Sull'incontro interparlamentare sulla strategia di Lisbona svoltosi a Bruxelles il 16 e il 17 marzo 2005.
Nei giorni 16 e 17 marzo, si è svolto presso il Parlamento europeo di Bruxelles il primo incontro interparlamentare sulla strategia di Lisbona, organizzato dai Presidenti del Parlamento europeo e del Parlamento lussemburghese.
L'incontro ha avuto lo scopo di fare il punto sullo stato di attuazione della strategia di Lisbona, attraverso un confronto diretto tra i rappresentanti dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo ed i vertici delle istituzioni dell'Unione europea.
La delegazione del Parlamento italiano è stata composta dall'on. Peretti della Commissione Bilancio, dall'onorevole Lo Presti della Commissione Lavoro e da me in rappresentanza della Commissione Attività produttive, nonché da tre senatori della Commissione Politiche dell'Unione europea del Senato.
Ricordo che la strategia avviata dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 si compone di una serie di azioni volte a rendere l'Unione europea entro il 2010 l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, attraverso la realizzazione di una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro, una maggiore coesione sociale ed un'attenta politica ambientale.
A metà del cammino si è avvertita la necessità di una revisione intermedia della strategia, alla luce delle mutate condizioni economiche e sociali ed in vista di una più chiara definizione degli obiettivi. Tale revisione è stata preparata sulla base del lavoro di un gruppo ad alto livello, presieduto da Wim Kok (ex Primo ministro dei Paesi Bassi), che ha preso parte all'incontro.
D'altra parte, la strategia ha segnato il passo, soprattutto per ciò che riguarda gli investimenti. Molto lontano appare ancora l'obiettivo di destinare il 3 per cento del PIL per l'innovazione e la ricerca, condizione indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. La scelta dell'Europa, espressa nella dichiarazione di Lisbona, è di basare la sua strategia competitiva sull'eccellenza, sull'elevata qualità delle sue infrastrutture, dei suoi servizi pubblici, del suo ambiente, dei suoi sistemi di welfare, dei suoi mercati del lavoro, delle sue imprese. Tale scelta riflette la considerazione che l'Europa non ha futuro se vorrà competere come produttore a basso costo nell'economia globale. Non possiamo e non dobbiamo cercare di emulare i nostri concorrenti offrendo la manodopera meno costosa, la forza lavoro più remissiva, il fisco meno esigente, le leggi ambientali, sociali, sanitarie e di sicurezza meno vincolanti. Una strategia di questo tipo non può funzionare: non possiamo salvare la nostra economia smantellando la nostra società. L'alternativa di Lisbona consiste nel riconoscere che, nel favorire gli investimenti e nel creare un contesto in cui le grandi imprese possano prosperare, il modello sociale ed ambientale europeo non costituisce un ostacolo bensì un alleato. Gli investitori sceglieranno l'Europa per la specializzazione della sua forza lavoro, per la dinamicità delle sue università e dei suoi centri di ricerca, per le sue comunicazioni di alta
qualità, per l'efficienza della pubblica amministrazione, per la sua pace sociale e la sua qualità della vita.
Nel corso dell'incontro interparlamentare è emersa subito, fin dall'intervento introduttivo del Presidente del Parlamento europeo Borrell, una certa insoddisfazione circa la concreta attuazione della strategia di Lisbona, a causa dell'eccessivo numero di obiettivi - spesso in conflitto l'uno con l'altro - e della mancata definizione dei ruoli delle parti in causa. Borrell ha poi richiamato l'attenzione sulla necessità che ciascuno Stato membro adotti un Piano di azione nazionale in cui illustri il suo approccio globale per il raggiungimento degli obiettivi di crescita e occupazione e designi un rappresentante (il cd. Mr. Lisbona) incaricato di coordinare le attività connesse all'attuazione della strategia.
Il Presidente di turno dell'Unione europea Junker si è anch'egli soffermato sulla necessità di un rilancio della strategia di Lisbona, sottolineando le difficoltà connesse all'attuale assenza di governance, e ha ribadito la validità dei tre pilastri - economico, sociale ed ambientale - della strategia, rimarcando come la competitività e la crescita non siano solo valori in sé ma debbano essere considerati strumenti per il raggiungimento degli obiettivi di coesione sociale e di politica ambientale. Ha inoltre riconosciuto come alla base della crescita sostenibile vi siano innanzitutto la conoscenza e l'innovazione e come sia necessario prestare attenzione e supportare la capacità di innovazione delle piccole e medie imprese.
Il Presidente della Commissione europea Barroso ha invece richiamato l'attenzione soprattutto sulla necessità di un maggiore coinvolgimento degli Stati nazionali, tanto a livello governativo quanto a livello parlamentare. È infatti indispensabile che i cittadini europei diventino consapevoli del ruolo fondamentale giocato dalla strategia di Lisbona per il benessere futuro dell'Unione. Ha inoltre, come Borrell, ribadito la necessità che ciascun governo adotti, confrontandosi con il parlamento nazionale, un proprio programma di azione.
Wim Kok ha ricordato come il lavoro del gruppo di alto livello per la preparazione della Strategia di Lisbona, da lui presieduto, abbia concluso i lavori richiamando l'attenzione soprattutto sugli obiettivi della crescita e dell'occupazione.
Nel corso del dibattito, ho ritenuto mettere in evidenza la necessità di non considerare le spese per l'innovazione e la ricerca ai fini del rispetto della patto di stabilità e crescita, in questo trovando l'appoggio di altri colleghi dei parlamenti nazionali.
Tengo poi a sottolineare come al centro del dibattito vi sia stato un argomento forse da noi sottovalutato a livello nazionale, sul quale ritengo opportuno richiamare l'attenzione di questa Commissione. Mi riferisco alla cosiddetta proposta di direttiva Bolkestein, presentata dalla Commissione europea all'inizio del 2004 e volta a rendere effettiva la libera circolazione dei servizi nell'ambito del mercato interno. Su di essa si è registrata una netta spaccatura tra le posizioni dei vecchi Stati membri e quelle dei nuovi, in relazione a quello che è il punto cruciale della proposta di direttiva: il principio del paese di origine. Secondo tale principio, salvo alcune deroghe, i prestatori di servizi sono soggetti esclusivamente alle disposizioni nazionali dello Stato membro di origine, il quale è responsabile del controllo dell'attività del prestatore e dei servizi che questi fornisce, anche qualora il prestatore fornisca servizi in un altro Stato membro. Mentre i nuovi Stati membri hanno difeso la proposta di direttiva. I vecchi Stati membri, prima fra tutti la Francia, hanno dimostrato una netta contrarietà al principio del paese di origine, che porterebbe di fatto ad una deregolamentazione in un settore cruciale quale quello dei servizi, che rappresenta all'incirca il 70 per cento delle attività economiche a livello europeo.
È emersa infine l'opportunità di ripetere ogni anno, prima del Consiglio europeo di primavera, gli incontri interparlamentari al fine di mantenere vivo il confronto con i rappresentanti dei Parlamenti nazionali.
In conclusione, ritengo che l'incontro parlamentare sia stato un momento molto importante per una riflessione sulle prospettive della strategia di Lisbona. Non posso peraltro non rilevare come, anche in tale occasione, non si sia pienamente riusciti a superare quello che resta il maggior limite della strategia: la previsione di una pluralità di obiettivi molto ambiziosi e di vasta portata - tra loro contrastanti - senza una precisa individuazione delle priorità da perseguire.
Vale la pena, infine, di annotare la sensazione di una profonda diversità nel valutare la relazione tra il rilancio della strategia di Lisbona e il patto di stabilità in sede europea, rispetto al confronto parlamentare proprio del nostro Paese. Più netta, infatti, appare la spinta del gruppo socialista del Parlamento europeo per una revisione del patto di stabilità, finalizzata al rilancio di Lisbona, mentre il gruppo popolare si segnala per la maggiore prudenza, se non addirittura per l'avversità alla revisione di Maastricht.
Questo panorama consiglierebbe un maggiore raccordo del confronto italiano con il quadro di riferimento europeo, particolarmente per gli aspetti che maggiormente penalizzano la competitività della struttura produttiva del nostro Paese. Ritengo che l'interesse italiano sia decisamente indirizzato a recuperare il gap, rispetto agli altri paesi europei, di risorse destinate alla ricerca e all'innovazione, senza incidere sulla valutazione che in sede europea si dà della nostra situazione di bilancio.