Martedì 21 giugno 2005. - Presidenza del presidente Giacomo STUCCHI indi del vicepresidente Domenico BOVA.
La seduta comincia alle 14.
Giacomo STUCCHI, presidente, avverte che il deputato Riccardo Conti ha rappresentato l'impossibilità a partecipare alla seduta odierna. L'inizio dell'esame dello schema di decreto legislativo n. 488, quindi, avrà luogo, se non vi sono obiezioni, in una seduta da convocare al termine della seduta pomeridiana dell'Assemblea.
La Commissione concorda.
Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2002/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 giugno 2002, relativa alle
prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (vibrazioni).
Atto n. 491.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).
La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.
Giorgio CONTE (AN), relatore, ricorda che lo schema di decreto legislativo in esame, adottato in base alla delega contenuta nell'articolo 1 della legge n. 306 del 2003, legge comunitaria 2003, dà attuazione alla direttiva 2002/44/CE che stabilisce le prescrizioni minime in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che derivano, o possono derivare, dall'esposizione a vibrazioni meccaniche. La disciplina introdotta dal provvedimento in esame si pone pertanto quale specificazione ed integrazione degli adempimenti - in particolare di valutazione e di prevenzione di un rischio specifico e di relativa sorveglianza sanitaria - a cui i datori di lavoro sono già tenuti in base al decreto legislativo n. 626 del 1994, e successive modificazioni, oltre che, in parte, sulla base delle disposizioni di cui all'articolo 24 del decreto del Presidente della repubblica n. 303 del 1956.
Precisa che lo schema di decreto all'articolo 1 distingue tra vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio e vibrazioni trasmesse al corpo intero e obbliga il datore di lavoro ad effettuare una valutazione o misurazione dei livelli di vibrazioni meccaniche, all'articolo 4. Tenendo conto di tale distinzione, si fissa inoltre un valore limite di esposizione giornaliero e un valore d'azione giornaliero all'articolo 2, superato il quale il datore di lavoro è tenuto ad elaborare un programma di misure tecniche o organizzative per ridurre al minimo l'esposizione e i rischi, secondo quanto previsto dall'articolo 5, comma 2; si dispone inoltre che il datore è tenuto ad eliminare i rischi alla fonte o a ridurli al minimo e, in ogni caso, a livelli non superiori ai valori limite di esposizione, in base al disposto di cui all'articolo 5, comma 1; se, nonostante le misure adottate, il valore limite di esposizione viene superato, il successivo comma 3 del medesimo articolo prevede che il datore di lavoro deve prendere immediatamente le misure necessarie per riportare l'esposizione al disotto di tale valore. L'articolo 6 prevede ancora che i lavoratori esposti ai rischi in questione ricevano una adeguata informazione e formazione e una idonea sorveglianza sanitaria, in base al disposto degli articoli 7 e 8. Aggiunge che sono previste inoltre deroghe per i settori della navigazione marittima e aerea e nel caso di attività lavorative in cui l'esposizione alle vibrazioni meccaniche è abitualmente inferiore ai valori d'azione, ai sensi dell'articolo 9. L'articolo 12 dispone quindi sanzioni penali per la violazione di alcuni degli obblighi prescritti.
Sotto il profilo della compatibilità comunitaria, osserva che il provvedimento in esame recepisce la sedicesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della «direttiva-madre» n. 89/391/CEE. È volto a prevedere una specifica tutela per il rischio da esposizione a vibrazioni, che vada ad integrare la disciplina più generale di cui alla «direttiva madre», contenuta nel decreto legislativo n. 626 del 1994. Rileva, in particolare, che all'articolo 5 dello schema in esame non è peraltro espressamente indicato quanto previsto dall'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva il quale afferma che, in ogni caso, i lavoratori non sono esposti a valori superiori al valore limite di esposizione e dall'articolo 5, paragrafo 4, sull'obbligo per il datore di lavoro di adattare le misure di prevenzione e protezione alle esigenze dei lavoratori a rischio particolarmente esposti. L'articolo 7, comma 2, dello schema prevede inoltre che, ove sia accertata l'esistenza di anomalie imputabili ad esposizione a vibrazioni, il medico competente ne informa il datore di lavoro. La normativa comunitaria prevede invece all'articolo 8, paragrafo 3 che la comunicazione di eventuali anomalie debba essere fatta preliminarmente al lavoratore, mentre il datore di lavoro viene informato di
tutti i dati significativi emersi dalla sorveglianza sanitaria, tenendo conto del segreto medico. Lo stesso articolo 8 della direttiva prevede inoltre - previsione non presente nello schema in esame - che, se richiesto, copia della documentazione sanitaria possa essere fornita alle autorità competenti ed al lavoratore interessato.
Ricorda, inoltre, che la direttiva 2002/44/CE costituisce uno stralcio della proposta di direttiva COM(1992)560, presentata nel 1992, che prevedeva la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori rispetto a quattro tipi di agenti fisici: rumore, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici e radiazioni ottiche. Sottolinea che seguendo l'impostazione che consiste nel trattare un solo aspetto alla volta della proposta della Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato mediante ulteriori stralci di disposizioni recate nella medesima proposta la direttiva 2002/44/CE sulle vibrazioni, la direttiva 2003/10/CE sul rumore e la direttiva 2004/40/CE sui campi elettromagnetici. Evidenzia che è in corso di esame, secondo la procedura di codecisione, una proposta modificata di direttiva relativa all'ultimo agente fisico previsto dalla proposta originaria, le radiazioni ottiche, sulla quale il Consiglio ha adottato la posizione comune all'unanimità in prima lettura, il 18 aprile 2005; ricorda che la Commissione ha espresso parere favorevole sulla posizione comune, con la comunicazione COM(2005)189 presentata il 4 maggio 2005.
Segnala, inoltre, che il disegno di legge comunitaria 2005, in corso di approvazione da questo ramo del Parlamento, prevede tra le direttive dell'allegato B - cioè tra le direttive da attuare con decreto legislativo previo parere delle competenti Commissioni parlamentari - la direttiva 2004/40/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici, diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE.
Si riserva di presentare quindi una proposta di parere nel prosieguo dell'esame.
Rosella OTTONE (DS-U) segnala alcuni punti controversi in cui lo schema di decreto le sembra distaccarsi dalle previsioni della citata direttiva. Si riferisce, in particolare, all'articolo 5 dello schema in esame dove non viene espressamente indicato quanto previsto dall'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva il quale afferma che, in ogni caso, i lavoratori non sono esposti a valori superiori al valore limite di esposizione e dall'articolo 5, paragrafo 4, sull'obbligo per il datore di lavoro di adattare le misure di prevenzione e protezione alle esigenze dei lavoratori a rischio particolarmente esposti.
Fa riferimento quindi all'articolo 7, comma 2, dello schema che prevede che, ove sia accertata l'esistenza di anomalie imputabili ad esposizione a vibrazioni, il medico competente ne informa il datore di lavoro. La normativa comunitaria prevede invece, all'articolo 8, paragrafo 3, che la comunicazione di eventuali anomalie debba essere fatta preliminarmente al lavoratore, mentre il datore di lavoro viene informato di tutti i dati significativi emersi dalla sorveglianza sanitaria, tenendo conto del segreto medico. Inoltre, lo stesso articolo 8 della direttiva prevede, con una indicazione non presente nello schema, che, se richiesto, copia della documentazione sanitaria possa essere fornita alle autorità competenti ed al lavoratore interessato.
Auspica quindi che le considerazioni da lei espresse possano essere recepite dal relatore.
Giacomo STUCCHI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame dello schema di decreto legislativo in titolo ad altra seduta.
Giacomo STUCCHI, presidente, in attesa dell'arrivo del collega Di Teodoro, relatore
sull'atto 490, propone di sospendere la seduta in sede di atti del Governo per passare al successivo punto all'ordine del giorno.
La Commissione concorda.
La seduta, sospesa alle 14.15, è ripresa alle 14.30.
Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori.
Atto n. 490.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).
La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.
Andrea DI TEODORO (FI), relatore, ricorda che lo schema di decreto in esame dà attuazione alla direttiva 2001/86/CE dell'8 ottobre 2001, che completa lo Statuto della società per azioni europea (SE), per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. Ricorda poi che il Regolamento introduce negli ordinamenti dei 25 Stati membri dell'Unione europea una nuova forma di società per azioni a cui potranno far ricorso, a determinate condizioni, le imprese europee di medie e grandi dimensioni. Pertanto le disposizioni della direttiva e quindi dello schema in esame integrano il predetto Regolamento per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori ai processi decisionali per la costituzione, la gestione e il funzionamento delle SE, al fine di garantire che la costituzione di una SE non comporti la scomparsa o la riduzione delle prassi del coinvolgimento dei lavoratori esistenti nelle società partecipanti.
Osserva quindi che il provvedimento in esame disciplina sia l'informazione che la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori in merito a questioni che riguardano la SE, le sue affiliate o dipendenze, riprendendo essenzialmente le disposizioni già previste per il Comitato aziendale europeo. La sostanziale novità del provvedimento in oggetto, tuttavia, risiede nella partecipazione dei lavoratori: tale partecipazione, infatti, non si riferisce a generiche relazioni di lavoro collaborative, ma concerne l'influenza che i lavoratori possono esercitare sulle decisioni d'impresa attraverso la presenza di rappresentanti dei lavoratori stessi negli organi societari.
Precisa quindi che, allo scopo di raggiungere un accordo sulle modalità del coinvolgimento dei lavoratori nella SE, vengono instaurati negoziati tra gli organi di direzione e di amministrazione delle società partecipanti e una delegazione speciale di negoziazione, cosiddetta DSN, composta da lavoratori eletti o nominati direttamente all'interno delle singole strutture nazionali. La DSN decide a maggioranza assoluta dei suoi membri, purché tale maggioranza rappresenti anche la maggioranza assoluta dei lavoratori delle imprese. Sottolinea quindi che a tal fine il provvedimento disciplina il contenuto dell'accordo, che viene lasciato sostanzialmente alla libera determinazione delle parti, con alcune limitazioni. In particolare nel caso di SE costituita mediante trasformazione si prevede che il coinvolgimento dei lavoratori sia di livello quantomeno identico a quello che esisteva nella società da trasformare in SE. Pertanto, le parti potranno decidere di applicare alternativamente: una forma di coinvolgimento che attribuisce ai rappresentanti dei lavoratori diritti di informazione e consultazione; una forma di coinvolgimento che prevede anche il diritto di partecipazione alla nomina di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari. Le parti, inoltre, determinano in concreto la natura e il livello di tali diritti; la durata dei negoziati, stabilita in sei mesi prorogabili ad un anno su comune accordo delle parti; la legge applicabile alla procedura di negoziazione, individuata in quella dello Stato membro in cui è situata la sede sociale dell'istituenda società; le disposizioni sul coinvolgimento dei lavoratori che devono applicarsi nel caso in cui le parti
non abbiano raggiunto un accordo entro il termine previsto. A tal fine il provvedimento, in adempimento di quanto prevede la direttiva, presenta in allegato disposizioni sul coinvolgimento che si applicano in via subordinata, al fine di garantire in ogni caso una disciplina adeguata per il coinvolgimento dei lavoratori. Le disposizioni sulla partecipazione si applicano esclusivamente in alcuni casi, in modo da tutelare i diritti acquisiti dei lavoratori.
Sottolinea quindi che il provvedimento dispone all'articolo 8, inoltre, in merito all'obbligo del segreto sulle notizie riservate acquisite dai rappresentanti dei lavoratori durante la negoziazione o le procedure di informazione e consultazione, prevedendo anche le modalità di soluzione di eventuali controversie e l'applicazione, nel caso di violazioni o inadempimenti, di sanzioni amministrative pecuniarie, di cui all'articolo 12.
Relativamente ai profili della compatibilità comunitaria, segnala che la direttiva 2001/86/CE attribuisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nel recepimento nell'ordinamento interno, in primo luogo per quanto riguarda le modalità del coinvolgimento dei lavoratori, ma anche in altri punti dell'articolato. Sottolinea che all'articolo 2, lettera k), il legislatore nazionale non ha esercitato la possibilità di poter precisare le modalità di partecipazione mediante influenza nella composizione degli organi amministrativi della società. Difatti lo schema traspone sostanzialmente alla lettera il contenuto del corrispondente punto della direttiva; invece il legislatore nazionale potrebbe precisare le modalità di partecipazione, in primo luogo optando per una o l'altra delle forme di partecipazione, di cui ai punti 1 e 2. Inoltre, con riguardo al punto 2, osserva che si potrebbe precisare il livello del diritto di raccomandare la designazione, eventualmente limitandola ad alcuni dei membri.
Rileva poi che all'articolo 3, per quanto attiene alle modalità di elezione o di designazione dei membri «nazionali», il testo non sembra indicare una disciplina a regime. Peraltro non appare rispettata la previsione dell'articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/86/CE, secondo cui gli Stati membri, nello stabilire le modalità di elezione o designazione, debbano prendere le misure necessarie affinché, nella misura del possibile, tali membri ne comprendano almeno uno che rappresenti ciascuna società partecipante che ha lavoratori nello Stato membro interessato. Aggiunge che l'articolo 3, comma 11, e l'articolo 4, comma 2, lettera e), nel definire le spese destinate al funzionamento della DSN e dell'organo di rappresentanza, che sono sostenute dalle società partecipanti, prevede che, salvo non sia diversamente convenuto, le società partecipanti sostengano le spese di cui all'Allegato I, parte seconda, paragrafo 1, lettera i), mentre la direttiva non prevede una disposizione di tale contenuto. Sottolinea che il riferimento riguarda le spese relative all'informazione dei rappresentanti dei lavoratori della SE e delle sue affiliate o dipendenze riguardo al contenuto e ai risultati della procedura di informazione e consultazione. Ricorda ancora che all'articolo 6, la previsione secondo cui la SE registrata in Italia ha l'obbligo di far coincidere l'ubicazione dell'amministrazione centrale con quella della sede sociale, riprende una disposizione dell'articolo 7 del Regolamento.
Osserva poi che all'articolo 7, per quanto riguarda le disposizioni di riferimento, lo schema di decreto in esame non si avvale della possibilità di non applicare le disposizioni di riferimento di cui alla parte terza dell'Allegato, alle SE costituite mediante fusione, cosiddetta clausola opting out. All'articolo 8, si prevede che il divieto di mantenere il segreto permane per un periodo di tre anni successivo alla scadenza del mandato, mentre il corrispondente articolo della direttiva non quantifica un termine per il divieto, specificando che tale obbligo sussiste anche al termine del mandato dei soggetti richiamati, a prescindere dal luogo in cui si trovino. Sempre all'articolo 8, non si prevede che l'esonero dalla comunicazione di notizie riservate debba essere preceduto da un'autorizzazione amministrativa o
giudiziaria, mentre la previsione di una procedura di conciliazione, con la costituzione di una commissione tecnica nel caso di dissenso, si discosta dall'indicazione della direttiva, che prevede invece, procedure amministrative o giudiziarie di ricorso.
Si riferisce poi all'articolo 11 della direttiva, che prevede che gli Stati membri adottino misure appropriate per impedire lo sviamento delle procedure di costituzione di una SE. Il corrispondente articolo dello schema attua tale principio prevedendo l'obbligo di porre in essere un nuovo negoziato qualora intervengano modifiche sostanziali nella società europea, con lo scopo di privare i lavoratori dei loro diritti di coinvolgimento. Ricorda ancora che l'articolo 12, in applicazione dell'articolo corrispondente della direttiva, prevede invece una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di violazione delle disposizioni relative all'obbligo di rendere disponibili le informazioni, da parte degli organi societari, o di mantenere il segreto sulle stesse informazioni, da parte dei rappresentanti dei lavoratori.
Evidenzia, ancora, che, secondo quanto sembra desumersi dalla parte terza dell'Allegato, il legislatore nazionale ha optato per la scelta di non applicare disposizioni sulla partecipazione nel caso in cui nessuna delle società partecipanti era soggetta a tali disposizioni prima dell'iscrizione della SE.
Ricorda, inoltre, che il 13 dicembre 2004 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora per mancata attuazione della direttiva 2001/86/CE. Il termine per l'attuazione della direttiva era l'8 ottobre 2004. Il 5 aprile 2005 la Commissione ha presentato la comunicazione Anticipare e accompagnare le ristrutturazioni per sviluppare l'occupazione: il ruolo dell'Unione europea COM(2005)120. La comunicazione costituisce la seconda fase della consultazione sulle ristrutturazioni d'impresa e i comitati aziendali europei. Aggiunge che il 18 novembre 2003 la Commissione europea ha presentato la proposta di direttiva COM(2003)703 sulle fusioni transfrontaliere delle società di capitali, esaminata in prima lettura il 10 maggio 2005 dal Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione. Il PE ha approvato una serie di emendamenti volti a chiarire il campo d'applicazione della direttiva, precisare i limiti delle eventuali restrizioni previste dalle legislazioni nazionali e, soprattutto, garantire una più elevata protezione dei lavoratori delle società in procinto di fondersi. Considerato che tali emendamenti corrispondono quasi integralmente alla posizione del Consiglio, fa notare che non è escluso che l'iter legislativo possa concludersi già in prima lettura della procedura di codecisione. Ricorda poi che il 25 novembre 2004 il Consiglio aveva concordato ad ampia maggioranza un approccio generale sulla proposta, con il voto contrario dell'Italia, la Francia e la Danimarca, per parte loro, hanno sollevato una riserva d'esame parlamentare.
Tiene a ricordare che le proposte di legge 1003 e abbinate recanti disciplina in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa non è stato condiviso nel corso dell'esame parlamentare in Commissione lavoro, essendosi anche riscontrata l'opposizione su di esso da parte di tutte le parti sociali. Considera quindi che il testo in esame appare non del tutto in linea con questo orientamento, ma forse dimostra una volta di più come l'Unione europea sia spesso lontana dalle effettive esigenze del Paese.
Si riserva di presentare quindi una proposta di parere nel prosieguo dell'esame.
Giacomo STUCCHI, presidente, nessun chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta, sospesa alle 14.45, è ripresa alle 19.45.
Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2002/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, e delle
direttive 2002/96/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 2003, e 2003/108/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 dicembre 2003, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Atto n. 488.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).
La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto all'ordine del giorno.
Riccardo CONTI (UDC), relatore, osserva che lo schema di decreto in esame introduce disposizioni per il recepimento delle direttive 2002/96 e 2002/95 riguardanti rispettivamente la gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici e la restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Segnala che l'articolo 1 stabilisce che lo scopo del presente decreto è quello di prevenire la produzione di rifiuti elettrici ed elettronici, cosiddetti RAEE, e di promuovere il reimpiego, il riciclaggio e altre forme di recupero di tali materiali in modo da ridurne la quantità da avviare allo smaltimento; l'articolo 2 definisce l'ambito di applicazione del provvedimento, mentre l'articolo 3 fornisce una serie di definizioni previste dalle direttive in oggetto. L'articolo 4 prevede quindi l'incentivazione da parte dello Stato di modalità di progettazione e fabbricazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche che privilegino il recupero, il riciclaggio e il reimpiego dei RAEE, mentre il successivo articolo 5 contiene disposizioni relative al recepimento della direttiva 2002/95; l'articolo 6 individua, nella raccolta differenziata, la prima fase della gestione dei rifiuti prevedendo obblighi a carico di comuni, distributori, cittadini e produttori. Sottolinea che la seconda fase del ciclo di gestione dei rifiuti stabilisce il ritiro dei materiali e l'invio dei suddetti ai centri di trattamento articolo 7; mentre gli articoli 8 e 9 fissano un limite temporale per organizzare i sistemi per il trattamento e il recupero dei RAEE. Ricorda, in particolare, che l'articolo 9 fissa il raggiungimento di alcuni obiettivi in materia di recupero, reimpiego e riciclaggio. Gli articoli 10, 11 e 12 riguardano invece il finanziamento delle operazioni di trasporto ai centri di trattamento e di recupero.
Segnala ancora che l'articolo 13 impone al produttore di fornire una serie di informazioni sia agli utenti sia a favore dei centri di trattamento e recupero, mentre gli articoli 14 e 15 istituiscono un registro dei soggetti obbligati allo smaltimento dei RAEE, che viene aggiornato da un apposito Comitato di vigilanza e controllo. Tale registro contiene sia l'elenco dei produttori che immettono sul mercato apparecchiature elettroniche sia i dati attinenti alle apparecchiature introdotte sullo stesso, a quelle recuperate, riciclate e reimpiegate. L'articolo 17, dispone al comma 1, che le informazioni previste in questo registro siano esplicitate in una relazione trasmessa alla Commissione europea, mentre il comma 2 stabilisce che alla Commissione venga inviata anche una relazione sullo stato di attuazione del decreto in esame. Segnala, infine, che gli articoli 16, 19 e 20 contengono rispettivamente disposizioni sanzionatorie, finanziarie e transitorie e che l'articolo 18 delinea le procedure per la modifica degli allegati.
Per quanto riguarda l'esame del provvedimento in relazione alla normativa comunitaria, ricorda che il documento risulta nel complesso conforme alle direttive europee. Sottolinea, in ogni caso, che alcuni punti andrebbero meglio approfonditi, in quanto suscettibili di generare qualche dubbio di compatibilità. Evidenzia, dunque che l'articolo 4 della direttiva 2002/96/CE prevede che gli Stati membri adottino misure adeguate al fine di incoraggiare modalità di progettazione e fabbricazione che privilegino il recupero, il reimpiego e il riciclaggio dei materiali elettronici; mentre l'articolo 4 dello schema di decreto, che mira ad attuare tale disposizione comunitaria, non specifica quali siano le misure che in concreto permetteranno la realizzazione dell'obiettivo previsto dalla direttiva; l'articolo 5
della medesima direttiva 2002/96 sembra escludere che il costo della resa a un centro di raccolta o al distributore possa essere posto a carico del detentore, mentre l'articolo 6 dello schema di decreto pone tale costo a carico del detentore; gli articoli 8 e 9 della direttiva 2002/96 prevedono che entro il 13 agosto 2005 gli Stati membri provvedano a far in modo che le operazioni di trasporto, trattamento e recupero di materiali elettrici ed elettronici siano finanziate dai produttori o dai detentori, mentre gli articoli 10, 11 e 12 dello schema di decreto non stabiliscono alcuna data. Per quanto concerne invece le procedure d'infrazione nei confronti del nostro Paese, rileva che il 13 dicembre 2004 la Commissione ha inviato all'Italia due lettere di messa in mora per mancata attuazione, rispettivamente, della direttiva 2002/95/CE e della direttiva 2002/96/CE.
In materia di documenti all'esame delle istituzioni europee evidenzia, inoltre, che il 23 settembre 2004 la Commissione ha sottoposto al Consiglio una proposta di decisione che modifica la direttiva 2002/95/CE ai fini della fissazione dei valori massimi di concentrazione di alcune sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Sottolinea che, sebbene il Consiglio abbia maturato un orientamento favorevole sulla proposta della Commissione, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a riesaminare il progetto di decisione. Ricorda infine che il 3 maggio 2005 la Commissione ha adottato la decisione che stabilisce le modalità per sorvegliare il rispetto degli obblighi incombenti agli Stati membri e definisce le modalità per la presentazione dei dati ai fini della direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
Si riserva di proporre una proposta di parere nel prosieguo dell'esame.
Domenico BOVA (DS-U), presidente, nessun chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 20.
Martedì 21 giugno 2005. - Presidenza del presidente Giacomo STUCCHI.
La seduta comincia alle 14.15.
Attività di acconciatore.
C. 2002 e abb.-B, approvato, in un testo unificato, dalla X Commissione permanente della Camera e modificato dalla 10a Commissione permanente del Senato.
(Parere alla X Commissione).
(Esame nuovo testo unificato e conclusione - Parere favorevole).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Giacomo STUCCHI, presidente, intervenendo in sostituzione del relatore, osserva che il nuovo testo della proposta di legge in esame, approvata, in un testo unificato, dalla X Commissione attività produttive della Camera il 21 aprile 2004 e dalla 10o Commissione Industria del Senato il 10 novembre 2004, reca la disciplina dell'attività di acconciatore. Ricorda che la XIV Commissione si è già espressa tre volte sul testo in esame: la prima il 18 giugno 2003, formulando un parere favorevole con un'osservazione, volta ad inserire una norma che richiamasse al rispetto della direttiva 1999/42/CE. Successivamente, essendo stata recepita tale osservazione, nelle sedute del 4 novembre 2003 e del 20 gennaio 2005 la Commissione ha espresso parere favorevole.
Ricorda quindi che l'articolo 1 chiarisce il carattere di legge di principi del provvedimento, individuando gli obiettivi della disciplina proposta e gli interessi che si intendono tutelare, quali la parità di condizioni di accesso delle imprese del settore al mercato, la tutela della concorrenza e quella dei consumatori. Sottolinea quindi che a seguito di una modifica apportata dalla Commissione di merito - introdotta ai fini del recepimento della
condizione contenuta nel parere favorevole espresso dalla I Commissione Affari costituzionali in data 2 febbraio 2005 - è stato soppresso il comma 4 dell'articolo 1, introdotto nel corso dell'esame in seconda lettura presso l'altro ramo del Parlamento, il quale stabiliva che la legge medesima disciplinasse con norme cedevoli la materia oggetto del provvedimento in attesa della legislazione regionale di dettaglio. L'articolo 2 fornisce una definizione dell'attività professionale di acconciatore, prevedendo talune condizioni fondamentali per il relativo esercizio. L'articolo 3 disciplina il conseguimento dell'abilitazione professionale necessaria all'esercizio dell'attività di acconciatore, prospettando diverse ipotesi formative, tra loro alternative, fondate su di un dosaggio differenziato di attività lavorativa e di corsi di qualificazione. Il comma 6 dell'articolo dispone, invece, che l'attività professionale di acconciatore può essere esercitata dai cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea in conformità alle norme vigenti in materia di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali, nel quadro dell'ordinamento comunitario sul diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. L'articolo 4 individua invece talune finalità che dovranno essere perseguite dalle regioni nell'esercizio delle competenze legislative ad esse spettanti. Evidenzia come l'ambito sul quale si intende in tal modo incidere è quello della programmazione e dell'attività amministrativa che dovrà essere svolta dai comuni. A seguito di una modifica apportata dalla Commissione di merito, al comma 3, lettera d), dell'articolo 4, ricorda quindi che è stata introdotta una integrazione diretta a specificare che l'attività svolta dalle regioni al fine di garantire condizioni omogenee di accesso al mercato e di esercizio dell'attività per le imprese operanti nel settore, debba essere svolta prevedendo, anche con il coinvolgimento degli enti locali, una specifica disciplina concernente il regime autorizzativo e il procedimento amministrativo di avvio dell'attività.
Passa quindi ad illustrare l'articolo 5 che prevede l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie per i comportamenti che comportino violazione dei principi stabiliti dalla legge. L'articolo 6 reca invece una serie di norme transitorie dirette a rendere immediatamente applicabili determinati principi stabiliti dal provvedimento, consentendo la trasformazione delle qualifiche e l'adeguamento delle autorizzazioni rilasciate ai sensi della normativa vigente; l'articolo 7 è volto invece a prevedere che le leggi statali vigenti in materia continuino ad applicarsi, in quanto compatibili, sino all'adozione delle leggi regionali volte a disciplinare la materia sulla base dei principi stabiliti dal provvedimento. Sottolinea quindi che, quanto alla normativa comunitaria, i principi fondanti della creazione del mercato unico europeo, quali la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, implicano per i professionisti il riconoscimento non del solo diritto alla libera prestazione di servizi nell'ambito dell'Unione, ma altresì della libertà di stabilimento, ossia il diritto di ogni cittadino europeo di esercitare la propria attività in qualsiasi Stato comunitario; ulteriore corollario di tali principi è il reciproco riconoscimento fra i Paesi membri dei diplomi, certificati e titoli professionali dei cittadini europei.
Osserva quindi che il provvedimento in oggetto va valutato alla luce della direttiva 1999/42/CE del 7 giugno 1999, che ha completato il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche dell'attività professionale. L'assunto di fondo su cui si basa la disciplina della direttiva in oggetto è quello che gli Stati membri non possono sottoporre a restrizioni, per motivi inerenti alle qualifiche professionali, la libera prestazione di servizi sotto il titolo professionale d'origine quando il beneficiario sia legalmente stabilito in un altro Stato membro. Ricorda che la direttiva - nel cui allegato A è contemplata l'attività di parrucchiere - non prende in considerazione, a differenza della normativa nazionale vigente, diverse figure professionali, ma considera in modo unitario la categoria. In
tal senso, il testo in esame tende ad uniformare la realtà nazionale alla disciplina comunitaria. La direttiva subordina inoltre, in via generale, il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio delle attività professionali alla pratica professionale svolta in uno Stato membro ovvero al possesso di un certificato rilasciato in un altro Stato membro che attesti l'equivalenza delle conoscenze e delle capacità ad una formazione professionale, a seconda dei casi, di uno o due anni.
Sottolinea quindi che sotto il profilo della compatibilità comunitaria ha rilevanza, in particolare, il disposto di cui all'articolo 3, comma 6, del provvedimento, il quale prevede espressamente che l'attività professionale di acconciatore possa essere esercitata dai cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea in conformità alle norme vigenti in materia di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali, nel quadro dell'ordinamento comunitario sul diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Ricorda inoltre che il Consiglio competitività del 6 giugno 2005 ha adottato definitivamente la proposta di direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali COM(2000)119. L'approvazione della proposta di direttiva è considerata prioritaria sia nel programma di lavoro della Commissione che nel programma operativo del Consiglio per il 2005, in corso di esame presso questa ramo del Parlamento. Ricorda quindi che il principio su cui si fonda la disciplina della direttiva 1999/42/CE è quello che gli Stati membri non possono sottoporre a restrizioni, per motivi inerenti alle qualifiche professionali, la libera prestazione di servizi sotto il titolo professionale d'origine quando il beneficiario sia legalmente stabilito in un altro Stato membro. Ricorda in particolare che la proposta di direttiva dispone che, se in uno Stato membro l'accesso o l'esercizio di una delle attività elencate nell'allegato alla proposta, è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'esercizio dell'attività considerata in un qualunque altro Stato membro. Aggiunge che il 20 aprile 2004 la Commissione ha adottato la proposta modificata COM(2004)317 che precisa dettagliatamente la tipologia e la durata dell'esperienza necessaria all'esercizio delle attività considerate. Nella proposta modificata si prevede che gli Stati membri possano autorizzare la formazione a tempo parziale, alle condizioni ammesse dagli organismi nazionali competenti. La durata di tale formazione non potrà essere inferiore a quella della formazione a tempo pieno e il suo livello non può essere compromesso dal carattere di formazione a tempo parziale.
Rileva inoltre che il Consiglio competitività del 6 giugno 2005 ha adottato definitivamente la proposta di direttiva, come modificato dall'esame del Parlamento europeo secondo la procedura di codecisione. Il testo approvato stabilisce, in particolare, dei livelli di riferimento, corrispondenti al grado di formazione e di qualifiche riconosciute, che permettono di effettuare delle equivalenze sui livelli di competenze tra i diversi Stati membri. Ricorda che il Consiglio aveva proposto quattro livelli; il Parlamento ne propone cinque ma senza attribuire loro un numero o una lettera che prefigurino una gerarchia.
Alla luce di tali indicazioni propone di esprimere parere favorevole.
Domenico BOVA (DS-U) ricorda che il testo in esame, che disciplina l'attività di acconciatore, arriva in seconda lettura alla Camera, dopo essere stato modificato dalla 10a Commissione industria del Senato. Condivide le modifiche apportate al testo nel corso della discussione al Senato, in quanto vanno nella direzione di attribuire maggiori competenze, in materia, agli enti locali in conformità all'articolo 117 della Costituzione e di agevolare l'esercizio della professione anche ai cittadini degli altri Stati membri, in conformità alle norme comunitarie sulla libera circolazione dei servizi. Si riferisce, in particolare, alle disposizioni contenute nell'articolo 1, che reca i principi generali e l'ambito di applicazione
del provvedimento. Ricorda che nel corso dell'esame al Senato è stato introdotto un comma aggiuntivo che stabilisce che la proposta disciplina altresì, con norme cedevoli, l'esercizio dell'attività di acconciatore fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia, facendo salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.
In merito all'articolo 3, che reca le disposizioni in materia di abilitazione professionale, ricorda che è stato soppresso, da parte del Senato, il comma 3, che individuava le materie fondamentali d'insegnamento dei corsi di cui al comma 1, lettere a) e b). Ulteriori modifiche sono state apportate dal Senato al comma 6 del medesimo articolo, che dispone ora che l'attività professionale di acconciatore possa essere esercitata dai cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea in conformità alle norme vigenti in materia di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali nel quadro dell'ordinamento comunitario sul diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Rileva quindi che all'articolo 4, che definisce le competenze delle regioni, sono state introdotte diverse modifiche da parte del Senato. In particolare il comma 1 demanda alle regioni la disciplina dell'attività professionale di acconciatore: in virtù della modifica introdotta dal Senato, alle regioni è specificamente demandata quindi l'individuazione degli standard di preparazione tecnico-culturale ai fini del rilascio dei titoli di abilitazione professionale di cui all'articolo 3. Il comma 3 del medesimo articolo individua invece, alle lettere a), b), c) e d), le finalità cui deve essere improntata l'attività normativa delle regioni nell'adozione di norme volte a favorire lo sviluppo del settore e a definire i princìpi per l'esercizio delle funzioni amministrative di competenza dei comuni, tenuto conto delle esigenze del contesto sociale e urbano. Aggiunge che il Senato ha modificato la lettera b) che indica quale finalità quella di favorire un equilibrato sviluppo del settore che assicuri la migliore qualità dei servizi per il consumatore, anche attraverso, secondo la specificazione introdotta da quel ramo del Parlamento, l'adozione di un sistema di informazioni trasparenti sulle modalità di svolgimento del servizio.
Anche la lettera c) è stata modificata nel corso dell'esame al Senato, specificando che la regolamentazione relativa ai requisiti di sicurezza è diretta anche ai fini del controllo dei locali e delle apparecchiature e, in generale, alle cautele d'esercizio. È stata inoltre soppressa la lettera d), che prevedeva, tra le finalità della normativa regionale, l'inserimento di forme stabili di consultazione e di partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza della categoria ed è stata sostituita da una riformulazione del comma 4, volto a garantire condizioni omogenee di accesso al mercato e di esercizio dell'attività per le imprese operanti nel settore, modificato espungendo il riferimento alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni, quale soggetto competente a stabilire i criteri ai quali deve conformarsi la disciplina concernente il regime autorizzativo e il procedimento amministrativo di avvio dell'attività. Ricorda ancora che il nuovo comma 4, introdotto dal Senato, prevede che dall'attuazione dell'articolo in esame non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Condivide le disposizioni contenute nell'articolo 6, comma 5, che indica gli adempimenti che sono tenuti ad espletare i soggetti in possesso della qualifica di barbiere, ai fini dell'ottenimento della qualifica di acconciatore. Nel corso dell'esame in Senato, è stato soppresso l'inciso che consentiva l'espletamento di tali adempimenti anche a coloro che avessero conseguito la qualifica di barbieri in data antecedente a quella di entrata in vigore delle leggi regionali di disciplina della materia, di cui all'articolo 7, comma 1. Conseguentemente, in seguito alle modifiche apportate dal Senato, la richiesta di abilitazione professionale per esperienze pregresse può essere ora effettuata entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento e non più, come previsto
dal testo approvato dalla Camera, dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali. Il comma 6 ammette coloro che hanno maturato un'esperienza lavorativa qualificata non inferiore a tre anni presso imprese di barbiere, a sostenere l'esame di abilitazione di cui all'articolo 3, comma 1, previa frequenza del corso di riqualificazione di cui al comma 5, lettera b); il corso suddetto può essere frequentato anche nel corso del terzo anno di attività lavorativa specifica.
Sulla base delle riflessioni esposte, e non riscontrando elementi di incompatibilità con la normativa comunitaria in materia, preannuncia, anche a nome dei deputati del suo gruppo, voto favorevole alla proposta di parere del relatore.
Giorgio CONTE (AN) preannuncia, anche a nome dei deputati del suo gruppo, voto favorevole sulla proposta di parere del relatore.
Flavio RODEGHIERO (LNFP) preannuncia, anche a nome dei deputati del suo gruppo, voto favorevole sulla proposta di parere del relatore.
La Commissione approva quindi la proposta di parere favorevole del relatore.
La seduta termina alle 14.30.
Martedì 21 giugno 2005.
Legge comunitaria 2005.
C. 5767/A Governo.
Il Comitato si è riunito dalle 14.45 alle 14.50.