Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità concernente il deputato Vittorio SGARBI con riferimento ad un procedimento penale pendente nei suoi confronti presso il tribunale di Bologna (il procedimento n. 1639/99 RGNR-N. 1881/99 RGGIP).
La richiesta si riferisce a un procedimento penale iniziato a carico del deputato Sgarbi in seguito ad una querela del dottor Giancarlo Caselli, allora procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo.
I fatti oggetto del procedimento consistono in affermazioni fatte dall'onorevole Sgarbi in un articolo apparso sul quotidiano «Il Resto del Carlino» del 31 dicembre 1998. Nelle dichiarazioni dell'onorevole Sgarbi, riportate nell'articolo oggetto del procedimento si legge tra l'altro: «... È proprio perché non sono un garantista ho difeso anche magistrati vittime del furore dei loro colleghi, da Michelo Coiro a Francesco Misiani, ad Antonino Vinci, ad Aldo Ferrua, ad Angelo Bassi, e poi ho difeso modesti carabinieri indotti al suicidio, o tenuti in carcere per le parole di un pentito o per aver fatto il loro dovere, come il colonnello Conforti... Ho difeso il buon diritto alla libertà e alla dignità di innummerevoli persone che non contano niente e che hanno subito traumi irreparabili, ho pianto i morti e ho rimpianto i suicidi non per vergogna o per malattia ma perché incapaci di resistere a una violenza intollerabile». E ancora: «E si chiamavano Moroni, Cagliari, Gardini, Mensorio, Lombardini e molti altri. E allora? Sono questi i potenti? E non sono invece, oggi potenti, quei magistrati che hanno condotto alla disperazione e al suicidio uomini come loro, non m'importa se innocenti o colpevoli, certamente deboli? Il potente è Lombardini o Caselli?». L'onorevole Sgarbi continuava quindi: «Io sono nemico della mafia e sono nemico di Caselli e deploro i suoi metodi. Sto con il - potente - e suicida, Lombardini; e voglio immaginare una situazione ribaltata - Caselli a Palermo che, indagato per avere sequestrato innocenti con indagini insufficienti, come è realmente accaduto (Musotto, Lombardo, Scalone), viene interrogato da un pool di magistrati cagliaritani ... guidati da Lombardini. Quale sarebbe stato l'umore di Caselli? Non voglio aggiungere altro». Di qui la levata dell'imputazione per diffamazione aggravata.
La Giunta ha esaminato il caso nelle sedute del 6 marzo e 14 maggio 2003.
Le affermazioni del deputato Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro paese inerente al modo di procedere della magistratura e in particolare nella forte critica politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni magistrati, critica che in molte precedenti occasioni l'Assemblea ha ritenuto insindacabili ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione (si vedano per esempio tra i più recenti - i doc. IV-quater nn. 155, 157, 161, 162, 168 e 170 della XIII legislatura e n. 4 della XIV).
Del resto, la garanzia di cui all'articolo 68, primo comma, della Costituzione copre anche attività di critica e di denuncia del parlamentare relativamente a questioni all'ordine del giorno dell'attività parlamentare, così come era la polemica con la magistratura in quel periodo.
Decisiva ai presenti fini è poi la circostanza che le dichiarazioni del deputato Sgarbi sono di contenuto sostanzialmente corrispondente a quelle riportate nella sua interrogazione a risposta orale presentata il 15 settembre 1998 (atto Camera n. 3/02843), il cui testo si riporta in allegato, e che dimostra appieno il nesso funzionale fra le dichiarazioni rese nel contesto del procedimento in titolo e l'attività parlamentare.
Per tali motivi, all'unanimità, la Giunta ha deliberato nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Vincenzo FRAGALÀ, relatore.
Allegato
ogni membro del Parlamento ha il dovere di rappresentare la Nazione e di esercitare le sue funzioni senza vincolo di mandato;
secondo dell'interrogante, fino a che non emergano prove contrarie, può ritenersi che la terribile morte del dottor Luigi Lombardini, procuratore della Repubblica circondariale di Cagliari, possa essere stata causata dalle modalità persecutorie con cui il suo interrogatorio è stato condotto per oltre sei ore da cinque funzionari dell'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale di Palermo, Gian Carlo Caselli, Vittorio Aliquò, Giovanni Di Leo, Antonio Ingroia e Lia Sava, e dalle modalità della perquisizione condotta nel suo ufficio all'interno del palazzo di giustizia di Cagliari, avviata senza alcun riguardo per il naturale stato di stress creato, con sei ore di interrogatorio, in un magistrato di 63 anni, anche duramente provato dalla diffusione, da parte di Caselli di dichiarazioni sulla asserita esistenza «non di teoremi ma elementi concreti» (La Stampa, 12 agosto 1998, p. 3), con ciò creando nel dottor Lombardini la sensazione che, comunque, la sua protesta di innocenza sarebbe stata inutile;
nelle modalità di conduzione dell'interrogatorio e di avvio della perquisizione secondo l'interrogante potrebbe pertanto ravvisarsi la fattispecie, prevista dall'articolo 580 del codice penale, del «...determina(re) altri al suicidio o rafforza(re) l'altrui proposito di suicidio, ovvero ..agevola(rne) in qualche modo l'esecuzione..» (in tale caso il codice penale prevede una pena da cinque a dodici anni e l'arresto, in flagranza, è obbligatorio);
nella migliore delle ipotesi, comunque, Caselli e gli altri secondo l'interrogante potrebbero aver materializzato i comportamenti previsti dall'articolo 613 del codice penale, in base al quale è punito con la reclusione fino a cinque anni «chiunque.. con qualsiasi... mezzo pone una persona... in stato di incapacità di intendere e di volere...» con ciò provocandone il suicidio;
per le ragioni esposte, l'interrogante ritiene che i cinque funzionari dovrebbero essere immediatamente sospesi dal servizio, dallo stipendio e dalla funzione, onde evitare che possano essere nuovamente utilizzati metodi secondo l'interrogante persecutori e che le prove relative alla morte del dottor Lombardini possano subire un inquinamento, cosa che l'interrogante ritiene possibile dati i poteri dei magistrati sulla polizia giudiziaria e i loro collegamenti anche con forze politiche (dimostrati dal recente «indottrinamento» di ben trentasei membri del Parlamento operato da Caselli);
l'interrogante ritiene altresì che le autorità competenti dovrebbero emettere immediatamente un provvedimento di cattura contro i cinque funzionari, in modo che gli stessi vengano immediatamente e separatamente interrogati sull'accaduto e, in particolare, su chi, per quali ragioni, con quali finalità (evidentemente estranee alla corretta amministrazione della giustizia), abbia deciso per l'interrogatorio e per la perquisizione e abbia fatto ventilare la possibilità di «arresto per la mancata collaborazione» (tema da sempre pubblicizzato dalla cultura «inquisitoria» di Caselli e degli altri magistrati), con ciò creando il clima terrorizzante che secondo l'interrogante potrebbe aver causato la morte di Lombardini;
le immagini di Caselli che incede nei corridoi del palazzo di giustizia di Cagliari, circondato da una scorta di pretoriani, secondo l'interrogante riproducono in maniera inquietante, visivamente, quelle contenute nella trasposizione cinematografica del romanzo «Il nome della rosa», con l'arrivo dell'inquisitore non per far luce su qualcosa ma per provare sicuramente la colpa di chi ha individuato come vittima della sua azione -:
con quali mezzi, con quanti uomini di scorta, con quali modalità, quando, i cinque funzionari del pubblico ministero del tribunale di Palermo siano arrivati a Cagliari; se siano stati usati mezzi militari o dell'amministrazione dello Stato, da chi eventualmente autorizzati al trasporto di un numero di funzionari spropositato per un banale adempimento istruttorio, fra l'altro legalmente differibile a dopo il 15 settembre per la sospensione dei termini e delle attività processuali, in questo periodo, in assenza di detenuti; quali siano le ragioni di un simile «spiegamento di forze» che, da solo, produce un effetto terrorizzante sui cittadini i quali, anche se inquisiti, sono sempre assistiti da una presunzione di innocenza costituzionalmente garantita;
se non intenda intraprendere immediatamente una iniziativa di tipo disciplinare in relazione a quanto sopra esposto, in particolare perché sia disposta l'immediata sospensione dal servizio, dallo stipendio e dalla funzione di Caselli, Aliquò, Di Leo, Ingroia e Sava;
se non si ritenga di dover verificare, al fine di eventuali ulteriori iniziative di competenza, le ragioni per le quali non si è proceduto, e da parte di chi, all'immediato arresto dopo la perpetrazione da parte di Caselli e dei suoi collaboratori dei fatti descritti;
quali iniziative o provvedimenti di competenza si intendano adottare per garantire che in futuro simili fatti non si debbano più ripetere. (3-02843)
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