Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità concernente il deputato Vittorio SGARBI con riferimento ad un procedimento penale pendente nei suoi confronti presso la corte d'appello di Brescia (proc. n. 1337/99 RGNR).
La richiesta si riferisce a un procedimento penale iniziato a carico del deputato Sgarbi in seguito ad una denuncia-querela del dottor Francesco Saverio Borrelli. Quest'ultimo ha denunciato all'autorità giudiziaria il deputato richiedente per avere, durante la trasmissione televisiva «Sgarbi quotidiani» del 16 febbraio 1999, pronunciato le seguenti parole - per come esse gli sono attribuite nel capo d'imputazione: «Il suo amico specialista in tailleur, dottor Borrelli ha mentito davanti alla Commissione Antimafia, dichiarando che lo Stato non aveva pagato una lira per il sequestro Sgarella. E quello dovrebbe diventare procuratore generale, quello che ha mentito davanti a uomini dello Stato, davanti al popolo e davanti al Parlamento? [...] Allora da una parte abbiamo il capo Borrelli che mente al Parlamento [...]».
Nella denuncia-querela sporta nei confronti dell'onorevole Sgarbi il dottor Borrelli ha chiesto di procedere nei confronti del deputato per diffamazione. Il tribunale di Brescia ha già emanato una sentenza di condanna del deputato Sgarbi a tre mesi di reclusione.
La Giunta ha esaminato il caso nella seduta del 22 gennaio 2003, prendendo in considerazione altresì la documentazione inviata.
La maggior parte dei componenti espressisi sul punto ha convenuto che il caso fuoriesce dall'ambito d'applicazione dell'insindacabilità parlamentare, per come questo è stato individuato dalla (ormai copiosa) giurisprudenza della Corte costituzionale.
Nel caso di specie, le dichiarazioni del deputato Sgarbi erano riferite a un'audizione del dottor Borrelli innanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in occasione della missione da questa svolta a Milano nell'ottobre 1997. Esse tuttavia non sono risultate essere ancorate a contenuti di precisi atti parlamentari ma anzi da essi palesemente trascendono, per risolversi in una mera e insultante invettiva contro il dottor Borrelli. Del resto, Vittorio Sgarbi non faceva parte della Commissione antimafia e quindi le sue frasi non possono essere considerate divulgazione di un pensiero espresso in sede parlamentare.
In contrario, sarebbe apodittico affermare che «un parlamentare può dire queste cose, poiché rientra nelle sue funzioni». Sostenerlo significherebbe avere una ben misera concezione del mandato parlamentare.
Il deputato Sgarbi si è limitato a esprimere una critica. La sindacabilità in questo caso è ragionevole in punto di diritto formale, vista la giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui «in tema di diritto di critica ciò che determina l'abuso del diritto è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare l'avversario politico mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni» (sentenza Diaconale del 19 maggio 1998, confermata dalle numerose sentenze successive in materia); e in punto di interpretazione costituzionale costante dal 1998 in poi, la quale esige per la configurabilità della scriminante di cui all'articolo 68, primo comma, della Costituzione un sicuro aggancio delle affermazioni rese extra moenia ai contenuti dell'attività parlamentare svolta mediante atti tipici. Del resto, non si può fare a meno di ricordare in questa sede che delle 26 decisioni di merito a oggi rese in materia d'insindacabilità - a seguito di conflitti d'attribuzione elevati dall'autorità giudiziaria - in 21 casi la Camera è risultata soccombente. Per comprendere come leggerezze valutative della Camera non potrebbero passare inosservate al vaglio della Corte, vale la pena riportare un passaggio di una delle ultime sentenze (la n. 257 del 2002): «A prescindere dal rilievo che alcune delle espressioni usate si sostanziano in meri insulti personali, si deve concludere che le parole pronunciate dal deputato Sgarbi non sono coperte dall'immunità ai sensi dell'articolo 68, primo comma della Costituzione [poiché in esse non è dato ravvisare alcuna corrispondenza di significati, né formale né sostanziale, con il contenuto di atti parlamentari tipici]».
Da ultimo, è necessario segnalare che proprio di recente l'interpretazione eccessivamente ampia data in altri casi dalla Camera alla regola dell'insindacabilità ormai ha trovato censure anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Quest'ultima infatti - in ben tre sentenze (casi A. vs. United Kingdom, Cordova vs. Italy 1 e Cordova vs. Italy 2) - ha statuito che può conciliarsi con l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (che prevede il diritto di tutti a un equo processo innanzi a un tribunale imparziale) solo un'applicazione assai ristretta dell'insindacabilità, intesa come completa esenzione della responsabilità per le affermazioni rese nell'esercizio del mandato parlamentare, altrimenti l'impedimento alla conoscibilità giurisdizionale delle dichiarazioni dei membri diventerebbe un salvacondotto incontrollabile lesivo del diritto dell'uomo a chiedere sulle sue cause un giudizio equo.
Per il complesso di tali ragioni la Giunta, a maggioranza, propone all'Assemblea di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Pierluigi MANTINI, relatore
![]() |