, da una parte, di una errata valutazione sulla possibilità di una continua espansione dei ricavi da diritti televisivi e, dall'altra, dell'affermarsi di un certo tipo di capitalismo finanziario che ha sostituito il capitalismo industriale.
Il sottosegretario Pescante ha riferito alla Commissione che nel 2003 il settore ha accumulato un debito complessivo di 1.741 milioni di euro, cui si devono aggiungere 510 milioni di euro di debiti verso il fisco.
Eppure le audizioni hanno confermato che il calcio continua a rappresentare uno dei settori di attività più vivaci dell'economia italiana, come testimoniato da alcuni sintetici dati emersi nel corso delle audizioni: il giro d'affari ammonta a circa 4.200 milioni di euro e i contributi versati a 1.200 milioni di euro; gli italiani interessati al calcio sono 44 milioni (8 milioni frequentano abitualmente gli stadi, 20 seguono il calcio sui giornali, 5,7 leggono ogni giorno i tre quotidiani sportivi, 25 seguono il calcio in televisione o alla radio e 2,6 assistono in media alle oltre 340 ore di telecronache calcistiche). D'altronde, le 25 trasmissioni televisive più viste nella storia della televisione italiana, secondo i dati dell'Auditel, sono tutti incontri di calcio.
Le società professionistiche producono un fatturato in continua crescita, con un incremento al 30 giugno 2003, rispetto al medesimo periodo del 1998, pari al 70 per cento, come si evince dalla seguente tabella:
Ricavi delle società professionistiche
1998 | 2000 | 2002 | 2003 | |
Ricavi Serie A | 649,83 | 1.058,90 | 1.126,12 | 1.161,99 |
Ricavi Serie B | 164,08 | 200,90 | 213,39 | 224,21 |
Totale | 813,91 | 1.259,80 | 1.339,51 | 1.386,20 |
Per la prossima stagione, secondo le stime fornite dal CONI, per la sola Serie A si prevede un ulteriore incremento di circa il 12 per cento:
Stime entrate Serie A stagione 2003-2004
Mil/euro | % | |
Biglietti | 312,00 | 24,01% |
Diritti TV
|
642,00 | 49,41% |
Pay-per-view
|
4,30 | 0,33% |
Pubbl/sponsor
|
341,00 | 26,24% |
Totale
|
1.299,30 | 100,00% |
Il calcio contribuisce al bilancio statale attraverso i concorsi pronostici e il relativo indotto. Inoltre, l'IRPEF dei calciatori e dei tesserati, l'IRAP, l'IRPEG e le altre tasse portano alle casse dello Stato - secondo quanto riferito dalla Lega nazionale professionisti - circa un miliardo e 250 milioni di euro all'anno. Secondo alcune stime del CONI, il calcio ha garantito allo Stato italiano, in oltre 50 anni, un gettito di circa 13,5 miliardi euro, a valori attualizzati.
Nello stesso periodo le entrate del CONI e delle federazioni sportive derivanti da concorsi pronostici e scommesse sono quantificabili in circa 12 miliardi di euro, una parte dei quali sono stati utilizzati per la costituzione del patrimonio dell'Istituto per il credito sportivo (mediante versamento da parte del CONI dell'aliquota del 3 per cento calcolata sugli incassi lordi dei concorsi pronostici. Si ricorda che a decorrere dal 2002, a seguito dell'attribuzione all'Amministrazione autonoma dei monopoli delle funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giochi, scommesse e concorsi pronostici, effettuata con il decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, tale contributo viene versato dai Monopoli nella misura del 2,45 per cento della posta dei concorsi pronostici, ai sensi del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 giugno 2003, n. 179).
A fronte di tali cambiamenti, formali e sostanziali, del sistema calcio, non c'è stato un adeguamento organizzativo e strutturale a livello aziendale. Ciò è stato da alcuni attribuito, nel corso delle audizioni, alla mancanza di una classe dirigente sportiva e alla carenza di attività di formazione in tale settore. L'assenza di centri di formazione dei dirigenti è stata considerata una delle ragioni principali della crisi, che ha altresì prodotto difficoltà di ricambio della dirigenza della Lega, della FIGC e del CONI. Tra le maggiori responsabilità attribuite alla classe dirigente rispetto ai cambiamenti sopra descritti, sono stati segnalati:
l'assenza di pianificazione strategica;
il ritardo nell'adeguarsi ai cambiamenti in atto;
la scarsa innovazione organizzativa, di processo, di prodotto;
una inefficiente gestione della rapida espansione dei ricavi televisivi (carenza di investimenti ed eccessivi ingaggi per i calciatori) e l'insufficiente diversificazione delle entrate;
3. PROBLEMATICHE ATTINENTI ALL'EQUILIBRIO ECONOMICO-FINANZIARIO DELLE SOCIETÀ PROFESSIONISTICHE
È opinione generalmente condivisa che il problema fondamentale delle società di calcio professionistico sia rappresentato dall'ingente indebitamento accumulatosi negli ultimi anni, che, come si è detto, nel 2003 avrebbe toccato la cifra di 2.250 milioni di euro (comprendendo i debiti verso il fisco). A ciò si aggiunga che, per il solo anno 2002-2003, come si evince dalle tabelle di seguito riportate, vi sono state perdite d'esercizio pari a 535,61 milioni di euro per le società di serie A e di 103,83 milioni di euro per le società di serie B:
Conto economico riclassificato - Serie A
30/06/98 | 30/06/00 | 30/06/02 | 30/06/03 | |
Ricavi | 649,83 | 1.058,90 | 1.126,12 | 1.161,99 |
Costo del lavoro | -417,17 | -659,74 | -1.013,81 | -884,17 |
Ammortamenti | -186,14 | -360,51 | -640,80 | -419,78 |
Altri costi gestione | -268,69 | -445,17 | -525,80 | -543,05 |
Plusvalenze | 201,33 | 492,91 | 798,05 | 147,43 |
Altri proventi/oneri | -7,26 | -3,25 | 0,68 | 13,07 |
Imposte | -9,54 | -48,35 | -23,55 | -11,10 |
Totale | -37,64 | 34,79 | -279,11 | -535,61 |
Conto economico riclassificato - Serie B
30/06/98 | 30/06/00 | 30/06/02 | 30/06/03 | |
Ricavi | 164,08 | 200,90 | 213,39 | 224,21 |
Costo del lavoro | -110,95 | -173,32 | -222,69 | -225,97 |
Ammortamenti | -42,47 | -62,03 | -111,86 | -101,25 |
Altri costi gestione | -91,97 | -125,93 | -155,27 | -158,21 |
Plusvalenze | 74,25 | 144,87 | 192,17 | 77,42 |
Altri proventi/oneri | -1,81 | 21,93 | 15,45 | 83,51 |
Imposte | -1,93 | -10,99 | -7,99 | -3,54 |
Totale | -10,80 | -4,57 | -76,80 | -103,83 |
È vero che, come è stato fatto notare non senza fondamento, il primo obiettivo del calcio non è il ritorno economico, ma il risultato sportivo, l'intrattenimento. Circostanza che spiegherebbe come mai il 70 per cento delle perdite della Serie A sia prodotto dalle sei maggiori squadre, e gran parte di tale disavanzo da solo alcune di esse: tali squadre, infatti, per sostenere la competizione sia sul piano del campionato che su quello delle competizioni internazionali, hanno strutturalmente un livello di costi particolarmente elevato. Tuttavia, le peculiarità di questo «settore» non possono giustificare una gestione non rispondente alle regole valevoli per tutte le altre imprese, in cui sistematicamente i costi superano i ricavi.
3.1. RETRIBUZIONI DEI CALCIATORI
Scendendo ad analizzare le voci che hanno determinato questo strutturale squilibrio, è emersa da più parti la convinzione che la principale causa di indebitamento sia da individuare nella conduzione di una politica gravemente squilibrata sul piano delle retribuzioni dei calciatori, la cui dinamica è da anni più che proporzionale rispetto alla crescita dei ricavi delle società, con la conseguenza di una perdurante assenza di profittabilità e di un finanziamento dei nuovi investimenti in atleti professionisti mediante incrementi del deficit di capitale circolante. Secondo i dati relativi ai bilanci 2002/2003, forniti dal Presidente della Lega nazionale professionisti, tali costi, complessivamente, incidono per circa l'80 per cento del totale dei costi delle società (76 per cento in Serie A e 96 per cento in Serie B), con un rapporto tra il costo totale del lavoro (stipendi più ammortamenti) e il fatturato pari al 117 per cento.
In proposito, la stessa Lega nazionale professionisti ha peraltro messo in evidenza come, complessivamente, i costi dei calciatori (i cui contratti durano in media tre anni) stiano diminuendo: per quanto riguarda la Serie A, sono passati da circa 900 milioni di euro nel 2002, a 750 milioni di euro nel 2003 ai 670 milioni di euro di oggi. Quindi, da un lato, il monte ingaggi della Serie A è stato abbattuto e, dall'altro, sono venuti meno certi valori di mercato di qualche anno fa riferiti ai singoli giocatori (mentre, al contrario, la Serie B è passata da 180 a 235 milioni di euro). Inoltre, secondo i dati forniti dall'Associazione italiana calciatori, il fenomeno delle retribuzioni «eccessive» riguarda solo una piccola parte dei calciatori: su 3.400 giocatori tesserati (Serie A, B, C1 e C2), circa il 10 per cento guadagna oltre 500 mila euro, il 15,5 per cento guadagna tra 100 e 500 mila euro, il 12-13 per cento tra 50 e 100 mila, mentre il 63 per cento dei giocatori guadagna fino a 50 mila euro.
Sul fronte dei possibili interventi, nel corso delle audizioni è stata prospettata la possibilità di definire una quantità complessiva di
3.2. ALTRI ELEMENTI DI SQUILIBRIO
Tra gli elementi che incidono più significativamente sulla situazione finanziaria delle società, oltre a quanto si dirà in seguito sullo sfruttamento dei diritti televisivi, è stata messa in evidenza l'incertezza dei ricavi per le società calcistiche che, secondo quanto emerso nel corso delle audizioni, può variare fino a 60 milioni di euro, ad esempio, fra società che non disputano la Champions League e società che la vincono, a fronte di un sistema di costi tendenzialmente fissi.
Analoghi problemi di incertezza della gestione economica derivano dal rischio delle retrocessioni, che possono determinare perdite fino al 40 per cento del fatturato (con punte fino al 70 per cento in caso di retrocessione dalla Serie B alla C1) delle società coinvolte, come si evince dalle tabelle elaborate dalla Lega nazionale professionisti di seguito riportate.
L'esigenza di evitare tale rischio, anche economico, produce nello stesso tempo un aumento dei costi, dato che le società sono spinte ad affrontare spese particolarmente elevate per la sostituzione di giocatori o dell'allenatore, pur di evitare di retrocedere. Le retrocessioni determinano inoltre una consistente riduzione degli spettatori, con ulteriori effetti economici negativi.
Tale questione potrebbe tuttavia risultare in parte ridimensionata dalla modifica intervenuta nell'organizzazione del campionato di Serie A che, a partire dalla prossima stagione, sarà disputato con 20 squadre (anziché 18) e con sole 3 retrocessioni in Serie B (rispetto alle precedenti 4). Il sottosegretario Pescante ha inoltre suggerito la possibilità di prevedere un'automatica riduzione delle retribuzioni dei calciatori qualora una squadra debba subire una retrocessione.
È stata poi segnalata la progressiva riduzione degli introiti derivanti dai concorsi pronostici, che sono passati da un importo pari a circa 462 milioni di euro nel 1990 ad 242 milioni nel 2002 (dati elaborati dalla Lega nazionale professionisti su fonti CONI e Ministero delle finanze). Per favorire il rilancio di tale importante fonte di finanziamento per tutto il mondo dello sport, è stato proposto di istituire nuovi giochi per il calcio, gestiti da privati, nonché un sistema di scommesse legato alla TV, sulla falsariga di quanto avviene con Telethon, sfruttando l'interattività dell'evento. In proposito, il Presidente della Lega nazionale dilettanti Tavecchio ha suggerito di avviare un rilancio dei concorsi pronostici attraverso la liberalizzazione del gioco del Totocalcio. In tal senso,
3.3. ELEMENTI DI RAFFRONTO CON GLI ALTRI PAESI
Nel confronto con le società di calcio di altri paesi, sono emersi, in generale: una maggiore incidenza del costo del lavoro sui ricavi rispetto a quella riferibile ai principali club europei; una minore attenzione al vivaio con effetti negativi sulla campagna acquisiti; una maggiore imposizione fiscale; un'inadeguata diversificazione delle attività, che rende la Serie A il campionato europeo con la più alta incidenza dei ricavi televisivi sul fatturato totale, come risulta dai dati forniti dalla Lega nazionale professionisti:
I rappresentanti della Lega nazionale professionisti e di alcune società sportive hanno particolarmente insistito sugli aspetti relativi al regime fiscale, mettendo in evidenza che quello italiano è tra i più onerosi in Europa (43,4 per cento sul fatturato rispetto al 30 per cento in Inghilterra, secondo i dati forniti dal Presidente della Lega nazionale professionisti con riferimento agli anni 2001-2002) ed auspicando interventi per l'armonizzazione della normativa fiscale in ambito europeo. Sul tema, è stato inoltre evidenziato come il meccanismo di calcolo dell'IRAP sia particolarmente svantaggioso per le società sportive, poiché tale imposta si applica anche ai costi del personale che per le società calcistiche costituiscono la quasi totalità della base di calcolo.
Sul fronte delle retribuzioni dei calciatori, è stato in particolare richiamato il buon funzionamento del sistema britannico, i cui club hanno concentrato le proprie risorse su pochi calciatori di successo, cui è stato affidato il compito di trainare la notorietà del marchio, generando un circolo virtuoso di ricavi. Gli ingaggi medi dei calciatori sono più contenuti di quelli riconosciuti dalle società italiane anche per effetto di tale strategia. Inoltre, un fattore chiave per gli esiti positivi delle campagne di trasferimento dei calciatori è costituito dalla capacità di addestramento professionale della squadra giovanile: in tal modo i club britannici formano «in proprio» i nuovi giovani talenti e riducono i costi connessi alla campagna acquisti.
Un ulteriore elemento di differenziazione tra la situazione italiana e quella degli altri paesi è costituito dall'elevato numero delle società professionistiche, che in Italia sono 132, contro le 92 dell'Inghilterra, le 42 della Spagna, le 40 della Francia e le 36 della Germania. Si tratta di un elemento che trae evidentemente origine dalle particolarità del nostro paese, caratterizzato da identità locali forti e da un accentuato spirito campanilistico, ma che secondo diversi soggetti auditi rappresenta un motivo di squilibrio per l'intero sistema. Tale opinione è stata condivisa, tra l'altro, dalla Lega professionisti di Serie C, di cui fanno parte 90 società distribuite su tutto il territorio nazionale, i cui rappresentati hanno riferito alla Commissione di aver avanzato una proposta - peraltro non accolta dalla Federazione - di riduzione dell'organico professionistico con una Serie A con 18 squadre e due gironi di Serie B con 18 squadre ciascuno. La Serie C avrebbe dovuto essere organizzata con tre gironi da 20 squadre (Nord, Centro e Sud).
In proposito, nel corso delle audizioni è stato sostenuto che una riduzione del numero delle squadre potrebbe essere ottenuta semplicemente tramite una rigorosa applicazione delle regole e dei controlli: il libero gioco del mercato determinerebbe di per sé l'«eliminazione» dei soggetti «eccedenti» il livello di equilibrio. Peraltro, al riguardo è stato fatto notare, in particolare dal sottosegretario Pescante, come tale ipotesi non sia realmente praticabile in mancanza di una ridefinizione delle formule dei campionati professionistici, mediante una progressiva riduzione delle squadre ammesse a parteciparvi.
3.4. COMMERCIALIZZAZIONE E UTILIZZO DEI DIRITTI TELEVISIVI E DEI MARCHI
Il mercato dei diritti televisivi si è finora articolato in due mercati distinti: da un lato i diritti televisivi offerti per l'utilizzo in chiaro, la
3.5. SISTEMA DEI CONTROLLI E DELLE SANZIONI
La legge n. 91 del 1981, come modificata dalla legge n. 586 del 1996, prevede che, al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società sportive siano sottoposte, al fine di verificarne l'equilibrio finanziario, ai controlli e ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive, per delega del CONI, secondo modalità e princìpi da questo approvati.
Ai sensi dell'articolo 96 delle NOIF, per l'iscrizione ai campionati nazionali, le società professionistiche sono tenute a mantenere il
4. STATO GIURIDICO DEI CALCIATORI E ATTIVITÀ DEI PROCURATORI
Oltre alla questione delle retribuzioni, di cui sopra si è già ampiamente trattato, la situazione dei calciatori è stata oggetto di specifici approfondimenti specialmente con riferimento al loro «status» giuridico. Come si è già detto, la normativa vigente prevede che essi siano considerati a tutti gli effetti come lavoratori dipendenti. Tale situazione è stata giudicata da alcuni non pienamente conforme a una realtà economica che, almeno ad un determinato livello, prevede ingaggi e rapporti contrattuali evidentemente difformi da quelli che sono propri del rapporto di lavoro subordinato, che rendono la posizione dei calciatori molto più simile a quella delle star dello spettacolo.
Peraltro, i quesiti più volti posti nel corso delle audizioni circa l'opportunità di «trasformarli», anche sul piano legale, in lavoratori autonomi, o di individuare una sorta di tertium genus tra rapporto di lavoro dipendente e autonomo, non hanno trovato corrispondenza presso la maggior parte dei soggetti auditi che, per lo più, hanno sottolineato come altri fattori, diversi da quelli della retribuzione, si inseriscano pienamente nel quadro delle caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato: il calciatore, è stato fatto notare, è inserito strutturalmente nell'azienda, con cui ha un rapporto di tipo marcatamente gerarchico, e ha una retribuzione e orari di lavoro pressoché fissi e comunque rigidamente determinati. Inoltre, è stato rilevato che anche negli altri paesi i calciatori sono, tendenzialmente, considerati lavoratori dipendenti.
5. CREDITO SPORTIVO E PRIVATIZZAZIONE DEGLI STADI
L'Istituto per il credito sportivo (ICS) è stato istituito con l'obiettivo di finanziare l'impiantistica sportiva. La legge finanziaria per il 2004 (articolo 4, comma 14, della legge 24 dicembre 2003, n. 350) ne ha ampliato i compiti, prevedendo che l'Istituto operi anche nel settore del credito per lo sport e le attività culturali. Tale modifica dell'oggetto sociale avrebbe dovuto essere recepita dal nuovo statuto, che tuttavia non è ancora stato approvato. Al momento, pertanto, i compiti dell'Istituto restano limitati alla sola impiantistica sportiva.
Con riguardo alle questioni di interesse dell'indagine, il Presidente dell'ICS Andrea Valentini, anche alla luce delle risultanze di uno studio effettuato dall'Istituto, ha in primo luogo sottolineato che gli stadi italiani sono inadeguati da un punto di vista strutturale (non potrebbero, ad esempio, ospitare una finale di coppa europea) e per quanto attiene al rispetto delle norme di sicurezza. Tale circostanza ha sicuramente contribuito ad allontanare il pubblico dagli stadi. In proposito, da un confronto con gli altri paesi europei è emerso che, ad esempio, dagli anni Novanta in Inghilterra il numero dei biglietti venduti è aumentato del 53 per cento e la capienza degli stadi del 48 per cento, con una capacità di riempimento del 91 per cento rispetto al 48 per cento dell'Italia.
6. LA QUESTIONE DELLA VIOLENZA NEGLI STADI
La disciplina di riferimento in materia di lotta alla violenza negli stadi è dettata dagli articoli da 6 a 8-ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante «Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche», più volte modificata ed integrata, da ultimo con i decreti-legge 20 agosto 2001, n. 336, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 ottobre 2001, n. 377, e 24 febbraio 2003, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2003, n. 88. Nel suo assetto attuale, tale normativa ha in primo luogo lo scopo di impedire l'accesso ai luoghi di svolgimento delle competizioni agonistiche e ai luoghi di sosta e transito limitrofi allo stadio di soggetti pericolosi per l'ordine pubblico. Sono stati introdotti specifici reati che possono essere commessi in occasione di manifestazioni sportive: il lancio di materiale pericoloso, l'invasione di campo, il possesso di artifizi pirotecnici. È consentito l'arresto, oltre che degli autori delle violenze a persone o cose, anche di coloro che lancino materiale pericoloso nei luoghi di svolgimento delle gare sportive ovvero che violino le misure interdittive disposte dal questore. In tali casi, nell'impossibilità di procedere all'arresto immediato per motivi di sicurezza o incolumità pubblica, può essere utilizzato, fino al 30 giugno 2005, lo strumento dell'arresto in flagranza differita entro 36 ore dall'avvenuto illecito.
Con riferimento a tali ultime modifiche legislative, il sottosegretario Pescante ha rilevato come, a suo avviso, sia indispensabile che le misure sanzionatorie siano severe, ma soprattutto immediate. A tale riguardo, egli ha innanzitutto deplorato la diffusa opinione per cui gli stadi sono considerati «luoghi di impunità», mettendo al contrario in evidenza la pericolosità sociale di azioni di violenza che si svolgono in un luogo di ritrovo delle famiglie. Inoltre, ha sottolineato come la lentezza della macchina giudiziaria annulli qualsiasi potere deterrente dei provvedimenti sanzionatori adottati contro i responsabili di tali atti. Ha quindi suggerito che in ogni procura vi sia un magistrato incaricato di intervenire tempestivamente affinché i provvedimenti sanzionatori siano assunti nel giro di pochi giorni. Sotto un profilo più generale, ha espresso il parere che il rimedio migliore contro la violenza negli stadi sia la diffusione della pratica sportiva tra i giovani.
In merito all'andamento del fenomeno in esame, l'Associazione italiana arbitri ha riferito che dai dati raccolti da una apposita
7. CALCIO DILETTANTISTICO E ATTIVITÀ SPORTIVA GIOVANILE
Con riferimento alla questione dello sport giovanile, sono in primo luogo state fatte notare (con particolare forza, da parte del sottosegretario Pescante) le peculiarità della situazione italiana. Mentre negli altri paesi europei la promozione dello sport giovanile si incentra sulla formazione scolastica ed è in vari modi incentivata dal mondo sportivo professionistico - se non, come accade in Francia, dallo Stato stesso - in Italia, invece, il ruolo principale è svolto dalle associazioni e società sportive dilettantistiche, che promuovono il 95 per cento dell'attività sportiva.
Secondo quanto emerso nel corso delle audizioni, in questi ultimi anni la Lega nazionale dilettanti ha ottenuto consensi sia sotto il profilo delle sponsorizzazioni sia da un punto vista di pubblico, con un aumento del 48 per cento degli spettatori.
I rappresentanti della Lega dilettanti hanno messo in evidenza principalmente gli aspetti economici, con riferimento a tre questioni: la citata crisi dei concorsi pronostici e delle scommesse sportive, che ha portato ad una consistente riduzione dei contributi del CONI alle associazioni sportive; l'impossibilità delle squadre appartenenti a tale categoria di usufruire dei proventi derivanti da introiti televisivi; la mancata attuazione delle agevolazioni fiscali previste per le società e le associazioni sportive dilettantistiche dall'articolo 90 della legge finanziaria 2003 (legge 27 dicembre 2002, n. 289) per l'impossibilità di emanare il previsto regolamento attuativo in ragione dei contrasti emersi in sede di Conferenza Stato-Regioni.
A seguito dell'audizione del rappresentante della Lega dilettanti, la Commissione è direttamente intervenuta, promuovendo l'approvazione di una modifica al citato articolo 90, in occasione della conversione del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2004, n. 128. La norma, così riformulata, non prevede più l'emanazione di regolamenti di delegificazione ed individua direttamente i contenuti obbligatori degli statuti. Con lo stesso provvedimento sono stati abrogati i commi da 20 a 22 che prevedevano l'istituzione presso il CONI di un registro delle società e associazioni sportive dilettantistiche, prevista come condizione per accedere ai contributi pubblici di qualsiasi natura. Su tali questioni sono peraltro in corso di elaborazione nuovi interventi legislativi volti ad una sistemazione ulteriore della materia.
Un'altra questione rilevante per lo sviluppo del settore giovanile riguarda la gestione dei cosiddetti «vivai», con un bacino d'utenza di oltre 500 mila giovani aspiranti al calcio professionistico, e il rapporto con i calciatori extracomunitari, con particolare riferimento alla
INDIRIZZI CONCLUSIVI
Le considerazioni che seguono prendono le mosse da tre punti fermi, generalmente condivisi:
1) il riconoscimento del rilevante ruolo sociale ed economico del calcio professionistico in Italia, sia in relazione all'insieme del movimento sportivo italiano, sia come specifico comparto produttivo;
2) la presa d'atto che la crisi che il calcio sta attraversando non può più essere giudicata congiunturale, ma è originata da una situazione di squilibrio strutturale tra le diverse componenti del sistema;
3) la volontà di individuare linee di indirizzo e orientamenti condivisi per riavviare uno sviluppo equilibrato e sostenibile del settore.
La Commissione ha ricavato dall'insieme delle audizioni la convinzione che sia urgente un ripensamento complessivo dell'intera organizzazione calcistica. Esattamente quella «rigenerazione morale, economica e organizzativa» recentemente invocata dal Presidente Ciampi. Un traguardo da raggiungere anche con interventi di carattere legislativo, ma che deve inverarsi soprattutto attraverso un processo riformatore interno al mondo del calcio, che del resto in questi ultimi mesi ha già iniziato a darsi alcune nuove regole.
Uno degli scopi di questa parte conclusiva del documento, quindi, è quello di suggerire, nel pieno rispetto dell'autonomia del mondo dello sport, una serie di raccomandazioni immediatamente realizzabili al livello dell'ordinamento sportivo, senza per ora indicare precisamente nuove leggi o regolamenti statali, nella direzione di una generale riforma del sistema del calcio che, se condivisa, potrà dar luogo a successivi provvedimenti legislativi.
In generale, la Commissione si è mossa lungo una linea che ha inteso mettere da parte gli «estremismi» che di solito accompagnano la discussione sul calcio: da una parte quello di chi nega le criticità strutturali del settore e chiede al Governo solo provvedimenti «tampone»; dall'altra quello di chi ritiene che il calcio sia un ambiente non rigenerabile, da sottoporre solo a processi e non a interventi di riforma. Occorrerebbe che il dibattito pubblico superasse questi opposti estremismi.
I principali fronti di intervento individuati dalla Commissione sono tre:
a) una revisione del sistema di mutualità tra le società professionistiche finalizzata all'individuazione delle specifiche «missioni» dei diversi campionati di categoria;
Non si tratta di un insieme di proposte esaustivo, ma di un contributo all'individuazione di soluzioni strutturali, e non limitate a fronteggiare l'emergenza, per i problemi del mondo del calcio.
2. REVISIONE DEL SISTEMA DI MUTUALITÀ
L'attuale «sistema di mutualità» non è stato in grado di produrre un effettivo riequilibrio tra il ristretto gruppo delle «grandi» e il resto delle società professionistiche italiane. Allo stesso tempo, esso non ha neanche evitato che le società beneficiarie conoscessero gravi episodi di crisi finanziaria.
Il problema non è quello (o non è solo quello) della quantità di risorse che vengono trasferite. Il nodo sembra essere piuttosto quello della loro utilizzazione da parte dei beneficiari, che appare non corrispondere pienamente alle finalità che dovrebbero essere sottese agli interventi in mutualità.
Occorre pertanto una riflessione sulla natura stessa e sulle finalità del sistema mutualistico.
Da questo punto di vista, la proposta più diffusamente sostenuta è quella di un ritorno alla cessione collettiva dei diritti televisivi criptati. La Commissione valuta positivamente questo obiettivo. Ma mette in guardia da due circostanze:
la prima di carattere temporale: per arrivare a tale obiettivo va modificata la normativa vigente, approvando una legge ad hoc, che andrebbe comunque ad incidere su una situazione già impegnata, almeno fino al 2007, con le cessioni dei diritti TV effettuate da alcune società. Occorre inoltre tenere presente la necessità di rispettare i princìpi comunitari in materia di concorrenza;
la seconda di natura strutturale: indipendentemente dal fatto che la vendita dei diritti televisivi criptati sia individuale o collettiva, la Commissione ritiene comunque decisivo modificare la filosofia che presiede all'intero sistema della mutualità. L'attuale sistema calcio appare infatti privo di una sua logica interna. Come in una sorta di scatole cinesi, ciascun campionato si presenta come una riproduzione minore di quello di Serie A, perseguendo più un criterio di imitazione che di formazione. In tale contesto, anche la logica dell'attuale sistema di mutualità risulta arbitraria e finisce per non tutelare efficacemente né i diritti individuali né quelli collettivi.
Occorre pertanto prioritariamente uscire dal sistema a scatole cinesi e definire in modo chiaro la «missione» di ciascuno degli attuali campionati, in modo da accompagnare e promuovere, attraverso un nuovo tipo di mutualità, gli obiettivi che essi devono perseguire.
Le indicazioni della Commissione prendono le mosse dalle seguenti considerazioni:
a) la Serie A deve mantenere e rafforzare il proprio ruolo di massima «vetrina» nazionale dello sport italiano, promuovendo un riequilibrio tra le squadre che assicuri il più alto livello di competitività;
b) le altre serie professionistiche (B, C1 e C2) devono assumere in modo nuovo e significativo un ruolo di formazione dei giovani in grado di «alimentare» stabilmente l'intero sistema.
Sulla base di questa nuova filosofia, la raccomandazione è quella di prevedere un sistema di distribuzione delle risorse strutturato su due livelli:
primo livello: ridistribuzione tra le squadre della Serie A di una serie di voci di entrata volta a promuovere un riequilibrio dei rapporti tra le società che partecipano a tale campionato;
secondo livello: trasferimento di risorse dalla Serie A alle altre serie professionistiche, con il vincolo dell'effettiva utilizzazione di un determinato numero di giovani atleti.
Risorse per il finanziamento del primo livello, da destinare alle società di Serie A
La proposta mira a riallocare alcuni ricavi generali, indirizzandoli alle società della Serie A, che attualmente non ne possono disporre. Si tratta in particolare dei ricavi derivanti da:
sponsorizzazioni del campionato di Serie A e della Coppa Italia;
vendita dei diritti televisivi «in chiaro»;
una quota percentuale dei proventi attualmente derivanti da giochi e scommesse sportivi;
una quota percentuale delle maggiori entrate che si attendono dalla attuazione di progetti di liberalizzazione e modernizzazione dei giochi e delle scommesse, che dovrebbero consentire un significativo recupero delle risorse dirottate sui giochi clandestini (il cui volume di affari è attualmente stimato di importo pari a quello legale), e, magari tramite l'adozione di nuove forme di scommesse «interattive», via Internet o cellulare, un ulteriore ampliamento di questo importante mercato. Ovviamente, qualora l'attuazione di tali interventi richiedesse provvedimenti legislativi, la Commissione dichiara fin d'ora la propria disponibilità a promuovere interventi in tal senso.
Meccanismi di ridistribuzione
L'insieme delle risorse così determinato potrebbe essere ripartito secondo i criteri di seguito elencati:
il 60 per cento potrebbe essere diviso in parti uguali tra tutte le società della Serie A;
il 33 per cento potrebbe essere assegnato in relazione al risultato sportivo (un criterio applicabile potrebbe essere quello di «premiare», in misura uguale, le prime dieci classificate);
il 7 per cento potrebbe essere destinato alle società retrocesse.
L'obiettivo che si raggiungerebbe con questo sistema è chiaro ed è quello posto all'inizio di queste brevi raccomandazioni: si tratta di realizzare un riequilibrio tra le società della Serie A e di promuovere un intervento di solidarietà a favore di quelle che retrocedono.
Risorse per il finanziamento del secondo livello, da destinare alle società degli altri campionati
Si dovrebbe prevedere l'introduzione di un apposito contributo di solidarietà, che ciascuna società dovrebbe calcolare in proporzione al proprio fatturato, con un'«aliquota» che potrebbe essere fissata, indicativamente, intorno al 4-5 per cento. Tale contributo andrebbe devoluto alla FIGC, che lo dovrebbe poi ripartire tra le altre società professionistiche (B, C1 e C2) e, in parte, alle società dilettantistiche.
Meccanismi di ridistribuzione
Le risorse di cui al punto precedente potrebbero essere ripartite dalla FIGC secondo i seguenti criteri:
una quota alle società professionistiche che schierino in campo un numero minimo di atleti italiani under 21 (ad esempio, almeno 4 per la Serie B, 6 per la C1 e 8 per la C2);
un consistente premio a quelle società dilettantistiche che per un certo numero di anni abbiano perseguito efficaci politiche di valorizzazione dei vivai e dei giovani.
Naturalmente il funzionamento di tali meccanismi, inclusi i criteri di valutazione dei requisiti delle squadre e le quote da destinare a ciascuna serie, dovrebbe essere regolato da norme interne.
Gli obiettivi di tale riordino del sistema sono:
a) eliminare un finanziamento generalizzato alla Serie B che prescinde da qualsiasi criterio di merito;
b) distribuire risorse anche alle Serie C1 e C2, affidando a ciascuna categoria un obiettivo di formazione.
La Commissione auspica, inoltre, nel quadro di una complessiva opera di promozione delle categorie diverse dalla Serie A, che alcuni spazi televisivi (ad esempio il sabato pomeriggio) siano riservati esclusivamente alla trasmissione delle partite di Serie B, al fine di aumentare le possibilità di generare ricavi in modo autonomo.
Una simulazione
Da questa nuova impostazione, le società di Serie A, stando ai dati ufficiali ricevuti dalla Commissione nel corso delle audizioni, dovrebbero poter contare su risorse aggiuntive per una cifra compresa tra i 150 ed i 350 milioni di euro, a seconda dell'effettivo andamento dei progetti di liberalizzazione delle scommesse. Ipotizzando, ad esempio, un gettito medio di 250 milioni di euro, le nuove risorse sarebbero così ripartite:
Importo totale (mil/euro) |
Importo per ciascuna
squadra (mil/euro) | |
Totale entrate | 250 | |
60% da ripartire tra tutte le squadre (20) | 150 | 7,50 |
33% da ripartire tra le prime 10 squadre | 82,5 | 8,25 |
7 % da ripartire tra le squadre retrocesse (3) | 17,5 | 5,83 |
Per quanto riguarda le società di Serie B, C1 e C2, il contributo di solidarietà comporterebbe, ipotizzando che ciascuna squadra di serie A versi una percentuale tra il 4 e il 5 per cento del proprio fatturato (stimando i nuovi ricavi complessivi della Serie A in circa 1.300 milioni di euro), un introito tra i 52 ed i 65 milioni di euro. Qualora si intendesse modificare tale importo, basterebbe intervenire sulla percentuale del contributo.
Si tenga inoltre presente che l'utilizzo di giocatori under 21 avrebbe come primo effetto una consistente riduzione degli ingaggi. In tale contesto di ridimensionamento dei costi si inserisce pertanto l'ipotesi elaborata dalla Commissione.
Ovviamente, come anticipato, quella qui proposta è soltanto una simulazione. Ciò che interessa alla Commissione è sottolineare l'urgenza di introdurre una nuova logica mutualistica, che metta in moto un circolo virtuoso di riequilibrio del sistema, in grado di aumentarne la competitività e, quindi, la spettacolarità complessiva, nonché di favorire la formazione e la promozione dei vivai, come peraltro avviene in tutti gli altri paesi europei.
L'ispirazione generale cui deve fare riferimento il sistema del calcio, infatti, non può che essere quella di mettere in relazione il vasto patrimonio delle società dilettantistiche con lo sport professionistico. Non bisogna, in altri termini, dimenticare che se l'industria
3. INTERVENTI PER IL RIEQUILIBRIO FINANZIARIO DELLE SINGOLE SOCIETÀ
L'esperienza di questi ultimi anni rende evidente che è altrettanto urgente e necessaria una strategia per il risanamento economico-finanziario delle singole società.
Una nuova classe dirigente
Da questo punto di vista, un primo obiettivo è sicuramente quello di promuovere la formazione e lo sviluppo di una articolata classe dirigente specializzata. Su questo piano, la Commissione fa sicuramente propri gli utili suggerimenti emersi nel corso delle audizioni, ed esprime l'auspicio che si rafforzino ed estendano gli strumenti dedicati alla formazione di un moderno e preparato management sportivo, sia a livello federale sia nell'ambito del sistema universitario, che appare ancora povero di corsi specificamente finalizzati al settore. Se è vero che il calcio rappresenta una delle industrie più rilevanti del paese, in tale settore sembra esservi la maggiore sproporzione tra rilevanza economica e investimento in termini di formazione delle risorse.
La riduzione dell'IRAP
Come evidenziato nel corso delle audizioni, le società italiane sono più penalizzate di gran parte di quelle del resto d'Europa sul piano del carico fiscale complessivo: pertanto, appare ragionevole la richiesta di muovere in direzione di una riduzione della pressione fiscale, in particolare con la soppressione o la riduzione dell'IRAP, che incide su tutto il mondo produttivo, ma in maniera particolarmente significativa sulle società di calcio, considerato il peso del tutto prevalente che per esse ha la voce relativa al costo del lavoro. Peraltro, la Commissione ritiene evidente che un intervento in questo senso, oltre ad esulare, dal punto di vista formale, dalle sue competenze, può essere perseguito solo all'interno di un più ampio intervento che coinvolga tutti i comparti produttivi.
Il sistema dei controlli e delle sanzioni
In questo campo la sfida decisiva è quella di restituire efficacia e credibilità al sistema dei controlli e delle sanzioni. Su questo piano, il CONI e la Federazione si stanno già muovendo con una serie di iniziative che la Commissione ritiene condivisibili, nel cui ambito si inserisce coerentemente anche il cosiddetto «lodo Petrucci», che -riducendo l'impatto «sociale» dell'eventuale scomparsa di una squadra - appare idoneo a favorire una più serena applicazione delle norme.
In particolare, appare da raccomandare con forza l'introduzione di sanzioni che consistano in penalizzazioni di punti in classifica, che
Un'Autorità indipendente
Sul piano dei controlli, tuttavia, l'esigenza di restituire credibilità ed efficacia a tutto il sistema, a fronte delle complesse e controverse vicende di questi anni, sembra richiedere un ulteriore significativo intervento.
A parere della Commissione, è necessario che nelle procedure di controllo vi sia un passaggio in una sede «esterna» agli ordinari circuiti decisionali e dotata delle più ampie garanzie di indipendenza ed autorevolezza. Questo passaggio esterno può essere realizzato affidando a una «autorità» indipendente il compito, oggi attribuito a Covisoc e Coavisoc, di «segnalare» alla Federazione le situazioni irregolari e i provvedimenti da adottare (che nel nuovo sistema dovrebbero poter comportare significative penalizzazioni in classifica, oltre che l'eventuale esclusione dal campionato). L'autorità agirebbe comunque sulla base del lavoro istruttorio della Covisoc.
È evidente che, per risultare pienamente efficace, questa «esternalizzazione» dei compiti di segnalazione delle irregolarità deve essere affidata a un organismo sulla cui autonomia e autorevolezza non possano sussistere dubbi. Solo in tal modo i suoi giudizi potranno, da una parte, avere la necessaria «legittimazione» agli occhi dell'opinione pubblica e degli interessati e, dall'altra, acquisire un carattere sostanzialmente, se non formalmente, vincolante.
L'ipotesi che la Commissione ritiene più idonea è quella di prevedere un'autorità composta da tre membri, designati dai Presidenti della Consob e del CONI e dal Ministro per i beni e le attività culturali, tra personalità esterne ai loro organismi in possesso di requisiti professionali e personali universalmente riconosciuti e nominate per un periodo di tempo sufficientemente ampio e non rinnovabile. Tale intervento potrebbe essere realizzato con una
Le retribuzioni dei calciatori
Per quanto riguarda le questioni connesse all'equilibrio finanziario delle singole squadre, appare senz'altro necessario ridurre l'incidenza dei costi per le retribuzioni dei calciatori. Su questo tema, oltre ad auspicare una piena assunzione di responsabilità da parte della dirigenza delle società, la Commissione segnala e raccomanda, tra le diverse proposte emerse nel corso delle audizioni, quelle concernenti, in particolare:
l'introduzione di un «tetto salariale» per gli ingaggi complessivi dei giocatori in rapporto al fatturato di ciascuna società (ad esempio, pari al 60 per cento);
l'introduzione nei contratti di clausole che prevedano l'automatica riduzione dell'ingaggio in caso di retrocessione della squadra;
la fissazione di un limite massimo per le «rose» delle squadre (limite che non si dovrebbe applicare, peraltro, ai giocatori provenienti dai vivai della stessa società, in modo da promuovere, anche in questo modo, l'adozione di politiche virtuose sul piano dell'attività giovanile).
La diversificazione dei ricavi
A conclusione di tale paragrafo, si ritiene utile sottolineare la necessità che le società sportive si impegnino nella direzione di una diversificazione dei ricavi, che in Italia sono prevalentemente costituiti dagli introiti da diritti televisivi. A giudizio della Commissione, occorrerebbe sviluppare quella parte di mercato che deriva dai consumatori finali del prodotto calcio; ciò consentirebbe anche di ridurre il rischio economico, diminuendo la dipendenza del sistema da un'unica fonte di ricavo.
In tal senso, come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, la Commissione auspica una valorizzazione economica degli stadi che possa consentire lo sviluppo di attività commerciali atte a garantire una nuova fonte di ricavo per le società.
Oltre a ciò la Commissione ritiene opportuna l'adozione di misure volte a garantire la protezione dei marchi e del merchandising, in cui l'Italia appare molto più debole rispetto agli altri paesi europei.
Il terzo livello di intervento su cui la Commissione suggerisce di puntare per uno organico riequilibrio del sistema calcio è quello dell'adeguamento strutturale e della revisione delle modalità di gestione degli stadi.
Come si è visto nella prima parte del documento, risulta pressoché unanimemente condivisa la convinzione che:
1) gli stadi italiani siano assai lontani dagli standard e dalle best practices europei e internazionali, sia con riferimento alle esigenze
La Commissione ritiene che sussista un evidente interesse sociale a promuovere un mutamento delle modalità di fruizione da parte della comunità degli stadi e degli eventi sportivi che in essi si svolgono. Auspica perciò con forza il superamento della distinzione tra soggetto proprietario e soggetto fruitore degli stadi, assicurando alle società di calcio - sia professionistiche che dilettantistiche - la loro gestione diretta.
Si tratta di un processo complesso, che richiede interventi distribuiti su una pluralità di livelli. Tanto più che l'obiettivo di fondo può essere conseguito per strade anche sensibilmente diverse: cessione della proprietà o, più realisticamente, del diritto di superficie; costruzione di nuovi impianti da parte delle società; costituzione di apposite società miste tra società di calcio ed enti locali.
In queste condizioni, il primo passo non può che essere quello di aprire un immediato tavolo di confronto tra tutti i soggetti interessati - CONI, Federazione, società di calcio, Istituto per il credito sportivo, enti locali, regioni e Stato - per la definizione di un «piano» che, nello spazio di qualche anno, sia in grado di trasferire il «possesso» effettivo e le responsabilità di gestione degli stadi dagli attuali proprietari alle società di calcio. Questo piano dovrebbe definire gli interventi necessari sui diversi livelli coinvolti, comprese probabilmente una serie di modifiche legislative e regolamentari, sia statali, sia regionali e locali:
a) per la semplificazione delle procedure amministrative in materia urbanistica e commerciale;
b) per la definizione di agevolazioni finanziarie per l'acquisto degli stadi o di aree in cui costruirne di nuovi e per la realizzazione degli interventi di ristrutturazione e trasformazione.
La Commissione invita quindi il Governo a farsi tempestivamente promotore di tale iniziativa.
È comunque chiaro che la realizzabilità di un simile piano dipende in larga misura dalla disponibilità di adeguate risorse finanziarie. Considerata la situazione in cui versano le società di calcio, sembra evidente che un ruolo chiave debba essere svolto, su questo piano, dall'istituzione bancaria statutariamente chiamata a sostenere lo sviluppo del mondo dello sport, vale a dire l'Istituto per il credito sportivo.
Da questo punto di vista, la Commissione ritiene che l'Istituto debba conoscere una nuova stagione di protagonismo, con l'adozione di più attive e dinamiche politiche di partnership con le società
5. LA PREVENZIONE DI FENOMENI DI VIOLENZA NEGLI STADI
Gli interventi proposti nel corso delle audizioni e condivisi dalla Commissione - l'adeguamento degli stadi alle norme tecniche e agli standard di accoglienza europei; l'attribuzione alle società della responsabilità connesse alla sicurezza al loro interno; la loro trasformazione in senso polifunzionale, con lo sviluppo di attività economiche e culturali complementari a quelle sportive; l'acquisizione, da parte delle società, di un significativo asset patrimoniale - appaiono idonei a determinare nel complesso significativi benefici, non solo in termini economici, ma anche sul piano della prevenzione dei fenomeni di violenza.
La Commissione ritiene infatti che tali iniziative possano costituire la base per un radicale e duraturo mutamento delle modalità di fruizione sociale dello spazio urbanistico «stadio» e, conseguentemente, degli stessi eventi sportivi: ci si attende cioè che, all'esito di questi processi, gli stadi smettano di essere «zone franche», abbandonate a se stesse per la maggior parte del tempo e sostanzialmente sottratte alle ordinarie regole del vivere civile quando c'è «la partita», e possano divenire luoghi di aggregazione sociale nell'arco di tutta la settimana; e che gli stessi eventi sportivi tornino ad essere un'occasione di festa cui possano partecipare, oltre che i tifosi «militanti», anche i semplici appassionati, in condizioni di tranquillità e sicurezza, magari portando con sé i figli. Contribuendo a ricondurre il fenomeno calcistico entro la dimensione sociale e culturale che gli è propria: quella di un grande momento di spettacolo, passione e divertimento. E a riassorbire quella esasperazione dei toni e quella esacerbazione degli animi che, oltre a produrre purtroppo gli episodi anche criminosi di cui tutti leggiamo sui giornali, è probabilmente alla radice di gran parte dei problemi che travagliano il mondo del calcio e che hanno spinto la Commissione a promuovere questa indagine conoscitiva.
Naturalmente, la questione violenza non è solo correlata alla questione degli stadi e la Commissione, pur non avendone fatto oggetto specifico dell'indagine, ritiene suo dovere ribadire che, sul piano della sicurezza, occorre senz'altro individuare il modo per accelerare le procedure giudiziarie contro chi commette reati in occasione delle partite, considerato che l'immediatezza della pena sembra essere l'unico strumento veramente efficace per evitare la reiterazione dei comportamenti criminosi da parte dei «soliti noti».
Vanno poi valutate con attenzione le denunce emerse nel corso delle audizioni con riferimento al ruolo svolto da alcuni mezzi di informazione, che danno luogo in taluni casi a veri e propri reati di istigazione alla violenza. La Commissione ritiene che, al contrario, i media debbano farsi carico, più di quanto non accada, della propria indispensabile funzione di supporto nella promozione della cultura dello sport e della corretta competizione sportiva.
6. IL RILANCIO DELLA QUESTIONE ETICA
La Commissione, infine, non può sottrarsi dal rilevare come dalle audizioni sia emersa una unanime esigenza di recupero dei valori