Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità concernente il deputato Cesare Rizzi con riferimento a un procedimento penale pendente nei suoi confronti presso il tribunale di Como (proc. n. 14700/97 RGNR).
Il procedimento trae origine da una seduta del consiglio comunale Erba del 18 luglio 1997 nel corso della quale - durante le dichiarazioni di voto relative all'approvazione di un progetto preliminare per la realizzazione di un impianto sportivo e alla conseguente variazione di bilancio - l'onorevole Rizzi (deputato allora - come del resto oggi - del collegio 4-Erba, Lombardia 2) intervenne per constatare criticamente la posizione di altri consiglieri, i quali sia pure favorevoli alla deliberazione erano stati in precedenza tiepidi nei confronti delle proposte della Lega nord, alla cui iniziativa il Rizzi rivendicava il progetto in votazione.
Nella concitazione del dibattito scaturito da queste osservazioni - per come sono riportate nella querela - il deputato Rizzi rivolse al consigliere comunale indipendente Salvatore Palermo le seguenti parole: «Premetto che un deficiente che venga a dire a me... è un deficiente... va bene. Allora... lo chiameremo buffone. Se un buffone viene a fare certe dichiarazioni in consiglio comunale... Insomma, poverino anche lui, si capisce che è un po' corto... capisce poco, insomma... Questo buffone, lo chiamo e non consigliere... perché mi viene da ridere... Ormai è conosciuto da tutte le parti».
Secondo la querela, peraltro, a seduta sospesa, al Palermo fu riferito che l'onorevole Rizzi lo aveva poco prima definito in sua assenza «un delinquente».
La pubblica accusa ha chiesto l'archiviazione del caso, ritenendo sussistenti i presupposti dell'insindacabilità parlamentare. Tuttavia il Palermo si è opposto ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura penale, adducendo a sostegno della sua opposizione il noto orientamento della Corte costituzionale, secondo cui per le espressioni usate dai parlamentari fuori dalle formali sedi delle Camere, intanto la prerogativa sussiste in quanto tali espressioni siano la proiezione esterna dei precisi contenuti di atti parlamentari tipici precedentemente svolti.
La Giunta ha esaminato la questione nella seduta del 20 marzo 2002.
Dall'analisi dei fatti, è emerso che le affermazioni dell'onorevole Rizzi si inseriscono nell'ambito di una polemica politica nel consiglio comunale della città nella quale egli era stato eletto. Nulla quaestio dunque sul fatto che l'onorevole Rizzi abbia agito uti homo publicus e non nel contesto di una lite meramente personale. Pertanto, la maggioranza dei componenti espressisi sul punto hanno convenuto sulla riconducibilità dell'episodio alle funzioni parlamentari. Ciò anche in base a diversi analoghi precedenti della XIII legislatura come i Docc. IV-quater nn. 31 (Paolone), 127 (Pezzoli) e 164 (Di Fonzo).
Peraltro, giova sottolineare che - anche a prescindere dalla motivazione espressa nella richiesta - il pubblico ministero nel caso in esame ha manifestato una volontà nel senso dell'archiviazione. Ciò sembra del tutto plausibile anche alla luce della giurisprudenza penale ordinaria, secondo cui nelle contese politiche e tra parti che hanno lo stesso rango (e che dunque possono replicare agevolmente alle invettive dell'avversario) può ritenersi intervenuta una certa desensibilizzazione, tale per cui il tono e i linguaggi consentiti sono più aspri che non nel confronto tra persone non appartenenti al mondo politico (sia consentita la citazione delle sentenze della Corte di cassazione del 18 marzo 1981, Guarino, del 24 febbraio 1984, Di Mambro e 26 novembre 1998, Casanova).
Per il complesso delle ragioni sopra evidenziate la Giunta, a maggioranza, propone di riferire all'Assemblea nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Niccolò GHEDINI, relatore.
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