II Commissione - Mercoledì 15 febbraio 2006


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ALLEGATO 1

Schema di decreto legislativo recante disciplina dell'impresa sociale. (Atto n. 593)

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo concernente disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118 (Atto n. 593);
sottolineata l'esigenza, anche a fronte dei dubbi sollevati nel proprio parere dalla Conferenza unificata Stato-Regioni, di specificare all'articolo 1 che possono assumere la qualifica di impresa sociale anche le società, per cui appare opportuno eliminare la precisazione che debbano essere senza scopo di lucro le organizzazioni private che possono acquisire la qualifica di impresa sociale;
osservato che, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 460 del 1997, gli enti che vogliano acquisire la qualifica di ONLUS debbano prevedere, nei propri atti costitutivi, anche l'obbligo di devolvere il patrimonio dell'organizzazione, in caso di suo scioglimento, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità;
rilevato che la predetta disposizione, al fine di evitare sue elusioni, è stata spesso interpretata in maniera rigorosa, estendendo il contenuto dell'obbligo di devoluzione del patrimonio previsto nel caso di scioglimento della ONLUS anche, ad esempio, alla ipotesi di trasferimento a titolo gratuito di beni da parte di ONLUS;
ritenuto che sia opportuno precisare che l'obbligo di devoluzione del patrimonio da parte di una ONLUS, previsto dall'articolo 10, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 460 del 1997, sia rispettato anche quando il beneficiario sia una organizzazione che esercita una impresa sociale, in quanto questa esprime la medesima vocazione degli enti per i quali tale disposizione acconsente il trasferimento di beni a titolo gratuito;

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con le seguenti condizioni:
all'articolo 1, comma 1, sostituire le parole: «senza scopo di lucro» con le seguenti: «, ivi compresi gli enti di cui al Libro V del codice civile,»;
all'articolo 17, dopo il comma 1, aggiungere il seguente: «1-bis. L'articolo 10, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, si interpreta nel senso che l'obbligo di devoluzione del patrimonio a fini di pubblica utilità si intende rispettato anche qualora il beneficiario sia una organizzazione che esercita una impresa sociale.


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PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE

La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo concernente disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118 (Atto n. 593);
tenuto conto delle forti perplessità espresse dai rappresentanti di CGIL, CISL e UIL in ordine al contenuto dello schema di decreto;
rilevato che per le questioni specifiche riguardanti:
a) le politiche sociali,
Art. 1 - Lo schema di decreto introduce la figura dell'impresa sociale senza però stabilire quale sia il regime che ad essa si applicherà o di cui essa beneficerà; in particolare non si affronta il tema delle modifiche che sarebbero necessarie al Codice Civile per permettere anche alle società di capitali di assumere la qualifica di imprese sociali (questione prevista dalla stessa legge delega 118);
Art. 2, comma 1 - poco chiaro è il riferimento tra gli interventi di «utilità sociale» il riferimento ai «servizi strumentali alle imprese sociali» trattandosi di una definizione generica e di difficile applicazione;
Art. 2, comma 2 - L'aggiornamento delle categorie delle persone svantaggiate con riferimento alla normativa comunitaria, così come indicato nel comma medesimo, amplia in modo eccessivo tali fattispecie. In particolare, ci si riferisce all'ampliamento di cui alla lettera f) punto I (qualsiasi giovane che abbia meno di 25 anni o che abbia completato la formazione a tempo pieno da non più di 2 anni e che non abbia ancora ottenuto il primo impiego retribuito regolarmente). Una simile estensione, potrebbe avvenire a discapito delle reali categorie con più necessità di sostegno ed assistenza, e comporterebbe il venir meno della mission specifica dell'impresa sociale caratterizzata proprio per la finalità dell'inserimento lavorativo dei soggetti più deboli del mercato del lavoro. Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere una percentuale massima con cui limitare la presenza ditali lavoratori, applicando un trattamento di maggior favore per le categorie più svantaggiate. Manca, inoltre, qualsiasi riferimento nella norma in questione alla verifica del permanere della quota del 30 per cento di tali lavoratori o perlomeno un riferimento a forme di controllo esterno.
Poiché gli ambiti di attività dell'impresa sociale così come declinati al comma 1 dell'articolo 2 sono molteplici e vari, la natura stessa dell'impresa sociale, che è senza scopo di lucro, implicherebbe, rispetto ai divieti di cui all'articolo 3, comma 2, lettera a) che essi siano assoluti. Di conseguenza, il divieto di corrispondere agli amministratori, al personale subordinato e autonomo, compensi superiori a quelli previsti dalle imprese che operano nei medesimi settori, non può essere derogato se non con riferimento ai casi disciplinati con leggi specifiche. Pertanto si propone di eliminare la seconda parte del comma da «salvo comprovate...a venti per cento», sostituendo, dopo «...analoghi settori e condizioni...» con «fatti salvi i casi disciplinati da leggi specifiche». Altrimenti la norma sembrerebbe prevedere una situazione di maggior favore per tali amministratori.
Articoli 11 e 16 - In generale il regime dei controlli non è chiaro, fatte salve le funzioni previste all'articolo 11 per i sindaci. Dovrebbero ipotizzarsi, infatti, controlli periodici (per esempio annuali) come per le revisioni delle cooperative sociali. La parte dei controlli risulta carente, né pare sufficiente, ai fini del controllo, la funzione di monitoraggio di cui all'articolo


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16, che riveste carattere di eventualità e non di obbligatorietà.
Art. 13, comma 3 - è necessario risolvere l'incongruenza tra la possibilità concessa alle cooperative che siano anche imprese sociali di devolvere il proprio patrimonio nelle modalità previste dal presente decreto (altre Onlus, associazioni, Comitati, Fondazioni ed enti ecclesiastici) e i vincoli posti dall'attuale normativa sulle cooperative sociali che obbliga alla devoluzione al solo fondo mutualistico; ci sarebbe una disparità di trattamento Ira cooperative sociali ché abbiano scelto di diventare imprese sociali e cooperative sociali che non abbiano scelto in tal senso;
Art. 14, comma 2 - appare esagerata l'ammissibilità di prestazioni di attività di volontariato nei limiti del 50 per cento dei lavoratori a qualunque titolo impiegati nell'impresa sociale;
Art. 17, comma 3 - Il comma prevede la possibilità per le cooperative sociali di diventare imprese sociali. La norma in questione sembra avere come conseguenza la discriminazione delle cooperative sociali rispetto alle altre imprese sociali sia nel caso che la cooperativa sociale resti tale, sia nel caso che essa diventi impresa sociale. Infatti, mantenendo la natura giuridica di cooperativa sociale, in ogni caso le stesse restano soggette alla disciplina della legge n. 381 del 1991, che pone vincoli molto maggiori di quelli previsti dallo schema di decreto proposto. Inoltre, non risultano chiari i vantaggi nel rimanere cooperativa sociale «tout court». Inoltre, vi è il rischio di vanificare e disperdere un'esperienza e un patrimonio di imprese come quello delle cooperative sociali, da più di vent'anni operanti nel paese, con notevole patrimonio di esperienza e un grande numero di occupati. Si propone, di conseguenza una rivisitazione complessiva dell'articolo 17, comma 3.
b) la formazione,
Nella parte introduttiva della relazione illustrativa dello schema di decreto attuativo della legge 13 giugno 2005, n. 118, recante «Delega al Governo concernente la disciplina dell'impresa sociale» si palesa la necessità di adottare una normativa che «possa tutelare anche i destinatari delle attività ed i creditori, attraverso l'obbligo di procedure organizzative e gestionali, e, più in generale, di comportamenti propri degli imprenditori commerciali» in ambiti in cui è massiccia la presenza del terzo settore. Ed è nell'articolo 2 di questo schema di decreto che l'istruzione e la formazione compaiono tra l'elenco di materie di particolare rilievo sociale all'interno dei settori nei quali è più massiccia la presenza di operatori del terzo settore. In particolar modo al punto d) del citato articolo 2 si fa riferimento all'educazione, istruzione e formazione con un rimando alla legge del 28 marzo 2003 n. 53, con un chiaro legame quindi alla formazione in diritto-dovere, mentre ai punti h), i) e l) vengono citate rispettivamente la formazione universitaria e postuniversitaria, la ricerca e l'erogazione di servizi culturali in genere ed infine la formazione extra scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo.
Rimanendo nella logica di una normativa volta a tutelare i destinatari delle attività, bisogna mettere in rilievo come all'interno dello schema di decreto in oggetto manchi un qualsiasi riferimento alle procedure di accreditamento regionali che nascono con il precipuo compito di tutelare, tra l'altro, i fruitori dei sevizi di formazione e istruzione sui singoli territori regionali.
Appare quindi opportuno inserire tale riferimento all'interno dello schema di decreto vista la posizione non trascurabile che le imprese sociali ricoprono all'interno del panorama educativo-formativo.
c) il lavoro,
Art. 2, comma 2 - Per ciò che concerne l'inserimento lavorativo di disabili lo schema di provvedimento proposto dovrebbe opportunamente prevedere un raccordo con la disciplina della legge n. 68 del 1999, in un'ottica di tutela del lavoro dei disabili. Essa infatti ha come finalità la


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promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa delle persone disabili come disciplinato dall'articolo 1, comma 1 della legge stessa. In particolare, occorrerebbe inserire nell'ambito del dettato normativo una indicazione relativa alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, alla tipologia contrattuale di inserimento e alle eventuali azioni di accompagnamento all'inserimento lavorativo da predisporre a carico dell'impresa sociale. Peraltro, il riferimento normativo alla legge n. 68 del 1999 andrebbe richiamato nella premessa.
Art. 2, comma 2 - La formulazione dell'articolo, nel richiamare la qualifica sociale dell'impresa, espressa per le finalità di inserimento al lavoro di soggetti disabili e svantaggiati, pone un problema di raccordo con la disciplina contenuta nell'articolo 13 del decreto legislativo n. 276 del 2003, laddove viene consentito alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, di operare in deroga al regime generale in caso di inserimento lavorativo per disabili e svantaggiate. Non appare chiaro, infatti, se sia contemplata la possibilità per le imprese sociali che svolgono attività di inserimento lavorativo per disabili e svantaggiati di acquisire l'autorizzazione ministeriale a svolgere attività di somministrazione di lavoro.
Art. 2, comma 4 - Il comma individua la necessità da parte delle imprese sociali di disporre, per l'impiego del 30 per cento dei lavoratori disabili e svantaggiati, di una idonea documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione che attesti la relativa situazione. In tal caso la formulazione dovrebbe in primo luogo chiarire la tipologia di documentazione richiesta, poiché in caso di accertamenti sanitari, relativamente alle persone con disabilità, occorrerebbe prevedere un riferimento alle, commissioni di cui all'articolo 4 della legge n. 104 del 1992, mentre, nel caso di accertamenti relativi alle condizioni di svantaggio, occorrerebbe evidenziare quali strutture della pubblica amministrazione debbano essere coinvolte e con quali modalità.
d) le attività produttive,
Per quanto riguarda l'incidenza del provvedimento sulle tematiche riguardanti le attività produttive, si propone di integrare all'articolo 2 l'elenco delle fattispecie tipiche di impresa sociale con un ulteriore lettera: «commercio equo e solidale di beni, certificato da parte delle associazioni maggiormente rappresentative dei soggetti operanti nel settore oppure scritte in registri previsti dalla legislazione regionale in materia». Peraltro, a tal riguardo, si segnala l'intervento normativo di diverse Regioni sul tema.

esprime

PARERE CONTRARIO

Finocchiaro, Lucidi, Mantini.


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ALLEGATO 2

Schema di decreto legislativo recante disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (Atto n. 601)

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare;

esprime

PARERE FAVOREVOLE

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE

La Commissione Giustizia,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare;
ritenuto che l'attuale comma 3 dell'articolo 7 dello schema di decreto legislativo debba essere modificato nel senso proposto, in quanto il principio di non applicazione dell'articolo 2 va esteso anche ad altri settori oltre a quello vitivinicolo che sono già regolamentati a livello comunitario e nazionale con specifiche discipline precettive e sanzionatorie, quali quelli relativi ai prodotti DOP e IGP, alle carni bovine, all'ortofrutta ed al miele;

esprime

PARERE FAVOREVOLE

con la seguente condizione:
il comma 3 dell'articolo 7 sia così modificato «3. Le disposizioni dell'articolo 2 non si applicano al settore vitivinicolo disciplinato dal Reg. (CE) 1493/99 del 17 maggio 1999, ai prodotti DOP e IGP disciplinati dal Reg. (CEE) 2081/92 del 14 luglio 1992, al settore delle carni bovine disciplinato dal Reg. (CE) 1760/2000 del 17 luglio 2000, al settore ortofrutta disciplinato dal Reg. (CE) 2200/96 del 28 ottobre 1996, nonchè al settore del miele disciplinato dal decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 179».
Bellotti.