VIII Commissione - Resoconto di giovedì 23 febbraio 2006


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ATTI DEL GOVERNO

Giovedì 23 febbraio 2006. - Presidenza del presidente Pietro ARMANI. - Interviene il sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Silvano Moffa.

La seduta comincia alle 14.15.

Schema di regolamento recante riordino del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Atto n. 603.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 15 febbraio 2006.

Pietro ARMANI, presidente, comunica che non è stato ancora acquisito il parere espresso dal Consiglio di Stato, che risulta pregiudiziale per la conclusione dell'esame dello schema di regolamento e, dunque, per l'espressione del parere di competenza della Commissione. Al riguardo, intende manifestare forti perplessità a nome dell'intera Commissione, atteso che risulta che la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato abbia già svolto l'esame del provvedimento nell'Adunanza generale dello scorso 8 febbraio, rendendo il prescritto parere. Per tali motivi, giudica quanto meno anomalo che il Parlamento non sia posto nelle condizioni di concludere - per giunta a Camere sciolte - il proprio esame istruttorio, a causa di un ritardo nell'ottemperare ad adempimenti che sembrerebbero avere natura meramente burocratica.
Rappresenta, pertanto, al Governo l'esigenza di attivarsi prontamente per risolvere la situazione segnalata, assumendo un preciso impegno affinché la Commissione possa disporre dei necessari elementi istruttori entro la seduta già prevista per il prossimo 1o marzo, considerato che tale seduta - secondo quanto già concordato nell'ambito dell'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi - dovrebbe rappresentare l'ultimo impegno ufficiale della Commissione per la corrente legislatura. Fa presente, peraltro, che, venendo in scadenza il 2 marzo 2006 il termine per l'espressione del parere parlamentare ed essendo stato il provvedimento assegnato «con riserva» da parte del Presidente della Camera, la mancata trasmissione del parere del Consiglio di Stato, organo di ben nota rilevanza costituzionale, comporterebbe uno slittamento dello stesso termine del parere parlamentare, costringendo - di fatto - il Governo ad un inopportuno prolungamento dei


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termini per la conclusione dell'iter di approvazione dello schema di regolamento.

Il sottosegretario Silvano MOFFA, nel prendere atto di quanto rilevato dal Presidente, assicura che si attiverà affinché il prescritto parere del Consiglio di Stato possa essere trasmesso al più presto alle Camere.

Pietro ARMANI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.
Atto n. 606.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame, rinviato il 22 febbraio 2006.

Fabrizio VIGNI (DS-U), prima di svolgere considerazioni di merito, intende richiamare talune questioni concernenti la legittimità del provvedimento e il metodo seguito nella sua elaborazione, questioni peraltro già evidenziate nella seduta di ieri, nella quale sembrerebbe anche doversi rilevare, con un certo stupore, che il relatore abbia sostanzialmente attribuito al Consiglio di Stato il compito di spiegare che, in realtà, la Commissione non ha correttamente interpretato il senso della delega conferita al Governo. Ritiene, dunque, opportuno tornare a sottolineare che il provvedimento in esame è evidentemente viziato da un «clamoroso» eccesso di delega. Non si può, infatti, ignorare quanto accaduto nel corso dell'esame del disegno di legge comunitaria 2004, quando il Ministro delle politiche comunitarie Buttiglione escluse categoricamente che dall'attuazione delle direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004 potesse derivare una riscrittura integrale della normativa sui lavori pubblici. Fa presente che le parole del ministro Buttiglione non possono essere oggetto di fraintendimenti e che anche le richieste di chiarimento sottoposte al Ministro in quella occasione, da parte dei deputati della Commissione, erano state correttamente poste. Ciò premesso, osserva che lo schema di decreto legislativo è stato approvato evidentemente in assenza di approfondimenti preliminari, sia in sede parlamentare, sia con il mondo produttivo e sociale. L'assenza di tale confronto è tanto più sconcertante, se si pensa che nella precedente legislatura il Parlamento dedicò oltre cinquanta sedute all'esame della cosiddetta «Merloni bis». Sottolinea, invece, che la Commissione si trova ora ad esaminare un testo corposo, che avrà un impatto rilevante sul quadro normativo vigente in materia di lavori pubblici, nell'impossibilità di procedere ai necessari approfondimenti e in assenza di un confronto con gli operatori del settore, considerati i ristrettissimi margini di tempo a disposizione e l'avvenuto scioglimento delle Camere.
Ricordato che anche i gruppi di opposizione non avevano manifestato un veto pregiudiziale a una modifica della legge Merloni, seppur attraverso la conservazione di taluni istituti in essa contenuti, precisa che è inaccettabile la modalità con cui la Commissione è chiamata ad esprimere un parere sul testo in esame. Nel segnalare la posizione di dissenso espressa dalle regioni, fa presente che lo stesso Consiglio di Stato ha evidenziato talune criticità, proprio con riferimento al rapporto tra lo Stato e le regioni. Osservato che la delicatezza della materia dei lavori pubblici e la tutela della concorrenza esigono norme omogenee a livello nazionale, giudica inopportuna evitare una rottura tra Stato e regioni in ordine al provvedimento, in quanto sarebbe pregiudizialmente compromessa l'applicazione della nuova disciplina e la sua uniformità. Segnala che analoghe preoccupazioni sono state espresse anche da talune associazioni di categoria, che in un loro documento hanno prospettato il rischio di una paralisi del settore, posto che verrebbe «scaraventato» sulle stazioni appaltanti e sugli operatori un corpus di norme estremamente complesse, che entrerebbero in vigore immediatamente. A ciò devono aggiungersi


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gli effetti negativi derivanti da una riduzione degli stanziamenti pubblici concernenti gli appalti di lavori, conseguenti a un taglio di circa il trenta per cento delle risorse nelle ultime due leggi finanziarie. Alla luce della situazione precedentemente evidenziata, considerato che non può reputarsi infondato l'allarme concernente il rischio di una paralisi del settore, rileva l'opportunità che il Governo si limiti, per il momento, a recepire le direttive comunitarie, nel rispetto della delega conferita dal Parlamento, predisponendo eventualmente in seguito un testo unico recante la revisione della disciplina vigente: solo così si eviterebbero passaggi affrettati e avventati.
Per quanto concerne il merito del provvedimento, reputa indispensabile segnalare al relatore talune questioni, che devono essere oggetto di attenta valutazione. Si tratta, in primo luogo, della questione dell'avvalimento, un istituto previsto nelle direttive comunitarie, ma che il testo provvede meccanicamente a trasporre nell'ordinamento nazionale, senza alcuna valutazione delle probabili conseguenze. L'accoglimento dell'avvalimento nella normativa italiana, di cui all'articolo 49 del testo, rischia infatti di tradursi in una forzatura a discapito del sistema di qualificazione delle imprese, che potrebbe risultare depotenziato. Su questo aspetto esprime, pertanto, forti perplessità e si augura che il relatore possa richiamare il Governo a una riflessione sulle modalità di recepimento di tale istituto nella normativa italiana. Fa presente, poi, che lo schema di decreto legislativo prevede un ricorso generalizzato all'appalto integrato, che dovrebbe costituire invece una forma eccezionale di affidamento della progettazione dei lavori; nel ricordare che la disciplina di tale istituto non è riconducibile al recepimento della normativa comunitaria, reputa utile che l'operatività sia limitata a opere complesse e di elevato contenuto tecnologico, rischiandosi altrimenti di far saltare la distinzione tra progettazione ed esecuzione delle opere, che ha sempre rappresentato una principio-cardine nella legge n. 109 del 1994. La generalizzazione dell'appalto integrato potrebbe, inoltre, conferire eccessiva discrezionalità alle amministrazioni aggiudicatrici. Analoghe considerazioni valgono per quanto concerne la trattativa privata: anche in questo caso, la mera trasposizione nell'ordinamento nazionale consente eccessiva discrezionalità e appare, pertanto, opportuno definire limiti al ricorso a questo istituto. Per quanto riguarda il dialogo competitivo, che pure è previsto nella direttiva comunitaria, evidenzia le differenze tra la disciplina europea e l'articolo 58 del testo, atteso che si prevede che il perfezionamento delle offerte avvenga non solo sulla base dei criteri stabiliti nel bando di gara, ma anche su quelli contenuti in un imprecisato «documento descrittivo». Ne deriverebbero, di conseguenza, effetti di alterazione e discriminazione nei meccanismi concorrenziali, nonché una violazione dei principi di trasparenza nel mercato. Rilevato che gli aspetti di merito evidenziati rappresentano questioni critiche dirimenti, in ordine alle quali si richiede un ripensamento da parte del Governo, segnala la presenza nel testo di altre disposizioni, che suscitano perplessità: fa riferimento, in particolare all'innalzamento eccessivo delle soglie per il conferimento di incarichi di progettazione in assenza di un bando di gara.
Ribadito, in conclusione, che i gruppi di opposizione ritengono lo schema di decreto legislativo illegittimo per eccesso di delega, reputerebbe quindi opportuno il ritiro del provvedimento da parte del Governo e la ripresentazione di un nuovo provvedimento, limitato allo stretto recepimento della normativa comunitaria. Richiama, comunque, il relatore a una considerazione attenta degli aspetti di merito precedentemente segnalati, affinché il testo in esame possa essere almeno migliorato.

Francesco STRADELLA (FI), relatore, intervenendo in relazione alle considerazioni svolte dal deputato Vigni, intende confermare quanto rilevato nella seduta di ieri, precisando che il senso delle sue dichiarazioni era quello di affermare che


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il parere espresso dal Consiglio di Stato esclude, in sostanza, che il provvedimento in esame, sotto il profilo strettamente giuridico-normativo, sia stato emanato in eccesso di delega. Ritiene, peraltro, che si debbano separare gli aspetti politici relativi al metodo seguito dal Governo rispetto alle questioni che investono la sua legittimità giuridica, sulle quali il Consiglio di Stato ha fornito un contributo di chiarezza, di cui la Commissione deve tenere conto. Ciò posto, si dichiara convinto che lo schema di decreto legislativo, anche in ragione degli impegni politici assunti in Parlamento, avrebbe richiesto un maggiore approfondimento in tempi adeguati, considerata l'importanza di tale testo per il settore degli appalti e dei lavori pubblici. Nel ricordare, peraltro, che anche i gruppi di opposizione hanno opportunamente riconosciuto la necessità di apportare modificazioni alla legge Merloni, seppur con i dovuti distinguo, si dichiara disponibile a valutare ed eventualmente recepire le osservazioni emerse nel corso del dibattito, allo scopo di migliorare il testo.

Fabrizio VIGNI (DS-U), intervenendo per una ulteriore precisazione, evidenzia che anche la pronuncia del Consiglio di Stato ha segnalato profili di illegittimità per eccesso di delega in ordine ad alcune disposizioni, sebbene non abbia contestato l'impianto complessivo del testo. Giudica innegabile, tuttavia, che - quanto meno sotto il profilo dei rapporti tra legislatore delegante e legislatore delegato - il provvedimento in esame rimanga palesemente viziato alla radice da un eccesso di delega.

Pietro ARMANI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.45.