Doc. IV-ter, n. 6-A




Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia d'insindacabilità trasmessa dal giudice del tribunale di Caltanissetta ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003, concernente un procedimento penale pendente nei confronti del deputato Vittorio SGARBI (il procedimento n. 1613/99 RGNR - n. 1004/01 RGTN).
Il procedimento è iniziato a carico del deputato Sgarbi in seguito ad una denuncia-querela del dottor Guido Lo Forte, procuratore della Repubblica aggiunto di Palermo, il quale ha lamentato di essere stato offeso - come indica il capo d'imputazione - nel corso della trasmissione televisiva «Sgarbi quotidiani» trasmessa da «Canale 5», 25 novembre 1998. Il capo d'imputazione così recita, tra l'altro: «In particolare [l'on. Sgarbi] attribuiva [al Lo Forte] affermazioni e valutazioni mai espresse su Leonardo Sciascia rivolgendogli, perciò, frasi ingiuriose anche in relazione all'esercizio delle sue funzioni di magistrato della procura della Repubblica di Palermo; affermava inoltre che il dott. Lo Forte era indagato per mafia, era stato accusato dal collaboratore di giustizia Siino, era destinatario di una richiesta di rinvio a giudizio pendente presso il tribunale di Caltanissetta. Con le aggravanti di aver attribuito un fatto determinato nel corso di una trasmissione televisiva»
La Giunta ha esaminato il caso nelle sedute del 30 giugno e 21 luglio 2004.
Al riguardo, è stata opinione della maggioranza dei componenti intervenuti sulla questione che il tema delle indagini sulla mafia, dei c.d. pentiti - come strumento di ausilio a tali indagini - e quello della pretesa censurabilità e non completa imparzialità dei magistrati che le conducono siano di larga risonanza politico-parlamentare e grande eco nell'opinione pubblica. È noto, per esempio, che il tema dei collaboratori di giustizia e quello della chiamata in correità è stato talmente dibattuto da aver condotto addirittura alla modifica dell'articolo 513 del codice di procedura penale prima e dell'articolo 111 della Costituzione poi.
La posizione maggioritaria presso la Giunta non è basata solo sulla generica pertinenza delle dichiarazioni contestate all'on. Sgarbi ai temi trattati in Parlamento, ma anche su specifici momenti di vita parlamentare di cui egli è stato protagonista.
Più in particolare, nel corso della XIII legislatura, presentò l'interrogazione a risposta orale n. 3-01624, nella quale ha chiesto al Presidente del Consiglio e al ministro della giustizia, tra l'altro: «[se non ritenessero] di avviare una immediata ispezione per verificare l'operato delle procure della Repubblica presso i tribunali di Palermo e Caltanissetta, anche per il gravissimo pericolo di eversione dell'ordine democratico che, secondo l'interrogante, è documentato dai comportamenti di quanti, gravemente responsabili, come detto, di gravi fatti omissivi che sono costati la vita di cittadini italiani incolpevoli, profittando di poteri enormi, in parte ricevuti e in parte, secondo l'interrogante, usurpati per una »lotta alla mafia« rivelatasi quantomeno fallimentare, per come si ricava dalle dichiarazioni del dottor Lo Forte e del suo capo, Gian Carlo Caselli, tentano di scaricare su altre "istituzioni" le loro responsabilità, con ciò preannunciando ulteriori attacchi al prestigio, alla dignità e ai poteri del Parlamento e dei parlamentari».
Nella seduta dell'Assemblea del 9 luglio 1998, il deputato Sgarbi intervenne in dichiarazione di voto sulla mozione 1/00202 a prima firma dell'on. Maiolo, sostenendo - a proposito della credibilità dei collaboratori di giustizia nel processo Andreotti - «Non è chi non veda oggi, a distanza di più di quattro anni dall'inizio di quell'inchiesta, che ciò che si è detto e le prove portate per inchiodare quell'antico democristiano alle sue responsabilità mafiose è in realtà un'impresa fallita, con grave nocumento della dignità della procura di Palermo e del suo capo, che, con tutta la buona volontà e le buone intenzioni, in realtà ha fino ad oggi fallito la sua storica impresa di criminalizzare la democrazia cristiana, nel suo più alto rappresentante, riscrivendo - nonostante che egli dica che si tratta di un processo legato al solo senatore Andreotti - la storia d'Italia». In pratica, già prima della trasmissione televisiva in cui sono state rese le dichiarazioni oggetto dell'inchiesta qui all'esame, l'on. Sgarbi aveva espresso in una sede parlamentare tipica la sua posizione sul Pool di Palermo. Del resto, anche successivamente, l'on. Sgarbi intervenne nella discussione del doc. IV, n. 17 - XIII legislatura (richiesta, poi respinta, di autorizzazione all'arresto dell'on. Dell'Utri). Nella seduta del 13 aprile 1999, egli sul punto dichiarò, tra l'altro: «È un doppio paradosso: abbiamo una richiesta di quindici anni per mafia, per concorso esterno e poi per associazione interna di stampo mafioso, avanzata da un pubblico ministero che è a sua volta sotto inchiesta per associazione mafiosa! Il buon gusto, il passo indietro, che tante volte si è chiesto, non connota evidentemente i comportamenti del dottor Lo Forte».
Pertanto, a prescindere dai profili di merito che non dovrebbero occupare questa sede, appare pacifico che quanto dichiarato dall'on. Sgarbi e ritenuto diffamatorio dal dottor Lo Forte sia connesso inequivocabilmente con le attività parlamentari tipiche or ora descritte, ciò che offre una copertura ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione.
Per tali motivi, a maggioranza, la Giunta ha deliberato, anche ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, di proporre all'Assemblea che i fatti per i quali è in corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.

Sergio COLA, relatore


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