Martedì 22 marzo 2005. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA.
La seduta comincia alle 14.10.
Mandato d'arresto europeo.
C. 4246-D, approvato dalla Camera, modificato dal Senato, nuovamente modificato dalla Camera e nuovamente modificato dal Senato.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento.
Gaetano PECORELLA, presidente e relatore, rileva che la proposta di legge in esame, iscritta nel calendario dell'Assemblea a partire da lunedì 11 aprile prossimo, è volta ad attuare nell'ordinamento italiano la decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri.
Al fine di rispettare il calendario dell'Assemblea, la Commissione dovrà oggi chiudere l'esame preliminare, esaminare gli emendamenti il 6 aprile prossimo e, nella giornata successiva, concludere l'esame in sede referente alla luce dei pareri che le nel frattempo avranno espresso le Commissioni I e XIV.
Considerato che il provvedimento si trova in terza lettura presso la Camera, rileva che saranno illustrate unicamente le parti del testo modificate dal Senato rispetto al testo approvato dalla Camera lo scorso 22 febbraio.
Il Senato si è limitato a reintrodurre nel testo l'articolo 4 che fu soppresso dall'Assemblea a seguito dell'approvazione di un emendamento della opposizione.
L'articolo 4 prevede che, in relazione alle disposizioni dell'articolo 7 della decisione quadro l'Italia designa come autorità centrale per assistere le autorità giudiziarie competenti il Ministro della giustizia, per cui spettano a questi la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d'arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa. Si prevede che il Ministro, quando riceve un mandato d'arresto europeo, lo trasmette senza indugio all'autorità giudiziaria territorialmente competente ovvero allo Stato membro di esecuzione. Inoltre si prevede che in condizione di reciprocità è consentita la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie. In tale caso, l'autorità giudiziaria italiana informa immediatamente il Ministro della giustizia. Rispetto al contenuto originario dell'articolo 4 si prevede che l'autorità giudiziaria debba informare immediatamente il ministro della giustizia della ricezione o emissione di un mandato d'arresto europeo. Inoltre si precisa che rimane ferma la competenza del ministro circa il procedimento di consegna della persona richiesta allo Stato membro di emissione.
La scelta del Senato di reintrodurre l'articolo 4 è condivisibile non tanto perché la disposizione designa il Ministro della giustizia come autorità centrale, quanto perché dalla soppressione dell'articolo 4 sarebbe derivata una limitazione dei poteri dell'autorità giudiziaria che avrebbe potuto compromettere la celerità del procedimento di emissione del mandato di arresto.
A tale proposito, è bene rilevare che le conseguenze della soppressione dell'articolo 4 avrebbe fatto venir meno non le competenze che, in altre parti del testo, sono comunque attribuite al Ministro della giustizia, bensì il principio sancito dall'articolo 4, comma 4, secondo cui in condizioni di reciprocità è consentita la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie nazionali. Ciò avrebbe significato, ad esempio, l'impossibilità per il magistrato italiano di chiedere direttamente al magistrato straniero l'emissione del mandato d'arresto nel caso di procedura attiva di mandato di arresto.
Nessuno chiedendo di intervenire, dichiara chiuso l'esame preliminare, fissa il termine per la presentazione degli emendamenti a mercoledì 6 aprile alle ore 10 e rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
Disposizioni in materia di investigazioni difensive.
C. 5458 Ghedini.
(Seguito dell'esame e conclusione)
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 23 febbraio 2005.
Gaetano PECORELLA, presidente, avverte che sono pervenuti i pareri espressi dalla Commissioni competenti.
Propone quindi di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento.
La Commissione delibera di conferire il mandato al relatore di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame. Delibera altresì di chiedere l'autorizzazione a riferire oralmente.
Gaetano PECORELLA presidente, si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni dei gruppi.
Nuove disposizioni in materia di matrimonio putativo.
C. 4662 Kessler, C. 4470 Deiana.
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 23 febbraio 2005.
Gaetano PECORELLA presidente, avverte che sono stati presentati emendamenti al provvedimento in esame (vedi allegato 1). Fissa quindi il termine per la presentazione di subemendamenti a mercoledì 6 aprile alle ore 10.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
Abrogazione degli articoli del codice penale concernenti i reati in materia di libertà di opinione.
C. 2443 Pisapia, C. 3402 Cento, C. 5490 Lussana e C. 3975 Zeller.
(Seguito dell'esame e rinvio)
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 22 febbraio 2005
Gaetano PECORELLA presidente, avverte che, a seguito della Conferenza dei Presidenti di gruppo tenutasi nella giornata odierna, i provvedimenti in esame sono stati inseriti nel programma dei lavori dell'Assemblea del mese di Giugno.
Nessuno chiedendo di intervenire rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.
Disposizioni in materia di compensi per i curatori delle procedure fallimentari.
C. 4795 Falanga, C. 3580 Pecoraro Scanio e C. 4881 Pezzella.
(Seguito dell'esame e rinvio)
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 9 marzo 2005.
Gaetano PECORELLA presidente, avverte che il relatore ha presentato emendamenti al provvedimento in esame (vedi allegato 2). Fissa pertanto il termine per la presentazione di subemendamenti agli emendamenti presentati dal relatore a mercoledì 6 aprile alle ore 10.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.20.
Martedì 22 marzo 2005.
Disposizioni in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento
C. 4604 Pecorella.
Il Comitato ristretto si è riunito dalle 14.20 alle 14.25.
Martedì 22 marzo 2005.
Disposizioni in materia di misure alternative alla detenzione.
C. 461 Cento, C. 484 Contento, C. 846 Cento, C. 958 Butti, C. 1039 Pistone, C. 1167 Pisapia, C. 1244 Pisapia, C. 1245 Pisapia, C. 2852 Mario Pepe, C. 3263 Bondi e C. 3458 Guido Rossi.
Il Comitato ristretto si è riunito dalle 14.25 alle 14.30.
Martedì 22 marzo 2005.
Disposizioni in materia di sanzione penale.
C. 3497 Finocchiaro e C. 4997 Siniscalchi.
Il Comitato ristretto si è riunito dalle 14.30 alle 14.35.
Martedì 22 marzo 2005. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA.
La seduta comincia alle 14.35.
Schema di decreto legislativo sulla tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.
Atto n. 452.
La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 16 marzo 2005.
Gaetano PECORELLA, presidente, ricorda che il relatore ha presentato una proposta di parere favorevole con due osservazioni (vedi allegato al Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 16 marzo 2005). Fissa pertanto il termine per la presentazione di eventuali pareri alternativi a quello predisposto dal relatore a mercoledì 6 aprile alle ore 10.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.40.
Martedì 22 marzo 2005. - Presidenza del presidente Gaetano PECORELLA.
La seduta comincia alle 14.40.
Ratifica Accordo Italia-Romania sul trasferimento delle persone condannate all'espulsione o all'accompagnamento al confine.
C. 5500 Governo.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Gaetano PECORELLA, presidente, in sostituzione del relatore impossibilitato a partecipare alle seduta odierna, rileva che l'Accordo in esame con la Romania ricalca, introducendo un'importante novità, il Protocollo del 1997, aggiuntivo alla Convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento delle persone condannate. La necessità dell'accordo deriva dal fatto che il Protocollo non è ancora stato ratificato dall'Italia, ma anche dal carattere più ampio delle previsioni contenute nell'Accordo rispetto a quelle del Protocollo.
Ricorda che la Convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento delle persone condannate del 1983, di cui l'Italia e la Romania sono parti, ha lo scopo principale di favorire il reinserimento sociale dei condannati, permettendo a uno straniero detenuto di scontare la pena nel Paese d'origine. La Convenzione mette l'accento sulle difficoltà di comunicazione date dalle barriere linguistiche e sull'assenza
di contatti con i familiari che possono esercitare un'influenza negativa sul comportamento del detenuto straniero.
In base alla Convenzione, il trasferimento del detenuto straniero può essere richiesto sia dallo Stato (cosidetto Stato di condanna) che ha condannato il soggetto in questione, e nelle cui prigioni egli sconta la pena, sia dallo Stato d'origine (cosidetto Stato di esecuzione) della persona interessata. L'esecuzione del trasferimento è condizionata al consenso dei due Stati, come anche a quello del detenuto.
La Convenzione definisce parimenti le procedure di esecuzione della pena successivamente al trasferimento: in ogni caso, a prescindere dall'ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione, una pena a carattere detentivo non potrà essere commutata in sanzione pecuniaria. Inoltre, il periodo di pena già scontato nello Stato di condanna dovrà essere considerato nelle determinazioni assunte dallo Stato di esecuzione. Infine, in nessun caso la pena dovrà essere, quanto alla natura e alla durata, più severa di quella inflitta dallo Stato di condanna.
Il Protocollo addizionale del 1997 definisce le procedure applicabili al trasferimento dell'esecuzione della pena per quanto concerne i soggetti che, dopo la sentenza, si sottraggono all'esecuzione della pena nello Stato di condanna, rientrando nel territorio dello Stato di origine. Inoltre, il Protocollo stabilisce le regole per il trasferimento dei detenuti oggetto di una misura di espulsione o di riaccompagnamento alla frontiera in ragione della condanna riportata, prevedendo che il trasferimento nello Stato di cittadinanza possa avvenire anche senza il consenso del detenuto interessato, ma purchè venga sentito.
Quanto al contenuto dell'Accordo in esame rileva che l'articolo 1 enuncia lo scopo dell'Accordo italo-rumeno, volto a «regolamentare una procedura semplificata di trasferimento delle persone condannate» alle quali siano state inflitte misure - quali ad esempio l'espulsione - in ragione delle quali dette persone, dopo la scarcerazione, non potranno più rimanere legalmente nel territorio dello Stato di condanna.
L'articolo 2, comma 1, rinvia alle disposizioni della Convenzione del 1983 per quanto concerne l'interpretazione delle espressioni e dei termini dell'Accordo. Il comma 2, d'altronde, opera un rinvio esplicito alle disposizioni della Convenzione del 1983 per tutto quanto non previsto dall'Accordo italo-rumeno in esame.
L'articolo 3, comma 1, lettera a), riguarda il trasferimento di detenuti stranieri oggetto di una misura di espulsione o di riaccompagnamento alla frontiera in ragione della condanna riportata o di un provvedimento amministrativo adottato in seguito alla condanna. In questo caso, su richiesta dello Stato di condanna, lo Stato di esecuzione può dare il proprio assenso al trasferimento di una persona condannata, prescindendo dal consenso di questa, il cui parere deve essere tuttavia acquisito al procedimento. Sin qui l'Accordo ricalca l'articolo 3 del Protocollo addizionale e ne anticipa di fatto l'entrata in vigore nei rapporti italo-rumeni.
La lettera b) costituisce il vero elemento aggiuntivo rispetto al Protocollo del 1997. Si prevede infatti la possibilità di trasferire una persona condannata anche quando l'espulsione, l'accompagnamento alla frontiera o altre misure equivalenti siano state adottate con provvedimento amministrativo definitivo nei riguardi di persona condannata per un reato punibile, quanto al massimo della pena nell'ordinamento dello Stato di condanna, con più di due anni di carcere. In tale ipotesi, quindi, il provvedimento amministrativo non discende dalla condanna, come nell'ipotesi di cui alla lettera a), ma ha una sua autonoma giustificazione. Anche in questo caso non è richiesto il consenso dell'interessato ma si dovrà comunque acquisire il parere dell'interessato prima di consentire al trasferimento dello stesso.
Il comma 3 specifica la documentazione che lo Stato di condanna deve trasmettere (essa include il parere di cui al comma 2) allo Stato di esecuzione.
L'articolo 4 ripete sostanzialmente le previsioni dell'articolo 3, comma 4, del Protocollo del 1997, in analogia con il cosiddetto «principio di specialità» di cui agli articoli 699 e 721 del codice di procedura penale, concernenti l'estradizione (si tratta dell'impossibilità che l'estradato venga sottoposto a misure penali in rapporto a fatti anteriori al trasferimento e diversi da quelli che hanno motivato la condanna, salvo alcune eccezioni).
In base all'articolo 5, la richiesta di trasferimento e i documenti allegati, come anche la risposta, devono intercorrere tra i rispettivi Ministeri della giustizia: inoltre, la richiesta di trasferimento e i documenti allegati, redatti nella lingua dello Stato di condanna, verranno accompagnati da traduzione autenticata nella lingua dello Stato di esecuzione.
L'articolo 6, comma 1 stabilisce che l'esecuzione del trasferimento avvenga in conformità all'articolo 9, par. 1, lett. a), della Convenzione del 1983, ove si prevede che l'esecuzione delle sentenze dovrà essere una immediata trasposizione di esse, ovvero avvenire tramite una decisione giudiziaria o amministrativa, nell'un caso e nell'altro dando luogo alla continuazione nell'esecuzione della condanna, e non alla conversione di essa.
Il comma 2 riserva a ciascuna delle due Parti contraenti la facoltà di decidere sulle richieste di trasferimento in base alle proprie procedure interne.
L'articolo 7 riguarda le spese connesse con l'applicazione dell'Accordo, che verranno sostenute dallo Stato di esecuzione, con l'eccezione di quelle prodottesi in toto nel territorio dello Stato di condanna.
In base all'articolo 8 è sancita l'applicazione dell'Accordo in esame anche con effetto retroattivo.
L'articolo 9 contiene le procedure per l'entrata in vigore dell'Accordo, che - si sostiene esplicitamente - verrà sottoposto a ratifica.
Gli articoli 10 e 11 concernono rispettivamente la previsione di consultazioni o negoziati tra le Parti per la risoluzione di eventuali controversie nell'applicazione dell'Accordo, nonché la possibilità di apportare all'Accordo stesso modifiche, con procedura uguale a quella seguita per la stipula.
L'articolo 12 salvaguarda, nella stessa materia dell'Accordo, le disposizioni di altre Convenzioni multilaterali concluse dall'Italia e dalla Romania.
Infine, gli articoli 13 e 14 riguardano la durata a tempo indeterminato dell'Accordo, e la possibilità di ciascuna delle Parti di denunciarlo per iscritto in qualunque momento, con effetto dopo sei mesi dalla ricezione della notifica all'altra Parte contraente.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
Adesione dell'Italia al Protocollo del 2003 alla Convenzione internazionale del 1992 sull'istituzione di un Fondo complementare internazionale per il risarcimento dei danni di inquinamento da idrocarburi.
C. 5571 Governo.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Gaetano PECORELLA, presidente, in sostituzione del relatore impossibilitato a partecipare alle seduta odierna, rileva che il Protocollo del 2003 in esame ha lo scopo di aumentare il massimale previsto dalla Convenzione sulla responsabilità civile per i danni provocati dall'inquinamento da idrocarburi (Convenzione CLC come modificata nel 1992) e dalla Convenzione sull'istituzione di un Fondo internazionale per il risarcimento dei danni causati dall'inquinamento da idrocarburi (Convenzione Fondo come modificata nel 1992) in caso di incidenti che causino inquinamento da idrocarburi, al fine di garantire alle vittime un pieno risarcimento, ed istituisce, a tal fine, un Fondo complementare.
Ricorda che la Convenzione del 1969 sulla responsabilità civile per i danni derivanti
da inquinamento da idrocarburi (CLC) fu adottata dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) per assicurare un equo indennizzo a chi abbia subito un danno in simili circostanze, individuando come soggetto responsabile il proprietario della nave. Tale responsabilità è limitata da diverse eccezioni, ma ricade sul proprietario l'onere di provare l'esistenza delle circostanze che escludono la propria responsabilità (il danno è risultato da atto di guerra, da dolo di terzi o negligenza delle autorità responsabili dei mezzi di aiuto alla navigazione). Comunque, tranne che nel caso in cui il danno sia causato da colpa personale del proprietario, quest'ultimo ha il diritto di limitare la propria responsabilità ad un tetto massimo, innalzato dal Protocollo del 1984 e dal Protocollo del 1992.
Ricorda inoltre che l'International Fund for Compensation for Oil Pollution Damage (IOPCF) è un'organizzazione internazionale, con sede a Londra, istituita dalla Convenzione di Bruxelles del 18 dicembre 1971 (cosiddetta Convenzione Fondo). Quest'ultima ha dato vita ad un sistema di risarcimento che completa quello stabilito dalla Convenzione sulla responsabilità del 1969, la quale, benché avesse stabilito un efficace regime di indennizzo, non era giudicata pienamente soddisfacente a causa dei limiti posti alla responsabilità del proprietario, anche a fronte della imprevedibile estensione dei possibili danni all'ambiente. L'istituzione del Fondo ha consentito, da un lato, di evitare un peso eccessivo al proprietario della nave, dall'altro di assicurare la disponibilità di un ulteriore indennizzo alle vittime dei danni da inquinamento, laddove la protezione accordata ai sensi della Convenzione del 1969 risultasse inadeguata.
La Convenzione Fondo definisce gli scopi per cui è stato creato il Fondo: assicurare il risarcimento per i danni da inquinamento nella misura in cui non sia sufficiente la protezione che deriva dalla Convenzione sulla responsabilità ed esonerare il proprietario della nave dall'obbligo finanziario supplementare che gli impone tale Convenzione, a condizione però che egli abbia rispettato le Convenzioni sulla sicurezza marittima e le altre Convenzioni in materia. I risarcimenti che il Fondo è tenuto a versare - il cui ammontare non può superare una determinata cifra - riguardano anche i danni da inquinamento risultante da un fenomeno naturale a carattere eccezionale, inevitabile e irresistibile. Il danno risarcibile è commisurato al costo delle misure di risanamento intraprese o da intraprendere da parte dello Stato o dell'ente territoriale colpito, senza tenere conto della diminuzione di valore subita dalle risorse ambientali a seguito dell'inquinamento (cosidetto danno ambientale).
I contributi al Fondo sono versati dai soggetti che hanno interessi finanziari al trasporto degli idrocarburi, in un ammontare proporzionale ai quantitativi commerciati.
In ogni Stato contraente il Fondo viene riconosciuto come persona giuridica e, quindi, può essere parte in ogni procedimento iniziato davanti ai tribunali di detto Stato. Rappresentante legale dell'Organizzazione è l'Amministratore.
Il Protocollo si compone di un Preambolo e di 31 articoli.
Per quanto di competenza della Commissione, evidenzia che l'articolo 7, al comma 1, prevede che le procedure applicabili alle azioni per il risarcimento richiesto al Fondo complementare siano quelle previste per le azioni nei confronti del Fondo del 1992, descritte all'articolo 7, paragrafi 1, 2, 4, 5 e 6 della Convenzione Fondo 1992.
Difatti l'articolo 7, paragrafo 1 della Convenzione Fondo 1992 stabilisce che le istanze per risarcimento intentate contro il Fondo possono essere sottoposte esclusivamente al tribunale competente ai sensi dell'articolo IX della Convenzione del 1992 sulla responsabilità civile per i danni causati dall'inquinamento da idrocarburi (Convenzione CLC), ovvero il tribunale dello Stato o degli Stati contraenti sul cui territorio l'incidente abbia avuto luogo.
Il paragrafo 2 dell'articolo 7 della Convenzione Fondo 1992 obbliga gli Stati a
rendere i propri tribunali competenti per ogni azione contro il Fondo. Il paragrafo 4 dell'articolo 7 prescrive ad ogni Stato di adottare tutte le disposizioni necessarie affinché il Fondo possa intervenire quale parte nei procedimenti giudiziari intrapresi davanti al tribunale competente contro il proprietario di una nave. Secondo il paragrafo 5 dell'articolo 7, il Fondo non è vincolato da sentenze in cui esso non sia stato parte. Il paragrafo 6 dell'articolo 7 prevede che, quando a seguito di un'azione di risarcimento viene notificata tale azione al Fondo, e se la notifica lascia al Fondo un tempo sufficiente per poter intervenire come parte del procedimento, ogni sentenza definitiva ed esecutiva è opponibile al Fondo stesso, anche se quest'ultimo non è intervenuto nel procedimento.
Il comma 2 dell'articolo 7 prevede la competenza giurisdizionale esclusiva del tribunale competente, ai sensi dell'articolo IX della Convenzione CLC del 1992, in tutti i casi di azioni di risarcimento per danni da inquinamento nei confronti del Fondo complementare.
A tal proposito rileva che l'articolo 4 del disegno di legge di Ratifica stabilisce che, in caso di promovimento di cause, da parte di danneggiati, nei confronti del Fondo complementare, il tribunale competente è quello nella cui circoscrizione si è verificato l'inquinamento oggetto della controversia. Se il fatto ha interessato acque territoriali, ovvero ha avuto estensione tale da interessare più di una circoscrizione giudiziaria, è competente il tribunale adito per primo.
L'articolo 8, comma 1, del Protocollo prevede che le sentenze nei confronti del Fondo complementare, divenute esecutive nello Stato di origine e quando non possano essere soggette a ricorso, divengano esecutive anche negli altri Stati contraenti, alle stesse condizioni di cui all'articolo X della Convenzione CLC del 1992 (cioè a meno che non sia stata ottenuta con frode o che il convenuto non sia stato avvertito entro un termine ragionevole e quindi non sia stato messo nella condizione di presentare la propria difesa).
L'articolo 9 prevede l'acquisizione per surrogazione dei diritti di cui il soggetto risarcito può beneficiare, ai sensi della Convenzione CLC del 1992, nei confronti del proprietario o del suo garante e nei confronti del Fondo del 1992.
L'articolo 10 individua, per ogni Stato contraente, i soggetti che annualmente debbono versare i contributi al Fondo che sono, precisamente, coloro che abbiano ricevuto in totale, in un anno, quantità superiori a 150 mila tonnellate di idrocarburi assoggettate a contributi, trasportati via mare ai porti nel territorio dello Stato o scaricati in un porto o in un terminal di uno Stato non contraente, in impianti situati nel territorio dello Stato contraente.
L'articolo 11 stabilisce i criteri in base ai quali l'Assemblea predispone una stima di bilancio.
Vengono annoverate tra le spese i costi di amministrazione del Fondo e i pagamenti che quest'ultimo deve effettuare a titolo di risarcimento.
Tra le voci di entrata compaiono i fondi eccedenti e gli interessi derivanti da operazioni degli anni precedenti e i contributi annui.
In base alla decisione dell'Assemblea riguardo il totale dei contributi da imporre, il direttore del Fondo effettua la ripartizione tra i soggetti contributori di cui al precedente articolo 10.
Il comma 1 dell'articolo 12, sempre in tema di contributi, rinvia all'articolo 13 della Convenzione Fondo del 1992. In particolare l'articolo 13, comma 2, della Convenzione Fondo del 1992 prevede che gli Stati contraenti diano le disposizioni necessarie perché venga adempiuto l'obbligo di contribuire al Fondo e adottino tutte le misure legislative del caso, comprese le sanzioni in caso di inadempienza.
A tal proposito si consideri che l'articolo 5 del disegno di legge di Ratifica estende le sanzioni pecuniarie, già previste dall'articolo 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 504/1978 in caso di mancato pagamento, entro tre mesi, dei contributi dovuti in base alla Convenzione Fondo del 1971, anche alla
mancata corresponsione negli stessi termini dei pagamenti dovuti al Fondo complementare di cui al Protocollo in esame. La sanzione amministrativa è pari all'importo non pagato, aumentabile in casi di particolare gravità fino al triplo. Si consideri tuttavia che l'articolo 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 504/1978 prevede che la sanzione sia aumentata anche nel caso di reiterazione della violazione (e non solo nel caso di particolare gravità di quest'ultima).
Il comma 2 completa le previsioni sanzionatorie, applicando alla violazione di cui al comma 1 anche quanto disposto dai commi 4-9 dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 504/1978.
Si tratta qui del soggetto che irroga la sanzione, ossia il Ministero delle attività produttive, i cui funzionari direttivi provvedono ai relativi accertamenti, contestazioni o notifiche. È inoltre escluso il pagamento in misura ridotta, e i proventi delle sanzioni amministrative sono versati allo Stato. Infine, per quanto non previsto dalle disposizioni anzidette, si rinvia agli articoli 6, 7, 14, 16, 17, 18 e da 22 a 28 della legge 689/1981 (principi generali in materia di sanzioni amministrative).
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
Disposizioni in materia di fabbricati rurali.
testo unificato C. 617 ed abb.
(Parere alla VI Commissione).
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Gaetano PECORELLA, presidente, in sostituzione del relatore impossibilitato a partecipare alle seduta odierna, rileva che il provvedimento in esame, reca disposizioni intese a modificare i requisiti per il riconoscimento, agli effetti fiscali, del carattere di ruralità dei fabbricati, nonché la disciplina dell'accatastamento dei medesimi fabbricati ovvero di quelli che abbiano perduto il carattere di ruralità.
In particolare, l'articolo 1 estende la qualificazione di ruralità ai fabbricati destinati ad edilizia abitativa, anche se adibiti ad uso abitativo diverso dall'abitazione principale, ovvero utilizzati da uno dei soci della società semplice che conduce il fondo agricolo. Inoltre vengono inclusi tra i fabbricati rurali strumentali anche le costruzioni utilizzate come ufficio dell'azienda agricola e quelli destinati ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell'azienda, ovvero di persone addette all'alpeggio nelle zone di montagna.
Si stabilisce che soltanto per l'accatastamento delle nuove costruzioni prive dei requisiti di ruralità, ovvero delle costruzioni già censite al catasto dei terreni per le quali non sussistono i suddetti requisiti, si applicano le disposizioni per la conservazione del catasto edilizio urbano.
Si prevede che nelle more dell'istituzione delle microzone di cui all'articolo 3 della legge n. 662 del 1996, i fabbricati di abitazione che hanno perso il requisito della ruralità, se costruiti prima del 1945, sono censiti nella categoria A/4 (case di abitazione popolare); se costruiti dopo tale data, essi sono censiti nella categoria A/3 (abitazioni di tipo economico).
Si conferma l'inclusione nella categoria catastale D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse all'attività agricola) delle costruzioni strumentali all'esercizio dell'attività agricola, precisando che essa si applica anche alle costruzioni destinate ad abitazione. Si prevede, inoltre, che ai fabbricati inclusi nella categoria D/10 non è attribuita alcuna rendita catastale.
Vengono inoltre modificati i termini per la dichiarazione al catasto delle variazioni nell'iscrizione dei fabbricati che hanno perso il carattere della ruralità. In particolare viene spostato il termine per la presentazione della dichiarazione al catasto delle variazioni nell'iscrizione dei fabbricati che hanno perso il carattere della ruralità dal 31 dicembre 1995 al 31 dicembre 2004, nonché prorogando, conseguentemente, l'esenzione dalla riscossione dei tributi a tutti i periodi di imposta
anteriori al 1o gennaio 2003 per le imposte dirette e al 1o gennaio 2002 per le altre imposte e tasse nonché per l'ICI.
Infine si specifica che non è assoggettabile all'ICI il terreno utilizzato per realizzare un fabbricato rurale e che e si dispone che il fabbricato rurale strumentale all'esercizio dell'attività agricola sono pertinenze dei terreni su cui insistono e quindi non sono soggetti autonomamente all'ICI.
Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
Disposizioni in materia di indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie.
C. 4865 Volontè e C. 5020 Castellani.
(Parere alla XII Commissione).
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Beatrice Maria MAGNOLFI (DS-U), relatore, rileva che il provvedimento dispone nuovi benefici, rispetto a quelli già previsti dalla legislazione vigente, a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a seguito di vaccinazioni obbligatorie.
In particolare, ai sensi dell'articolo 1, a tali soggetti viene riconosciuto, in primo luogo, un «ulteriore» indennizzo che comprende tutte le voci del danno, inteso come danno esistenziale, patrimoniale, morale e biologico. Come emerge dalle relazioni delle proposte di legge, si intende attribuire un indennizzo più congruo, che consideri anche il danno biologico ed esistenziale. Tale indennizzo, che consiste in un assegno mensile vitalizio, di entità variabile a seconda della gravità della menomazione, spetta per metà al soggetto danneggiato e per l'altra metà ai congiunti che prestano o abbiano prestato assistenza in maniera prevalente e continuativa.
Qualora, a causa della vaccinazione obbligatoria, sia derivata la morte, l'avente diritto (coniuge, figli, eccetera) può optare tra l'ulteriore indennizzo di cui sopra e un assegno «una tantum» pari a 150.000 euro, da corrispondere in cinque rate.
L'articolo 2 prevede l'istituzione di una Commissione per la definizione degli importi da erogare di cui agli articoli 1 e 4.
L'articolo 3, di particolare competenza della II Commissione, prevede che i soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che usufruiscono dei benefici della legge n. 210 del 1992, che hanno in corso contenziosi giudiziali in qualsiasi grado e stato del giudizio, «ivi compresa la fase esecutiva», i quali intendono godere dei benefici del provvedimento in esame, debbono rinunciare «alla prosecuzione del giudizio» con atto formale.
L'articolo 4 attribuisce ai soggetti di cui all'articolo 1 il beneficio di un assegno una tantum, il cui ammontare è determinato dalla Commissione appositamente istituita, sino alla misura massima di dieci annualità dell'indennizzo di cui al comma 1 dell'articolo 1, per il periodo compreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento dell'indennizzo. Tale assegno è corrisposto per metà al danneggiato e per l'altra metà ai congiunti che prestano assistenza.
Preliminarmente osserva che il provvedimento, attribuendo un ulteriore indennizzo «che comprende tutte le voci del danno, intesto come danno esistenziale, patrimoniale, morale e biologico», potrebbe prestarsi a dubbi interpretativi, nel senso di far ritenere che l'ulteriore indennizzo faccia venir meno l'eventuale diritto al risarcimento del danno da fatto illecito. Si potrebbe propendere per tale interpretazione anche alla luce dell'articolo 3, che subordina il percepimento dell'indennizzo ulteriore alla rinuncia ai giudizi in atto. Ciò, oltre ad essere in contrasto con la ratio e con le relazioni introduttive delle proposte di legge in esame, sarebbe palesemente illegittimo sul piano costituzionale, poiché, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, l'attribuzione dell'indennizzo si pone si pone su un piano diverso sul risarcimento del danno da fatto illecito e non può determinare il venir meno di tale risarcimento. Pertanto sarebbe opportuno
inserire un periodo, alla fine del comma 1 dell'articolo 1, volto a precisare che: «Rimane fermo il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante da fatto illecito».
All'articolo 1 è fatto espressamente riferimento alla categoria del danno «esistenziale», sulla cui natura e fondamento la dottrina è ancora divisa, sebbene la Cassazione, con la sentenza n. 2050 del 2004, sembri averla riconosciuta, al pari del danno biologico e di quello morale soggettivo, come categoria di quella più generale del danno non patrimoniale. Proprio per evitare qualsiasi dubbio interpretativo, potrebbe essere opportuno sostituire le parole: «tutte le voci del danno, inteso come danno esistenziale, patrimoniale, morale e biologico» con le seguenti: il danno patrimoniale e non patrimoniale»
Quanto all'articolo 3, sembra incongruo ed illegittimo subordinare l'accesso ai benefici del provvedimento (ulteriore indennizzo) alla rinuncia all'azione e ai giudizi relativi alla richiesta di risarcimento di danni da fatto illecito. Sul punto la formulazione non è chiara, parlando genericamente di «contenziosi giudiziali», ma sembra che l'intenzione del legislatore sia questa.
Al contrario l'articolo 3 potrebbe essere legittimo se interpretato nel senso che si riferisce ai giudizi relativi all'impugnazione delle decisioni del Ministro della salute ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 210 del 1992, decisioni relative al giudizio di classificazione delle infermità (articolo 4, comma 4, della medesima legge).
In sostanza all'articolo 3, comma 1, dopo le parole «contenziosi giudiziali», sarebbe opportuno inserire le seguenti «ai sensi dell'articolo 5, comma 3, della medesima legge».
Sempre per evitare dubbi interpretativi, potrebbe essere opportuno specificare che il contenzioso, al quale l'interessato deve rinunciare per ottenere i benefici previsti dal provvedimento in esame, si riferisce al risarcimento dei danni causati da vaccinazioni obbligatorie.
Segnala che il testo non prevede alcuna disciplina per le spese di giudizio sostenute né rinvia alla disciplina prevista dal codice di procedura civile (articoli 306, comma 3, e 632, comma 1, per cui sarebbe opportuno stabilire una disciplina speciale o rinviare a quella generale.
Osserva che il riferimento alla «fase esecutiva» sembra riferirsi ad una fase successiva al giudicato, nel caso non si sia ottenuta la corresponsione di quanto riconosciuto dalla sentenza definitiva e quindi si sia ricorso all'esecuzione forzata. Se così fosse, la rinuncia alla prosecuzione del giudizio (esecutivo) non garantirebbe la rinuncia ai diritti già riconosciuti con sentenza definitiva. Pertanto, se si volesse raggiungere tale obiettivo, sarebbe opportuno prevedere che in tal caso i soggetti in questione debbano rinunciare, con atto formale, non solo alla prosecuzione del giudizio ma anche al diritto sostanziale riconosciuto da sentenza definitiva.
Gaetano PECORELLA, presidente, osserva che sarebbe opportuno chiarire il rapporto tra l'indennizzo previsto dal provvedimento in esame e l'ordinaria azione per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile.
Giovanni KESSLER (DS-U) ritiene che l'indennizzo previsto dal provvedimento in esame trovi applicazione nelle ipotesi in cui, pur riscontrandosi un danno prodotto dalle vaccinazioni obbligatorie, tuttavia non esista alcuna responsabilità per colpa in capo al medico ovvero all'ente ospedaliere.
Gaetano PECORELLA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.55.
Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato stati trattato:
Disposizioni in materia di patti successori d'impresa.
C. 3870 Buemi.