Onorevoli Colleghi! - La Giunta delle autorizzazioni nella seduta del 19 dicembre 2001 ha esaminato un caso, prospettato dal deputato Umberto BOSSI, con riferimento ad un procedimento penale pendente nei suoi confronti presso la corte d'appello di Milano. Il procedimento trae origine da dichiarazioni rese dall'onorevole Bossi nel corso di un comizio svoltosi nel luglio 1997. Al comizio assistevano agenti delle forze dell'ordine che - udite le parole dell'oratore - hanno redatto un rapporto.
Il capo d'imputazione contestato nel processo si riferisce al reato di vilipendio di cui all'articolo 292 del codice penale "per avere vilipeso la bandiera nazionale, pronunziando, nel corso della pubblica manifestazione per la festa della Padania, tenutasi presso il palazzetto dello sport, la seguente espressione: «il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo.» in Cabiate, 25 luglio 1997 ". Il 23 maggio 2001, è intervenuta la sentenza di primo grado da parte del giudice in composizione monocratica del tribunale di Como, sezione distaccata di Cantù, che ha condannato il deputato Bossi a un anno e quattro mesi di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nella sentenza, peraltro, è riportata l'intera frase che l'onorevole Bossi pronunciò: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso soltanto per pulirmi il culo». Al riguardo, vale la pena innanzitutto riportare un passaggio significativo di tale sentenza: «La gravità della violazione commessa dall'onorevole Bossi derivante dal suo ruolo istituzionale è ulteriormente aumentata dalle concrete modalità dell'azione e dal contesto in cui le espressioni vilipendiose vennero pronunciate. Elevata fu invero la diffusività del messaggio dispregiativo nei confronti della bandiera, in considerazione del consistente numero di partecipanti alla manifestazione, costituiti non solo dagli aderenti al partito della Lega Lombarda, ma anche da molti cittadini di Cabiate e dintorni, riuniti in tal luogo per la festa di paese». Il giudice estensore non ha ritenuto peraltro queste espressioni riconducibili all'alveo dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione. Esso, anche sulla base dei dettami della giurisprudenza costituzionale, ha argomentato che: «La linea di confine tra la tutela dell'autonomia delle Camere e della libertà di espressione dei loro membri da un lato e, dall'altro, la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, è fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. In questo senso, si debbono ritenere coperti da immunità solo i comportamenti dei membri delle Camere funzionalmente connessi all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo».
Nel corso dell'esame è stato sostenuto dalla maggioranza dei componenti espressisi sul punto che, pur essendo il fatto avvenuto fuori delle sedi parlamentari, esso può ritenersi riconducibile all'esercizio delle funzioni di deputato per i seguenti motivi.
Si tratterebbe innanzitutto di un episodio connotato da coloritura politica. L'onorevole Bossi, infatti, in qualità di leader della Lega Nord, stava tenendo un comizio proprio nelle zone dove più forte è il radicamento elettorale del suo partito e sostenendo le ragioni del più spinto decentramento politico-amministrativo. In tale contesto aveva lanciato un'invettiva di carattere simbolico contro l'emblema dello Stato nazionale.
In secondo luogo, l'episodio sarebbe contestuale all'esame parlamentare della cosiddetta «legge sulla bandiera» (la n. 22 del 1998), ai sensi della quale nei principali edifici pubblici del territorio è esposta la bandiera dell'Unione Europea unitamente alla bandiera italiana. Poiché la Lega Nord, attraverso i suoi eletti in Parlamento avversava il provvedimento, il comizio dell'onorevole Bossi non sarebbe stato altro che la proiezione extra moenia di tale momento di opposizione parlamentare.
Nessuna di queste argomentazioni è convincente.
Occorre innanzitutto premettere la gravità e la volgarità delle espressioni usate. Come è stato giustamente osservato durante l'esame in Giunta, la bandiera italiana, menzionata finanche nella Costituzione (articolo 12), sta a simboleggiare il Paese nella sua interezza: il suo popolo, il suo territorio, la sua lingua, le sue tradizioni, le sue istituzioni e la sua storia. Tutto ciò l'onorevole Bossi ha grevemente e gratuitamente svillaneggiato.
Quanto al nesso con l'esercizio del mandato parlamentare, nessuno degli elementi addotti dalla maggioranza è pertinente al caso in esame. Non l'argomento della coloritura politica. È del tutto evidente, infatti, che il mero contesto politico di una dichiarazione non basta a far sì che la stessa sia agganciata al profilo funzionale dell'attività di un membro del Parlamento. Se tanto bastasse, la prerogativa dell'insindacabilità non sarebbe più un connotato della funzione, ma diverrebbe un privilegio della persona, vietato dalla Costituzione.
Non l'argomento della contestualità con l'esame parlamentare della legge sulla bandiera, giacché in nessun emendamento e in nessuna dichiarazione di voto esponenti della Lega Nord hanno adoperato i concetti e la terminologia usata dall'onorevole Bossi nel suo comizio. Quand'anche appartenenti al gruppo della Lega Nord avessero presentato emendamenti o ordini del giorno recanti accostamenti tra la bandiera e il contesto dell'igiene intima, essi sarebbero certamente stati dichiarati inammissibili. I termini usati dal deputato Bossi, pertanto, non possono essere considerati identificabili o sostanzialmente corrispondenti alla pregressa attività parlamentare sua o di altri membri del suo partito.
Il giudizio della Camera, secondo la maggioranza, non potrebbe essere condizionato dalla intervenuta sentenza di condanna in primo grado. Anche su questo punto, gli elementi addotti non possono ritenersi persuasivi. È ben vero che nella disciplina dell'insindacabilità parlamentare, anche come delineata dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prassi delle Camere, il potere di stabilire la pertinenza al mandato di determinate affermazioni di un parlamentare spetta alla Camera cui questo appartiene, finché una pronunzia dell'autorità giudiziaria non sia passata in giudicato. È tuttavia altrettanto evidente che una volta che sussista una pronunzia giurisdizionale che affronti espressamente la questione dell'applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione e la escluda, è quasi scontato che l'autorità giudiziaria, in presenza di una successiva deliberazione della Camera in senso contrario, sollevi un conflitto d'attribuzione. In tal modo non si fa che alimentare la già cospicua serie di conflitti pendenti innanzi alla Corte costituzionale, molti dei quali attengono a episodi di dubbia difendibilità. Tutto ciò dovrebbe essere motivo di attenta riflessione.
Merita, infine, menzione il fatto che in occasione dell'esame in Giunta della sua richiesta di deliberazione, l'onorevole Bossi ha ritenuto di far pervenire alla Giunta medesima una lettera nella quale nella sostanza smentisce se stesso. Nella missiva, infatti, egli sostiene che nell'episodio in questione si era fatto trascinare dall'impeto oratorio del comizio e che non intendeva offendere i valori rappresentati dalla bandiera tricolore. A questo punto, delle due l'una: o si tratta di dichiarazioni rese nel contesto dell'assolvimento dei compiti di un deputato e allora non c'era alcun bisogno che l'onorevole Bossi si scusasse, giacché la prerogativa dell'insindacabilità sta proprio a tutela di una indipendente e genuina espressione dei membri del Parlamento; oppure, l'onorevole Bossi si pente di quanto ha affermato, ritenendo le sue parole del tutto fuori luogo, e per il ruolo che egli rivestiva allora e per il loro contenuto, e dunque riconosce che non si trattava affatto di affermazioni funzionalmente legate al suo mandato parlamentare (come del resto è evidente, dal momento che le condotte di vilipendio di per sé non possono ritenersi coperte dall'articolo 68, primo comma della Costituzione). Riteniamo - ovviamente - che, avendo egli sentito il bisogno di scrivere la lettera, che sia vera la seconda alternativa. Altrimenti, ben misera e volgare cosa sarebbe la funzione parlamentare nell'opinione del deputato Bossi.
Occorre, peraltro, sottolineare che il suo pentimento assume oggi un significato rilevante, essendo egli un ministro della Repubblica. Tuttavia, si tratta di un elemento che gli servirà innanzi al giudice del processo e non può giovargli in questa sede, giacché la Camera non è il giudice del fatto ma solo della sussistenza del nesso tra il fatto e la funzione rivestita.
Per questi motivi invito caldamente l'Assemblea a respingere la proposta della Giunta e a deliberare nel senso che i fatti oggetto del procedimento non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Valter BIELLI, relatore per la minoranza
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