Onorevoli Colleghi! - Premessa. La Giunta riferisce su una richiesta avanzata al Presidente della Camera da parte dell'onorevole Vendola, il quale ha segnalato di essere stato citato in giudizio dalla Società editrice siciliana (che pubblica il quotidiano «La Gazzetta del Sud») per aver diffuso un dossier dal titolo «L'uomo del ponte», durante una conferenza stampa il 4 dicembre 2000. La causa pende innanzi al tribunale civile di Messina ed è assegnata a un giudice onorario.
Il deputato Vendola ha fatto presente al Presidente della Camera dei deputati di aver eccepito in giudizio per i fatti che gli venivano contestati la scriminante dell'esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione e dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003.
Senonché, inopinatamente, il giudice - violando il preciso obbligo contenuto nell'articolo 3, comma 4, della medesima legge n. 140 - anziché trasmettere gli atti alla Camera ha proceduto nella trattazione della causa ascoltando dei testimoni, riservandosi - nell'udienza del 30 giugno 2003 - di decidere anche sull'eccezione della difesa del Vendola in sede di merito. Come è evidente, si tratta di una grossolana invasione della sfera di attribuzione della Camera dei deputati rispetto alla quale tuttavia il Presidente della Camera ha ritenuto di poter reagire nel modo più rapido ed efficace possibile, vale a dire trasmettendo la doglianza dell'onorevole Vendola direttamente alla Giunta per le autorizzazioni, considerando la nota di quest'ultimo alla stregua di una domanda di insindacabilità ai sensi dell'articolo 3, comma 7, della predetta legge n. 140.
In sede di esame della domanda - svoltosi nelle sedute del 30 ottobre (con l'audizione del deputato interessato) e del 5 novembre 2003 - numerosi componenti la Giunta hanno stigmatizzato l'operato del giudice onorario, ora indicandone la scarsa avvedutezza istituzionale ora l'insufficiente conoscenza della legge. La conclusione unanime tuttavia è stata nel senso non di ravvisare un intento persecutorio nella condotta del predetto magistrato onorario ma (conformemente alle valutazioni del Presidente della Camera) di formulare direttamente una proposta di merito previa verifica se vi fossero gli estremi perché la Camera stessa faccia comunque valere la prerogativa di cui all'articolo 68, primo comma, della Costituzione. Ai fini dell'individuazione dell'oggetto della deliberazione parlamentare, il contenuto del dossier s'intende già interamente richiamato.
2. La relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia della XIII legislatura (doc. XXIII, n. 7) e i riferimenti alla stampa messinese. Venendo quindi al merito della vicenda, si deve partire dal dato incontestabile che il 28 aprile 1998, la Commissione parlamentare antimafia - di cui Nichi Vendola era Vicepresidente - approvò all'unanimità una relazione sull'inchiesta svolta sul «caso Messina». Vale la pena riportare uno dei passaggi iniziali della relazione. Pag. 8: «La decisione di effettuare il sopralluogo a Messina fu assunta all'unanimità dall'Ufficio di Presidenza [della Commissione] all'indomani dell'omicidio del professor Matteo Bottari, della facoltà di medicina dell'università di Messina il 15 gennaio 1998. Negli atti della Commissione sono registrate, sin dall'inizio dei lavori, richieste pressanti di considerare il «caso Messina» tra quelli cui dedicare una particolare ed urgente attenzione: in primo luogo, fin dal febbraio del 1997, del vicepresidente Mancuso. Quel territorio mostrava un volto tranquillo che non richiedeva, ad una osservazione superficiale, una collocazione di primo piano nel lavoro di indagine della Commissione. Ma si trattava di una interpretazione errata: Messina presentava e presenta caratteri, problemi, contraddizioni, emergenze che richiedevano, al contrario, un esame più urgente ed attento per comprendere il ruolo e la collocazione di quel territorio nel contesto della situazione siciliana. Queste sollecitazioni furono più volte introdotte nelle discussioni, ma mai trovarono quel consenso diffuso che indusse invece la Commissione a considerare Agrigento o Catania come realtà con un grado più alto di urgenza per il lavoro d'indagine. Dopo l'omicidio Bottari, fu anche una sollecitazione forte ed angosciata del procuratore generale, dottor Bellitto, ad indurre la Commissione a rompere ogni indugio. Quanto invece fosse fondata quella serie di sollecitazioni è convinzione che maturò rapidamente tra tutti i componenti della Commissione che parteciparono al sopralluogo fin dal primo giorno: Messina è una realtà che presenta caratteristiche allarmanti sia per ciò che concerne quell'idea della legalità che deve caratterizzare la vita di una comunità civile e democratica, sia per ciò che concerne l'attrezzatura di contrasto che lo Stato ha, via via, impiegato in quella realtà. Sull'uno e sull'altro terreno, il sentimento diffuso tra i componenti della Commissione è che per ripristinare un livello accettabile di legalità e di certezza dei diritti di civiltà democratica e giuridica sono necessarie azioni esemplari, da ogni punto di vista, di rinnovamento degli uomini nelle principali posizioni nelle quali si fonda la presenza dello Stato in una realtà periferica: le forze dell'ordine, la magistratura, la scuola e l'apparato amministrativo. Il lavoro della Commissione non è stato facile né semplice. Il clima generale della città non sembrava considerare il sopralluogo della Commissione come un'esigenza generalmente e consapevolmente accettata. Ma questo dato sembra essere una costante non rimovibile a priori per il nostro lavoro. In ogni realtà la presenza della Commissione suscita speranze, ma anche non celate manifestazioni di insofferenza. Non è azzardato affermare che, man mano che il nostro lavoro si è dispiegato, l'atmosfera di comprensione e di collaborazione per il prosieguo dell'indagine si è fatta più aperta e vivace. Oggi c'è, a Messina, una comprensibile attesa per le conseguenze del nostro lavoro: sia sul terreno del rinnovamento delle strutture che dipendono dalle decisioni del Governo, sia per le novità da introdurre nelle strutture istituzionali che hanno manifestato il bisogno più grande ed urgente di cambiamento».
In questo contesto il ruolo della stampa nella realtà messinese è oggetto di ricorrenti riferimenti nel testo della relazione. Alla pag. 18 dello stampato, quando si affronta la questione del senatore Giorgianni, poi dimessosi, il testo reca: «Ma sulla stampa messinese appaiono dichiarazioni di magistrati che segnalano l'apertura di un confronto parallelo alle audizioni della Commissione: segnali, avvertimenti, minacce che hanno come bersaglio tutti i protagonisti».
E più avanti, a pag. 19: «Non interessa sapere ora se queste altre ed alte figure istituzionali conoscessero, come invece conosceva il senatore Giorgianni, la figura sociale di Domenico Mollica. L'unico del quale si conosce il nome è un collega di professione del senatore Giorgianni e non un uomo di governo [...] il dottor S[.], che invitato a passare una serata in una discoteca con il senatore Giorgianni e con Mollica si rifiuta e lascia [...] non appena scopre di essere seduto allo stesso tavolo con l'imprenditore P[.]. Il Presidente della Commissione fece presente più volte al senatore Giorgianni che si stava determinando una situazione insostenibile con la storia dei 'colleghi di Governo' che con lui avrebbero condiviso varie serate e incontri mondani con Mollica. [...]. Come si ricorderà, si avviò una vera e propria caccia al 'compagno ministro', come definito dai giornali l'ospite misterioso del senatore Giorgianni e di Domenico Mollica. Ci furono persino numerose smentite di ministri, ingiustamente chiamati in causa dai giornali [...]. Nonostante i reiterati tentativi di avere chiarezza su questo punto, si è lasciato avviare un grottesco e inquietante sondaggio giornalistico su questi amici di frequentazioni mondane del senatore Giorgianni».
Appare dunque evidente come la valutazione della Commissione d'inchiesta sul sistema della stampa locale non fu lusinghiero, giacché essa si pose consapevolmente in una posizione di indifferenza o di ironia verso l'indagine parlamentare, manifestando così quell'insofferenza non celata cui si fa riferimento alla pagina 8 (v. supra).
Assume allora un'ampiezza tutta particolare l'ultima frase della relazione, a pag. 80: «Molte vicende gravi evidenziate dall'indagine della Commissione parlamentare non sono il frutto di un'inchiesta particolarmente ostinata. Erano lì e la Commissione s'interroga sulle ragioni che hanno indotto chi doveva agire a rimanere fermo, chi doveva vedere a chiudere gli occhi, chi doveva provvedere ad astenersi da qualunque decisione».
3. L'ulteriore attività parlamentare del deputato Vendola e le conclusioni della Giunta. Ma anche dopo essersene formalmente occupato come membro della Commissione d'inchiesta, il deputato Vendola ha continuato a dedicare attenzione alla provincia di Messina, da lui disinteressatamente ritenuta un luogo in cui la libertà dei cittadini non è pienamente assicurata e dove lo sviluppo della personalità nel quadro delle garanzie democratiche non trova adeguati percorsi. Testimonianza ne siano le seguenti interrogazioni, tutte precedenti al dicembre 2000: la n. 4-15552, relativa alle attività dei fratelli Mollica; la n. 4-17422, sulla gestione del policlinico universitario di Messina; la n. 4-18533, concernente direttamente il ruolo del dottor Antonino Zumbo in seno agli uffici giudiziari messinesi; la n. 4-29522, relativa alle conseguenze della collaborazione del pentito Sparacio.
Da tutti i citati elementi si trae che il dossier non è che la proiezione e lo sviluppo dei contenuti di molteplici atti parlamentari tipici riconducibili alle funzioni parlamentari di Nichi Vendola anche con riferimento agli organi di stampa.
Ciò è tanto vero che le sue affermazioni sono state oggetto di due iniziative giudiziarie in sede penale da parte di un'altra persona menzionata nel dossier «L'uomo del ponte», vale a dire il citato Antonino Zumbo, all'epoca dei fatti magistrato presso la procura messinese. Entrambe tali iniziative si sono arenate con l'archiviazione, una in ragione di una dichiarazione d'insindacabilità dell'Assemblea della Camera del 13 giugno 2000 (Doc. IV-quater n. 135 - XIII legislatura) e una a seguito di un'ordinanza di archiviazione del GIP di Messina del 5 novembre 2001. Più in particolare, si osservi che il relatore per l'Assemblea sul predetto documento parlamentare, il collega Bonito, fece espresso riferimento al fatto che, nel contesto dell'indagine della Commissione antimafia a Messina, diversi parlamentari rilasciarono dichiarazioni alla stampa di taglio assai critico verso istituzioni e persone di Messina. Non risulta però che altri siano stati querelati: solo l'onorevole Vendola.
Giova peraltro riferire anche di uno sviluppo della vicenda qui in esame che contribuisce a illuminare l'effettiva realtà dei fatti: dopo la diffusione del dossier, l'ANSA regionale siciliana fece circolare la notizia che l'Ordine siciliano dei giornalisti aveva votato un documento di solidarietà alla Gazzetta del Sud e al suo direttore. La notizia fu riportata sul quotidiano. Senonché, alla richiesta del Vendola di ottenere copia del documento, venne opposta una singolare resistenza. Si apprese poi che in realtà il documento non era stato oggetto di votazione alcuna in seno all'ordine. Per questo falso diffamatorio, su denuncia del Vendola, il GIP di Messina ha di recente rinviato a giudizio tre persone.
Da tutto quel che si è esposto risulta evidente che nei confronti del deputato Vendola - che non è eletto a Messina, città in cui peraltro il suo partito non è numericamente incisivo - si è avuta una reazione di quei poteri forti della città cui ha fatto riferimento la relazione della Commissione antimafia e che quindi si versa nella più classica delle situazioni che l'articolo 68, primo comma, della Costituzione - nella sua portata storica e più genuina - vuole evitare, vale a dire il condizionamento dell'attività parlamentare con la conseguente limitazione della libertà politica dei membri delle Camere e dunque delle Camere stesse.
In pratica, è maturata nei membri della Giunta espressisi sul punto la convinzione che nel caso in esame l'iniziativa giudiziaria contro il deputato Vendola - che non può nel luogo instillare alcun metus o abusare di alcuna carica - sia mossa da intenti pretestuosi e intimidatori. Prova ne sia, al riguardo, che la Società editrice siciliana si è guardata bene dal contestare nel merito le affermazioni contenute nel dossier 'L'uomo del ponte': si è limitata ad assumerne apoditticamente il carattere ingiurioso. Non v'è alcunché nella citazione - né peraltro in una irrituale lettera inviata dal direttore della Gazzetta del Sud alla Giunta e di cui i membri hanno potuto prendere cognizione - che smentisca i contenuti del dossier del collega Vendola né tanto meno le conclusioni della relazione della Commissione antimafia.
La Giunta si è pertanto determinata all'unanimità a proporre che l'Assemblea deliberi nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento civile a carico di Nicola Vendola costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Francesco CARBONI, relatore
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