Onorevoli Colleghi! - La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità concernente il deputato Vittorio Sgarbi con riferimento ad un procedimento civile pendente nei suoi confronti presso la corte d'appello di Roma.
1. Premessa: i contenuti dell'atto di citazione. Il procedimento trae origine da un provvedimento dell'autorità giudiziaria di Catanzaro emanato il 2 novembre 1995, con il quale il deputato Sgarbi veniva invitato, ai sensi dell'articolo 375 del codice di procedura penale, a presentarsi innanzi ai magistrati del pubblico ministero in qualità di persona sottoposta alle indagini in corso, relative ai procedimenti penali nn. 1362/94 e connessi R.G.N.R. condotti dalla Direzione Distrettuale Antimafia della città calabrese. Nell'invito a comparire figurava anche il consueto avviso «che, in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento, potrà disporsi a norma dell'articolo 133 del codice di procedura penale l'accompagnamento coattivo». Al ricevimento di tale invito a comparire, avvenuto il 3 novembre, Sgarbi reagì con una serie di esternazioni. Innanzitutto, in data 5 novembre, egli tenne una conferenza stampa in Cosenza nella quale - secondo l'atto di citazione - usò nei confronti dei magistrati della procura distrettuale antimafia di Catanzaro espressioni gravemente ingiuriose e lesive dell'onore e della reputazione dei suo componenti quali per come sono riportate nel medesimo atto di citazione: «Chi è contro la linea della maggioranza viene criminalizzato» e il presidente Cossiga pur ritenendola incostituzionale firmò obtorto collo [la proroga del 416-bis]. La funzione dei parlamentari è però quella di esprimere un'opinione anche se difforme da quella della maggioranza. La situazione della giustizia in Italia è oggi la questione più grave. I magistrati infatti non si muovono di fronte a prove di reato, ma emettono avvisi di garanzia con «la speranza di reato». Successivamente, sempre secondo quanto sostenuto nell'atto di citazione, dal 6 novembre 1995 e per tutti i dieci giorni successivi, il convenuto ha dedicato integralmente alle polemiche contro la procura di Catanzaro ogni singola puntata della trasmissione «Sgarbi quotidiani», trasmessa sul network Canale 5, nella quale l'onorevole Sgarbi esplica attività di attore, conduttore, entertainer esprimendo addirittura nella trasmissione del 10 novembre 1995 il proposito di continuare a farlo per il resto della sua vita.
Alla suddetta prima serie di trasmissioni «Sgarbi quotidiani», dedicata esclusivamente alla derisione dell'operato [dei magistrati della procura] il convenuto ha continuato la sua opera diffamatoria nelle trasmissioni del 29 maggio, 8 e 9 luglio 1996, 10 e 25 febbraio e 2 maggio 1997, anch'esse integralmente riguardanti la presunta illegittimità dell'operato dei giudici di Catanzaro per l'avviso di garanzia inviatogli; [...] il convenuto ha anche partecipato, successivamente alla notifica dell'avviso di garanzia, ad altre trasmissioni televisive tra le più seguite in ambito nazionale, ogni volta ribadendo le stesse dichiarazioni denigratorie e accuse infondate nei confronti dell'attrice.
In particolare, sempre nella prospettazione della difesa della Chiaravallotti, nel contestare pubblicamente la legittimità formale e sostanziale dell'avviso di garanzia ricevuto, il convenuto, nelle trasmissioni da lui condotte, ha rivolto all'attrice affermazioni del tipo: «io dico quello che penso della violenza contro gli individui da parte di alcuni ignoranti e incapaci magistrati che violano diritti elementari dei cittadini», «mafia è quella di chi ti colpisce alle spalle con un testo come questo (riferendosi all'avviso di garanzia) scorretto dal punto di vista normale, scorretto dal punto di vista della verità, questi magistrati devono tornare a scuola, devono imparare le leggi basilari dello Stato e il rispetto della persona, questi non sono magistrati, sono ripetenti», e ancora: «il nome di Vittorio Sgarbi non può essere accostato al nome della mafia e dei mafiosi, i quali si accostano e si associano semmai, ad alcuni procuratori della Repubblica con i quali collaborano per mantenere miliardi» («Sgarbi quotidiani» del 6.11.1995, su «Canale 5», R.T.I. s.p.a.).
Nella trasmissione del 7 novembre 1995 il convenuto ha affermato: «oggi dico solennemente che non andrò davanti a magistrati che non ritengo magistrati, non andrò davanti a sostituti procuratori che sono fuori legge, e firmano atti fuori legge... il magistrato che viola la legge è un criminale... non è un magistrato chi è fuori dalla legge, non accetto di rispondere ad un tribunale speciale che è contro di me come un tempo era contro gli ebrei o contro i comunisti... quello che può fare qualunque poliziotto questi magistrati non sono stati in grado di farlo..., in realtà nel meccanismo di questa inaudita vicenda firmata da quattro persone che non conoscono le leggi e che fanno i magistrati e che non sono quindi magistrati c'è il tentativo di identificare un nemico infame... oggi quello che ho detto, l'ho detto nel più assoluto rispetto della legge di questo Stato che loro non conoscono e umiliano con atti giudiziari nel nome dello Stato, su carta dello Stato inviati ad un cittadino contro la legge» (la difesa della dottoressa Chiaravallotti sostiene che Sgarbi fonda gran parte delle proprie esternazioni diffamatorie su una presunta, ma come detto inesistente, irregolarità dell'avviso di garanzia). Nella stessa occasione il convenuto ha attribuito alla Procura di Catanzaro la responsabilità di un «colpo di Stato» di essersi «sostituita al Parlamento della Repubblica». La trasmissione termina con l'elencazione dei quattro Magistrati: Chiaravallotti, Tocci, Curcio e Lombardi, assimilati a quattro studenti ripetenti: «questi non sono magistrati, sono fuori dalla legge, tornino a scuola».
L'atto di citazione sostiene anche che nella puntata dell'8 novembre 1995 il convenuto ha continuato nelle sue esternazioni affermando: «io non ho fatto alcuna sistematica attività di delegittimazione della magistratura inquirente, ho indicato i falsi inquirenti, falsari della giustizia, falsari della legge, falsari, della Costituzione... la vergogna più alta è che senza aver condotto le indagini, e quali indagini, e con quale complicità intollerabile col pentito Pino, abbiano firmato con lui (riferendosi al sostituto procuratore Stefano Tocci, titolare delle indagini), altri i cui nomi dovete ricordare poiché i vostri figli sappiano che ci sono uomini pericolosi che stanno nelle istituzioni che non difendono la libertà, l'uomo; che vogliono soltanto affermare il loro potere, non con la forza delle loro parole ma con la violenza di una legge iniqua, che diventa iniqua perché loro la usano», «Chiaravallotti, Tocci, Curcio e Lombardi: questi signori firmano incoscientemente un atto che non è violenza a me, ma è violenza alla legge, alla Costituzione, alla democrazia, alla libertà..., tornino a scuola, imparino a scrivere... imparino la legge che non sanno applicare... il magistrato che viola la legge è un criminale».
E ancora: l'utilizzo della trasmissione televisiva a fini esclusivamente personali e diffamatori è continuata anche quando gli argomenti trattati non riguardavano specificamente la questione in parola, come nel caso in cui il convenuto, nella trasmissione del 9 novembre 1995, si è riferito incidentalmente all'avviso di garanzia ricevuto definendolo un «avviso mafioso», con il chiaro intento di lasciar supporre che «mafioso» fosse chi detto avviso aveva firmato.
Le offese non mancano nemmeno nelle puntate successive, nelle quali secondo la citazione, l'onorevole Sgarbi ha continuato ad inveire contro i magistrati di Catanzaro affermandone l'incompetenza professionale, la negligenza e la mancanza di preparazione (trasm. del 10 novembre 1995), ovvero utilizzando espressioni quali: «oggi, magistrati di Catanzaro, ho ritrovato la mia piena voce tutta per urlare contro di voi che la vostra ignominia è quella di uomini di parte che offendono con me il nome dei miei genitori e quello di Enzo Tortora» (trasmissione del 13 novembre 1995).
Nella trasmissione del 26 maggio 1996, a ben sette mesi di distanza dall'avviso di garanzia emesso, il convenuto torna ad inveire contro i magistrati della Procura di Catanzaro, ai quali addebita una indefinita serie di errori giudiziari, derivanti sostanzialmente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia «Pino» la cui attendibilità, peraltro, è dimostrata dal fatto che lo stesso è tuttora ammesso a godere del programma di protezione, dichiarando che «così come ha detto il Presidente del Consiglio, e non tollero querela, se qualcuno lavora male va cacciato a pedate e questo è il caso della sig.ra Chiaravallotti» (nominata insieme agli altri colleghi)... «guardate cosa sono i giudici antimafia, questi giudici, quelli che invece di cercare i criminali cercano gli innocenti per obbiettivi che non voglio definire, ma per cui lo Stato paga e loro rimangono al loro posto per continuare a sbagliare».
La citazione sostiene altresì che in occasione della richiesta di archiviazione del procedimento a carico dell'on. Sgarbi, lo stesso, ha ritenuto di dover dedicare all'attrice altre due trasmissioni («Sgarbi Quotidiani» dell'8 luglio 1996 e del 9 luglio 1996) nelle quali afferma peraltro che «non è un privilegio quello che mi ha condotto ad oppormi a poteri violenti..., ho deciso di non andare a parlare con i magistrati che non ritenevo abilitati a fare un'inchiesta infondata», tornando a ribadire il concetto dell'irregolarità formale dell'avviso di garanzia.
Sul medesimo punto il convenuto si sofferma anche nella trasmissione del 9 luglio 1996, nella quale, inoltre, lo stesso contesta ai magistrati inquirenti la violazione del segreto istruttorio, addebitando loro di aver dato la notizia dell'avviso alla stampa per intenti pubblicitari.
Secondo l'attrice, evidentemente con l'intento di tenere vivo negli ascoltatori il ricordo dei magistrati che avevano «osato» inviargli un avviso di garanzia e che peraltro avevano richiesto successivamente l'archiviazione del procedimento a carico del convenuto, l'onorevole Sgarbi ha ritenuto di dover ulteriormente commentare l'episodio in questione, nelle trasmissioni «Sgarbi Quotidiani» del 10 febbraio 1997, 25 febbraio 1997 e del 2 maggio 1997, a distanza di ben 18 mesi dal contestato avviso di garanzia, in cui l'attrice insieme ai suoi colleghi, viene definito un «calunniatore».
Gli stessi toni sono stati mantenuti anche nelle altre trasmissioni televisive alle quali l'onorevole Sgarbi ha partecipato in qualità di ospite come nel caso in cui, intervistato dal giornalista Paolo Liguori nella trasmissione «Fatti e Misfatti» del 7 novembre 1996, riferendosi ai magistrati di Catanzaro, ha dichiarato: «Se uno fa un'azione del genere dovrà rispondere di abuso di ufficio, attentato alla Costituzione, violazione delle leggi e tutto questo essendo un magistrato ed è molto grave che un magistrato non conosca le leggi e ascolti un pentito qualunque cosa dica... mi sembrano meno pericolosi i mafiosi dei magistrati... il magistrato deve vedere se abbiamo violato la legge, la sta violando lui... mi sembra che siano molto pericolosi, quello che hanno fatto li deve portare direttamente all'arresto... non credo che abbia fatto le cose per cattiveria, credo che le abbia fatte per ignoranza della legge: cosa gravissima per uno che fa il magistrato» («Fatti e Misfatti» del 7 novembre 1995, su Italia Uno, R.T.I. s.p.a.); e ancora: «io non vado (dai magistrati) perché non vorrei essere complice di un reato» («Linea Tre» dell'8 novembre 1995, RAI 3);
Sempre secondo l'atto di citazione la gravità delle offese e quindi l'efficacia lesiva delle riportate dichiarazioni sono state ulteriormente accresciute per il fatto che la questione sollevata dal convenuto ha avuto, come visto, una risonanza eccezionale, sin dai primi giorni successivi all'invio dell'avviso di garanzia, e per un lungo periodo di tempo, durante il quale tutti gli organi di informazione televisivi (al caso in questione è stata dedicata anche la trasmissione «Tempo Reale» del 9 novembre 1995) e di stampa hanno seguito la vicenda pubblicizzando le dichiarazioni diffamatorie dell'onorevole Sgarbi ai danni dell'attrice, e collocando le relative notizie negli spazi dedicati a quelle di maggiore rilievo ed interesse per l'opinione pubblica. Rilevante a tal proposito appare il fatto che titoli e dichiarazioni quali: «questo è un colpo di Stato... la mafia si è spostata tra i giudici» («La Stampa» del 4 novembre 1995), «mi hanno spedito un atto illegittimo, quando i magistrati non rispettano la legge sono criminali che diffamano e violentano le persone» («Corriere della sera» e «L'indipendente» entrambi del 9 novembre 1995), e altri ancora dello stesso tenore, sono apparsi su tutte le più importati testate giornalistiche del Paese.
L'enfasi con la quale il convenuto ha diffuso le proprie dichiarazioni denigratorie - espone ancora la difesa della dottoressa Chiaravallotti - ha provocato addirittura, l'intervento, in data 15 novembre 1995, del Presidente del Consiglio dei Ministri in Parlamento, in un momento in cui, ancora, il dibattito risultava acceso, nonché l'instaurazione di un procedimento disciplinare a carico della dott.ssa Chiaravallotti conclusosi poi, come detto, in senso favorevole a quest'ultima».
Di tali fatti Caterina Chiaravallotti, sostituto procuratore della Repubblica presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, ha chiamato a rispondere in giudizio Vittorio Sgarbi e con sentenza del 4-28 maggio 2001, il tribunale civile di Roma in composizione monocratica ha condannato il deputato Sgarbi al risarcimento dei danni nella misura di cinquanta milioni di lire.
La Giunta ha esaminato il caso nelle sedute del 27 novembre, e 11 e 18 dicembre 2001. Nella seduta del 27 novembre la Giunta ha deliberato di acquisire copia dell'invito a comparire.
Nella seduta del 18 dicembre 2001, la Giunta ha deliberato distintamente sulla conferenza stampa del 5 novembre 1995, da un lato, e sulle trasmissioni televisive successive, dall'altro.
2. Sulla conferenza stampa del 5 novembre 1995. Dall'analisi dei fatti, è apparso alla maggior parte dei componenti la Giunta espressisi sul punto che le affermazioni dell'onorevole Sgarbi rese a pochissima distanza temporale dalla notifica di un atto giudiziario, che egli considerava ingiusto nel merito ed errato nella forma, pertengano all'esercizio delle sue funzioni parlamentari. In particolare, che dall'invito a comparire non fosse stato espunto l'avviso relativo all'accompagnamento coattivo ha destato nel deputato una comprensibile irritazione dovuta al fatto che, com'è noto, i provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico dei deputati devono essere previamente autorizzati dalla Camera di appartenenza. In tal senso, si può ritenere che le dichiarazioni mirassero a difendere una sua prerogativa parlamentare.
Peraltro, la circostanza che il deputato Sgarbi fosse direttamente indagato per collusione con la criminalità organizzata lo ha indotto a reagire con fermezza agli occhi dei suoi stessi elettori in un modo diretto e immediato, che certamente deve ritenersi, anche per il luogo della conferenza stampa (è noto, al riguardo, che egli nelle elezioni politiche del 1994 era stato eletto in quota proporzionale nella circoscrizione Calabria), riconducibile alle sue funzioni di parlamentare.
Per il complesso delle ragioni sopra evidenziate, la Giunta - a maggioranza - propone all'Assemblea di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento, relativamente alla conferenza stampa tenuta a Cosenza il 5 novembre 1995, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Ivano LECCISI, relatore.
3. Sulle trasmissioni televisive. Quanto alle dichiarazioni rese dall'onorevole Sgarbi nelle trasmissioni televisive menzionate, in Giunta si sono confrontate due posizioni. Secondo una prima, gli stessi motivi che portano a ritenere insindacabili le dichiarazioni rese nella conferenza stampa tenuta a Cosenza sarebbero validi per ritenere coperti dalla prerogativa dell'insindacabilità le dichiarazioni rese in seguito. Inoltre, secondo questa tesi, le predette dichiarazioni si inseriscono nel contesto della perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo di procedere della magistratura e in particolare nella forte critica politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell'operato di taluni magistrati, critica che in molte precedenti occasioni l'Assemblea ha ritenuto insindacabili ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione (si vedano per esempio - tra i più recenti - i doc. IV-quater nn. 155, 157, 161, 162, 168 e 170 della XIII legislatura). Nel caso specifico, occorre tener presente che la vicenda lo riguardava direttamente.
Secondo l'altra opinione, invece, le modalità e i contenuti delle affermazioni rese nella cospicua serie di apparizioni televisive dell'onorevole Sgarbi a partire dal 6 novembre 1995 e fino al maggio 1997 esorbitano completamente dall'ambito di quelle attività riconducibili all'esercizio del mandato elettivo. Occorre infatti - secondo questa opinione - considerare: a) la progressiva distanza temporale tra il fatto cui pretesamente Sgarbi reagì e le invettive contro la dottoressa Chiaravallotti; b) la sede televisiva delle dichiarazioni, nella quale com'è noto Vittorio Sgarbi adempiva a un obbligo contrattuale di intrattenimento televisivo; c) la radicale sproporzione delle espressioni usate rispetto a un legittimo diritto di critica verso l'altrui operato. A tal proposito vale la pena riportare un passaggio significativo della sentenza di condanna: «Non vi è dubbio che nella specie siano del tutto assenti i profili [del nesso funzionale con il mandato parlamentare]. Risulta infatti che il convenuto (prendendo spunto da un'indagine avviata dalla procura distrettuale antimafia di Catanzaro su pretese collusioni tra ambienti politici e mafiosi a Cosenza e criticando l'avviso di garanzia emesso nei propri confronti dalla stessa procura) [ha parlato] nella conduzione della trasmissione televisiva che porta il suo nome [e] non svolgeva la sua funzione parlamentare neppure sub specie di attività connessa, ma esercitava un'attività professionale di conduttore e opinionista televisivo nell'ambito di un rapporto di lavoro ovvero di un contratto d'opera, retribuiti in forza di intese contrattuali concluse con una parte privata. Le espressioni riferite all'onorevole Sgarbi non appaiono sussumibili nel concetto di opinione così come richiamato all'articolo 68 della Costituzione, norma che tutela la manifestazione di pensiero del parlamentare collegata all'esercizio della sua funzione. La vicenda in esame ha in sostanza connotazioni di esclusiva rilevanza personale, giacché trae origine da avvenimenti per nulla correlati alla funzione parlamentare dell'onorevole Sgarbi, ma relativi alla vita privata dello stesso, in tal guisa dovendosi ritenere l'indagine penale avviata nei suoi confronti dalla procura distrettuale antimafia di Catanzaro e l'avviso di garanzia emesso a suo carico». Tali argomentazioni sono, secondo questa tesi, completamente condivisibili. Occorre considerare inoltre che gli addebiti mossi da Sgarbi a Caterina Chiaravallotti sono stati ritenuti infondati dal CSM, chiamato a pronunciarsi in sede disciplinare.
Messa in votazione, la proposta che recepiva la prima delle tesi esposte è stata respinta a parità di voti. La Giunta pertanto ha deliberato nel senso che i fatti per i quali è in corso il procedimento relativamente alle trasmissioni televisive non concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
Pierluigi MANTINI, relatore.
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