Doc. IV-quater, n. 52





Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità concernente il deputato Vittorio SGARBI con riferimento ad un procedimento civile pendente nei suoi confronti presso la corte d'appello di Roma originato da un atto di citazione depositato dalla dottoressa Ilda Boccassini.
In particolare il deputato Sgarbi è stato citato per alcune affermazioni rese nel corso della trasmissione «Sgarbi quotidiani», nella puntata del 2 gennaio 1998. Per come risulta sia dalla trascrizione della trasmissione che dall'atto di citazione, il deputato Sgarbi, tra l'altro, ha affermato: «... dalle vicende Boccassini dipende anche la morte di uno dei magistrati più seri d'Italia, Michele Coiro. Michele Coiro, è stato ucciso. È stato cacciato, il CSM ha stabilito che non poteva essere più procuratore capo e quindi lui ha prontamente scelto di andare al ministero e poi è morto. Morto di crepacuore. Questa è conseguenza di un'azione iniqua di cui la Boccassini potrebbe essere perseguita non soltanto per abuso, ma anche come stimolatrice di una conseguenza tragica, come chi tenendo in carcere taluno lo induce al suicidio, fra chi porta un tale male nel cuore di un uomo, con la volontà di inquisire e opprimere un potere che è quello simboleggiato dalla procura di Roma che in quel caso il procuratore era Coiro e contro di lui andava l'azione di principi che partiva da Milano...».
La Giunta, che ha avuto la questione all'ordine del giorno fin dal settembre 2002, è pervenuta al suo esame nella seduta del 22 gennaio 2003, durante la quale - pur regolarmente convocato - il deputato Sgarbi non è intervenuto e nella quale i componenti hanno preso atto dell'intervenuta condanna di primo grado emanata dal tribunale di Roma, con sentenza del 4-28 maggio 2001.
Nel corso del giudizio di primo grado, la difesa del deputato Sgarbi ha eccepito l'applicazione della regola dell'insindacabilità ma il giudice l'ha disattesa. Vale la pena al riguardo riportare uno stralcio della decisione. «[...] Passando dunque al merito, non crede il decidente che nella specie ricorra la speciale immunità invocata. Richiamando alcune non lontane pronunce della Corte costituzionale (cfr. Corte cost. 17/1/00, nn. 10 e 11; Corte cost. 21/7/00, nn. 320 e 321), si ritiene che le affermazioni rese dall'on. Sgarbi non abbiano contenuto politico-parlamentare e non possano quindi essere ricomprese nella previsione della norma indicata. La Corte ha infatti più volte sottolineato che la prerogativa di cui all'articolo 68, primo comma, della Costituzione non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare, ma solo quelle legate da "nesso funzionale" con le attività svolte "nella qualità" di membro delle Camera (v. sentenze n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 329 e n. 417 del 1999). Si è affermato in particolare che "costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facoltà proprie del parlamentare in quanto membro dell'Assemblea. Invece l'attività politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non può dirsi di per sé esplicazione di una funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'articolo 68, primo comma, della Costituzione. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e delle attività propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della libertà di espressione comune a tutti consociati: ad esse dunque non può estendersi, senza snaturarla, una immunità che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalità e di giustiziabilità dei diritti, riservate alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni. La linea di confine tra la tutela dell'autonomia e della libertà delle Camere e, a tal fine, della libertà di espressione dei loro membri, da un lato, e la tutela dei diritti e degli interessi costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, dall'altro lato, è fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. Senza questa delimitazione l'applicazione della prerogativa si trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito ed ai limiti della loro libertà di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di eguaglianza e di pari opportunità fra cittadini nella dialettica politica. Né si può accettare, senza vanificare tale delimitazione, una definizione della 'funzione" del parlamentare così generica da ricomprendervi l'attività politica che egli svolga in qualsiasi sede o nella quale la sua qualità di membro delle Camere sia irrilevante. Nel linguaggio e nel sistema della Costituzione, le "funzioni" riferite agli organi non indicano generiche finalità, ma riguardano ambiti e modi giuridicamente definiti. e questo vale anche per la funzione parlamentare, ancorché essa si connoti per il suo carattere non "specializzato". La semplice comunanza di argomento tra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non può dunque bastare a tal fine la ricorrenza di un contesto genericamente politico in cui la dichiarazione si inserisca" (cfr. Corte cost. 17/1/00, n. 10). È quindi in tal senso che va precisato il significato del "nesso funzionale" che deve riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilità, tra la dichiarazione e l'attività parlamentare. Non cioè come semplice collegamento di argomento o di contesto tra attività parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare". Ad avviso del giudicante, non vi è dubbio che nella specie siano assenti i profili esposti. Risulta infatti che il convenuto (prendendo spunto dalle note vicende relative al ritrovamento di una microspia all'interno del bar Tombini di Roma e riferendosi al procedimento penale all'epoca avviato nei confronti dal capo dei GIP romani dott. Renato Squillante, ai contrasti insorti al riguardo tra gli uffici giudiziari, ed al successivo trasferimento ad altro incarico del procuratore della Repubblica dott. Michele Coiro, poi seguito dal suo improvviso decesso) ha tra l'altro affermato «... dalle vicende Boccassini dipende anche la morte di uno dei magistrati più seri d'Italia, Michele Coiro. Michele Coiro è stato ucciso. È stato cacciato, il CSM ha stabilito che non poteva essere più procuratore e quindi lui ha prontamente scelto di andare al Ministero e poi è morto. Morto di crepacuore. Questa è conseguenza di un'azione iniqua di cui la Boccassini potrebbe essere perseguita non soltanto per abuso, ma anche come stimolatrice di una conseguenza tragica, come chi tenendo in carcere qualcuno lo induca al suicidio, fra chi porta tale male nel cuore di un uomo, con la volontà di inquisire e opprimere un potere che è quello simboleggiato dalla procura di Roma che in quel caso il procuratore era Coiro e contro di lui andava l'azione di principi che partiva da Milano...» ... Sembra del tutto palese che tali affermazioni, rese nel corso di una trasmissione televisiva da persona che, pur essendo rivestita di incarichi di rappresentanza popolare, non aveva nella veste indicata alcuna funzione politico-parlamentare, non possono essere ricomprese nella sfera di immunità prevista dall'articolo 68, primo comma, della Costituzione. Nel caso in esame non ricorre invero alcuno dei requisiti per l'applicazione della norma di favore. L'onorevole Sgarbi nella conduzione della trasmissione televisiva che porta il suo nome non svolgeva la sua funzione parlamentare neppure sub specie di attività connessa, ma esercitava una attività professionale di conduttore ed opinionista televisivo nell'ambito di un rapporto di lavoro ovvero di un contratto d'opera, retribuiti in forza di intese contrattuali concluse con una parte privata. Le espressioni riferite all'onorevole Sgarbi non appaiono sussumibili nel concetto di opinione così come richiamato all'articolo 68 della Costituzione, norma che tutela la manifestazione di pensiero del parlamentare collegata all'esercizio della sua funzione. La vicenda in esame ha in sostanza connotazioni di esclusiva rilevanza estranea all'ambito parlamentare, in quanto trae origine da avvenimenti per nulla correlati alla funzione svolta dall'onorevole Sgarbi. L'eccezione presentata al riguardo dall'interessato non merita dunque seguito».
Su tali motivazioni si è svolto un ampio dibattito. La Giunta ha preso anche atto della documentazione attestante la circostanza che nella seduta dell'Assemblea del 18 giugno 1998 la Camera ha deliberato (sia pure a maggioranza) l'insindacabilità di opinioni analoghe espresse dal deputato Sgarbi nella trasmissione del 14 marzo 1996 sui medesimi fatti (cfr. il DOC. IV-ter n. 47 e 47/A della XIII legislatura). Nell'occasione lo stesso deputato Sgarbi era intervenuto nel dibattito. Tuttavia - a parte il rilievo dirimente che la predetta seduta era comunque successiva ai fatti di cui oggi si discute, che sono del gennaio 1998 - è facilmente verificabile che lo Sgarbi non arrivò in quell'intervento nell'Assemblea ad accennare alla convinzione che la dottoressa Boccassini avesse delle responsabilità nella morte del dottor Coiro. Senza contare che la deliberazione della Camera sul predetto caso è attualmente all'esame della Corte costituzionale, cui la corte d'appello di Brescia si è rivolta per conflitto tra poteri.
Da ultimo, è necessario segnalare che proprio di recente l'interpretazione eccessivamente ampia data in altri casi dalla Camera alla regola dell'insindacabilità ormai ha trovato censure anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Quest'ultima infatti - in ben tre sentenze (casi A. vs. United Kingdom, Cordova vs. Italy 1 e Cordova vs. Italy 2) - ha statuito che può conciliarsi con l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (che prevede il diritto di tutti a un equo processo innanzi a un tribunale imparziale) solo un'applicazione assai ristretta dell'insindacabilità, intesa come completa esenzione della responsabilità per le affermazioni rese nell'esercizio del mandato parlamentare, altrimenti l'impedimento alla conoscibilità giurisdizionale delle dichiarazioni dei membri diventerebbe un salvacondotto incontrollabile lesivo del diritto dell'uomo a chiedere sulle sue cause un giudizio equo.
Per tali motivi, a maggioranza, la Giunta ha pertanto riconosciuto pienamente valide le argomentazioni del giudice del tribunale di Roma e ha deliberato nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.

Pierluigi MANTINI, relatore per la maggioranza


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