Doc. IV-quater, n. 34





Onorevoli Colleghi! - 1. Premessa. La Giunta riferisce su richieste di deliberazione in materia di insindacabilità concernenti il deputato Vittorio SGARBI con riferimento a tre procedimenti penali (di cui due riuniti) pendenti nei suoi confronti presso la corte d'appello di Milano in seguito a querele sporte dall'avvocato Giuseppe Lucibello.
I procedimenti traggono origine dalle puntate della trasmissione «Sgarbi quotidiani»: i riuniti nn. 1058/97 e 1162/97 del 5 e 7 novembre 1996; il n. 43/97 del 20 settembre 1996.
Nella prima occasione, l'onorevole Sgarbi ebbe a proferire frasi in confronto dell'avvocato Giuseppe Lucibello, professionista del foro di Milano, amico del dottor Antonio Di Pietro. L'onorevole Sgarbi ebbe ad affermare, tra l'altro, per come le parole gli vengono attribuite nel capo d'imputazione: «Il suo migliore amico (di Di Pietro) era Lucibello e Lucibello era pagato da Pacini Battaglia pare 200.000.000 al mese, che come parcella è modesta ma insomma serena». «Io non ho mai pensato che di Pietro fosse molto intelligente, ma se aveva indagato con tanta tenacia non poteva chiedere a Pacini Battaglia ... scusi lei dà 200.000.000 al mese al mio migliore amico avvocato», «... c'è un modo di fare atti iniqui anche senza prendere una lira, per esempio facendo favori. Cosa vale, abbiamo detto in altre occasioni, la libertà?», «... Lucibello era pagato profumatamente per poter garantire la libertà a Pacini Battaglia», «...era assolutamente assurdo che questo entrasse in carcere ... parlasse con Di Pietro, cosa da pazzi, che soltanto in quel caso valevano, fino all'ultimo Lucibello è stato privilegiato come nessun avvocato», «... Pacini Battaglia non ha fatto neanche un'ora di carcere», «Perché non ha chiesto a Pacini Battaglia: scusi sta facendo per caso qualcosa ... con il mio amico Lucibello?», «Di questo non si è accorto Di Pietro e non è poco».
Il 7 novembre 1996, risulta che l'onorevole Sgarbi disse: «Gli amici di Di Pietro, il titolo era dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, Lucibello avvocato, ma possiamo avere qualche sospetto? Perché era grande amico di Lucibello, che prendeva i soldi da Pacini Battaglia per fare l'avvocato e, come è accaduto in tanti casi, per non mettere in galera alcuni che erano inquisiti di Di Pietro».
Nella terza occasione, l'onorevole Sgarbi ebbe ad affermare, tra l'altro, per come le parole gli vengono attribuite nel capo d'imputazione: «...a chi Di Pietro vende la Mercedes? All'Avvocato Lucibello che è l'avvocato di certo Pacini Battaglia, quello che oggi è diventato così importante; altro che Di Pietro fosse totalmente incapace, che Di Pietro non avesse consapevolezza dell'importanza di Pacini Battaglia nella vicenda di corruzione. Pacini Battaglia non può aver ingannato né il suo avvocato Lucibello e Lucibello non può aver ingannato Di Pietro ...Di Pietro arresta mille scarpini, meno quelli che sono assistiti dal suo amico avvocato Lucibello... Vedete com'è interpretata dall'Avvocato Lucibello, amico di Di Pietro, l'acquirente della Mercedes di Di Pietro, amico di Di Pietro, amico di Pacini Battaglia, in grado di non far sapere al grandissimo Di Pietro che il più grande corruttore non era Cagliari, morto suicida in carcere, ma era Pacini Battaglia ...l'interpretazione di Lucibello meravigliosa, amico di Di Pietro, avvocato di Pacini Battaglia, Pacini Battaglia che dava i soldi a tutti, controllava tutto, era tanto grosso che Di Pietro non l'ha visto. Si è accorto di piccole, piccole pulci, piccole, piccole», «...Pacini Battaglia - enorme! - l'ha tenuto in carcere dodici ore ... dodici ore per sentirlo insieme all'avvocato Lucibello... È impressionante però di quell'Al Capone, Di Pietro non si è accorto. Aveva venduto la sua automobile a Lucibello e paga con l'immagine...». Il capo d'imputazione prospetta anche che lo Sgarbi abbia definito il Lucibello un faccendiere che sarebbe riuscito a non far rimanere in carcere il suo assistito Pacini Battaglia grazie a queste sue conoscenze.

2. Il precedente. Occorre premettere al riguardo che la Giunta prima e l'Assemblea poi, nella XIII legislatura, si sono già occupate di un caso simile con riferimento a un procedimento avviato dall'avvocato Lucibello innanzi al tribunale di Bergamo, per puntate della medesima trasmissione dello stesso 20 settembre 1996 (con riferimento ad altre frasi) e dell'ottobre 1996, pronunciandosi per l'insindacabilità. Per migliore comodità ricostruttiva della vicenda in allegato alla presente relazione si riporta il DOC. IV-quater n. 146, approvato a maggioranza dall'Assemblea il 25 luglio 2000. Si osservi inoltre che in seguito a tale delibera il tribunale di Bergamo non ha elevato conflitto d'attribuzione.
Le nuove richieste di insindacabilità sono state esaminate nelle sedute del 12 febbraio e del 9, 16 e 29 maggio 2002.

3. Le sentenze del tribunale di Milano. Nel frattempo, con sentenze del 20 e del 29 ottobre 2001, il tribunale penale di Milano ha ritenuto Vittorio Sgarbi responsabile dei reati ascrittigli rispettivamente per i procedimenti riuniti nn. 1058/97 e 1162/97 e n. 43/97.
Nella pronuncia del 20 ottobre 2001, emanata dalla VI sezione penale, si legge tra l'altro: «Nella specie non risulta agli atti che la Camera si sia pronunciata sugli specifici episodi oggetto della imputazione. Emerge tuttavia dalla sentenza del tribunale di Bergamo 4 luglio 2001, che per fatti simili o connessi, la Camera dei Deputati ha ritenuto che le affermazioni dell'onorevole Sgarbi oggetto del detto giudizio, fossero pronunciate nell'esercizio del mandato parlamentare e come tali insindacabili ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione. Tanto detto emerge dalla sentenza di proscioglimento del GIP di Brescia del 18 febbraio 1999 l'infondatezza degli assunti propalati dall'imputato nelle due puntate televisive della trasmissione "Sgarbi quotidiani" di cui all'odierna imputazione [...]. È agevole quindi rilevare che per il ricorrere dell'immunità di cui all'articolo 68 della Costituzione deve trattarsi pur sempre di opinioni e cioè espressione di proprie idee, convincimenti o giudizi. Tale espressione potrà essere anche fortemente critica, aspra ed astrattamente diffamatoria, purché resti comunque l'espressione di un'opinione. Nella specie invece l'imputato non riferisce una semplice opinione, ma un fatto non vero e cioè che la parte offesa, l'avvocato Lucibello, era pagato da Pacini Battaglia "pare 200.000.000 al mese che come parcella è modesta ma insomma serena" e si chiede come mai Di Pietro non aveva chiesto tale circostanza al Pacini Battaglia. Tali circostanze sono come detto inveritiere [...]. Tanto premesso, il contenuto delle frasi risulta certamente diffamatorio essendo evidente il discredito professionale derivante dalla sostanziale accusa di aver ricevuto abnormi pagamenti a fronte di trattamenti preferenziali e privilegiati da parte del pubblico ministero Di Pietro».
Nella pronuncia del 29 ottobre 2001, emanata dalla III sezione penale, si legge tra l'altro: «Nell'ambito della trasmissione incriminata, Sgarbi ha rappresentato al pubblico fatti non rispondenti al vero in ordine ai quali ha esercitato il proprio potere-dovere di critica; tuttavia, proprio per l'assenza della verità della notizia, requisito fondamentale che attiene al legittimo esercizio del diritto di cronaca, la critica espressa dal conduttore è sconfinata illegittimamente in gratuiti e strumentali attacchi personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale e la dignità professionale dell'avvocato Lucibello. [...]. Non ricorre infine nel caso di specie la causa di non punibilità dell'imputato per difetto dell'autorizzazione a procedere della Camera dei deputati ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione, invocata dalla difesa, dovendosi escludere l'insindacabilità delle opinioni espresse dall'onorevole Sgarbi nella trasmissione in oggetto».

4. Le conclusioni della Giunta. La maggioranza dei componenti la Giunta ha concordato pienamente con gli argomenti contenuti nelle predette pronunce, considerandoli ineccepibili. Essi lo sono in punto di giustizia sostanziale, dal momento che chiunque si sarebbe sentito offeso dalle frasi dell'onorevole Sgarbi che recavano addebiti falsi. Ed è del tutto capzioso affermare apoditticamente che «un parlamentare può dire queste cose, poiché rientra nelle sue funzioni». Sostenerlo significa avere una ben misera concezione del mandato parlamentare. Ma lo sono anche in punto di diritto formale: sono infatti conformi alla giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui «in tema di diritto di critica ciò che determina l'abuso del diritto è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l'uso dell'argumentum ad hominem, inteso a screditare l'avversario politico mediante l'evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni» (sentenza Diaconale del 19 maggio 1998, confermata dalle numerose sentenze successive in materia); ma sono anche conformi alla giurisprudenza assolutamente costante della Corte costituzionale dal 1998 in poi, che esige per la configurabilità della scriminante di cui all'articolo 68, primo comma, della Costituzione un sicuro aggancio delle affermazioni rese extra moenia ai contenuti dell'attività parlamentare svolta mediante atti tipici. Del resto, non si può fare a meno di ricordare in questa sede che delle 20 decisioni di merito a oggi rese in materia d'insindacabilità - a seguito di conflitti d'attribuzione elevati dall'autorità giudiziaria - in 15 casi la Camera è risultata soccombente. Per comprendere come leggerezze valutative della Camera non potrebbero passare inosservate al vaglio della Corte, vale la pena riportare un passaggio di una delle ultime sentenze (la n. 257 del 2002): «A prescindere dal rilievo che alcune delle espressioni usate si sostanziano in meri insulti personali, si deve concludere che le parole pronunciate dal deputato Sgarbi non sono coperte dall'immunità ai sensi dell'articolo 68, primo comma della Costituzione [poiché in esse non è dato ravvisare alcuna corrispondenza di significati, né formale né sostanziale, con il contenuto di atti parlamentari tipici]».
Per il complesso di tali ragioni la Giunta, a maggioranza, propone all'Assemblea di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.

Giovanni KESSLER, relatore.


ALLEGATO

Testo del doc. IV-quater n. 146 della XIII legislatura, discusso e approvato nella seduta dell'Assemblea del 25 luglio 2000.

Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce in ordine a due procedimenti penali pendenti presso il Tribunale di Bergamo a carico del deputato Vittorio Sgarbi, per il reato di diffamazione aggravata, per avere lo Sgarbi, nel corso di una trasmissione televisiva svolta il 20 settembre 1996 e nell'ottobre del 1996 sulla rete televisiva «Canale 5», nella puntata di «Sgarbi Quotidiani», offeso la reputazione di Antonio Di Pietro, magistrato già in servizio presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Milano, affermando, con riferimento a quanto asserito in una conversazione intercettata dal signor Pacini Battaglia, tra l'altro: «non vuol dire pagato con la vita, come Cagliari che si è ucciso. Non vuol dire pagato moralmente ... siamo usciti non perché abbiamo legittimamente pagato, non perché abbiamo pagato con l'onore perduto, non perché abbiamo pagato con la vita, ma solo perché si è pagato danaro. E di questo deve rispondere Borrelli, deve rispondere Di Pietro ... Di Pietro arresta 1.000 scarpini meno quelli che sono assistiti dal suo amico avvocato Lucibello. Ma guarda che strana cosa: gli avvocati che oggi difendono gli inquisiti sono gli stessi avvocati che hanno difeso Di Pietro: l'avvocato Dinoia e l'amico Lucibello ... No, la strada degli espedienti, la strada di avere qualche amico e protettore, che mentre l'indagine dilagava, lasciava fuori a Milano i veri grandi corrotti e corruttori; Pacini Battaglia che dava soldi a tutti, controllava tutti, era tanto grosso che Di Pietro non l'ha visto. Si è accorto di piccole, piccole pulci, piccole piccole; Pacini Battaglia enorme l'ha tenuto in carcere dodici ore, l'ha fatto parlare, si è dimenticato l'inchiesta sulle armi, quella che oggi La Spezia con quei pubblici ministeri, così, un po' rustici riapre, e non ha arrestato neanche per un secondo, non ha tenuto in carcere oltre quelle dodici ore per sentirlo insieme all'avvocato Lucibello, Pacini Battaglia. Ma guarda che cosa, ma guarda che strano: perché, Pacini Battaglia pagava con l'immagine, lui pagava con l'immagine, dava ai magistrati di Roma dei soldi e a Di Pietro l'immagine: tienti la tua immagine, non ce l'ho più, così ho pagato». E ancora nella trasmissione dell'ottobre 1996: «quando un magistrato arresta uno e non arresta l'altro, fa un favore a quello che resta libero e non lo fa a quello che tiene in carcere. Quindi ha un potere che esercita con capriccio, con arbitrio ma anche per elargire un favore ... allora, quando un giudice ti dà la libertà, ti fa a te tangentista, corrotto, ti fa una elargizione infinitamente più grande dei soldi che hai preso fino a ieri. Sarà poco ? ... Guardate come è andata l'inchiesta sulla cooperazione nella quale era implicato a Roma il magistrato Paraggio, amico di Di Pietro e che quindi rinuncia all'inchiesta e manda i documenti, nei quali è coinvolto, nei quali ha un peso Pacini Battaglia, a Di Pietro. ... Quei documenti si sono persi, come si è letto in questi giorni. Eccolo qua: Pacini Battaglia spariti atti processuali, che vuoi dire niente arresto. Nuovo mistero: Roma mandò a Milano i documenti sull'affarista ma le carte non arrivarono al Pool».
Ciò posto, osserva la Giunta che gli episodi sopra menzionati si inseriscono in un contesto di forte critica politica operata dal deputato Sgarbi sull'opera del dottor Di Pietro, nell'ambito dell'inchiesta "Tangentopoli", in cui con specifico riferimento alla posizione di Pacini Battaglia vi fu, come ampiamente riportato dagli organi di stampa, un trattamento discriminatorio rispetto a quello tenuto con molti altri inquisiti, attinti da provvedimenti, restrittivi della libertà personale. Comunque la Giunta ha rilevato come in altre analoghe occasioni le forti espressioni usate dall'onorevole Sgarbi nei confronti dell'operato del dottor Di Pietro e della sua attività giudiziaria, hanno rappresentato attività divulgativa connessa alla funzione parlamentare di aspra critica nei riguardi dell'operato di alcuni magistrati e del cattivo uso della custodia cautelare, tema sul quale Sgarbi ha sempre indirizzato la sua azione politica.
La Giunta ha esaminato la questione nella seduta del 12 luglio 2000, ascoltando com'è prassi l'onorevole Sgarbi.
Per queste ragioni la Giunta ha ritenuto all'unanimità di riferire all'Assemblea che i fatti per i quali sono in corso i procedimenti penali presso il Tribunale di Bergamo, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.

Carmelo CARRARA, Relatore.


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