Doc. IV-ter, n. 7-A




Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia d'insindacabilità trasmessa dalla 1a sezione civile del tribunale di Roma ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003, concernente un procedimento pendente nei confronti di Tullio GRIMALDI, deputato nella XIII legislatura e pervenuta alla Camera il 9 luglio 2004.
Il procedimento è iniziato a carico del Grimaldi in seguito ad un atto di citazione del dottor Filippo Verde per risarcimento del danno per le affermazioni riportate in un'intervista apparsa sul Messaggero del 13 settembre 1997. In tale intervista l'ex deputato Tullio Grimaldi esprimeva il suo parere sulla posizione dei magistrati Filippo Verde e Renato Squillante nel quadro delle indagini sull'affare «IMI-SIR». In particolare, per come i fatti vengono riportati nell'atto di citazione, il quotidiano romano nella predetta data, in un articolo dal titolo «In Italia si finisce in galera per molto meno» pubblicava le seguenti affermazioni dell'onorevole Grimaldi: «E già prima di allora (1994) Filippo Verde e Renato Squillante erano molto chiacchierati, anche se allora si parlava solo di raccomandarsi per aggiustare le cause. Al ministero, quando si parlava di loro, c'era chi si faceva il segno della croce». [...] «Faccio una riflessione personale, da estraneo ai fatti ma con una lunga esperienza di magistrato. Io ho letto attentamente la relazione che il Pool di Milano ha inviato alla Camera nella quale sono riassunti i fatti. E i fatti sono di una verità sconvolgente. Non ci sono proprio dubbi sulla sussistenza di indizi, dei gravi indizi che servono per emettere un provvedimento cautelare. Non parlo di accertamento di responsabilità che è una cosa diversa. Ma nelle nostre carceri finisce chi ha una bustina di hashish o chi ha scippato un motorino. Qui, invece, ci sono di mezzo tangenti e qualche cosa che è costato all'Imi, e dunque al denaro pubblico, mille miliardi. Mille miliardi sottratti con una vera e propria associazione per delinquere. Me le sono lette e rilette le 43 pagine della relazione. A un certo punto si parla della inaudita gravità dei fatti e si sottolinea che non esiste in tutta la storia italiana, e forse neppure in quella di altri stati, un così grave episodio di corruzione di atti giudiziari. La sentenza favorevole alla SIR viene emessa da un collegio presieduto da uno dei magistrati sotto accusa, va in appello e viene confermata con un escamotage: perché chi doveva presiedere quel collegio a un certo punto viene chiamato al ministero con un pretesto, è documentato, da quel Filippo Verde che è imputato e che era capo di gabinetto del ministro. Poi l'Imi ricorre in cassazione ma il mandato ai difensori sparisce e poi stranamente ricompare con i timbri tagliati. Il presidente della sezione che deve occuparsene, e pare orientato ad accogliere comunque il ricorso, invia un appunto scritto agli altri membri del collegio con i punti essenziali del ricorso. Ma questo atto riservato e informale viene fotocopiato e reso pubblico. Il magistrato è così costretto a chiedere di astenersi dal giudizio e il presidente Brancaccio, che avrebbe potuto respingere la richiesta, invece, la accoglie e nomina di suo pugno un altro magistrato. Il ricorso dell'Imi viene respinto e l'ente pubblico paga ai Rovelli mille miliardi. Subito dopo, ecco versate le tangenti, tutte documentate con i riscontri sui conti correnti di Squillante e di Pacifico e che passano attraverso Previti. Un castello di accuse? Ma l'insieme degli indizi è di una tale gravità».
Gli atti del procedimento sono pervenuti alla Camera ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003 giacché il difensore dell'onorevole Grimaldi ha eccepito l'insindacabilità ex articolo 68, primo comma, della Costituzione, ma il magistrato non ha ritenuto per ora di accoglierla. La Giunta ha quindi esaminato il caso nella seduta del 28 luglio 2004, invitando a intervenire Tullio Grimaldi, il quale tuttavia non si è avvalso di tale facoltà.
Sul piano generale, va osservato che la predetta vicenda giudiziaria ha costituito indiscutibilmente motivo di vivacissima e persistente polemica sia politica che parlamentare in Italia da circa dieci anni. Non si contano le pubblicazioni, gli articoli di giornale e le interviste nei quali i più vari personaggi pubblici in Italia hanno espresso la loro versione dei fatti e la loro opinione.
Quanto al profilo più strettamente parlamentare, è largamente noto che in data 3 settembre 1997 il ministro della giustizia pro tempore trasmetteva alla Camera dei deputati la domanda di autorizzazione a eseguire, se concesso, un ordine di misura cautelare in carcere nei confronti del deputato Cesare Previti per i fatti relativi al procedimento menzionato. È altrettanto noto che negli atti della pubblica accusa una posizione significativa era rivestita sia da Renato Squillante che da Filippo Verde.
Il processo, celebratosi presso il tribunale di Milano nel contesto di un duro scontro dibattimentale, si è concluso, per quel che concerne il primo grado, il 29 aprile 2003 con la condanna di Renato Squillante (8 anni e 6 mesi di reclusione) e l'assoluzione (sia pure in ragione di prove insufficienti e contraddittorie) di Filippo Verde.
L'attività istituzionale della Camera dei deputati non è stata affatto estranea allo svolgimento di tale processo. La Camera ha infatti per un verso respinto la richiesta di autorizzazione all'arresto cautelare di Cesare Previti e per l'altro ha elevato conflitto d'attribuzione nei confronti del GIP di Milano per avere questi disconosciuto la legittimità dell'impedimento dell'onorevole Previti a partecipare alle udienze che lo riguardavano in ragione dei suoi impegni parlamentari (il conflitto è stato poi deciso con la sentenza n. 225 del 2001). Tanto è doveroso ricordare per chiarire la dimensione squisitamente parlamentare della vicenda oggetto della presente richiesta d'insindacabilità.
Venendo più specificamente alla posizione del dottor Verde e alle relative dichiarazioni di Tullio Grimaldi, si osservi che Verde era imputato, per come risulta dall'atto parlamentare Doc. IV, n. 8 - XIII legislatura (3 settembre 1997), di concorso in corruzione propria continuata e aggravata per avere, nella sua qualità di presidente del tribunale di Roma, deciso ingiustamente la causa IMI-SIR in favore della famiglia Rovelli, nonché successivamente, nella sua qualità di capo di gabinetto del ministro di grazia e giustizia, di aver sostanzialmente impedito al magistrato dottor Minniti di partecipare a un'udienza nella quale si doveva disporre una nuova perizia sulla quantificazione del danno da risarcire alla medesima famiglia Rovelli.
È da questi elementi - contenuti, si ripete, in un atto parlamentare - che occorre prendere le mosse per cercare il nesso funzionale tra le dichiarazioni oggi contestate a Tullio Grimaldi e l'esercizio del suo mandato parlamentare.
L'onorevole Grimaldi sostiene, giova ripetere, «Ho letto attentamente la relazione che il Pool di Milano ha inviato alla Camera, nella quale sono riassunti i fatti e i fatti sono di una verità sconvolgente. Non ci sono proprio dubbi sulla sussistenza di indizi, dei gravi indizi che servono per emettere un provvedimento cautelare. Non parlo di accertamento di responsabilità, che è una cosa diversa, ma nelle nostre carceri finisce chi ha una bustina di hascisc o chi ha scippato un motorino. Qui invece ci sono di mezzo tangenti e qualcosa che è costato all'IMI, e quindi al danaro pubblico, mille miliardi». In buona sostanza, Tullio Grimaldi ha voluto esprimere un'opinione sull'intera vicenda IMI-SIR e non tanto sui soli Renato Squillante e Filippo Verde, che pure in quel momento ragionevolmente vi apparivano coinvolti. Del resto, che l'ipotesi accusatoria presentata alla Camera per ottenerne l'autorizzazione all'arresto di Cesare Previti sia risultata per ora fondata è cosa nota, viste le pesanti condanne inflitte in primo grado a Previti (11 anni) e a Squillante (8 anni e mezzo).
Tullio Grimaldi al momento in cui rese le dichiarazioni riportate dal Messaggero faceva parte del gruppo parlamentare Rifondazione comunista-progressisti, il quale assunse - sul caso Previti - l'atteggiamento di far parlare nelle formali sedi parlamentari solo esponenti istituzionali: il rappresentante del gruppo presso la Giunta per le autorizzazioni, Giovanni Meloni, e il capogruppo, Oliviero Diliberto.
In una prima occasione (settembre 1997), nella quale la Camera giudicò non procedibile la richiesta di autorizzazione all'arresto di Cesare Previti perché su di essa il GIP non si era ancora pronunciato, il gruppo di Rifondazione comunista espresse voto contrario e lo fece per bocca dell'onorevole Meloni, il quale parlò a nome di tutto il gruppo e, dunque, anche a nome di Tullio Grimaldi: «Riteniamo - si noti la prima persona plurale, n.d.r. - che quella che ci apprestiamo a prendere oggi non sia affatto una decisione circoscritta entro aspetti puramente formali. [...] Non possiamo dimenticare - dicevo - che trattiamo di uno scandalo il quale, indipendentemente dalle responsabilità personali dell'onorevole Previti, è di proporzioni colossali. Uno scandalo, la vicenda della SIR, che costituisce una vergogna, una pagina terribile per la politica del Mezzogiorno [...]».
Nel prosieguo della vicenda parlamentare (gennaio 1998), dopo che il GIP Rossato aveva emanato la misura cautelare a carico di Previti e che quindi la procura di Milano aveva richiesto alla Camera di poterla eseguire, il gruppo di Rifondazione comunista si determinò nel senso di un voto favorevole all'arresto. Ciò emerge senza ombra di dubbio dalla relazione di minoranza presentata congiuntamente dai deputati Bonito e Meloni (Doc. IV, n. 11/A-bis) contraria alla proposta di maggioranza nel senso del diniego. In tale relazione viene riportato che, dopo aver emanato una pronunzia parziale in favore della SIR, Filippo Verde passò le vacanze di fine anno 1986 in un albergo svizzero a spese dell'avvocato Pacifico (pagg. 2 e 3 della relazione). Durante il dibattito in Assemblea, protrattosi nei giorni 19 e 20 gennaio 1998 e conclusosi con la reiezione della richiesta della procura di Milano, per il gruppo di Rifondazione comunista intervennero soltanto Meloni e Diliberto, il primo per svolgere la sua relazione di minoranza e il secondo, il 20 gennaio, per dichiarazione di voto. Disse in particolare l'onorevole Diliberto: «Il mio intervento, pertanto, che fa seguito a quello del relatore di minoranza Meloni, è teso solo a denunciare anche a nome degli altri (enfasi nostra) colleghi del gruppo le motivazioni di ordine costituzionale che ci hanno portato a questa comune valutazione [di votare per la concessione dell'autorizzazione all'arresto]». Tullio Grimaldi, conformemente a tale indicazione, nella votazione nominale n. 1 del 20 gennaio 1998, fu tra i 248 deputati che votarono per l'arresto di Previti (che invece fu denegato, riportando la proposta di maggioranza della Giunta 341 voti, con 21 astensioni).
Ma c'è di più. Già in data 15 settembre 1997, letti gli atti trasmessi dalla procura di Milano, l'onorevole Grimaldi si determinò a presentare al Presidente del consiglio dei ministri un'interrogazione a risposta orale (la n. 3-01469 - XIII legislatura) con cui domandava se la Presidenza del consiglio intendesse costituirsi parte civile nel processo IMI-SIR. Ciò sulla base della considerazione che egli riteneva l'ipotesi accusatoria ben fondata a carico degli imputati che nel testo dell'atto di sindacato ispettivo venivano tutti nominati, compreso il Verde.
Tutto quanto si è premesso ha indotto nell'unanime opinione della Giunta per le autorizzazioni la convinzione della sussistenza di un nesso funzionale tra le opinioni espresse dal deputato Grimaldi il 13 settembre 1997 e l'esercizio delle sue funzioni.
È chiaro che la verità intrinseca del contenuto delle sue affermazioni è estranea al presente giudizio. Tanto più che al momento in cui sono state rese, si parlava solo di indizi necessari per le misure cautelari, che Grimaldi stesso avverte il cronista sono diversi dall'accertamento della responsabilità penale. Peraltro, da un lato Squillante riporterà una pesante condanna e Verde sarà assolto ai sensi dell'articolo 530, comma 2, c.p.p.
È invece decisivo che le parole di Grimaldi furono da un lato la divulgazione di un'attività parlamentare tipica e dall'altro un'anticipazione del contenuto dei suoi voti in Assemblea.
Per un verso, infatti, nell'intervista stessa egli sostiene di aver letto approfonditamente gli atti trasmessi alla Camera dalla procura di Milano. In pratica, egli dichiara di aver svolto da deputato l'esame di uno stampato parlamentare e - illustratone al cronista il contenuto - di averne tratto delle conclusioni, condivisibili o meno non spetta né alla Giunta né all'autorità giudiziaria stabilire. Tali insindacabili conclusioni lo indussero a presentare un'interrogazione parlamentare.
Per l'altro, Tullio Grimaldi anticipa in buona sostanza le conclusioni che tutto il suo gruppo parlamentare di Rifondazione comunista trarrà sulla vicenda IMI-SIR, conformemente alle quali egli poi esprimerà il suo voto alla Camera.
In conclusione, le affermazioni di Tullio Grimaldi erano prodromiche e conseguenziali ad atti tipici del suo mandato parlamentare e sono a esso connesse, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, che come è noto è stato ritenuto conforme agli articoli 3 e 68, primo comma, della Costituzione dalla Corte costituzionale (sentenza n. 120 del 2004).
Per tali motivi, all'unanimità, la Giunta ha deliberato nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento rientrano in opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.

Vincenzo SINISCALCHI, relatore


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