Commissioni Riunite I e II - Resoconto di mercoledì 11 settembre 2002


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SEDE REFERENTE

Mercoledì 11 settembre 2002. - Presidenza del presidente della II Commissione Gaetano PECORELLA, indi del presidente della I Commissione Donato BRUNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Jole Santelli.

La seduta comincia alle 9.10.

Modifiche agli articoli 45, 46, 47, 48 e 49 del codice di procedura penale.
C. 3024 Mantini, C. 3102 Cirami, C. 3107 Sgobio, C. 3108 Boato, C. 3109 Pecoraro Scanio, C. 3110 Fanfani, C. 3111 Cento, C. 3112 Finocchiaro, C. 3113 Fanfani, C. 3114 Carboni, C. 3115 Fanfani, C. 3116 Leoni, C. 3117 Bonito, C. 3118 Buemi, C. 3119 Bonito, C. 3120 Fanfani, C. 3121 Pistone.
(Seguito dell'esame e rinvio).

Le Commissioni proseguono l'esame, rinviato, da ultimo, nella seduta del 10 settembre 2002.

Gaetano PECORELLA (FI), presidente, avverte che è stato chiesto che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso.
Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.

Riccardo MILANA (MARGH-U) esprime indignazione su un provvedimento in cui si prevede un meccanismo che introduce nelle istituzioni italiane un grande conflitto di interessi. Il provvedimento Cirami garantisce infatti l'impunità di alcuni imputati eccellenti attraverso il prolungamento dei termini processuali, apparendo nella sostanza l'affermazione di un diritto alla prescrizione.
Nell'evidenziare che il Governo si occupa degli interessi personali del Presidente del Consiglio piuttosto che affrontare la gravissima situazione economica italiana, i problemi della sanità, della scuola e della carenza di servizi ai cittadini, osserva che tutto ciò scaverà un solco


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profondissimo con il paese reale. Ricorda che anche il Financial Times ha descritto il provvedimento sul legittimo interesse come costruito su misura per la persona del Presidente del Consiglio. Osserva che, qualora le nuove disposizioni fossero approvate, i processi riguardanti Previti e Berlusconi, per la cui celebrazione sono stati necessari ben due anni, andrebbero verso la prescrizione e che la stessa sorte potrebbe toccare anche ai processi di mafia.
Esprime quindi rilievi critici sulla fretta imposta all'esame del provvedimento e, nel ricordare una famosa frase di Aldo Moro, il quale affermò che la giustizia non si fa in piazza, ma nelle aule dei tribunali osserva che se gli avvocati di Berlusconi riusciranno nei loro intenti, per gli imputati eccellenti non si farà giustizia neanche nelle aule dei tribunali.
Sottolineato che le norme in esame non rispettano il principio della ragionevole durata del processo, osserva che l'approvazione della proposta Cirami, dopo le leggi sulla depenalizzazione del falso in bilancio e sulle rogatorie internazionali, infliggerà l'ennesimo colpo alla giustizia italiana con conseguenze inimmaginabili per un paese civile, democratico ed europeo. Si rammarica infine del fatto che molti deputati della maggioranza, pur dissentendo dalle norme in esame, non hanno il coraggio di esprimere una posizione autonoma rispetto ai gruppi di appartenenza.

Salvatore BUGLIO (DS-U), dopo aver manifestato il proprio dissenso per la conduzione dei lavori da parte del Presidente del Senato sul provvedimento Cirami, sottolinea la diversità di comportamento dei Governi di centrosinistra rispetto a quello di centrodestra nei confronti delle manifestazioni dei militanti di parte contraria: a fronte di concrete dimostrazioni di apertura al dialogo e al confronto dialettico del centrosinistra, gli esponenti dell'attuale compagine governativa esprimono invece giudizi sprezzanti rispetto a qualsiasi manifestazione dell'opposizione.
Nel ricordare le dichiarazioni del premier riguardo alla priorità della legge che reintroduce nel codice l'istituto del legittimo sospetto, evidenzia la mancanza di coraggio dei deputati della maggioranza, che sembrano incapaci di esprimere posizioni diverse da quelle del capo del Governo.
Osserva infine che la proposta di legge C. 1947, presentata dai deputati Pepe e Saponara, unitamente a quella del deputato Pittelli, se approvate, porterebbero alla cancellazione dei processi di mafia.

Michele SAPONARA (FI) invita il deputato Buglio a leggere più attentamente la sua proposta di legge.

Salvatore BUGLIO (DS-U), nel ritenere che il Presidente della Camera abbia dimostrato di essere arbitro imparziale, sottolinea la necessità di un confronto serio nelle aule parlamentari, anche al fine di evitare che, nel corso dei processi, i magistrati possano sollevare questione di costituzionalità sulla legge Cirami sulla base di sentenze pronunciate dalla Corte nel 1996 e 1997. Ritiene che sulle questioni della giustizia non si possa continuare a legiferare a colpi di maggioranza e che il conflitto tra le parti dia luogo unicamente ad opposti estremismi che logorano le istituzioni, mentre si dovrebbero risolvere gli annosi problemi della lunghezza e del bizantinismo delle procedure.
Nell'evidenziare la gravissima crisi economica che attraversa il paese, l'aumento della pressione fiscale, il drammatico taglio delle risorse destinate agli enti locali, nonché la crescita del debito rispetto al PIL che, contrariamente ai programmi di Governo, è destinato a diminuire, osserva infine che le promesse non mantenute dal Presidente Berlusconi avranno conseguenze perniciose per la maggioranza in occasione delle prossime elezioni.

Gloria BUFFO (DS-U), nel ricordare il primo anniversario della tragedia delle Twin Towers, richiama l'attenzione del Governo sulle grandi questioni internazionali e, soprattutto, sugli inquietanti scenari


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che si aprono in Iraq, sollecitandolo a non occuparsi unicamente della tutela degli interessi di imputati eccellenti. Sottolinea il dovere dell'opposizione di contrastare decisamente l'approvazione del provvedimento Cirami ed esprime rilievi critici sul modo singolare in cui la maggioranza onora il cosiddetto contratto con gli italiani che si è trasformato, in realtà, in un contratto con Berlusconi.
Nell'osservare che all'inizio della legislatura neanche l'opposizione più avveduta avrebbe potuto immaginare che il Parlamento sarebbe intervenuto su una materia delicata ancora all'esame della Consulta, ritiene che almeno la maggioranza potrebbe prevedere tempi più ampi per l'esame del provvedimento oppure decidere di non applicare la legge, qualora fosse approvata, ai processi in corso.
Evidenzia le finalità perseguite dalla maggioranza nel difendere due imputati eccellenti dal legittimo processo, che sono antitetiche rispetto a quelle dell'opposizione, impegnata strenuamente a difendere il principio che la legge è uguale per tutti. Ritiene che la maggioranza stia costruendo un sistema di giustizia a vantaggio dei più forti, con regole di favore per i potenti, come risulta evidente dall'approvazione dei provvedimenti sulle rogatorie internazionali, sulla depenalizzazione del falso in bilancio e sul rientro dei capitali, nonché dalla presentazione della proposta di legge di modifica dell'istituto dell'immunità parlamentare.
Nel richiamare infine i più pressanti temi della politica estera, osserva come l'esecutivo abbia abdicato ad un ruolo di maggiore autonomia degli Stati Uniti, dove peraltro viene assicurata una maggiore imparzialità nell'applicazione delle leggi. Ritiene che l'Italia non meriti un conflitto di interessi ed una legge a vantaggio dei potenti degni di una repubblica delle banane e nel contempo una politica sociale basata sul classismo sociale vicina a quella praticata negli Stati Uniti.

Fulvia BANDOLI (DS-U) osserva preliminarmente che sarebbe stato auspicabile un confronto che consentisse ai cittadini di comprendere le diverse posizioni, come è stato osservato nel corso degli interventi di ieri, mentre nelle Commissioni si sta svolgendo un monologo delle opposizioni piuttosto che un dibattito, e la maggioranza dà prova di una fretta che non trova riscontro in occasione dell'esame di altri provvedimenti.
Premesso di non aver mai avuto una concezione sacrale della magistratura e della giustizia, avendone riscontrato in varie occasioni limiti ed errori, e di aver mantenuto, anche in occasioni difficili, un atteggiamento coerente, indipendente dallo schieramento che sosteneva una determinata tesi, sottolinea come proprio sul terreno della giustizia, in cui l'azione non dovrebbe essere ideologica o ad personam, nell'ultimo anno si sono avute le più aspre contese.
Nel ritenere di non poter essere tacciata di giustizialismo preconcetto o sommario e di avere maturato una concezione garantista della giustizia, si sofferma su talune ragioni politiche che depongono contro il provvedimento Cirami e che comunque dovevano indurre, a suo avviso, a non richiederne l'urgenza. Ricordato che il codice di rito già disciplina il concetto di legittimo sospetto in modo conciso e circostritto, ritiene che modificarlo, come si propone, rendendolo più generico, significhi solo fare un passo indietro in direzione dell'incertezza e della confusione.
Evidenziato come altre siano le priorità che interessano il paese, dal dissesto ambientale di aree vastissime, all'assetto scolastico, al deficit, così come urgente sarebbe capire quale sia la posizione dell'Italia e dell'Europa rispetto all'intervento degli Stati Uniti in Iraq, ritiene che l'urgenza attribuita dalla maggioranza al provvedimento Cirami sia indicativa di una scala di priorità non condivisibile.
Nel ricordare che in passato l'istituto oggi in discussione ha già trovato applicazione, richiama due vicende emblematiche: la prima ha il processo successivo alla rottura della diga del Vajont, avvenuta nel 1963, che provocò duemila vittime, che vedeva il coinvolgimento della ditta costruttrice SADE-Montedison, le cui gravi


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responsabilità erano emerse anche da un'indagine parlamentare, nel quale gli avvocati della difesa chiesero il trasferimento da Belluno a L'Aquila. Dopo cinque anni quel processo si concluse con condanne minime. Il dato a suo avviso inquietante è che il processo civile, riportato a Belluno, si concluderà solo 30 anni dopo il disastro, nel 1997, peraltro con la condanna della ditta costruttrice ad un risarcimento di 55 miliardi. Ricorda inoltre la vicenda di piazza Fontana: anche in quella occasione si chiese lo spostamento del processo per ragioni di ordine pubblico da Milano a Catanzaro che portò, a distanza di 20 anni, ad una prima sentenza di assoluzione di tutti gli imputati; nel 1990 il tribunale di Milano riaprì l'inchiesta e solo nel 2001 Zorzi, Rognoni e Maggi, tre esponenti di Ordine nuovo, vennero condannati all'ergastolo. Alla luce dei casi richiamati ritiene inquietante immaginare che d'ora in poi i processo debbano svolgersi con queste modalità. Peraltro, notoriamente, le priorità sul terreno della giustizia sono altre, quali la lentezza nello svolgimento dei processi, i termini insostenibili della carcerazione preventiva, la carenza di personale in molti settori, nonché situazioni carcerarie inaccettabili.
Pur manifestando la propria personale sensibilità all'argomento secondo il quale con il provvedimento in esame si offre un diritto in più all'accusato, osserva che il diritto ad avere un giudizio imparziale è già oggi garantito dalla possibilità di ricusare un giudice qualora sia dimostrabile che nutra pregiudizi verso l'accusato e di spostare il processo ad altra sede quando sia pregiudicata da fatti concreti la libertà di determinazione del giudice stesso. Anche all'osservatore meno malizioso appare allora chiaro il nesso tra il provvedimento in esame ed i procedimenti in corso nei confronti di alcuni uomini politici della maggioranza; se si fosse voluto fugare tale dubbio, pertanto, si sarebbero dovuti sottrarre quei processi all'applicazione della norma di cui si richiede l'approvazione.
In realtà non si tratta di offrire un diritto in più a tutti gli imputati, perché solo chi ne ha i mezzi utilizzerà la possibilità di essere giudicato dove vuole, di allungare i tempi processuali e di aspettare che il reato di cui è accusato cada in prescrizione. La maggioranza dunque non persegue l'obiettivo di una giustizia certa, ma infligge un duro colpo allo Stato di diritto.

Francesco MONACO (MARGH-U) manifesta preliminarmente il proprio imbarazzo per doversi occupare proprio l'11 settembre, una data che imporrebbe ben più alte riflessioni, di una questione oggettivamente periferica nell'agenda dei cittadini ma così ossessivamente centrale per il Presidente del Consiglio e per il suo entourage. Un'altra ragione di imbarazzo consegue al fatto di doversi dedicare all'approfondimento del merito di una questione tutto sommato semplice, sulla quale si registra una larga convergenza sia della giurisprudenza, sia della dottrina e che oggi è invece oggetto di una controversia litigiosa e strumentale mossa da interessi fin troppo chiari, ancorché non nobili.
Richiamate le più volte citate sentenze della Corte costituzionale del 1996 e del 1997, con le quali si giudicò incostituzionale l'articolo 47 del codice di procedura penale, che vietava al giudice di pronunciare la sentenza finché non fosse intervenuta l'ordinanza che dichiarava inammissibile o rigettava la richiesta di rimessione, osserva che tale norma, che veniva palesemente utilizzata a fini ostruzionistici nei confronti del processo, venne dichiarata illegittima perché compromeva il bene costituzionale dell'efficienza del processo ed il canone fondamentale della razionalità delle norme processuali.
Reputa peraltro sconcertante la tempistica forzata adottata, in un certo modo offensiva e provocatoria verso la Consulta, che sta per pronunciarsi e che ha già fissato la relativa udienza per il prossimo ottobre, come rilevato da garantisti quali Giovanni Conso e Giuliano Vassalli, tempistica la cui ragione è ben nota: un'affannosa rincorsa del processo di Milano alla sua stretta finale.
Rileva quindi che anche la dottrina è largamente concorde su alcuni punti cruciali,


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quali il carattere eccezionale dell'istituto della rimessione, osservando che, peraltro, le statistiche giudiziarie documentano che il numero dei casi pendenti di fronte alla Corte di cassazione è esiguo. La vaghezza della formula del legittimo sospetto che si vorrebbe introdurre farebbe segnare un ritorno al passato e pregiudicherebbe il principio costituzionale della precostituzione per legge del giudice naturale; dal punto di vista pratico sarebbero a rischio soprattutto i processi inerenti la criminalità organizzata, giacché sarebbe agevole preordinare artificiosamente condizioni ambientali tali da invocare poi il trasferimento del processo. I presupposti del legittimo sospetto devono pertanto essere precise e circostanziate situazioni di fatto, fattispecie tassativamente fissate dalla legge stessa; deve trattarsi di situazioni cui non si può porre rimedio altrimenti e che rappresentano causa certa di pregiudizio per il processo.
Di dubbia costituzionalità è inoltre la retroattività cioè l'applicazione della norma ai processi in corso e l'ipotesi di immediata sospensione degli stessi.
Richiama quindi la nota disputa sul vuoto normativo, nonché sulla non conformità dell'articolo 45 del codice di procedura penale ai criteri direttivi della legge delega, ricordando come anche dalla testimonianza del professor Chiavario, uno dei materiali estensori del nuovo testo nell'ambito della commissione Pisapia, si evinca che quella allora compiuta non fu una svista: si tratta infatti di una scelta deliberata, argomentata e consapevole, conforme allo spirito della delega di delimitare i presupposti di fatto della rimessione, di ridurne la discrezionalità, come ricordato ieri dal deputato Sinisi il quale citava in proposito il commentario Amodio-Dominioni.
Si sofferma quindi su una pluralità di posizioni che vanno tutte nella stessa direzione, assunte da noti uomini di diritto: a riguardo ricorda la proposta Conso, che rappresenta un tentativo di frenare il varo della proposta di legge Cirami e come nel luglio scorso lo stesso Conso si fosse speso affinché non si procedesse, in ossequio alla imminente pronuncia della Consulta; ricorda altresì le considerazioni espresse dal presidente Casavola, uomo di grande equilibrio e sicuro garantista, il quale ha affermato, tra l'altro, che una determinata parte politica vuole legiferare disorganicamente, mescolando interessi generali a casi personali. Menziona inoltre le valutazioni del deputato Mancuso, ricordando che per quest'ultimo la proposta di legge Cirami è palesemente incostituzionale. Cita ancora le valutazioni di alti rappresentanti delle istituzioni, tra i quali Rognoni, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, il quale ha espresso la preoccupazione che se la questione del legittimo sospetto rimarrà troppo a lungo sul tappeto, il rischio è che si pensi che la parzialità dei giudici sia la regola e l'imparzialità un'eccezione, messaggio, questo, devastante.
Fa quindi riferimento alle indiscrezioni giornalistiche non smentite, ma anzi suffragate dagli sviluppi che sono seguiti, concernenti puntuali rilievi del Quirinale in merito ad un contrasto con la Costituzione immediatamente rilevabile. Gli sviluppi richiamati cui si fa riferimento sembrano avallare quelle indiscrezioni, perché ad esse sono seguite sorprendenti ed improvvise disponibilità emendative, peraltro da accertare, da parte della maggioranza su un testo al Senato blindato.
Richiama inoltre le valutazioni critiche del procuratore generale di Palermo Grasso, nonché il sorprendente elogio dell'allora nuovo articolo 45 del codice di procedura penale da parte di Corrado Carnevale e le dichiarazioni rese su la Repubblica dal presidente Pecorella, ed ancora la proposta di moratoria, di natura politico-parlamentare, avanzata dall'onorevole Mantovano in tema di processo penale, che esprime il punto di vista della sua parte politica. Ritiene tale proposta eloquente in ordine alle valutazioni su provvedimenti ad personam e tuttavia contraddittoria, perché la moratoria dovrebbe essere introdotta a valle del varo della proposta di legge Cirani. Altri rilievi critici sono venuti anche dai deputati Fisichella e Fiori.


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Nel sollecitare una riflessione che si astragga dalla situazione esistente, osserva come di quest'ultima non si avverta più la portata patologica, ossia il fatto che il legislatore mira ad introdurre un sospetto sistematico verso i giudici. In una situazione di evidente conflitto di interessi e di conflittualità tra le istituzioni ed all'interno del Parlamento, in cui sono precluse possibilità di dialogo, si producono lacerazioni drammatiche tra il paese e le istituzioni. Ritiene umiliante la condizione delle istituzioni, ostaggio di una agguerrita pattuglia di avvocati, strategicamente dislocati all'interno delle istituzioni medesime, tale da minare la credibilità di queste ultime, a cominciare da quella parlamentare. Nel considerare altresì umiliante la condizione di colleghi della maggioranza, i quali talvolta in privato confessano con imbarazzo di non essere uomini liberi, ritiene faccia riflettere la circostanza che la proposta di legge in esame rechi la firma di un senatore dell'UDC, ossia di una forza politica che a giorni alterni ostenta moderazione e senso delle istituzioni: in quella firma sta, a suo avviso, la contraddizione insuperabile dell'UDC, la sua invincibile subalternità politica, nonché una sorta di vendetta del padre-padrone della coalizione, il quale richiama l'UDC al compito di eseguire ordini.
Espresso un giudizio di netto e radicale dissenso sul provvedimento, manifesta tuttavia l'interesse a conoscere, in termini puntuali, le eventuali disponibilità emendative da parte della maggioranza, ribadendo peraltro l'intento di reagire contro l'assuefazione al conflitto di interessi che avvelena il Parlamento.

Donato BRUNO, presidente, ricorda ai deputati che intendono intervenire che dispongono di dieci minuti e che l'ulteriore tempo utilizzato verrà sottratto ad altri colleghi che prenderanno successivamente la parola.

Alfonso PECORARO SCANIO (Misto-Verdi-U) sottolinea il carattere anomalo del dibattito odierno, che si svolge in una data delicata come quella dell'11 settembre, senza che si sia ritenuto di sospendere i lavori, richiesta che sottopone agli uffici di presidenza, anche in considerazione del fatto che molti deputati sono impegnati in iniziative importanti per celebrare il gravissimo lutto dello scorso anno. Pur nella consapevolezza che tale richiesta può esser ascritta all'intento di dilazionare i tempi del dibattito, osserva che conferire alla discussione della proposta di legge Cirami la prevalenza su tutto ingeneri ulteriori sospetti sull'urgenza con cui si procede.
Quanto al merito del provvedimento, manifesta come parlamentare il proprio disagio per il fatto che ancora una volta in una materia delicata come quella della giustizia si interviene con un provvedimento stralcio, che peraltro contraddice lo stesso programma del centrodestra, che parlava di riforma organica, non già di singoli interventi, che inevitabilmente appaiono volti a fronteggiare emergenze palesemente collegate a vicende giudiziarie in corso, come già in occasione del provvedimento sulle rogatorie internazionali, con conseguenze negative sulla possibilità di attuare riforme utili in materia di giustizia.
Reputa di particolare gravità il fatto che l'affermazione di un principio, di per sé non sbagliato, ma anzi condivisibile, venga attuata con un provvedimento stralcio, in sostanza una «leggina», anziché con una riforma organica, tra l'altro in contrasto con l'intento manifestato dal Polo di ridurre il numero di leggi. Si continuano invece a produrre «leggine», denunciate nelle sedi forensi come il peggior modo di legiferare, esasperando le difficoltà di un confronto, da tutti auspicato, su questioni centrali come quelle della giustizia. Non si contesta peraltro l'esigenza di talune riforme, ma l'utilizzo di un principio astratto per giungere ad un risultato scorretto. Inoltre, si parla di una norma sul legittimo sospetto, ma, di fatto, si sta introducendo una disposizione sul generico sospetto ed un meccanismo che consente, di fatto, di evitare i processi. Si


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tratta quindi, come è stato detto, di difendersi non nel processo, ma dal processo.
Esprime quindi il convincimento che l'arroganza della maggioranza sui temi della giustizia sia stata probabilmente sottovalutata, altrimenti sarebbe già stata avviata la raccolta di firme per il referendum abrogativo di una legge come quella sulle rogatorie internazionali, considerato che il referendum è l'unico strumento costituzionale per sottoporre ai cittadini la valutazione di provvedimenti che rispondono ad interessi personali. Peraltro, nel «contratto con gli italiani» del Presidente del Consiglio non era contemplato il varo di alcune specifiche leggi in tema di giustizia, ma si proponevano altri temi, quali la riduzione delle tasse e l'occupazione, ossia obiettivi presentabili, non certo leggi ad hoc che interferiscono con taluni processi.
Atteso che si può discutere seriamente sulla garanzia rappresentata dalla massima imparzialità possibile del giudice, che è interesse generale e che costituisce un elemento di civiltà democratica, il problema è allora rappresentato dal metodo seguito e dal merito del provvedimento, che consente a chi ne ha le risorse e la forza di rinviare un processo sine die.
Valuta inoltre negativamente l'ulteriore accelerazione impressa all'esame del provvedimento, peraltro senza un adeguato coordinamento: poiché non si sta discutendo della conversione di un decreto-legge, soggetta ad una scadenza, bensì di un provvedimento ordinario, la fretta imposta nell'esame di quel provvedimento appare in relazione a scadenze processuali.
Sollecita pertanto gli esponenti della maggioranza ad esercitare le funzioni parlamentari senza vincoli di mandato, dando seguito al disagio che molti privatamente manifestano per il varo di «leggine» piuttosto che di una riforma organica in materia di giustizia, misure che costituiscono palesemente un affronto all'intelligenza dei cittadini, i quali ben comprendono che si stanno adottando provvedimenti ad personam, con pregiudizio della possibilità di realizzare davvero riforme serie nonché della credibilità del Parlamento.

Marco SUSINI (DS-U) rileva un aspetto surreale nella discussione in corso, atteso che la Casa delle libertà un giorno parla di dialogo civile tra maggioranza ed opposizione ed il giorno dopo, come se nulla fosse, forza i tempi e comprime la discussione, arrivando perfino, attraverso i propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione della Rai, a negare la diretta televisiva della manifestazione di sabato prossimo.
Ritiene altresì surreale il dibattito perché, di fronte a problemi drammatici, quali l'andamento dei conti pubblici, l'anno scolastico che prende avvio nel caos, il possibile coinvolgimento dell'Italia in una operazione militare, non si trova di meglio che impegnare il Parlamento giorno e notte in relazione al calendario delle udienze dell'onorevole Previti.
Nel ritenere ormai chiaro che quello in corso è stato un anno perso sotto il profilo del governo dell'economia, della lotta all'inflazione, per il miglioramento dei servizi sociali, osserva come non una delle promesse della campagna elettorale sia stata rispettata e questo perché ci si è occupati di altro ed il Parlamento è stato impegnato per settimane nel varo di una serie di leggi vergognose, costruite su misura per i soliti noti.
La discussione è surreale perché a queste sedute partecipano parlamentari che, guarda caso, hanno una relazione con imputati eccellenti: il presidente Pecorella, come è noto, è avvocato di Berlusconi, il presidente Bruno è collega dell'avvocato Previti ed il sottosegretario Santelli ha fatto pratica presso lo studio dello stesso avvocato Previti. Nel sottolineare che in un paese «normale» una situazione di questo genere non verrebbe tollerata un istante di più, evidenzia come un tale groviglio di incompatibilità, se non giuridiche, certamente morali e politiche, non sarebbe certo consentito in una realtà come quella statunitense.


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Reputa gravissimo l'uso politico della giustizia, perché stravolge tutte le regole e mina uno dei pilastri della convivenza civile e democratica, vale a dire l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Si è cominciato con Commissioni d'inchiesta volute non per esercitare una normale funzione di controllo del Parlamento, ma per criminalizzare l'opposizione e si è continuato con le esternazioni del presidente del Consiglio contro i magistrati, aprendo una fase di contrapposizione istituzionale che non ha precedenti nella storia del Paese. Con la proposta di legge Cirami si è però passato il segno: un provvedimento sorretto da un meccanismo infernale che ha scandito ed accompagnato le iniziative del collegio di difesa di Cesare Previti. Al paese si è offerto uno spettacolo indecoroso, con il Senato impegnato giorno e notte e il Governo che non ha esitato a porre la fiducia; infine la trovata dell'articolo unico per restringere i tempi della discussione e le forzature sul Presidente Casini.
Il provvedimento in esame risponde a suo avviso a due finalità chiare: bloccare il processo di Milano con una istanza consentita dalla nuova legge, approvata ad hoc, ed avere comunque la legge prima della pronuncia della Corte costituzionale. In questo contesto si inseriscono le proposte di legge Nitto Palma sull'immunità parlamentare e quella Pittelli, destinata a paralizzare, di fatto, l'esercizio dell'azione penale, la prima naufragata, la seconda ancora all'attenzione della Commissione giustizia.
Osservato che tali orientamenti non hanno nulla a che vedere con un garantismo sano e con la volontà autentica di rendere più certa e funzionale la giustizia, ma puntano soltanto a risolvere i problemi personali di pochi imputati eccellenti, osserva che, a fronte alle carenze di ogni genere del sistema giudiziario, si affrontano solo le questioni attinenti i guai giudiziari di alcuni privilegiati. Alla maggioranza interessa solo la giustizia per pochi, non una giustizia rapida, efficiente e certa per tutti.
Ricordato che l'articolo 25 della Costituzione prevede che nessuno possa essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, osserva che con il testo in esame si stravolge il dettato costituzionale, predisponendo varchi clamorosi per eludere all'infinito il giudizio di fronte a magistrati non graditi. Si introduce così una norma di dubbia costituzionalità, che se applicata, darà luogo a contenziosi di enormi proporzioni. Inoltre, proponendo l'immediata sospensione dei procedimenti in corso si evidenzia come il provvedimento sia predisposto su misura per il processo di Milano. Evidenziati gli effetti a catena che tale disposizione avrebbe su altri procedimenti, con effetti anche dirompenti per la lotta alla criminalità, preannunzia l'utilizzo di tutti gli strumenti regolamentari contro un progetto che reputa scandaloso.

Giacomo Angelo Rosario VENTURA (FI), manifestato preliminarmente il convincimento della bontà delle tesi addotte dalla sua parte politica alla luce del dibattito finora svoltosi, osserva che tale dibattito ha assunto a volte le caratteristiche di un dialogo tra sordi, in quanto taluni interventi sono apparsi completamente fuori tema, pur ispirati a buona fede. Si è addirittura discusso della validità nell'ambito dell'ordinamento nazionale dell'istituto della rimessione per legittimo sospetto, mentre le numerose proposte avanzate dall'opposizione non mettono in discussione quel medesimo istituto. Peraltro, dalle relazioni svolte si evincono dati storici e di letteratura giudiziaria, nonché di diritto comparato che suffragano la bontà dell'istituto, sicché chi lo ha demonizzato o lo ritiene superfluo, ovvero tale da violare prerogative e garanzie ordinamentali si pone, a suo avviso, fuori di logica.
Richiama quindi le questioni sollevate ieri nel proprio intervento dal deputato Loiero, il quale si chiedeva la ragione della fretta impressa al dibattito. Al riguardo osserva che se è vero che l'istituto del legittimo sospetto non è in discussione e che già in passato il legislatore ebbe a


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varare la norma in dissonanza con la delega ricevuta e se è vero che la stessa Corte di cassazione in sede di parere, nonché il CSM e la stessa Commissione consultiva ebbero ad affermare che il tenore della norma che si andava a varare da parte del legislatore delegato non prevedeva l'accezione del legittimo sospetto, diventa di estrema attualità comprendere perché oggi i tempi inducano ad operare con le modalità adottate. Ribadito che il tema non è nuovo, osserva che se vi fosse stata la volontà di interferire nello svolgimento del processo di Milano sarebbe stato sufficiente estrapolare dalla stessa proposta di legge Anedda l'articolo 45, rimodulato come oggi si propone. Se dunque l'intento fosse stato quello di prevaricare il corso fisiologico di quel processo sarebbe stato sufficiente - dopo la sentenza della Corte costituzionale del 1996, che ha dichiarato incostituzionale la sospensione del processo in caso di inoltro di istanza di rimessione per legittimo sospetto - intervenire immediatamente. Tutto questo non è avvenuto.
Il fatto nuovo che ha indotto nel luglio scorso ad accelerare i tempi ed i termini del problema è stata un'ordinanza della Corte di cassazione a sezioni unite, con cui si stabiliva, che, in effetti, sussiste una lacuna legislativa. Nel ritenere che sarebbe fonte comunque di preoccupazione se vittima del contesto di forte dubbio delineato nella richiamata ordinanza della Corte di cassazione fosse un qualunque cittadino, atteso che ad essere parte in causa del processo è il Presidente del Consiglio, ritiene che un Parlamento che si muovesse nel solco delle proprie prerogative e che riconoscesse alla maggioranza di essere espressione del libero svolgimento delle consultazioni elettorali, in cui non vi fosse una minoranza che considera un incidente di percorso elettorale il suffragio conferito alla Casa delle libertà, un Parlamento quindi in cui si prendesse atto del gioco democratico e che non mirasse ad interruzioni preventive della legislatura e nel quale non si spostassero sul terreno giudiziario soluzioni che non trovano albergo in quello istituzionale, un Parlamento degno di questo nome dovrebbe fare quadrato attorno ad un cittadino, Presidente del Consiglio dei ministri, che le sezioni unite della Corte di cassazione dicono essere «preda» di un giudice sospetto.
Quanto all'obiezione secondo la quale, avvalendosi della richiesta di rimessione si potrebbe arrivare ad un giudice corrotto e compiacente, osserva che, se il giudice non corrotto ma semplicemente non sereno si trovasse a monte di quel processo, il cittadino imputato si vedrebbe pregiudicato uno dei pilastri fondamentali dell'ordinamento, cioè il diritto ad essere giudicato da un giudice sereno ed obiettivo.
Precisa che la novella legislativa interviene stabilendo che solo in sede di prima istanza si ha la sospensione ipso iure, perché in seconda istanza, qualora i motivi non dovessero essere nuovi, ad essa non si potrebbe dar luogo. Inoltre, il giudice demandato a valutare la seconda istanza è proprio il giudice sospetto; pertanto, ritiene non si possa pensare ad una compiacenza del giudice a far passare un'istanza che abbia in qualche modo effetti dilatori.
In merito al problema dell'applicazione della norma in esame ai processi in corso, ricorda che l'articolo 1 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, prevede espressamente che i principi contenuti nell'articolo 111 della Costituzione, così come modificato, vadano applicati ai processi in corso. Osserva, in proposito, che la terzietà e l'imparzialità, espressamente sancite nell'articolo 111 della Costituzione, sono pertanto riconducibili immediatamente alla rimessione per legittimo sospetto.
Invita poi a riflettere sulla possibilità che l'assetto politico del paese possa essere messo a repentaglio da giudici ritenuti fortemente sospetti che si trovino ad esaminare l'imputato Presidente del Consiglio.
Ai deputati che, richiamandosi erroneamente alla vicenda del processo di Palermo, hanno ritenuto che l'istituto del legittimo sospetto abbia dato esiti negativi, ricorda che quel processo, che aveva come imputato Luciano Liggio, fu trasferito a


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Bari per legittima suspicione su iniziativa dei pubblici ministeri che ritenevano l'ambiente fortemente condizionante la serenità dei giudici.
Sottolinea poi che l'immunità parlamentare pone al riparo da giudici sospetti, che hanno posto in essere eclatanti comportamenti di assemblamento di consenso, che non possono essere però perseguiti per il loro pregiudizio ideologico, pur non essendo né sereni né imparziali.
In conclusione, esprime un giudizio positivo sulla norma in esame che, così come formulata, garantisce dalle reiterazioni all'infinito delle istanze, è applicabile ai processi in corso (perché non è giusto che questi ne siano esclusi) ed è una fedele e puntuale applicazione del principio della terzietà e imparzialità del giudice per tutti i cittadini e non solo per il cittadino Presidente del Consiglio.
In merito, infine, alla proposta avanzata dal professor Conso, esprime perplessità sulla possibilità di soluzioni sospensive fuori dalle norme dei processi. Non ritiene utile e anzi considera pericoloso attendere la decisione della Corte Costituzionale, perché questa si pronuncerà non sulla costituzionalità o meno del contenuto della legge, bensì sulla conformità o meno del dettame in vigore alla legge di delega; la sospensione, peraltro, continuerebbe a far rimanere in balia di un giudice sospetto un cittadino qualsiasi e, nella fattispecie, il fatto che si tratti del Presidente del Consiglio è ragione ulteriore per accelerare l'approvazione della norma.

Giuseppe FIORONI (MARGH-U), pur non appartenendo alla schiera di coloro che vengono etichettati come giustizialisti dalla maggioranza, ritiene evidente che si stia assistendo più che ad un dibattito parlamentare ad una corsa contro il tempo ingaggiata dalla maggioranza per «salvare il soldato Previti»: non è un film, bensì un vero e proprio kolossal della maggioranza, l'urgenza delle urgenze, la priorità delle priorità. Poco importa se durante le riprese del kolossal vadano a fondo i conti pubblici, se il Governatore Fazio lancia grida d'allarme sull'entità del deficit raggiunto. La Banca d'Italia ha avvertito ieri che il debito ha toccato a giugno la quota record di 1.386,6 miliardi di euro; sono diminuite le entrate ed è cresciuto l'indebitamento della pubblica amministrazione. La finanza creativa del ministro Tremonti deve aver trovato qualche intoppo. Poco importa se autorevoli istituti internazionali ci tengono ormai sotto stretta e continua osservazione come al capezzale di un malato grave: l'urgenza è un'altra. La parola d'ordine non è salvare i conti pubblici dal disastro, non è neanche salvare gli immigrati onesti: in queste ore la Lega è impegnata in un corpo a corpo contro i centristi e contro la Chiesa per guadagnare posizioni nella Casa delle libertà, per assicurarsi un po' di visibilità tra l'elettorato estremista, razzista e intollerante, ma anche per coprire con un bel po' di fumo negli occhi la vera unica missione della maggioranza in queste ore: salvare il «soldato» Previti. Per i problemi reali dei cittadini, su come garantire l'occupazione, la salute, l'istruzione, un reale pluralismo nel mondo dell'informazione, c'è tempo.
Ritiene che se i deputati della maggioranza e del Governo avessero dedicato a questi temi lo stesso impegno con cui stanno cercando di trovare una scappatoia normativa per impedire che si celebrino i procedimenti in cui sono coinvolti il Presidente del Consiglio e l'onorevole Previti, oggi il paese non si troverebbe ad andare in giro per l'Europa a supplicare pericolosi e controproducenti allentamenti del patto di stabilità.
Oggi ci si trova a discutere di un provvedimento la cui unica urgenza è dettata dai problemi giudiziari, che stanno condizionando pesantemente la vita democratica del paese, di una schiera di amici che per forza di cose devono essere definiti più che autorevoli. Ritiene che ognuno debba difendere la propria innocenza nelle sedi competenti e con gli strumenti che la legge prevede.
Ricorda i difficili anni di Tangentopoli e i tanti colleghi del suo partito di origine che in quei difficili frangenti, nel rispetto della legge, hanno esercitato il proprio


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sacrosanto diritto alla difesa nelle competenti aule dei tribunali e non in quelle del Parlamento, come invece sta avvenendo oggi, dimostrando la propria innocenza. Ritiene che si stia assistendo al sovvertimento totale delle regole.
Con la proposta di legge Cirami si sovverte infatti il principio affermato dall'articolo 3 della Costituzione che sancisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, creando nei fatti una corsia preferenziale per pochi imputati eccellenti. Grazie alle illuminate riforme sulla giustizia che il Governo sta facendo introdurre da tempo, inaugurate con la mirabile scappatoia delle rogatorie, proseguite con la depenalizzazione del falso in bilancio, andate avanti sino ad oggi fino al provvedimento in esame, la bilancia che rappresenta l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge rischia di essere un simbolo non più di garanzia ma solo di privilegio.
La bilancia che rappresenta l'idea di giustizia della maggioranza è sempre più simile a quella sulla quale in un piatto i barbari ponevano i prigionieri e sull'altro ponevano l'oro che questi dovevano versare per riacquistare la libertà e i loro diritti. Con l'uso ad personam delle leggi che si sta compiendo, si nega nei fatti l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e si cancellano le regole basilari dello Stato di diritto: la legge non è più tale, è ormai sempre comunque una «scappatoia».
La verità è che ci si difende nei processi e non dai processi, come fa qualche autorevole esponente della maggioranza ed anche il Presidente del Consiglio.
La maggioranza ha portato in Parlamento il collegio difensivo di imputati eccellenti: la considera una trovata degna del teatro dell'assurdo ove valgono le regole dell'inversione, del mondo alla rovescia. Il sospetto, legittimo, è che lo stuolo di avvocati-parlamentari, accortosi di non riuscire a vincere la propria battaglia nelle sedi competenti, stia cercando di vincerla nelle aule parlamentari.
Nella storia dell'Italia repubblicana non si era mai assistito ad una simile commistione di poteri e di ruoli, mai si era visto un tale conflitto di interessi. Constatato come le esigenze giudiziarie di alcuni deputati della maggioranza siano al primo punto dell'agenda degli impegni della Casa delle libertà, auspicava che tale esigenza non fosse così forte da far dimenticare ai parlamentari della maggioranza l'esistenza dell'articolo 67 della Costituzione. Purtroppo con la proposta di legge Cirami la maggioranza dà prova di essersi dimenticata di esercitare la funzione senza vincolo di mandato: il suo mandato evidentemente è quello di tutelare esclusivamente gli interessi di pochi amici.
Il disegno di legge sul legittimo sospetto rappresenta solo l'ultimo affondo in ordine di tempo nei confronti di quella giustizia che dovrebbe essere dalla parte della verità e non da quella del più forte. I provvedimenti sul falso in bilancio, sulle rogatorie, sul rientro dei capitali all'estero, le intimidazioni alla magistratura sono parte di un progetto unico a cui oggi si aggiunge la proposta di legge Cirami, che rappresenta solo l'ennesimo mattone di quella roccaforte normativa che Berlusconi e i suoi alleati stanno costruendo attorno ai propri interessi e che li renderà probabilmente ingiudicabili, ma certo non insospettabili agli occhi del paese. Ritiene evidente che sulla proposta di legge Cirami si giochi una partita importantissima, dal cui esito si deciderà se in Italia continuerà a vigere uno Stato di diritto o si affermerà uno Stato di privilegio.
La realtà è che il problema giustizia in Italia è essenzialmente politico, posto che esiste un Governo che, in quanto eletto dal popolo italiano, pretende di essere l'unico potere legittimo in grado di oscurare e oltrepassare tutti gli altri, di non riconoscere quella stessa autonomia della magistratura prevista dalla Costituzione.
Riterrebbe opportuno che l'attuale maggioranza e l'attuale Governo si fermassero a riflettere sul fatto che il consenso ottenuto tramite il voto democratico degli italiani non si traduce in una mandato in bianco che consente di fare tutto ciò che si vuole.
Quanto avvenuto al Senato nelle passate settimane costituisce solo il segno


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evidente dello stravolgimento in corso, una forzatura continua delle regole che ha messo in dubbio non solo la funzione di imparzialità della seconda carica dello Stato, ma lo stesso dettato costituzionale.
Il paese sta vivendo un momento difficile e delicato della sua storia, un momento in cui si assiste all'inquietante ritorno della violenza e del terrorismo. Nel momento in cui aumentano le sacche di povertà e le reti di protezione sociale a favore dei più deboli sono sacrificate agli interessi di chi usa la cosa pubblica per implementare i propri interessi, nel momento in cui alla cultura dei diritti si sta sostituendo quella dei favori e il rispetto delle regole sembra essere sempre più un optional e non un dovere, si evidenzia la responsabilità e la superficialità di una classe di Governo che non lavora per ricucire le gravi lacerazioni sociali e politiche presenti nella società e non riesce ad instaurare un dialogo sereno tra le parti sociali e le istituzioni.
Si è di fronte, quindi, ad un sovvertimento dei principi che hanno ispirato e guidato il cammino istituzionale e democratico del paese proprio perché, in contesti come questi, la legalità viene sostituita dalla legittimità di fatto, fondata sul potere del leader. La divisione dei poteri viene messa in discussione, l'applicazione delle regole che fanno funzionare il sistema diventa il prolungamento della volontà di una parte politica. Si è di fronte a quello che Troeltsch chiama il letargo della legalità, di quei principi e di quelle regole che costituiscono il nutrimento e permettono la sopravvivenza della democrazia.
Alla vigilia delle elezioni, nell'aprile del 2001, si sorrideva su quella che sembrava essere l'ennesima sortita di Berlusconi quando, in un eccesso di megalomania, aveva dichiarato che anche lui come Napoleone e Giustiniano si sarebbe occupato della riforma dei codici. Con il senno di poi sembra che nessuna altra affermazione del premier fosse così tragicamente vera come quella.
Dall'arrivo al Governo, in un paese diviso e sconvolto da gravi problemi sociali e politici, il Presidente del Consiglio e il suo entourage hanno ritenuto prioritario dedicarsi totalmente alla meticolosa destrutturazione dell'intero sistema di garanzie poste a tutela della legalità e della giustizia del paese.
Il dibattito in corso coincide con un anniversario sul quale la retorica rischia di offuscare la realtà: si chiede quindi con quale coraggio il Presidente del Consiglio Berlusconi vada in America a farsi paladino della lotta al terrorismo se in Italia si spuntano tutte le armi dell'intelligence, se si impedisce ai magistrati di fare il loro dovere, se ad un anno da quei tragici fatti si sa usare il pugno di ferro solo per sganciare bombe ma non si permette di infrangere i santuari dei conti cifrati di bilanci falsi.
E proprio il naufragio del senso della giustizia e della legalità ritiene rappresenti l'aspetto più evidente e drammatico della profonda deriva politica e culturale che sta attraversando la società italiana. Si sta diffondendo sempre di più un approccio politico e culturale alla cosa pubblica in cui l'aspetto del dominio prevale su quello del Governo, per cui esercitare il potere diventa essenzialmente garantirsi la prosecuzione del medesimo e l'aspirazione alla giustizia diventa un'utopia da idealisti.
Alla distorsione dei principi democratici del paese contribuisce peraltro, in maniera cospicua, il deficit di comunicazione che esiste nel sistema istituzionale e quella anomalia tutta italiana che è codificata sotto il nome di conflitto di interessi.
Dietro questa terminologia, che potrebbe dire tutto e niente, considerato che il Presidente del Consiglio ha più volte negato l'esistenza di qualsiasi conflitto, si nasconde una problematica grave e decisiva per il corretto sviluppo della democrazia, che è quella connessa al controllo e al pluralismo dell'informazione e alla sua incidenza sulla formazione dell'opinione pubblica e sul consenso elettorale.
Grazie a questo sistema di regole, che funzionano non erga omnes ma ad personam, si assiste in Italia al progressivo impoverimento dell'azione di Governo e


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della cultura politica, fino ad arrivare ai limiti della mistificazione e dello stravolgimento dell'etica pubblica e soprattutto fino ad affermare la completa e colposa deresponsabilizzazione della classe politica.
L'essenza della democrazia, come rivelava Karl Popper, consiste non tanto nell'investitura di sovranità da parte dei cittadini, quanto nel potere degli stessi di rinnovare gli eletti in maniera non violenta, ma la pretesa di Berlusconi di richiamarsi continuamente alla legittimazione derivante dalla vittoria elettorale per giustificare l'uso personalistico degli strumenti democratici, anche al di là dei pesi e dei contrappesi previsti dalla Costituzione, non è solo illegittima ma anche incostituzionale.
Ritiene che questo rispetto della Costituzione appartenga ad un pericoloso retaggio storico del paese cattocomunista; forse è la natura di tutti i mali, forse quella Costituzione è alla base del complotto, il libro delle istruzioni per la marginalizzazione e la criminalizzazione del Presidente del Consigio e dell'attuale maggioranza. I deputati della maggioranza dovrebbero pertanto avere il coraggio di abrogare la prima parte della Costituzione e di riscriverla, sancendo una volta per tutte che nel paese la legge non è più uguale per tutti.

Guido Giuseppe ROSSI (LNP), premesso che non percepisce la sollevazione popolare evocata dagli esponenti del centrosinistra sulla vicenda della modifica dell'articolo 45 del codice di procedura penale, ritiene di dover intervenire a nome del gruppo della Lega nord per esplicitare la propria posizione dal punto di vista tecnico, costituzionale, giuridico e soprattutto politico.
In merito alla più volte denunciata violazione delle regole parlamentari e regolamentari, osserva che la scansione dei tempi fissati per la discussione generale, per l'adozione del testo base e per la presentazione degli emendamenti ha consentito un approfondimento del tema che non corrisponde, quindi, ad una dalla volontà di dilatare i tempi per fini politici. Lo stesso termine del 25 settembre fissato dal Presidente Casini può non essere rispettato, ma la scelta di quella scadenza ha comunque un preciso significato politico che non può essere scalfito.
Passando all'aspetto tecnico della proposta in esame, ricorda come l'istituto del legittimo sospetto, peraltro presente nei codici di altri paesi europei, sia sempre stato contemplato nell'ordinamento giuridico italiano, prima nell'articolo 55 del vecchio codice di procedura penale, poi nella direttiva n. 15 della legge di delega n. 108 del 1974 e nella legge di delega n. 81 del 1987; ricorda altresì che il contenzioso interpretativo tra la commissione ministeriale Pisapia, incaricata di redigere il testo del nuovo codice di procedura penale, e la Corte di cassazione portò alla formulazione dell'attuale articolo 45, non comprensiva della definizione di legittimo sospetto. In proposito si richiama alla recente pronuncia della Cassazione che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 45 del codice di procedura penale proprio nella parte in cui non prevede il legittimo sospetto tra le cause di rimessione del processo.
Anche se le modifiche previste dalla proposta di legge Cirami, nel testo approvato dal Senato, possono essere oggetto di riflessione e di revisione, ritiene che le stesse non debbano essere considerate in modo assolutamente negativo: l'istituto della rimessione per legittimo sospetto è stato per altro dichiarato costituzionale nel 1963 dalla Corte costituzionale, in quanto esso non viola il principio del giudice naturale precostituito per legge e, anzi, contempera altri principi quali l'imparzialità del giudice e il diritto ad una legittima difesa.
Soffermandosi sugli articoli del provvedimento, sottolinea come la nuova formulazione dell'articolo 46 ampli le possibilità di partecipazione delle altre parti del processo alle vicende delle istanze di rimessione, mentre l'articolo 47 e i seguenti regolano la questione degli effetti sospensivi della richiesta di rimessione, intervenendo sulla sospensione dei termini di


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prescrizione e sulla sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare personale.
Ricorda che la citata sentenza n. 353 del 1996 della Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale il primo comma dell'attuale articolo 47, si riferisce alla reiterazione delle istanze di rimessione con finalità chiaramente dilatorie, mentre il principio che si debba aspettare la decisione della Corte di cassazione prima di emettere la sentenza risulta essere un elemento di razionalità.
Sul problema dell'efficienza e della giusta ed equa durata dei processi, ritiene che tale efficienza non possa essere ricercata solo con interventi di tipo legislativo, ma debba ritrovarsi nell'organizzazione materiale, nella produttività, nell'efficienza degli uffici giudiziari e dei magistrati stessi.
Osserva che la vicenda ha assunto rilievi essenzialmente politici, in quanto riguarda i rapporti tra la figura del Presidente Berlusconi e il centrosinistra. Tralasciando la polemica sulle leggi ad personam, alla quale è già stato risposto, si sofferma sul tema del giustizialismo, per il quale la Lega è stata più volte chiamata in causa. Posto che l'azione svolta negli anni 1992-1995, che ha cambiato la storia del paese, fu di critica al sistema politico esistente, caratterizzato da gravi pecche, ma non di critica alla politica in sè, ritiene che l'impostazione giustizialista sia diversa perché volta, attraverso l'uso e il controllo della magistratura, a conseguire finalità politiche. Da questo punto di vista considera la sinistra intrinsecamente giustizialista, sia per motivi ideologici che per esperienza storica.
Invita poi chi sostiene che la proposta di legge Cirami privilegi la casta degli avvocati e degli imputati ricchi a riflettere su quanto accade in Francia, dove vi sono 200 rifugiati che per motivi ideologici e politici godono di privilegi e non vengono estradati pur avendo compiuto reati.
Ricorda infine che sabato prossimo, mentre l'opposizione sarà impegnata nei vari girotondi, la Lega sarà a Venezia a celebrare la festa della libertà, dell'autodeterminazione, della democrazia e della partecipazione popolare.

Francesco RUTELLI (MARGH-U) desidera offrire un contributo alla discussione, con alcune notazioni di carattere generale, legate più alla situazione che il paese sta vivendo che non al merito del provvedimento in esame, in quello che rappresenta un appuntamento di grande importanza da cui si augura possa derivare un contributo di saldatura tra le attese dei cittadini sulle questioni della giustizia e il lavoro del Parlamento.
Sottolinea che la politica è scandita da appuntamenti elettorali che sono il metro della decisione popolare su chi debba governare ed osserva che in Italia si vota frequentemente e che numerosi saranno gli appuntamenti elettorali, amministrativi ed europei nei prossimi mesi ed anni fino alle prossime elezioni generali politiche, per cui non mancherà occasione per verificare se le priorità del Governo ed il lavoro delle istituzioni coincidono con le attese dei cittadini. In questo senso, ritiene che tra le attese dei cittadini e ciò che il Parlamento sta ora discutendo, con straordinaria concentrazione e determinazione, non vi sia alcuna corrispondenza. Le aspettative popolari non sono queste; le emergenze della giustizia, dettagliatamente elencate nelle cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario, sono legate alla durata dei processi ed alle enormi pendenze che si registrano presso le procure, i tribunali, le corti d'appello e la stessa Cassazione. Il problema avvertito dai cittadini non è certo quello di una normativa che permetta di bloccare sine die i processi; la scelta della maggioranza, dunque, sottolinea, a suo avviso, la distanza tra le priorità che si assumono nelle aule parlamentari, quelle che si assumono nel paese e quelle sostanziali che riguardano la comunità.
Richiama poi il tema della cultura della legalità. Ricorda che quando si governa è necessario operare una sintesi delle differenze, come dimostra in modo eloquente, a suo avviso, la vicenda attuale del provvedimento


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in materia di immigrazione. Rispetta il dovere di sintesi da parte di chi governa, ma ritiene che la faglia profonda che sta emergendo nel centrodestra su questi temi attenga alla questione, ancora irrisolta ed inespressa, della cultura della legalità. Ricorda ancora a questo proposito le dichiarazioni rese dal ministro Tremonti alla vigilia della scadenza della efficacia del cosiddetto scudo fiscale; in quella occasione furono dati solenni e pesanti avvertimenti circa la severità con cui si sarebbe, di lì in seguito, operato nei confronti di quanti avevano formato grandi risorse in modo illegale all'estero; nei giorni scorsi, invece, il Governo ha annunciato di voler rinnovare quel provvedimento.
Aggiunge che, proprio perché garantista, non apprezza il fatto che il presidente della Commissione giustizia sia il difensore di Berlusconi. Ricorda in proposito che la prima domanda rivoltagli dalla corrispondente di un autorevole periodico americano era stata appunto diretta a sapere il perché in Italia si consideri normale occupare una funzione istituzionale senza spogliarsi della qualità di difensore personale del Presidente del Consiglio. In questo senso ritiene giusto, al di la dei toni che possono essere stati più o meno discutibili o condivisibili, l'invito rivolto all'onorevole Pecorella a separare la sua funzione di presidente della Commissione da quell'impegno diretto di difesa nelle aule di giustizia, e giudica la mancata separazione tra vicende personali e responsabilità istituzionali uno degli elementi più gravi dell'attuale legislatura, che - nonostante qualcuno si potesse aspettare diversamente - non ha finora trovato soluzione. Anche tale aspetto attiene alla cultura della legalità, che nel nostro paese non è mai stato uno dei pilastri condivisi della convivenza civile e deve quindi costituire uno sforzo da compiere e un impegno da perseguire, per evitare un danno che produrrebbe i suoi danni molto a lungo, con gravi conseguenze.
Richiama la discussione in atto sulla sanatoria degli immigrati; ricorda che si sta discutendo anche di un condono fiscale, di un condono previdenziale e di una sanatoria edilizia; una sanatoria, più che una riforma, così è stato percepito da molti italiani, è stato il provvedimento sul falso in bilancio, mentre non è riuscito il tentativo di utilizzare le norme sulle rogatorie internazionali per far slittare o ricominciare da capo determinati procedimenti. Il costo che, per queste scelte, l'Italia paga in termini di rovesciamento delle priorità e della cultura della legalità, è altissimo, anche sul piano pratico. Non appare, ad esempio, credibile l'entrata che il Governo ipotizza di realizzare con il «condono tombale», e soprattutto c'è da chiedersi per quanto tempo l'esecutivo pensa di far fronte alle obbligazioni economiche e finanziarie con provvedimenti tampone che non sono in grado di fronteggiare le falle che si sono aperte. Nel quadro di confusione determinato dai provvedimenti del Governo, ad esempio nei campi della sanità e della scuola, rispetto ai quali sono numerose le domande che si pongono i cittadini, la priorità affermata dal Governo, prima di ogni altro intervento, è la reintroduzione della legittima suspicione, improvvidamente sparita dall'ordinamento.
Ricorda che nelle settimane passate, di fronte alla evidente e perdurante crisi di fiducia nella giustizia, a titolo personale ma interpretando un sentimento abbastanza ampio nelle file dell'opposizione, nelle quale ritiene vi sia oggi una serena unità tra coloro che fanno i girotondi e quanti operano in Parlamento sulla base delle proprie convinzioni politiche, giuridiche ed istituzionali, ha proposto di dar vita, con l'avvocatura, la magistratura e le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, ad una conferenza nazionale della giustizia che concentri la sua attenzione su una agenda di priorità condivise. Aggiunge che la risposta è stata a suo tempo negativa ed oggi deve confermare che, finché l'agenda delle priorità non cambia, non esistono le condizioni per un confronto ed un dialogo di merito sulla realtà e sul futuro della giustizia italiana. In queste condizioni il compito dell'opposizione è spiegare, possibilmente alla totalità


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del popolo italiano, quanto questa agenda sia sbagliata e quanto sia urgente tornare sulla traccia corretta di una discussione sulle riforme da fare nell'interesse del paese e rafforzare la cultura della legalità; patrimonio smarrito il quale l'Italia è più debole, più fragile, più povera, e difficilmente ricostruirà un sentimento di convivenza civile all'altezza delle sue grandi tradizioni giuridiche.

Gaetano PECORELLA, presidente, fa presente al deputato Rutelli che, per non togliere tempo al dibattito, risponderà, come crede sia suo diritto, per iscritto alle osservazioni relative alla sua persona.

Antonio ORICCHIO (FI), dichiara di intervenire con un certo senso di difficoltà ma anche con la ferma intenzione di esaminare in modo pacato e sereno gli aspetti tecnici e politici che insieme costituiscono l'essenza della materia in discussione; il senso di difficoltà deriva dal grande e forse eccessivo addensamento di interesse sul provvedimento che determina per certi versi una immagine sovradimensionata e irreale rispetto al normale e proficuo andamento dei lavori, soprattutto ricordando che oggi ricorre l'anniversario dell'11 settembre, un evento che ha cambiato la storia del mondo e dovrebbe indurci ad esaminare anche le questioni italiane con maggiore prudenza e serenità. Interverrà quindi con sobrietà, cosa che invece non ha avuto modo di riscontrare in questi primi giorni di dibattito, quando alcuni deputati della minoranza hanno sottolineato l'urgenza di far presto prima che arrivasse a qualcuno l'ordine di comportarsi in un certo modo, quando si è fatto riferimento ad una sorta di vincolo che alcuni deputati della maggioranza avrebbero o sentirebbero, quando si è parlato di deputati della maggioranza non liberi o costretti o quando si è accennato al problema di una avvocatura non indipendente.
Per quanto riguarda i problemi posti al centro dell'attenzione e rilevanti dal punto di vista tecnico, ai quali ritiene si ci debba attenere, sottolinea innanzitutto la pregiudiziale circa l'eventuale contrasto della normativa in esame con la problematica dell'articolo 25, primo comma della Costituzione, e un problema di coordinamento con l'articolo 111 della Costituzione.
Sulla problematica del giudice naturale, ritiene che dagli interventi svolti in senso contrario al provvedimento in esame emerga una considerazione del giudice naturale datata e non adeguata al bilanciamento dei valori che l'attuale Costituzione impone; esiste e deve resistere l'indicazione del giudice naturale come valore costituzionale a tutela e difesa dell'individuo e non solo dell'ordine giudiziario, ma anche, con l'articolo 111 ed il principio del giusto processo, una maggiore esigenza di terzietà dello stesso giudice, come è dimostrato dalla legge Carotti, con la quale nella scorsa legislatura si è intervenuti in materia tabellare, ponendo addirittura dei limiti alla permanenza dei giudici in una medesima funzione ed in un medesimo ufficio.
Per le motivazioni esposte, ritiene, quindi, che l'asserita assoluta impossibilità di introdurre modifiche in materia per il solo fatto della vigenza dell'articolo 25 della Costituzione sia frutto di una datata concezione della immutabilità del giudice, che sconta il ritardo con cui ci si accosta oggi a tali problematiche.
Sottolinea con piacere come numerosi parlamentari, non solo di maggioranza, abbiano fatto riferimento all'articolo 111 della Costituzione ed ai principi del giusto processo e della durata ragionevole del processo stesso. Ritiene questo il segno di come la cultura che tende ad ampliare, nei giusti limiti, il garantismo sia ormai frutto comune di tutte le componenti politiche e di tutti gli operatori del diritto, ma sottolinea come la consacrazione dei principi sottesi all'articolo 111 della Costituzione imponga di fatto un bilanciamento tra la terzietà del giudice, anche alla stregua della evoluzione dell'ordinamento, ed il principio del giudice naturale; cosa che, a suo avviso, non implica l'impossibilità di una modifica del codice vigente e l'introduzione esplicita dell'ipotesi del legittimo sospetto.


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Ricorda che tale ipotesi era prevista nel codice di rito precedente, era prevista dalle direttive della legge delega, ma poi, per scelta della commissione redigente del codice, non si è tradotta in una norma esplicita. La Cassazione si è limitata a rilevare tale discrasia e ritenere fortemente riduttivo il contenuto dell'articolo in questione, al quale non è sovrapponibile l'area del legittimo sospetto. La stessa Cassazione ha ritenuto che tale contenuto non può essere colmato dilatando la potenzialità interpretativa del medesimo articolo 45, il che comporterebbe il completo disattendere del contenuto della norma e l'attribuzione di una interpretazione adeguatrice negata dalla giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione, che non hanno questo compito, che forse può essere riservato ad altri organismi, come la Corte costituzionale.
Sottolinea che, di fronte ad una pronunzia del genere, il Parlamento poteva non intervenire. Ha ritenuto, invece, di farlo, perché nell'ordinamento esistono vari poteri, liberi di determinarsi da soli e voler costruire per forza l'intenzione di una legge-obiettivo appare, tutto sommato, una forzatura, a dispregio della funzione parlamentare ed anche della magistratura. Da molti degli interventi svolti è sembrato che con il provvedimento in esame si voglia perseguire non solo lo scopo della personalizzazione dell'intervento (e così non è, perché si tratta di un intervento adeguatore da parte del legislatore, che non è stato possibile fare da parte delle sezioni unite della Cassazione) ma addirittura quello di sottrarre non degli imputati ad un giudice che può apparire non sereno, ma ad una condanna certa e sicura quantomeno un imputato. Ritiene che tale atteggiamento, sotteso a molti interventi, finisca per offendere e caricare il lavoro del Parlamento di intenzioni malevole ed offendere gli stessi organi giudiziari che saranno chiamati a pronunciarsi.
Non ritiene fondata l'obiezione, sollevata da alcuni, secondo la quale il provvedimento in esame determinerà inevitabilmente un aumento dei tempi del processo e sarebbe quindi in contrasto con il principio della ragionevole durata; ritiene che il testo della proposta, in particolare il secondo comma dell'articolo 46, smentisca tale obiezione. Rispetto alla preoccupazione manifestata circa il fatto che la causa di sospensione possa finire per pregiudicare il processo nel suo complesso e possa comportare la prescrizione, ricorda che, sulla base di una ovvia interpretazione, tutte le cause di sospensione, quando hanno un effetto costitutivo, cessano con la pronunzia o l'ordinanza relativa alla questione del legittimo sospetto.
Giudica le argomentazione svolte e le preoccupazioni manifestate dirette ad esacerbare il dibattito e a giocare la partita non sul piano tecnico ma su quello della agitazione popolare, come testimoniato dalla paventata ipotesi di ritardi dovuti alla trasmissione di atti dalla Cassazione al giudice investito ad quem del nuovo giudizio dopo l'eventuale accettazione dell'istanza di ricusazione.
Ritiene a questo punto opportuno tralasciare un attimo gli aspetti strettamente tecnici, spesso malaccortamente utilizzati a fini di polemica politica, e focalizzare l'attenzione sulla esigenza di una giustizia che sia ed appaia indipendente e soprattutto terza. Nella società moderna, essere portatore di una posizione economicamente rilevante consente sicuramente maggiori margini di difesa, ma in molti casi posizioni predominanti a livello di mass media e opinione pubblica comportano anche dei rischi e delle difficoltà nella azione di difesa e non è possibile pensare ad un supplemento di accanimento giuridico, nei confronti di un determinato tipo di reati o di imputati.
Sottolinea che, nel momento attuale, si è tutti troppo coinvolti da un certo modo di guardare ad un unico processo, mentre il paese chiede altro in vari campi ed anche in direzione di una riforma complessiva dell'ordinamento giudiziario, per la quale è mancato uno sforzo che veda uniti maggioranza e minoranza, nonostante i passi compiuti nella passata legislatura,


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anche grazie gli sforzi dell'allora presidente della Camera, in tema di qualità e studio degli effetti delle leggi.
Anche sotto questo profilo non ritiene che il provvedimento in discussione avrà le ricadute negative che sono state paventate e sottolinea l'esigenza che il dibattito concentri la sua attenzione sulle cause del cattivo funzionamento della macchina giudiziaria, evitando polemiche che non giovano a nessuno e catastrofismi infondati, come quelli preannunciati ad esempio sul provvedimento in materia di rogatorie internazionali.
Si augura, in conclusione, che la sobrietà e serenità cui ha cercato di informare il suo contributo possa diventare patrimonio comune, ritenendo che in questo caso si potrà in questa legislatura dare al paese un sistema giustizia più credibile ed una giustizia più efficiente.

Fabio MUSSI (DS-U) ricorda che l'idea, piuttosto rivoluzionaria per il tempo, che la libertà è la legge, fu primariamente di Socrate, il quale si inchinò ad una ingiusta sentenza di morte per non far torto alle leggi. Si sente autorizzato alla citazione dalla nuova attenzione culturale, di cui si rallegra, intorno a Socrate, da parte di filosofi e politici, separati o in coppia.
Aggiunge che la storia, come è noto, è raccontata nelle sue opere da Platone; quest'ultimo, in quanto «comunista» - in questo fa appello all'autorità del presidente Pera - doveva essere avvezzo alla disinformazione ed al giustizialismo, incline a tic totalitari e potrebbe perciò aver raccontato una storia falsa, ma la storia stessa è ritenuta piuttosto attendibile da circa duemila anni. Se dunque l'idea viene da lì, la formula esatta che la libertà è la legge è - precisa - più recente; non è di Nanni Moretti, non è così recente, bensì di Montesquieu.
Ritiene fondati i rilievi estremamente argomentati esposti nel dibattito circa la violazione dei principi dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, del giudice naturale e del giusto processo, e, se non fosse cittadino italiano ed europeo educato ai sistemi costituzionali ed allo Stato di diritto, potrebbe trarre qualche curiosità e divertimento dal match innescato da una lex contra legem, cioè da una legge contro la legge fondamentale, la Costituzione; match, giocato in una vera e propria corsa contro il tempo, sul filo dei tempi di un particolare processo in corso, nel quale un nutrito gruppo di deputati, avvocati ed anche qualche magistrato, svolgono al tempo stesso il ruolo di allenatori, giocatori ed arbitri nel campo da gioco delle istituzioni.
Perché - si chiede - il provvedimento Cirami è la priorità assoluta? Si è risposto che il Governo non c'entra, si tratta di libere determinazioni parlamentari, ma l'argomentazione appare infantile, risibile e perfino offensiva; la stessa è stata smentita a luglio dal grande «smentitore» capo del Governo italiano, il quale, però, poi a settembre ha dichiarato che l'esame del provvedimento deve concludersi entro il mese. La verità l'ha detta ieri l'onorevole Cicchitto quando si è riferito espressamente al processo di Milano, ma essa non è troppo presentabile e perciò ad essa se ne aggiungono altre, facendo riferimento agli impegni assunti con gli elettori.
Ritiene indubbio che vi siano, da parte dei cittadini, vaste attese nei confronti di un sistema giustizia che ha tanti problemi e tante pecche, e ricorda in proposito i processi di riforma che il centrosinistra aveva avviato nel corso della scorsa legislatura e che poi il centrodestra ha fermato.
Nel richiamare il cosiddetto contratto firmato da Berlusconi con gli italiani, osserva che in esso non compaiono le voci giustizia e televisioni, mentre nell'agenda di Governo sui tempi e sulle modalità di realizzazione del programma, si stabiliva che, entro il secondo anno, si sarebbero varati provvedimenti di riforma e velocizzazione del processo civile, senza alcun riferimento alla giustizia penale. Ricorda che nel programma di Forza Italia, in tema di giustizia penale non si fa alcun riferimento ai provvedimenti recentemente approvati e presentati dalla maggioranza, osservando che il Governo con un comportamento


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truffaldino è venuto meno agli impegni presi con gli elettori durante la campagna elettorale.
Rileva che si vuole reintrodurre nell'ordinamento la formula del legittimo sospetto sulla base di un'eccezione di costituzionalità dell'articolo 45 del codice di procedura penale, in attesa di una sentenza della Corte costituzionale. Ritiene che essa sia volutamente generica e che possa essere collocata nel genere delle profezie che si autoavverano, perché solo chi è ben fornito di mezzi economici può decidere di creare le condizioni che rendano plausibile una situazione di legittimo sospetto, al fine di determinare la scomparsa del processo attraverso le sospensioni e la decorrenza dei termini di prescrizione.
Osserva che la maggioranza persegue l'obiettivo di realizzare un doppio binario per i potenti e per la massa dei comuni cittadini. Nel riconoscere, diversamente da quanto fece il centrodestra nella passata legislatura, la legittimità del Governo in carica, osserva che la vittoria elettorale non garantisce la bontà dell'azione dell'esecutivo, che può essere dimostrata solo attraverso l'esperienza. Esprime pertanto un pessimo giudizio sui recenti interventi legislativi in campo giudiziario, ritenendo che il Governo intenda accelerare l'approvazione di determinati provvedimenti in Parlamento e prolungare i processi dei potenti.
Ritiene che le leggi sul falso in bilancio, sulle rogatorie internazionali e sullo scudo fiscale e le proposte di legge Anedda, Pittelli e Palma, cui potrebbe aggiungersi un «lodo Bagarella», possano minare lo spirito pubblico attraverso un modello sociale improntato alla salvaguardia degli interessi dei potenti, che porterà ad un'inesorabile decadenza delle istituzioni.
Osserva infine che, nonostante la limitata disponibilità ad emendare il testo manifestata dalla maggioranza, in una logica della riduzione del danno, sarebbe opportuno sospendere l'esame del provvedimento, affrontando le questioni reali che interessano il paese.

Sergio SABATTINI (DS-U) ritiene che la proposta Cirami sia indecente e che tale sia stata anche la conduzione dei lavori finora svolti. Essa cela una strategia finalizzata alla tutela degli interessi di Berlusconi e di alcuni noti esponenti suo gruppo di comando da diversi procedimenti giudiziari in corso. Esprime rilievi critici sulla scelta del Governo di contrastare la presunta strategia del complotto delle toghe rosse con un istituto giuridico previsto nel codice Rocco. Si tratta, a suo avviso, di una regressione che colpisce anche le più alte istituzioni e richiama i boatos che circolano nei palazzi del potereriguardo ad una possibile amnistia per liberare la politica dai condizionamenti dell'ultimo decennio.
Ravvisa nei colleghi della destra una componente forcaiola, fascista e razzista e una parte indulgente e garantista nei confronti dei suoi più significativi rappresentanti. Nell'esprimere la sua personale convinzione che gli avvocati siano guidati da logiche di mercato e che i magistrati seguano quelle del potere dominante, sottolinea di non avere nei loro confronti pregiudizi o intenzioni persecutorie, esprimendo invece timore per la sorte delle istituzioni democratiche. Paventa infatti che, nel sistema che si sta delineando, il Parlamento possa diventare il vero centro di decisione per giudicare innocenti o non sottoponibili a giudizio determinati individui, senza la celebrazione di un giusto processo. In questa situazione, il Parlamento italiano si riduce ad uno strumento di interessi personali e di consorterie che favoriscono l'ingresso nella politica di un gruppo di avvocati e di consulenti magistrati, dando così luogo ad un'indecenza legittima.
Auspica infine che i cittadini italiani possano esprimere il loro dissenso nelle prossime elezioni mettendo in minoranza l'attuale compagine governativa.

Giovanni MONGIELLO (UDC), nell'invitare tutti i presenti ad una maggiore serenità nel dibattito, respinge le accuse fatte dall'opposizione nei confronti di una maggioranza ritenuta senza ritegno. Pur


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riconoscendo il ruolo serio e rispondente ai fini istituzionali dalla maggior parte della magistratura, ritiene che negli ultimi dieci anni alcuni giudici abbiano perseguito anche fini politici. Nel ripercorrere le vicende giudiziarie che dal 1994 in poi hanno interessato il Presidente Berlusconi, sottolinea che un'ala della magistratura milanese operosa e militante ha perseguito lo scopo di colpire prioritariamente la sua attività politica. Rilevato che il provvedimento in esame è finalizzato ad evitare che un cittadino possa essere colpito per fini estranei ad uno Stato di diritto, ritiene sorprendente il costante tentativo dell'opposizione di estrapolare il provvedimento dal contesto storico in cui è stato presentato. Ricorda al riguardo l'avviso di garanzia recapitato al Presidente Berlusconi nel 1994, proprio mentre presiedeva un importante incontro internazionale.
Ricorda inoltre che il procuratore generale di Milano D'Ambrosio, in una recente intervista al Corriere della Sera, ha dichiarato la sua disponibilità a tentare di bloccare i processi di Milano, se il Parlamento decidesse di sospendere l'esame del provvedimento Cirami. Stigmatizza il fatto che la procura di Milano, che rappresenta istituzionalmente la pubblica accusa, possa influenzare il collegio giudicante del tribunale di Milano fino al punto di bloccare un processo. Ritiene pertanto che, in questo contesto, il processo debba essere sicuramente sottratto alla procura di Milano.
Ricorda che esponenti dell'opposizione hanno definito questa legge come strumentale alle classi dominanti che, tuttavia, attualmente sono rappresentate dalle grandi lobby finanziarie indipendenti dal Presidente Berlusconi ed anche da una parte operosa e militante della magistratura che negli anni passati ha messo sotto accusa alcuni Presidenti del Consiglio. Nel richiamare l'intervento del deputato Rutelli, incentrato sull'accusa al Presidente Berlusconi di aver imposto il deputato Pecorella come presidente della Commissione giustizia, ricorda le vicende giudiziarie relative al Presidente del Consiglio Prodi, che ebbe l'arroganza di inserire nel Governo, come ministro della giustizia, il suo avvocato difensore, il quale organizzò la modifica di una norma finalizzandola al suo proscioglimento.
Nel dichiarare che il suo intervento sarebbe stato più sereno se la maggioranza non fosse stata provocata con false accuse, esprime totale apprezzamento per il provvedimento in esame, volto ad evitare qualsiasi abuso e prevaricazione nei confronti di tutti i cittadini, non a condonare le pene giustamente comminate. Sottolinea quindi la necessità di scontare la pena per chi sia stato dichiarato colpevole, auspicando un provvedimento di clemenza per Sofri o Bompressi.

Gaetano PECORELLA, presidente, sospende la seduta al fine di procedere alla riunione dell'ufficio di presidenza delle Commissioni riunite.

La seduta, sospesa alle 13.35, è ripresa alle 16.55.

Gaetano PECORELLA, presidente, dopo aver osservato, insieme ai componenti le Commissioni, un minuto di raccoglimento in memoria delle vittime degli attentati che hanno colpito gli Stati Uniti l'11 settembre 2001, dà la parola al deputato Cossutta.

Maura COSSUTTA (Misto-Com.it), nel rilevare come sul provvedimento in esame si stia svolgendo un'opposizione straordinaria, sottolinea che si è ad un vero e proprio giro di boa, che muterà profondamente gli assetti istituzionali ed il quadro generale delle regole e delle compatibilità democratiche, e che è diffusa la sensazione che si stia superando un limite invalicato ed invalicabile.
Dopo aver richiamato i provvedimenti che sono stati oggetto di una tenace opposizione da parte del centro-sinistra perché giudicati ingiusti, iniqui ed illiberali, in particolare quelli relativi al falso in bilancio, alle rogatorie, al conflitto d'interessi nonché in materia sociale e sanitaria, ritiene che si debba affrontare il problema dei pericoli di una deriva autoritaria del


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nostro paese e dei limiti del potere della maggioranza. La domanda vera da porsi, a suo avviso, è quale sia il limite oltre il quale si infligge una ferita grave alla sostanza istituzionale, alle regole e ai principi condivisi.
Esprime un giudizio nettamente contrario sul provvedimento in esame, che appare privo di orizzonte giuridico e scardina il principio di uguaglianza, tutelando solo gli interessi di determinati soggetti.
Rileva come la difesa dello Stato di diritto passi attraverso la tutela del sistema delle garanzie per i cittadini e che la domanda fondamentale, a cui finora la maggioranza non ha fornito alcuna risposta, riguarda il soggetto a cui spetta la titolarità della tutela dell'interesse pubblico.
Osserva altresì che il provvedimento in esame non si può considerare un errore di percorso bensì l'esito infausto di un progetto e di una cultura di restaurazione politica e culturale, di cui sottolinea il carattere eversivo sotto il profilo istituzionale e costituzionale. Insieme al principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge viene inoltre scardinata l'uguaglianza dei diritti sociali.
Esprime quindi rilievi critici di metodo, rilevando come l'iter del provvedimento appaia contrassegnato da una fretta del tutto immotivata, in contrasto tra l'altro con le decisioni assunte dal Presidente della Camera, il quale non ne ha riconosciuto il carattere urgente.
In conclusione, sottolinea l'importanza della grande manifestazione che si svolgerà sabato prossimo a Roma, dichiarandosi convinta che ad essa parteciperanno anche molti elettori della destra che sono garantisti e non giustizialisti.

Massimo D'ALEMA (DS-U) rileva preliminarmente di avvertire un senso d'imbarazzo nell'intervenire nel dibattito odierno, non perché non si senta pienamente partecipe dell'importante battaglia parlamentare che l'opposizione sta conducendo, ma perché prova vergogna per il fatto che l'attività parlamentare sia paralizzata dalla necessità di affrontare una questione di portata così limitata. Ciò è tanto più grave in un momento in cui si è di fronte ad una crisi economica ed internazionale come quella in atto.
Ritiene che tutto ciò sia il segnale del prevalere degli interessi particolari su quelli generali, osservando altresì come l'opinione pubblica sia in maggioranza attonita e che la politica italiana in questo momento dovrebbe discutere di altri e ben più importanti argomenti. Da parte della maggioranza vi è una sottovalutazione della portata della ferita che si sta producendo e dei rischi di medio e lungo periodo che questo modo di operare determinerà nella vita politica ed istituzionale del paese.
Giudica inutile la proposta di legge in esame, ritenendo che già la riforma del codice di procedura penale operata nel 1987 abbia efficacemente affrontato il tema in questione, affermando la preminenza del principio del giudice naturale, cui è rischioso derogare in quanto si potrebbe aprire la strada all'arbitrio. Ricorda inoltre che con quella stessa riforma l'istituto della rimessione è stato ricondotto entro limiti rigorosi e oggettivi, al fine di evitare gli abusi realizzati nel passato.
Ritiene che sarebbe ragionevole attendere il pronunciamento della Corte costituzionale: qualora quest'ultima riconoscesse la costituzionalità della normativa vigente, non sarebbe necessaria una norma come quella in esame che, tra l'altro, disponendo la sospensione automatica dei procedimenti, si pone in palese contrasto con la sentenza n. 353 del 1956 della Corte costituzionale.
Ricorda che la stessa Associazione nazionale magistrati ha segnalato il rischio di una possibile generalizzata inibizione dei processi connesso alla mancata tipizzazione dei casi di legittimo sospetto. Ciò risulta in evidente contrasto con il principio garantista della ragionevole durata dei procedimenti.
Nel sottolineare come il provvedimento in esame sia privo di una reale impronta garantista, rileva che i diritti dell'imputato risultano adeguatamente garantiti dall'istituto


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della ricusazione del giudice per motivi soggettivi; per altro verso, l'incompatibilità ambientale è un concetto ormai desueto nell'era della globalizzazione.
Ritiene che non vi sia alcun vuoto normativo da colmare e che procedere in modo disorganico rischi di arrecare gravi danni al nostro ordinamento giuridico; occorrerebbe una riforma organica, che in passato è stata impedita.
Respinge l'accusa rivolta all'opposizione di voler evitare il confronto e sottolinea che la forte contrarietà al provvedimento in esame non comporta un disimpegno del centrosinistra rispetto all'obiettivo di eliminare gli aspetti di incostituzionalità evidenziati e di impedire che una norma pensata per specifici soggetti rechi vantaggio anche agli autori di gravi reati; ciò tra l'altro risulterebbe in contraddizione con i ripetuti richiami alla necessità di tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica che il centrodestra ha richiamato in campagna elettorale.
Sottolinea che l'azione legislativa del centrodestra presenta una natura frammentaria ed è caratterizzata da una sorta di garantismo dei potenti che risulta pericoloso e distorsivo. Si sta determinando uno strappo grave, che investe non solo la politica ma la coscienza stessa del paese e che sarà difficile ricucire.
Richiama la necessità di un uso prudente degli strumenti che il sistema maggioritario mette a disposizione della maggioranza parlamentare: mentre, ad esempio, sui provvedimenti di carattere finanziario è legittimo che questa eserciti il proprio dominio, quando sono in gioco principi e regole che riguardano la generalità dei cittadini debbono prevalere le ragioni del dialogo e la ricerca di una intesa.
Ritiene che la ragionevolezza politica consiglierebbe di attendere il pronunciamento della Corte costituzionale, in tal modo fugando i sospetti, diffusi nell'opinione pubblica, che il provvedimento in esame intenda favorire soltanto situazioni determinate. La maggioranza appare invece prigioniera di istanze particolari, anche se alcuni spiriti liberi - che fortunatamente esistono al suo interno - avvertono un senso di profondo disagio.
Ribadisce infine che l'opposizione non si sottrarrà a questa battaglia parlamentare, sottolineando che dall'eventuale approvazione della proposta di legge Cirami nel testo attuale deriverà un grave danno non solo al paese ma alla stessa maggioranza, cui in conclusione rivolge un invito ad una inversione di rotta.

Egidio STERPA (FI) giudica anzitutto infondate le accuse dell'opposizione in merito al modo di conduzione del dibattito odierno, ritenendo che non siano state operate limitazioni rilevanti degli interventi e che non sia stata posta alcuna restrizione all'ampiezza della discussione. Respinge altresì i rilievi critici circa una presunta prevaricazione della maggioranza nei confronti dell'opposizione.
Pone quindi l'accento sul fatto che la stampa e la televisione hanno dato uno spazio inusitato al tema in esame, mettendo quasi sotto accusa la maggioranza anche attraverso l'uso di argomentazioni pesanti e a volte persino offensive.
Quanto all'aspetto della costituzionalità del provvedimento in discussione, pur non dichiarandosi entusiasta dello stesso, non ravvisa profili di illegittimità costituzionale, richiamando a sostegno di tale affermazione i rilievi svolti da autorevoli personalità quali Giuliano Vassalli, Augusto Barbera e Miriam Mafai.
Ritiene che un tema rilevante come quello in esame non possa essere affrontato facendo apparire la maggioranza come l'accusatrice della magistratura: in realtà da almeno dieci anni si sta vivendo in un clima dominato dalla demagogia e dal giustizialismo, oltre che da accuse irragionevoli ed irrazionali.
A suo avviso la proposta di legge Cirami non contrasta con i principi dello Stato di diritto in quanto la decisione finale sulla rimessione del processo sarà adottata dalla Cassazione e non da esponenti della maggioranza. Si chiede se sia possibile affermare, come hanno fatto alcuni magistrati di Milano, che il paese sia retto da


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un Governo tirannico. Ritiene che l'offensiva politica, i toni e il linguaggio dell'opposizione siano esagerati e comportino il rischio di una delegittimazione delle istituzioni.
Nel ribadire, infine, la sua fede nella democrazia dell'alternanza, rileva come la sinistra, ponendosi fuori dai limiti del liberalismo, impedisca il raggiungimento di tale obiettivo.

Paolo GENTILONI SILVERI (MARGH-U) ritiene che oggi si sia delineata una svolta sulla proposta di legge Cirami: da due mesi a questa parte si confrontavano le posizioni del centro-sinistra, secondo il quale essa sarebbe mirata a tutelare determinati soggetti, e del centrodestra, il quale sostiene che la stessa proposta di legge è tesa a colmare una vuoto legislativo molto grave.
Ritiene che la soluzione definitiva di questa discussione sia giunta oggi attraverso un articolo di Cesare Previti sul Corriere della sera, in cui egli afferma chiaramente che la norma è volta ad evitare soprusi dei giudici di Milano nei suoi confronti.
Si sostiene che il male peggiore della giustizia italiana sia l'irragionevole durata dei processi, che colpisce soprattutto i soggetti più deboli: in realtà il provvedimento in esame non fa altro che aggravare tale malattia.
Ritiene, in conclusione, di non potersi associare ai fin troppo ipocriti inviti al dialogo, alla base del quale dovrebbe porsi il ritiro della proposta di legge o il rinvio del suo esame in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.

Donato BRUNO, presidente, comunica che sono pervenuti i dati e le informazioni richieste al Governo circa le istanze di rimessione pendenti presso la Corte di cassazione, nonché su quelle presentate negli ultimi venti anni.

Vincenzo SINISCALCHI (DS-U) ritiene che il disagio del singolo parlamentare nel doversi occupare di una questione che sta assumendo toni paradossali sia efficacemente sintetizzato dall'Organismo unitario dell'avvocatura italiana, che ha sottolineato l'inutilità di questo intervento legislativo, che contrasta con la volontà riformatrice espressa nel programma elettorale della maggioranza e che affronta i problemi della giurisdizione in modo disorganico, senza toccare i nodi reali del disseto giudiziario e senza mostrare un serio impegno nell'attuazione delle importanti riforme approvate nella precedente legislatura. Osserva quindi che l'unico modo per restituire ragionevolezza all'azione legislativa sarebbe il ritiro del provvedimento in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale.
Peraltro, come evidenziato dal professor Frigo, è opportuno sottolineare i limiti della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione, la cui ordinanza di rimessione si limita a dichiarare non manifestamente infondata l'eccezione prospettata sul presupposto della opportunità di approfondire se vi sia violazione costituzionale nell'esclusione dall'articolo 45 del codice di procedura penale della espressione «legittimo sospetto». Quindi, il provvedimento giurisdizionale da cui prende le mosse la proposta di legge in esame non giustifica l'arroganza ai limiti del «golpismo legislativo» con cui si è voluto imporre questo tema all'agenda parlamentare. L'ordinanza di rimessione della questione alla Corte costituzionale non assevera alcun vuoto legislativo ma si limita a richiamare la necessità di verificare se il legislatore delegato abbia consumato una sorta di riduzione della delega, non essendo così rilevante l'uso della terminologia «legittimo sospetto».
Inoltre, su tale espressione, che figurava nel precedente codice di procedura penale, esisteva una approfondita elaborazione giurisprudenziale, di cui la commissione ministeriale incaricata di redigere il nuovo codice tenne adeguatamente conto.
Giudica infine particolarmente grave, sotto il profilo dell'assetto complessivo del sistema istituzionale, un intervento del legislatore in pendenza di una decisione della Corte costituzionale.


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Rivolge quindi alla maggioranza l'invito a tornare a discutere delle serie riforme della giustizia.

Marco BOATO (Misto-Verdi-U), intervenendo sull'ordine dei lavori, chiede al rappresentante del Governo se sia possibile disporre di dati dai quali si desuma il numero delle istanze motivate sotto il profilo della sicurezza e dell'incolumità pubblica e di quelle motivate da turbative alla libertà di determinazione delle persone.
Chiede inoltre di conoscere a cosa si riferisca la voce «altro» che figura nella tabella fornita. Infine, chiede al rappresentante del Governo di verificare se nell'arco del mese di agosto sia realmente aumentato in modo considerevole il numero delle richieste di rimessione pervenute alla Corte di cassazione, come sembra evincersi da un articolo comparso su Il sole 24 ore di oggi.

Il sottosegretario Jole SANTELLI fa presente che il ministero ha già rivolto tali richieste alla Corte di cassazione, la quale ha risposto che dati scorporati non possono essere forniti in quanto richiederebbero un esame fascicolo per fascicolo. Il Ministero ha comunque chiesto alla Cassazione di formalizzare tale risposta.
Quanto alla voce «altro» che figura nella tabella fornita, precisa che essa si riferisce a decisioni non di merito ma di rito.
Per quanto riguarda l'ultima richiesta del deputato Boato, fa presente l'impossibilità di scorporare dati che si riferiscono non solo ad istanze di rimessione ma anche a richieste di tipo diverso, come quelle riguardanti la scarcerazione.

Marco BOATO (Misto-Verdi-U) insiste nella richiesta, affinché la Corte di cassazione, sia pure in forma aggregata, effettui uno screening sulle richieste di rimessione avanzate nel mese di agosto.

Il sottosegretario Jole SANTELLI assicura che tale richiesta sarà inoltrata.

Donato BRUNO, presidente, ritiene che la richiesta avanzata dal deputato Boato possa essere soddisfatta anche in via informale.

Renato GALEAZZI (DS-U) esprime forte disagio ad intervenire su una proposta di legge che giudica non necessaria, non opportuna e non urgente. Una legge ad hoc lancia un segnale lacerante per il paese ed è espressione di una politica non sana, che non risolve i problemi veri, come quelli della sanità, della scuola, dell'economia. Sottolinea che il paese non merita questo modo di legiferare basato sulla forza dei numeri e mosso da interessi particolaristici. Segnala infine i devastanti effetti che l'atteggiamento della maggioranza produrrà sulla credibilità delle istituzioni e sul loro rapporto con la società civile.

Enzo CARRA (MARGH-U), nel sottolineare che le motivazioni personalistiche sottese al provvedimento in esame produrranno pesanti effetti in termini culturali nei confronti della popolazione, considera una vera colpa dell'attuale maggioranza aver determinato un cambiamento nei rapporti tra cittadino e Stato attraverso il complesso di provvedimenti approvati nel primo anno di legislatura in materia di giustizia.
Ricorda poi che le invocazioni al garantismo appaiono fuori luogo nel momento in cui provengono da forze politiche dell'attuale maggioranza che all'epoca di Tangentopoli assunsero un atteggiamento giustizialista e di appoggio incondizionato all'operato della magistratura milanese.
Rilevato che la volontà di andare ad uno scontro con l'opposizione ha fatto perdere alla maggioranza l'occasione di porre sul tappeto i veri gravi problemi della giustizia, per risolvere i quali l'opposizione si è sempre dichiarata disponibile a collaborare, ritiene che per ripristinare un clima di dialogo costruttivo sia necessario ritirare il provvedimento o comunque sospenderne l'esame in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale.


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Auspica che quantomeno la maggioranza manifesti disponibilità a modificare il provvedimento per sottrarlo a censure di incostituzionalità, intervenendo su alcuni punti oggetto di proposte emendative del suo gruppo, quali la necessità di definire il concetto assai indeterminato di «legittimo sospetto» e la questione della utilizzabilità degli atti compiuti nell'eventuale nuovo processo.
Stigmatizza infine il comportamento del Governo e della maggioranza che hanno creduto di imporre la loro volontà anche in un campo che riguarda i diritti di tutti i cittadini.

Gabriele ALBONETTI (DS-U), nell'osservare come tutte le forze politiche non possano che concordare sulla necessità di una riforma complessiva in materia di giustizia, rileva come, al di là dello scontro tra pseudogiustizialisti e pseudogarantisti, l'opposizione sarebbe pronta a confrontarsi con una seria proposta politica presentata dal Governo e dalla sua maggioranza. Manca tuttavia in tutti i provvedimenti presentati dal Governo e dalla maggioranza in materia qualsiasi traccia di un'organica politica della giustizia che garantisca equità di trattamento a tutti i cittadini; al contrario, le diverse proposte si configurano come la trasfusione in norme di legge delle eccezioni presentate dagli avvocati nell'ambito di procedimenti giudiziari in corso.
Nel sottolineare come un simile atteggiamento non porti che discredito tanto ai responsabili del Governo quanto alla funzione parlamentare, ritiene che lo stesso Presidente del Consiglio dovrebbe a suo giudizio auspicare la rapida conclusione dei processi a suo carico, in modo da vedere riconosciuta la propria innocenza, invece di cercare di sfuggire al giudizio utilizzando espedienti normativi e costringendo in tal modo la minoranza a battersi per la difesa dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Critica il fatto che a fronte delle urgenze che interessano il comparto della giustizia si preferisca seguire una singolare procedura per la quale l'agenda parlamentare non fa che seguire quella dei processi in corso. Come dimostrano le posizioni critiche espresse anche da esponenti della maggioranza, che hanno parlato di iniziative estemporanee, di singoli o di gruppi, del tutto slegate da una riforma a carattere complessivo, appare difficile considerare provvedimenti come quelli in esame come iniziative di carattere generale assunte nell'interesse di tutti i cittadini. Si diffonde anche nelle file della maggioranza il sospetto, confermato dalla fretta, che il vero fine delle norme sia l'impunità di alcuni e tale evidenza, al di là di come la vicenda andrà a finire, rischia di determinare conseguenze gravi nel comune sentire dei cittadini e di recare un vulnus all'ordinamento non meno grave di quello inferto dal ministro Tremonti.
Deplora che, di fronte alle emergenze di carattere nazionale che il paese si trova ad affrontare, il Parlamento, sia bloccato a discutere di come salvare l'interesse di pochi e si chiede se sia davvero troppo chiedere alla maggioranza di acquisire un maggiore senso dello Stato. Infine, si dichiara certo che, se il centrodestra non porrà in essere un drastico cambiamento di rotta, larga parte dell'opinione pubblica che lo ha sostenuto si troverà a manifestare la propria delusione nei confronti di una classe politica votata nella convinzione che avrebbe difeso e garantito le sorti del paese e non solo i propri interessi.

Sergio COLA (AN), nel prendere atto del drastico mutamento di rotta nelle valutazioni dell'onorevole Carra della propria vicenda giudiziaria, si dichiara particolarmente colpito dalle parole dell'onorevole Cento il quale, nell'asprezza che caratterizza i suoi interventi ha affermato che «la fattispecie del legittimo sospetto sia eccessivamente generica e rappresenti uno strumento che nella storia processuale italiana è stato utilizzato dalle classi dominanti, per evitare sedi processuali scomode o invise». Le affermazioni dell'onorevole Cento sono sintomatiche di quanto possa essere fuorviante e d approssimativa la mera polemica di carattere politico. È


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appena il caso di ricordare in proposito che l'articolo 45 del codice di procedura penale anche prima della modifica in esame riservava la facoltà di chiedere la rimessione del processo, oltre che all'imputato, anche al pubblico ministero ed al procuratore generale.
A tale proposito ricorda che nel 1969 a Palermo fu celebrato un processo a carico del famoso mafioso Luciano Liggio, che fu assolto in primo grado. Il procuratore generale esercitò allora la facoltà di cui all'articolo 45, quando era previsto come causa di remissione anche il legittimo sospetto, invocando tale fattispecie, in quanto, a suo dire, vi sarebbe stato un condizionamento ambientale e chiaramente non personale, da parte dei giudici di Palermo in generale. La richiesta fu ritenuta meritevole di accoglimento. Il processo fu rimesso a Bari e Luciano Liggio fu condannato all ' ergastolo. Chiede pertanto all'onorevole Cento se anche in quel caso la legittima suspicione sia stata utilizzata «da una classe dominante per evitare sedi scomode o invise», così come molto avventatamente ha affermato.
A seguito della lettura di altri interventi di autorevoli rappresentanti dell'opposizione ha potuto constatare che alcuni sono stati meramente tecnici e malcelatamente sottendevano la vera questione politica di questo provvedimento, mentre altri, come quello dell'onorevole Cento, senza riserve mentali o esercitazioni di ipocrisia, hanno invece avuto natura prettamente politica.
Si dice che la normativa in esame servirebbe a risolvere il problema giudiziario che riguarda il Presidente del Consiglio, dando per scontato che la norma da innovare riguarda anche il processo che lo vede coinvolto. Si chiede e chiede all'opposizione se sia vero che a Milano, e più specificamente presso il tribunale di Milano esista «una situazione ambientale attuale, grave e concretamente capace di menomare l'imparzialità e la serenità funzionale del giudice e tale da compromettere la corretta amministrazione della giustizia», utilizzando le parole con cui lucidamente e correttamente ha proposto di definire il legittimo sospetto l'onorevole Fanfani.
È vero che negli ultimi dieci anni quell'autorità giudiziaria, sia a livello requirente che giudicante, si è caratterizzata per un'attività di censura nei confronti del potere politico ed in modo espresso e manifesto nei confronti di una parte politica, non disdegnando un'attività di supplenza?
Gli esempi sono infiniti; si può partire dall'avviso di garanzia a Napoli, dal proclama contro il decreto Biondi, dal rapporto di omologazione fra pubblico ministero e gip con invito informale di un gip al pubblico ministero di correggere la richiesta di applicazione di custodia cautelare. Dalle espressioni captate di un presidente di un collegio giudicante rivolto al pubblico ministero sul metodo da usare nei confronti degli imputati, a una serie di prese di posizioni costanti contro una certa parte politica oggetto anche di procedimenti disciplinari da parte del CSM, fino al «resistere, resistere, resistere» di Borrelli, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario. Resistere, resistere, resistere che è stata accolto con una ovazione generale da parte di magistrati e giudici. Rivolgendosi ai rappresentanti dell'opposizione si chiede se si sentirebbero di escludere che la sentenza a carico del Presidente del Consiglio possa essere condizionata da siffatti contesti ambientali. Il sospetto che così sia è a suo avviso più che legittimo, e non solo sotto il profilo meramente normativo.
E se una decisione assunta in siffatto contesto dovesse essere di condanna, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire, si riterrebbe giusto e conforme ai principi democratici ed al rispetto della volontà popolare - che sempre e con tale enfasi l'opposizione - proclama ribaltare il verdetto delle urne e calpestare la volontà popolare sulla base di una sentenza sulla quale in ogni caso incomberebbe il sospetto di un grave condizionamento politico? O forse tutto ciò non interessa, proprio perché il non tenere conto della volontà popolare è divenuto per l'opposizione


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di oggi un fatto fisiologico non avendo avuto nessuna remora nel calpestarla nel 1995 con il Governo Dini e dopo il Governo Prodi con i due Governi D'Alema e con quello Amato?
Riteneva tali rilievi di carattere squisitamente politico doverosi prima di affrontare brevemente alcuni aspetti squisitamente tecnici.
Sono stati formulati numerosi rilievi anche di incostituzionalità di alcune parti del provvedimento. A tutti ha dato già una risposta con la sua relazione l'onorevole Anedda. Intende solo rilevare che, sulla eccepita violazione dell'articolo 111 della Costituzione, e segnatamente della ragionevole durata dei processi, tale disposizione contiene anche un altro principio, non meno pregnante del primo, e cioè quello della terzietà ed imparzialità del giudice. Anzi, non v'è chi non veda che tale principio debba ritenersi prevalente di fronte ad una necessaria scelta rispetto al primo. Tale scelta è stata a suo modo di vedere correttamente operata nella normativa in esame.
A parte ciò, tre appaiono i rilievi più importanti: quello avente ad oggetto la definizione del legittimo sospetto che potrebbe apparire eccessivamente generica; quello che attiene alla sospensione del processo e alle eventuali negative conseguenze; quello che concerne, infine, gli atti acquisiti nel dibattimento da salvare. In ordine al primo aspetto si potrebbe anche convenire sulla necessità di meglio definire il concetto di legittimo sospetto e, come detto dianzi, non sussiste alcuna difficoltà da parte della maggioranza - lo ha anche affermato l'onorevole Taormina - nel recepire il puntuale ed esaustivo suggerimento dell'onorevole Fanfani con la proposta di legge n. 3110.
In merito alla sospensione del processo prima delle conclusioni e della discussione con il conseguente divieto di pronunziare provvedimenti definitivi nelle more del procedimento di remissione, va detto che i rilievi sono ampiamente superati dalla sospensione della prescrizione e della decorrenza dei termini di custodia cautelare. Si è obiettato che tale sospensione non scongiurerebbe la maturazione di eventuali prescrizioni o scarcerazioni in quanto la sospensione stessa opererebbe solo fino alla decisione della Cassazione, e non anche fino alla ripresa effettiva del processo. I rilievi sono meritevoli di attenzione e potrebbero essere discussi nell'ambito di un sereno confronto. Non condivide invece le osservazioni dell'onorevole Violante sugli eventuali effetti della sospensione sui termini di custodia cautelare relativamente agli imputati che non hanno sollevato la questione. Basterà in proposito osservare che l'articolo 46 al primo comma prevede che le altre parti possono aderire alla richiesta, non facendo sorgere pertanto alcun tipo di problema. Possono altresì opporvisi, in tale caso la loro posizione processuale sarebbe stralciata senza alcun danno per gli stessi. Il rischio potrebbe concernere solo i processi con reati associativi, nel qual caso potrebbe nascere un contrasto di giudizi.
Quanto al rilievo concernente l'esigenza di conservazione degli atti acquisiti nel corso del processo per il quale si chiede la rimessione, ritiene che costituisca un falso problema. Se infatti l'istanza di rimessione dovesse essere respinta, non si porrebbe proprio la questione, in quanto gli atti conserverebbero tutta la loro efficacia. Nel caso invece di accoglimento della richiesta, l'aver ritenuto il sospetto legittimo, finirebbe col travolgere anche l'attività di acquisizione probatoria perché anch'essa affetta da vizio denunciato. Naturalmente fatti salvi gli atti irripetibili.
Un'ultima annotazione concerne la tanto propagandata proposta Conso sulla opportunità di sospendere l'attività legislativa in attesa della decisione della Consulta. Tale proposta è stata accolta entusiasticamente dall'Ulivo. Trova invece la più ferma opposizione della Casa delle Libertà, nell'interesse non solo di una parte politica, ma di tutto il Parlamento.
Già in precedenti occasioni la Corte costituzionale, con una sentenza cosiddetta additiva, ha esercitato di fatto un'attività di supplenza rispetto al Parlamento. Non vorrebbe che anche in questo caso si desse corso ad un'altra sentenza additiva,


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determinando così l'istituzione di fatto di un altro organo a cui è devoluto il potere legislativo. È pertanto quanto mai necessario che il Parlamento riaffermi con decisione e fermezza che è depositario esclusivo del potere legislativo, nell'interesse di tutti, anche dell'Ulivo che così affannosamente e scompostamente aspira, nell'ambito dell'alternanza, a reggere le sorti del paese.

Domenico PAPPATERRA (Misto-SDI), nel ricordare tanto le battaglie combattute dalla forza politica che rappresenta per tutelare le garanzie dei cittadini di fronte alla legge quanto la contestazione anche recente degli effetti del giustizialismo, sottolinea come la sua posizione lo porti ad osservare con senso di responsabilità ma anche con pacatezza tutta la vicenda in corso.
Evidenzia come anche i tentativi di taluni rappresentanti della maggioranza di ribaltare le tesi espresse nel corso degli interventi di opposizione vengano metodicamente vanificati dalle continue dichiarazioni di illustri esponenti che auspicano che la legge entri in vigore prima dello svolgimento della requisitoria nell'ambito del processo di Milano.
Molti cittadini si chiedono i motivi della forzatura posta in essere in questa occasione e lo stesso ministro della giustizia, pur difendendo la proposta di legge Cirami, lamenta l'ingorgo parlamentare che impedisce l'esame della riforma corposa dell'ordinamento giudiziario da lui presentata.
Si chiede quale necessità vi sia di umiliare il Parlamento costringendolo ad un dibattito su temi che assumono rilievo solo per alcune persone, ma che senz'altro appaiono secondari rispetto a questioni come il probabile conflitto bellico, lo stato della finanza pubblica e la questione del Mezzogiorno. Teme fortemente che alla fine della vicenda in corso risulteranno sconfitte tanto la classe dirigente quanto la credibilità delle istituzioni, esprimendo inoltre la convinzione che i rapporti tra maggioranza e opposizione in un sistema maggioritario dovrebbero essere caratterizzati dal massimo equilibrio e dall'assenza di forzature.

Marco LION (Misto-Verdi-U) rileva che il provvedimento all'esame delle Commissioni affari costituzionali e giustizia rappresenta una pagina molto grave per il sistema della legalità del paese sia per i contenuti sia per le modalità e i tempi con cui è stato approvato dall'Assemblea del Senato.
Ci si trova a discutere a tappe forzate una norma che può condizionare pesantemente il sistema della giustizia e con arroganza e sfrontatezza ci si disinteressa delle conseguenze di una legge affrettata ed iniqua, con l'unica preoccupazione che essa sia approvata al più presto.
Troppo evidente infatti è il fine che la maggioranza si prefigge con certi provvedimenti, in particolare con quelli in materia di giustizia. Dalla riforma del falso in bilancio alla normativa sulle rogatorie; dal disegno Anedda alla proposta, ritirata, di Nitto Palma, lo scopo che si vuole raggiungere è chiaro a tutti: assicurare l'impunità al Presidente del Consiglio e ad altre persone del suo partito o a lui vicine.
Nessuna esigenza di governabilità e stabilità politica, nessun valore di credibilità interna e internazionale possono legittimare un atteggiamento tanto spudorato di perseguimento di propri esclusivi interessi.
Passando più specificamente all'esame del merito del disegno di legge la prima domanda da porsi è se vi sia la necessità di tale intervento legislativo e la risposta da dare è senz'altro negativa.
Il reinserimento del legittimo sospetto tra le cause di rimessione del processo ad altro giudice non è un atto né dovuto né necessario. Non c'è a tutt'oggi alcun vuoto legislativo, perché le sezioni unite della Corte di cassazione hanno solo rilevato la non manifesta infondatezza della questione di legittimità dell'articolo 45 del codice di procedura penale in rapporto alla legge delega; non c'è alcuna urgenza, perché sulla materia può e deve pronunciarsi la Corte Costituzionale, che rimane


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il supremo garante del rispetto della nostra Costituzione; non c'è alcun automatismo, perché quello che il legislatore delegante aveva riassunto con l'espressione «legittimo sospetto» è stato meglio definito e contestualizzato dal legislatore delegato nell'attuale formulazione della norma (guarda caso, capace di superare indenne 13 anni di vigenza).
È evidente che costituisce una garanzia per tutti sapere di poter spostare un processo quando vi siano gravi situazioni locali tali da turbarne lo svolgimento e da pregiudicare la sicurezza, l'incolumità pubblica, la libertà di determinazione delle persone, cosi come è ora indicato nella norma. È pure chiaro, però, che aggiungere a tali situazioni la possibilità di un sospetto, sia pure legittimo, ma generico, finisce con l'allargare a dismisura le maglie della rimessione, perché si arriverà a tacciare di imparzialità un giudice solo per aver espresso delle opinioni, magari non gradite ad alcuni, o per aver aderito ad una corrente della sua associazione (di fatto, ci si sta già provando).
Il sospetto, legittimo, è piuttosto che si voglia arrivare alla facoltà di scegliersi il giudice, o quantomeno alla possibilità di liberarsi del giudice sgradito, in totale dispregio del principio per cui per ciascun fatto, penale o civile, per ciascuna vicenda processuale, esiste un giudice naturale, precostituito per legge, cioè individuato a priori, secondo meccanismi che non possono essere influenzati dalle persone interessate di volta in volta e che possono essere stravolti solo in presenza di situazioni eccezionali.
Quella imparzialità dei giudici di cui la maggioranza così spesso parla, non la si ottiene con i provvedimenti che essa vuole approvare, è già garantita dall'attuale assetto dell'ordinamento giudiziario, in particolare dalle norme sulla incompatibilità e sulla ricusazione, ed è assicurata dalla presenza di controlli sulla correttezza delle decisioni (con le possibilità di impugnazione dei provvedimenti) e sulla regolarità disciplinare dei comportamenti dei magistrati.
Si tratta inoltre di un intervento legislativo parziale che ha il solo scopo di sottrarre imputati eccellenti agli esiti processuali; con questa finalità si modificano il codice di procedura penale e le leggi vigenti, avendo specifico riferimento a determinate esigenze processuali, ma così facendo si produce un danno irreparabile al quadro istituzionale e si pongono le premesse per comportamenti devianti che possono risolversi in un vero e proprio attentato ai fondamenti della convivenza civile e sociale.
Non solo, questo disegno di legge va in direzione platealmente contraria alle giuste sottolineature e correzioni operate dai supremi organi giurisdizionali dell'ordinamento: il carattere affrettato di queste norme, l'assurda disposizione che, eccezionalmente, applica la nuova disciplina anche ai processi in corso ed elimina perfino la vacatio legis (come se si trattasse di provvedimento di urgenza straordinaria), rendono evidente la ragione puramente personalistica che ha dettato queste norme.
La minoranza intende opporsi a questo modo di legiferare. La legislatura attuale si sta caratterizzando per un'attività, che si svolge in maniera assolutamente lineare e puntuale, diretta specificamente ad influire su processi in corso che coinvolgono alcuni imputati eccellenti. Il sistema giuridico è entrato in una fase che potrebbe essere definita senza paura di eccedere, come quella di «elusione dei controlli», caratterizzata dalla legge sul falso in bilancio e da quella sulle rogatorie che all'articolo 13 ha inciso chiaramente sulla formazione della prova. È inaccettabile pensare che sia questa la funzione del Parlamento ed è incomprensibile che, mentre si è rinunciato ad affrontare argomenti di grande rilievo per il paese, contemporaneamente si trovi il tempo e si attribuisca carattere prioritario assoluto all'esame di questo disegno di legge, impegnando le Commissioni giustizia e affari costituzionali senza che emergano chiaramente le ragioni della fretta di un tale modo di procedere.


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La nazione, la collettività, attendono l'inserimento nell'ordinamento di disposizioni che rendano più efficace l'amministrazione della giustizia, garantendone l'imparzialità, non certo di disposizioni capaci solo di paralizzare i processi.
Le modifiche che oggi si vogliono introdurre non aumentano le garanzie per i cittadini. Anzi, diminuiscono fortemente quel rapporto di fiducia che deve legare i cittadini alle istituzioni.
Risulta fin troppo evidente che questo provvedimento copre interessi non trasparenti e che con la sua eventuale approvazione risulterebbe incontestabile che il Parlamento rischia di svolgere la funzione di una vera succursale degli studi legali del Presidente Berlusconi. Infatti, dall'esame dell'ordinanza con cui le sezioni unite della Cassazione hanno sollevato davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell'articolo 45 del codice di procedura penale emerge che la relativa eccezione è stata presentata dal difensore dell'onorevole Berlusconi, nonché presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati. Quindi siamo di fronte ad un progetto di legge che costituisce la traduzione sul piano legislativo di un'eccezione presentata dalla difesa in una specifica vicenda processuale.
Inoltre, com'è noto, 1'ordinanza delle sezioni unite della Corte di cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato articolo 45 del codice di procedura penale rispetto all'articolo 76 della Costituzione per violazione della direttiva di delega contenuta nell'articolo 2, comma 1, n. 17. Le sezioni unite hanno infatti argomentato nel senso che la lettera dell'articolo 45, laddove fa riferimento alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, risulti riduttiva rispetto alla nozione di «legittimo sospetto» impiegata nella menzionata direttiva di delega. La scelta delle sezioni unite significa esclusivamente la presenza di un dubbio di legittimità costituzionale di tale organo giurisdizionale e non la convinzione di una sicura illegittimità della norma.
Non scaturisce pertanto nessun obbligo per il legislatore, ed anzi sarebbe fortemente opportuno attendere la decisione della Corte costituzionale, tanto più che la formula adottata dal legislatore delegato appare la più confacente all'esigenza di tutelare il principio del giudice naturale precostituito per legge.
La nozione di legittimo sospetto che si vuole reintrodurre nel codice, in quanto assolutamente vaga e suscettibile di essere strumentalizzata, si è prestata in molti casi alla destrutturazione dei processi e, se si fa una breve ma necessaria disamina della storia dell'istituto della rimessione per legittimo sospetto, è impossibile non notare come a questo istituto siano connessi episodi fortemente negativi che rappresentano devianze processuali.
Il presupposto del legittimo sospetto è stata infatti la base dello spostamento di sede di molti e importanti processi che hanno segnato fasi storiche della vita sociale ed istituzionale del paese e fra questi il processo Vajont, il processo Valpreda, il processo Fiat, il processo Liggio. Ed è proprio per questi fatti storici tetri e bui che occorrerebbe dispiegare ogni iniziativa perché non penetri nel nostro ordinamento un elemento inquinante e iniquo come quello del legittimo sospetto. E la questione è ancora più grave per il fatto che questa legge entrerà a far parte del sistema normativo e determinerà effetti devastanti aumentando enormemente il rischio che i processi vengano sottratti al loro giudice naturale ( basta pensare ai processi alle associazioni di stampo mafioso).
Non c'è nessuna esigenza di rendere efficaci le decisioni della Corte costituzionale, decisioni tanto chiare e lineari da essere già effettive.
La Corte costituzionale - lo sappiamo - si è pronunciata sulla legittimità di questa norma, una volta nel 1996 con la sentenza n. 353, dichiarandola illegittima nella parte in cui vietava al giudice di pronunciare sentenza finche non fosse intervenuta la decisione di inammissibilità o rigetto della richiesta di rimessione, e una seconda volta nel 1997 (con l'ordinanza


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n. 5), dichiarando inammissibile la questione di legittimità, ad essa nuovamente sottoposta, e precisando che la precedente sentenza, oltre che abrogativa, aveva altresì una funzione interpretativa avendo riconosciuto al giudice il potere di sindacare l'ammissibilità della richiesta di rimessione, sia pure al solo scopo di valutare se pronunciare la sentenza.
Di fronte a giudizi così chiari e autorevoli, non vi era alcun bisogno di questa modifica, che oltre tutto, nonostante le parole altisonanti ed ossequiose che l'accompagnano, va proprio in direzione opposta a quanto affermato dalla Corte, reintroducendo con nonchalance proprio quello che la Corte stessa aveva dichiarato illegittimo.
In conclusione, con queste norme non vi saranno maggiori garanzie per i cittadini. Si sarà solo consentito ad alcuni - magari individui accusati di gravi reati - di manipolare i processi per sottrarsi alla legge, si saranno solo aggiunti ostacoli all'efficienza della macchina della giustizia. A tutto danno della collettività.

Franca CHIAROMONTE (DS-U) auspica che lo sconcerto suscitato dal provvedimento non solo nell'opinione pubblica di centrosinistra, ma in tutti coloro che si considerano liberali e che come tali confidano che in uno Stato di diritto la legge sia uguale per tutti, induca la maggioranza ad un ripensamento delle proprie posizioni.
Osserva che l'opposizione non fa altro che richiamare la maggioranza ed il Parlamento alle ragioni dello Stato di diritto. Da non giurista e da persona preoccupata dei rischi che si corrono ogni qual volta la giustizia diventa oggetto di scontro violento, intende evidenziare due temi attinenti alla vita democratica, alla vita stessa delle istituzioni, cioè del luogo in cui le decisioni dovrebbero essere assunte senza essere influenzate da interessi particolari. Il primo tema è quello dell'autorevolezza e della dignità delle istituzioni e del Parlamento, autorevolezza e dignità che si costruiscono a partire da un sistema di regole e valori condivisi. Ritiene che si tratti di una esigenza tanto più stringente in un sistema di democrazia competitiva e decidente: infatti il sistema maggioritario esige valori, principi e regole condivise. Inoltre, l'autorevolezza si costruisce anche avendo cura del lavoro di ciascun parlamentare, che a norma della Costituzione esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Al contrario, la maggioranza ha voluto che il Parlamento fosse ostaggio di una vicenda giudiziaria privata del Presidente del Consiglio e procede con una fretta che desta sospetti e che a tutto allude fuorché alla volontà di porre rimedio alle storture esistenti nel rapporto tra cittadini e giustizia.
Il secondo tema sul quale intende porre l'accento è quello del garantismo, delle garanzie dei cittadini, della persona imputata ed anche di quella condannata. Nell'evidenziare come questo tema, lungi dall'essere comune a tutte le forze politiche, da troppo tempo costituisce aspra materia del contendere, tanto che è possibile porre sullo stesso piano garantismo e giustizialismo, quasi fossero due eccessi dai quali liberarsi, manifesta sconcerto anche per i danni prodotti da provvedimenti ad hoc, volti a garantire una o due persone che hanno il potere di cambiare le leggi.
Sottolinea conclusivamente che l'invito da parte sua a sospendere l'esame del provvedimento muove da motivazioni riconducibili alle ragioni di un garantismo che non può mai essere confuso - pena la trasformazione nel suo contrario - con interessi di parte o personali.

Gerardo BIANCO (MARGH-U) ritiene che occorra preliminarmente chiedersi se il provvedimento in discussione risponda ad alcuni dei principi fondanti della costruzione del quadro giuridico nel nostro paese e se esistano elementi culturali e teorici che possano sostenere le disposizioni in esso contenute. Avanza in proposito il sospetto che ci si trovi invece di fronte ad una legge mirata, tesa a risolvere alcuni problemi specifici e non a costruire un edificio legislativo adeguato. Osserva altresì che il principio che fu suggerito dal


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cardinale Mazarino, secondo cui risulta conveniente promulgare sempre nuove leggi dimostrandone la necessità, e soprattutto avvalendosi del consiglio delle persone sagge, in questo caso non è stato applicato, dal momento che il provvedimento in questione non appare necessario e soprattutto non risulta sostenuto da una risoluzione di un consiglio di saggi.
Evidenzia poi come il problema della giustizia, che presenta caratteri di particolare gravità non solo nel nostro paese, ma in tutte le democrazie occidentali, non possa essere ignorato dalla classe politica. La logica del nostro tempo, avendo ridotto gli spazi del pubblico ed accresciuto gli spazi del privato, conduce ad una inevitabile espansione del potere dei giudici, per cui l'unica via per raggiungere l'obiettivo della stabilità e della certezza del diritto è quella della creazione di una cultura e di una dottrina che siano in grado di determinare coerenze interne e quindi di stabilizzare regole e comportamenti. Il provvedimento in questione procede invece nella direzione opposta.
Pur osservando come la storia del nostro paese veda magistrati che hanno compiuto il proprio dovere ed una magistratura che ha travalicato i propri compiti, operando prevaricazioni, ritiene tuttavia che non si possa sostenere la necessità di creare «leggi vendetta» tese ad incrinare l'armonia del sistema. In proposito, evidenzia come si sia registrata in questi anni un'oscillazione molto grave: nei primi anni cinquanta si assisteva rispettosi, anche se non convinti, a sentenze di sapore fascista, mentre successivamente si sono poste in essere spericolate speculazioni di carattere giudiziario, tutte ispirate ad un principio che i grandi studiosi del diritto consigliavano di evitare. Richiama, in proposito, il pensiero di Renato Treves, il quale sosteneva che la teoria della costruzione del diritto da parte dei magistrati è stata una tendenza che ha avuto prima i propri sostenitori nelle correnti nazionali e fasciste e poi anche fra i progressisti.
Ritiene che compito del Parlamento sia non quello di tendere ad una rivalsa del potere legislativo rispetto al potere giudiziario, ma quello di uscire dall'emergenza e cercare di riportare a coerenza il sistema giuridico italiano, direzione verso la quale non sembra tuttavia procedere il provvedimento in esame. Come è stato autorevolmente rilevato, esiste all'interno della magistratura un riflesso condizionato e corporativo che deve essere vinto non attraverso la rivalsa o la contrapposizione, ma mediante una illuminazione di carattere culturale, correggendo gli squilibri che si sono prodotti ma riconoscendo nel contempo il positivo operato della magistratura stessa.
Entrando nel merito della proposta di legge Cirami, osserva come un provvedimento legislativo teso a sviluppare il sistema giuridico italiano dovrebbe inserirsi in un filone culturale ed avere dei precedenti e delle tradizioni; mancano invece, nel testo in esame, ratio e sensus communis, il rispetto della natura rerum, la logica del conoscere per legiferare che appartiene alla grande tradizione dei giuristi italiani. La logica ad esso sottesa è invece quella ciceroniana del pro domo mea. Ritiene che attualmente si sia chiusa l'epoca della grande cultura giuridica e si stia aprendo una fase che forse andrà sotto il nome di «età del ciramico». Questa «scuola ciramica» sta sovvertendo un principio fondamentale che risale al 1200, secondo il quale il diritto discende dalla giustizia come da sua madre.
Il provvedimento appare criticabile anche dal punto di vista lessicale: in particolare, non è riscontrabile nella sua formulazione la secca e chiara impostazione del linguaggio giuridico, mentre alcuni termini appaiano poco chiari o inesatti.
Passando a considerazioni più generali di carattere politico, paventa il rischio che gli effetti del provvedimento possano essere persino inversi a quelli che la maggioranza intende ottenere, per cui la maggioranza stessa finisce per fomentare due tentazioni: la tentazione dell'imputato, che cerca di sfuggire alle sanzioni, e quella di favorire le viltà di chi è chiamato a giudicare.
Dopo aver sottolineato che il Parlamento lo si difende rispettando i diritti


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dell'opposizione e prescindendo dalla difesa di interessi, conclude richiamando un volumetto sulla difesa di Luigi XVI da parte di un grande avvocato francese, inviatogli dal deputato Ghedini: a tale riguardo osserva che il pericolo reale potrebbe consistere non tanto nel fatto che l'Assemblea possa decapitare un sovrano, quanto piuttosto nella circostanza che potrebbe essere il re a decapitare l'Assemblea.

Gaetano PECORELLA, presidente, con riferimento ai rilievi di carattere lessicale mossi dal deputato Bianco, osserva che taluni di essi sono fondati, mentre alcune formulazioni utilizzate nella proposta di legge Cirami sono identiche a quelle contenute nel vigente articolo 48 del codice di procedura penale.

Beatrice Maria MAGNOLFI (DS-U) rivendicata la propria ispirazione ad una cultura politica in cui il garantismo, la difesa dei diritti e delle libertà individuali rappresentano valori profondi, precisa anzitutto di non ritenere che il nostro sistema giudiziario sia perfetto né, tanto meno, che la sinistra debba arroccarsi nella difesa corporativa della magistratura. Non esclude, inoltre, che nel tempo siano emerse leggerezze, errori od eccessi di protagonismo. Tangentopoli ha avuto grandi meriti, ma non tutte le inchieste si sono indirizzate verso i giusti obiettivi, tanto che molte persone ne sono rimaste ingiustamente vittime. Per tali considerazioni ha ritenuto di dover condividere, alcuni mesi fa, la disponibilità del presidente Violante ai fini dello svolgimento di una sorta di operazione-verità sul rapporto politica e giustizia negli anni novanta, pur prevedendo che tale disponibilità sarebbe caduta nel vuoto, come infatti è avvenuto. Gli attuali governanti non hanno alcun interesse a far luce sulla verità, ma vogliono soltanto continuare ad additare l'immagine di Tangentopoli come guerra civile per giustificare l'attacco sistematico alla legalità e l'uso privato della giustizia, come se si trattasse di atti di legittima difesa: un'operazione utile per poter raccontare agli elettori, ai militanti e, forse, anche a qualche parlamentare in buona fede la favola della destra garantista contrapposta alla sinistra giacobina o giustizialista, quasi si possano prendere lezioni di garantismo da chi vuole «sparare sugli scafisti», considera l'immigrazione clandestina un reato penale, intende inasprire le pene per i ragazzini, voleva comminare una pena dai tre ai dieci anni di reclusione per i medici che praticano la procreazione medicalmente assistita.
Come garantista, si dichiara profondamente contraria alla proposta di legge Cirami. Non occorre essere esperti giuristi per capire come tale provvedimento, invece di rendere migliore e più equo il sistema giudiziario, più snelli i processi e più veloci i tempi della giustizia, sia invece finalizzato a frapporre enormi ostacoli sulla strada dei procedimenti, allungandone i tempi all'infinito ed intralciando - o, meglio, vanificando - il lavoro di magistrati, cancellieri ed impiegati, mirando, in ultima analisi, a fornire agli avvocati facili cavilli per garantire una sostanziale impunità ai loro clienti importanti. È infatti evidente come la possibilità di chiedere la rimessione del processo sarà di fatto negata non solo ai «poveracci» ma anche ai normali cittadini, i numerosi italiani anonimi che ogni giorno incappano nelle maglie di una giustizia lentissima, e per ciò stesso, non giusta.
Il testo in esame non specifica minimamente in cosa consista il legittimo sospetto, e soprattutto, in quali situazioni lo si possa ipotizzare; si tratta dunque di un provvedimento caratterizzato da indeterminatezza ed arbitrarietà, che si limita ad un ritorno all'antico, al codice del 1931, nel quale il legittimo sospetto era già previsto come causa di rimessione. L'istituto del legittimo sospetto in tanti anni forse avrà anche tutelato i diritti, ma più spesso ha coperto l'arbitrio dei potenti, tanto che, ad esempio, fu utilizzato per trasferire il processo agli assassini di Matteotti presso il tribunale di Chieti.
Il carattere di arbitrarietà che contraddistingue l'istituto lo porta ad essere contingente con il principio del giudice naturale


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sancito dall'articolo 25 della Costituzione. Anche per un profano è facile comprendere che il giudice naturale proprio perché è l'unico a cui il procedimento è assegnato in maniera del tutto casuale e precostituita per legge, rappresenta la massima garanzia di imparzialità che può ottenere un imputato, il quale può inoltre contare su tre gradi di giudizio, a tutela di eventuali errori giudiziari. Va peraltro considerato che, qualora vi fosse un pregiudizio politico personale da parte di un singolo giudice, il codice prevede la ricusazione. La rimessione del processo, nella formulazione dell'articolo 45 è consentita quando vi sia «pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo»; si tratta di una formulazione più garantista, che tiene conto di possibili pressioni ambientali sul collegio giudicante ma anche su testimoni ed imputati. Il centrodestra, invece, vuole cancellare la parola libertà e pretendere di modernizzare il paese riadottando le formule del codice del ventennio fascista, reintroducendo, in nome di un garantismo a senso unico, una fattispecie del tutto generica ed arbitraria, che dipenderà in gran parte dalla fantasia dei difensori e dalle possibilità economiche dei loro clienti.
Quella in esame è, dunque, una legge per pochi. Per la precisione il provvedimento, proposto nell'attuale fase storica e con la formulazione difesa dalla maggioranza, ricalca la richiesta di alcuni avvocati difensori presso la Corte di cassazione di sospendere il processo in corso a Milano, che riguarda, in particolare, due soli italiani, tuttavia tanto importanti da giustificare uno sfacciato stravolgimento dell'agenda politica del Parlamento e del paese. Si tratta degli stessi due italiani per i quali, in fretta e furia, il Parlamento ha dovuto approvare una legge sul falso in bilancio che va nella direzione contraria a tutte le misure di moralizzazione del sistema finanziario adottate dai paesi più avanzati; gli stessi per i quali il Parlamento ha dovuto inoltre approvare una legge sulle rogatorie internazionali che ha violato un accordo bilaterale con la Svizzera. Sono gli stessi due italiani per i quali si è mobilitato il ministro della giustizia con la circolare sul giudice Brambilla o cercando di ostacolare il mandato europeo sulla cattura; gli stessi per i quali sembrano formulate altre zelanti proposte quali quelle dei deputati Nitto Palma e Pittelli.
Da un anno e quattro mesi la maggioranza, invece di occuparsi della grave crisi economica, dei problemi della scuola, della sanità, delle opere pubbliche, della sicurezza dei cittadini, profonde le sue migliori energie per salvare l'onorevole Previti dai suoi guai giudiziari e dalle conseguenze negative che gli stessi potrebbero avere sul Presidente Berlusconi. Qualcuno ha avuto l'onestà di ammetterlo: bisogna fare in fretta per arrivare prima della sentenza di Milano, meglio ancora se prima della requisitoria della Boccassini e, comunque, prima del parere della Consulta, che verrebbe così scippata delle sue prerogative da parte del Parlamento.
È per questo che alla proposta di legge del senatore Cirami è stata assicurata una corsia preferenziale ed è stata approvata in Senato in tempi record.
È stato sostenuto che l'Ulivo non sarebbe democratico perché vorrebbe si realizzasse una sorta di golpe giudiziario. L'Ulivo, in realtà, ha tutti gli strumenti per mandare a casa il Governo alla scadenza naturale in maniera limpida, con la forza della propria opposizione all'incapacità dimostrata dal centrodestra a governare un paese moderno e democratico.
Sono numerosi gli esperti e gli addetti ai lavori che hanno esortato a considerare i danni collaterali che deriverebbero dall'approvazione della proposta di legge Cirami. In particolare, il legittimo sospetto, nel contesto di una formulazione palesemente arbitraria, appare incostituzionale, inopportuno, e qualcuno ha anche affermato che potrebbe essere usato dalla mafia e dai suoi avvocati.
Nessuno si augura una condanna degli imputati, che rappresenterebbe una seria delegittimazione; assai più grave, tuttavia, sarebbe l'effetto di una delegittimazione derivante dall'approvazione di una legge


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ad hoc, di una legge dannosa per gli effetti concreti che può produrre ed odiosa per la sua carica discriminatoria. Sul capo del Governo rimarrebbe un'ombra assai grave, forse più grave della condanna di una persona a lui vicina, e perfino di una sua stessa condanna in primo grado. Non c'è libertà senza legalità e non ci sono garanzie per nessuno se non in uno Stato di diritto.

Giovanna MELANDRI (DS-U) osserva innanzitutto che gli interventi di molti deputati dell'opposizione non appartenenti alle Commissioni affari costituzionali e giustizia stanno a testimoniare l'allarme e lo sconcerto diffusi nell'opinione pubblica per i rischi connessi all'approvazione a tappe forzate di un provvedimento imposto dalla maggioranza, teso ad alterare le disposizioni del codice di procedura penale, con l'effetto concreto di rendere l'amministrazione della giustizia una sorta di «terno al lotto» e con la finalità di evitare la conclusione dei processi di Milano che vedono coinvolti Previti e Berlusconi. Precisa come non risponda al vero l'opinione espressa da molti esponenti della maggioranza, secondo i quali la battaglia in atto è tesa a volere a tutti i costi la condanna di questi due imputati eccellenti; in realtà l'opposizione vuole solo che i processi si svolgano e che imputati e difensori - eccellenti e non - possano disporre di tutti i mezzi per difendersi «nei» processi e non «dai» processi.
Nell'illustrare le ragioni della contrarietà dell'opposizione a molte delle proposte avanzate dalla maggioranza, precisa che per l'opposizione le leggi sono strumenti volti a tutelare gli interessi collettivi, mentre per la maggioranza troppo spesso esse sono considerate strumenti per soddisfare gli interessi di pochi. Evidenzia infatti come dall'inizio della legislatura ben 20 delle leggi presentate per iniziativa del Governo o della maggioranza contengano disposizioni tese a soddisfare gli interessi processuali o economici del Presidente del Consiglio e di pochi altri. Cita in particolare, tra questi provvedimenti, quello sul falso in bilancio, che derubricando tale reato ha aiutato la caduta in prescrizione di reati contestati a società del gruppo Fininvest, e quello sulle rogatorie, introdotto con l'obiettivo di inficiare la formazione delle prove nei procedimenti riguardanti Previti.
Dopo aver osservato che il provvedimento in esame trasforma lo svolgimento del processo in una sorta di gioco a rimpiattino, in cui l'imputato può scegliere il giudice che preferisce, e reintroduce la legittima suspicione dalla finestra, dopo che la recente riforma del codice di procedura penale l'aveva fatta uscire dalla porta di ingresso, ponendo così a rischio l'amministrazione della giustizia, fa presente che secondo alcune stime attualmente davanti alla Cassazione sono pendenti solo 9 richieste di rimessione e che tra il 1996 e il 2000 solo due domande su 400 sono state accolte: da questi dati si può evincere che l'istituto della rimessione oggi è concepito come un istituto a garanzia delle parti nelle limitate ipotesi in cui realmente le corti precostituite non hanno modo di pronunciarsi serenamente in un contesto normale.
Nel ripercorrere i tempi di tutta la vicenda, ricorda che il 30 maggio di quest'anno gli avvocati di Previti e Berlusconi hanno sollevato davanti alla Cassazione l'eccezione di costituzionalità dell'articolo 45 del codice di procedura penale, il 5 luglio la Cassazione ha accolto il ricorso, mentre quattro giorni dopo la vicenda si è spostata dalle aule di giustizia al Senato, che ha stravolto il calendario dei propri lavori accantonando l'esame di importanti provvedimenti per poter concludere l'iter della proposta di legge Cirami. Aggiunge che alcuni vorrebbero arrivare all'approvazione della legge senza modifiche entro il 19 settembre prossimo, data in cui il pubblico ministero di Milano dovrebbe iniziare la requisitoria al processo IMI-SIR, mentre altri, anche nella consapevolezza delle considerazioni espresse dal Presidente Ciampi, ipotizzano un'approvazione in terza lettura entro il 12 ottobre.
Ritiene incomprensibile la fretta con la quale si vuole approvare la proposta di legge C. 3102, anche alla luce del fatto che


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la questione di legittimità costituzionale relativa all'articolo 45 del codice di procedura penale verrà discussa il prossimo 22 ottobre.
Sottolinea quindi il carattere di estrema vaghezza della proposta di legge C. 3102 che, tra l'altro, introduce un principio di discrezionalità.
Ritiene che l'auspicio dell'onorevole Napolitano di evitare il « muro contro muro « nell'esame di queste materie, sia destinato a cadere nel vuoto poiché la maggioranza, a suo avviso, non cerca il dialogo con le opposizioni. Considera inoltre conclusa, alla luce dei comportamenti della maggioranza in questa ed in altre vicende, la stagione delle riforme avviata nella precedente legislatura nel settore della giustizia.
Ricordato che il centro-sinistra ha presentato una serie di proposte concrete relative alla materia in esame, afferma che, se la maggioranza non ritirerà la proposta di legge C. 3102, il centro-sinistra continuerà convintamente la propria battaglia ostruzionistica.
In conclusione, esprime l'auspicio che le Commissioni riunite I e II vogliano inviare un messaggio di solidarietà alla senatrice Levi Montalcini, che nel corso del dibattito al Senato sulla proposta di legge C. 3102 è stata ripetutamente offesa dal senatore Cirami.

Gaetano PECORELLA, presidente, ritiene, a nome di tutti i componenti delle Commissioni riunite I e II, di poter inviare un messaggio di rispetto alla senatrice Levi Montalcini ed esprime l'auspicio che ciò possa valere nei confronti di tutti i parlamentari.

Giulio SANTAGATA (MARGH-U), soffermandosi sul concetto di ragionevole durata dei processi, osserva che solo i soggetti colpevoli hanno un effettivo interesse al loro prolungamento. A tale riguardo, rileva inoltre che la lentezza della macchina della giustizia si deve attribuire al grave deficit strutturale che la caratterizza.
Espresso il convincimento che Berlusconi ed il centrodestra possano essere battuti sulla base di un progetto politico, rileva la strumentalità della proposta di legge C. 3102, che rischia di mettere in gioco la credibilità delle istituzioni; infatti, continuare a legiferare ad personam, come nel caso delle leggi sulle rogatorie e sul falso in bilancio, determinerebbe una generalizzata sfiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Considera prive di fondamento le voci, diffuse da alcuni rappresentanti della maggioranza, secondo cui il dibattito in corso si configurerebbe come una sorta di rissa, che sarebbe alimentata dal centrosinistra: invita chi sostiene tale punto di vista a rileggere il testo dell'intervento pronunciato dal deputato Cicchitto. Ritiene che, dietro a quell'intervento, vi sia una impostazione culturale che tende ad avallare l'idea del «golpe rosso», del «golpe» della magistratura. Da parte sua, non ritiene di dover auspicare la condanna dell'onorevole Berlusconi, anche perché, a suo avviso, non è questo il modo attraverso il quale l'Ulivo deve tornare a governare il paese.
In conclusione, richiamando il primo anniversario degli attentati dell'11 settembre 2001, che hanno rappresentato un vero e proprio attacco al modello sociale e politico delle democrazie occidentali, ricorda la ferma risposta del mondo occidentale. Avrebbe preferito celebrare tale anniversario in un altro modo, piuttosto che partecipare al dibattito su un provvedimento che lacera e divide le coscienze dei cittadini e che certamente non rafforza le istituzioni del paese.

Roberto GUERZONI (DS-U) esprime, preliminarmente, la più forte contrarietà alla proposta di legge C. 3102, non solo e non tanto per i suoi contenuti negativi, quanto, piuttosto, per le modalità di discussione imposte al Parlamento. Dopo il frettoloso esame del provvedimento svolto al Senato, avrebbe auspicato una diversa impostazione del dibattito alla Camera dei deputati.
Giudica una forzatura e lontana dalle reali esigenze del paese l'agenda delle priorità scelta dalla maggioranza di centrodestra


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per la ripresa dei lavori parlamentari: vengono, infatti, ignorate non solo la grave situazione internazionale che si sta creando, ma anche tutte quelle questioni economiche e di bilancio che affliggono il paese.
In conclusione, osserva come il testo della proposta di legge in esame venga generalmente percepito non come una norma di carattere generale, ma come una iniziativa volta a favorire alcuni specifici soggetti.

Grazia LABATE (DS-U) dichiara preliminarmente la propria delusione per le modalità di discussione e per le scelte procedurali adottate per lo svolgimento del dibattito, con le quali, a suo avviso, non si favorisce l'approfondimento di merito. Ritiene che la fretta ed il «decisionismo numerico» della maggioranza abbiano prodotto un vero e proprio mostro giuridico, pieno in alcuni articoli di elementi di incostituzionalità. Dalle decisioni assunte dalla maggioranza ne deriva non un legittimo sospetto, ma una legittima certezza che questa legge deve essere varata al più presto per favorire alcuni autorevoli rappresentati del centrodestra. Giudica inquietante questo utilizzo del potere, che viene, addirittura, giustificato con la considerazione di voler varare una legge a presidio ed a garanzia di tutti i cittadini.
Ritiene che questa proposta di legge, che presenta profili di dubbia costituzionalità, assieme alle leggi già approvate in materia di falso in bilancio, di rogatorie e di garanzie di impunità penali per gli esportatori di capitali all'estero, contribuirà a diffondere tra la gente la convinzione che si stia realizzando un sistema di legislazione ad personam. Sottolinea, inoltre, gli effetti devastanti che produrrà l'approvazione della proposta C. 3102 su tutti i processi, come è stato evidenziato anche dalla Associazione nazionale dei magistrati.
In conclusione, ritiene che, con questo modo di procedere, si stia confondendo il governo della res pubblica con il governo dell'interesse dei pochi e che ciò ingeneri il sospetto che in realtà non tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge.

Mauro CHIANALE (DS-U) osserva che nel nostro ordinamento il diritto dell'imputato ad essere giudicato da un magistrato imparziale ed indipendente viene ampiamente tutelato - in misura maggiore rispetto a molti altri paesi europei - attraverso l'intervento della Corte costituzionale, chiamata ad annullare le leggi che si pongono in contrasto con quel diritto costituzionalmente garantito, la previsione dei casi di incompatibilità del giudice, l'obbligo di astensione del medesimo nelle ipotesi previste, la possibilità di chiedere la rimessione del processo ad altra sede in casi specificamente determinati, il potere di ricusazione del magistrato medesimo.
Viceversa, la proposta di legge C. 3102 è volta a garantire il diritto di difendersi dai processi piuttosto che all'interno degli stessi, in tal modo finendo per ampliare la possibilità che i reati cadano in prescrizione e che le fonti di prova non vengano acquisite in maniera completa e tempestiva. Per altro verso, l'istituto del legittimo sospetto potrebbe trovare applicazione anche con riferimento all'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, come quello riguardante la libera manifestazione del pensiero.
In realtà la presentazione della proposta di legge C. 3102 è strettamente correlata alle vicende processuali di Milano. Non si può, infatti, sostenere che l'iniziativa legislativa sia stata motivata dall'esigenza di colmare un vuoto normativo, visto che la Corte di cassazione si è limitata a dichiarare la non manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale, rispetto alla quale, per altro, sarebbe più ragionevole attendere la pronuncia dell'organo preposto.
Ritiene che l'istituto della rimessione debba trovare applicazione in presenza di situazioni in cui, con mezzi diretti o indiretti, si intenda influire sullo svolgimento del processo e che comunque la


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prevista ricusazione consenta al cittadino di sottrarsi alla valutazione di un giudice parziale nei suoi confronti.
Ricorda quindi il tenore della sentenza n. 353 del 1996 della Corte costituzionale, che ha sancito l'incostituzionalità di qualsiasi effetto sospensivo che si produca automaticamente in caso di presentazione di istanza di rimessione, evidenziando come la relativa disposizione sia nuovamente inserita nella proposta di legge in esame.
Richiamate alcune considerazioni svolte da Carlo Guarnieri in un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, con particolare riferimento alla necessità che le riforme processuali siano varate tenendo attentamente conto delle loro congruenza e del loro costo organizzativo, sottolineata la necessità da parte della maggioranza di giungere all'approvazione della legge prima del pronunciamento della Corte costituzionale. Esprime tuttavia l'augurio che il potere politico avverta l'esigenza di sottostare alle stesse regole che riguardano l'intera comunità.

Gianfranco MORGANDO (MARGH-U) condivide l'opinione espressa dal deputato Santagata, secondo il quale la futura affermazione del centro sinistra sarà garantita dalla capacità di presentare un progetto politico più valido di quello dell'attuale maggioranza.
Entrando nel merito della proposta di legge C. 3102 e del dibattito in corso, richiama le argomentazioni addotte da alcuni rappresentanti della maggioranza, che hanno motivato la necessità di approvare il provvedimento con l'esigenza di colmare un vuoto normativo. Al contrario, da una lettura del testo dell'articolo 45 del codice di procedura penale, ritiene che quest'ultimo configuri una disciplina attenta della rimessione, che è assolutamente coerente con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che ancora la legittimità dell'istituto delle rimessione all'accertamento obiettivo dei fatti ipotizzati dalla legge, escludendo altresì che possano essere utilizzate per le decisioni di rimessione valutazioni discrezionali basate su criteri generici, sia pure fatte da un organo molto autorevole come la Corte di cassazione.
Ritiene inoltre che non corrisponda a verità la considerazione secondo la quale il legislatore delegato del 1988 si sarebbe dimenticato del legittimo sospetto: a conforto di tale opinione, richiama le considerazioni dei professori Chiavari e Marcello Gallo, che smentiscono l'ipotesi del vuoto legislativo, sostenuta dai rappresentanti del centrodestra.
Nutre il forte sospetto che la genericità della formulazione del legittimo sospetto sia volta non ad aumentare le garanzie dei cittadini, ma a favorire alcuni cittadini con indebiti vantaggi. Ritiene che tale sospetto possa essere confermato dalla previsione contenuta nel comma 6 dell'articolo unico della proposta di legge C. 3102, che prevede l'applicazione del provvedimento anche ai processi in corso.
Ancora una volta, si afferma la logica di una legislazione basata sulla privatizzazione della politica, riconducibile agli interessi della ristretta cerchia dei sodali del Governo dal centrodestra.

Raffaello DE BRASI (DS-U) rilevato anzitutto che il dibattito in corso, oltre ad essere serio ed approfondito, è pienamente rispettoso delle regole del confronto democratico, esprime l'auspicio che l'atteggiamento rigoroso ed intransigente dell'opposizione renda possibili interventi migliorativi del provvedimento in esame.
Ritiene che la maggioranza debba spiegare all'opinione pubblica i motivi per cui ha imposto un esame frettoloso della proposta di legge Cirami e perché considera un'assoluta priorità la reintroduzione del legittimo sospetto come causa di rimessione del giudice naturale. Pur rilevando che l'attuale casistica della rimessione è troppo restrittiva, è dell'avviso che non vi siano vuoti legislativi da colmare e che sarebbe stato opportuno attendere la pronuncia della Corte costituzionale. La maggioranza persegue chiaramente l'obiettivo di ottenere la rimessione del processo in cui sono imputati Berlusconi e Previti, ma


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vi è il rischio che i giudici di Brescia non siano né compiacenti né accomodanti.
Sottolinea che molti esponenti della destra, che hanno il senso delle responsabilità istituzionali, sono insoddisfatti dell'azione politica della Casa delle libertà in materia di giustizia, al punto da proporre una moratoria che apra la strada ad una riforma organica complessiva. Si chiede peraltro se la maggioranza sia in grado di produrre una svolta sulla giustizia che avvii un confronto serio con le opposizioni; finora la destra, infatti, non si è occupata dei problemi reali della giustizia, limitandosi ad annunciare riforme rimaste inattuate, e i provvedimenti da essa adottati hanno abbassato la soglia della legalità, premiando i furbi ed umiliando gli onesti. Alcune proposte della maggioranza rischiano addirittura di favorire gli associati a Cosa nostra e di far saltare molti processi di mafia; altre tendono di fatto ad introdurre un controllo politico sull'azione giudiziaria e a ridurre le possibilità di intervento dei pubblici ministeri.
Rileva altresì che una rilevante parte degli italiani ritiene che la maggioranza stia incrinando principi fondamentali della nostra democrazia, come quelli dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e dell'autonomia ed indipendenza della magistratura. Invita pertanto la parte più responsabile della maggioranza ad una seria ed attenta valutazione dei rilievi critici mossi dall'opposizione.
Pur avendo più volte manifestato la disponibilità a modificare il testo in esame, la maggioranza non ha tuttora indicato quali siano le sue concrete proposte in tale direzione. Ritiene che sarebbe opportuno emendare il testo in modo tale da eliminare il rischio di abuso e di uso strumentale dell'istituto della rimessione, intervenendo in particolare sulla norma che prevede la sospensione automatica dei processi in caso di istanza di rimessione per legittimo sospetto. A tale riguardo, ricorda che la soluzione proposta dall'Ulivo prevede l'annullamento della sentenza nel caso in cui la Cassazione accolga la richiesta di rimessione, evitando in tal modo che il processo venga sospeso.
Ritiene che sia necessario giungere ad una rigorosa definizione del legittimo sospetto, concetto ambiguo che si presta ad interpretazioni soggettive, anche alla luce del fatto che introduce una deroga al principio del giudice naturale.
Precisa infine che l'opposizione non intende mettere in discussione il principio di maggioranza e la legittimità democratica dell'azione di governo della destra, ma intende costruire un'alternativa politica e democratica all'attuale esecutivo.

Giovanna GRIGNAFFINI (DS-U) dichiara che esprimerà la propria contrarietà al provvedimento in esame non attraverso argomentazioni tecniche ma parlando di cinema, che è lo specchio fedele della realtà, anche in omaggio a Nanni Moretti e a tutti i cittadini che parteciperanno alla manifestazione di sabato prossimo a Roma, in cui si celebrerà il rito di una cittadinanza che intende affermare la prevalenza dell'interesse pubblico sugli interessi particolari dei singoli.
Si richiama quindi al film di Frank Capra Mister Smith va a Washington per affermare che l'ostruzionismo è una pratica non solo legittima ma democratica, è lo strumento per muoversi all'interno delle regole democratiche, di cui invece la maggioranza fa strame. Il valore democratico dell'ostruzionismo oggi è tanto più importante nel nostro paese, in cui l'informazione è un vero e proprio potere ulteriore, il primo ministro detiene un potere abnorme e non vi è spazio per la dialettica democratica.
Si sofferma quindi su un'altra rappresentazione cinematografica, Il sospetto di Hitchock, che a suo avviso rappresenta un vero e proprio atto di accusa alla cultura del sospetto, che mina profondamente ogni forma di convivenza civile. Rileva altresì come la cultura del sospetto appartenga a società autoritarie e totalitarie e sia esattamente l'opposto del garantismo. Con il provvedimento in esame si dà libero spazio all'arbitrio e alla discrezionalità, negando in tal modo il principio di uguaglianza.


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In conclusione, ricorda che persino durante il regime fascista furono posti in essere interventi volti ad attenuare gli effetti deleteri dell'istituto del legittimo sospetto.

Arnaldo MARIOTTI (DS-U), al contrario di quanto rilevato da taluni deputati della maggioranza, nel corso del dibattito ha riscontrato il tentativo dell'opposizione di aprire un confronto sul testo del provvedimento in esame per cercare quanto meno di rimuovere i rilievi di costituzionalità rendendolo compatibile con la Carta e tale da tutelare il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
È a sua volta meravigliato dello stupore espresso dai deputati Sterpa e Cola in merito alla forte opposizione in corso giacché interventi quali la lettera di Previti sul Corriere della sera o quello dell'onorevole Cicchitto ieri in Commissione tolgono ogni dubbio alla necessità di una battaglia serrata per contrastare un vero e proprio stravolgimento delle regole di convivenza civile. A fronte della volontà della maggioranza e del Governo di impegnare il Parlamento su una priorità che è tale solo per alcuni, relegando in secondo piano la crisi economica, i drammi sociali di tante famiglie e temi come quello della guerra e della sicurezza nazionale ed internazionale, cita, a dimostrazione dello stravolgimento in atto, la decisione del Presidente del Consiglio di dichiarare nel corso di un'intervista rilasciata ad un quotidiano - e non al Parlamento - la posizione sulla guerra che il Governo esprimerà a nome del paese all'ONU.
Conoscendo personalmente l'esperienza di un processo subito, sente di poter esprimere con cognizione di causa la convinzione che lo svolgimento di un procedimento nella sua sede naturale, qualora si concluda con una dichiarazione di innocenza, rafforzi politicamente chi lo subisce oltre a saldare il legame tra i cittadini e le istituzioni. Al contrario, paventa il rischio che la percezione della volontà di una classe politica di cambiare le regole a vantaggio di alcuni intacchi profondamente la fiducia dei cittadini. Credendo fermamente nell'alternanza di un sistema bipolare, non può che temere i danni irreversibili che da ciò deriverebbero.
Richiamando le dichiarazioni dell'onorevole Pecorella all'inizio del dibattito in merito al dovere istituzionale del Parlamento di migliorare le leggi e alla sussistenza di motivi di incostituzionalità da rimuovere nelle norme in esame, si chiede quando la maggioranza intenda intervenire in proposito in modo da cancellare il dubbio, dilagante nel paese, che si stia operando a vantaggio del Presidente del consiglio e dell'onorevole Previti cercando di impedire al tribunale di Milano di concludere i processi in corso anche a rischio di introdurre nell'ordinamento un istituto che, per la vaghezza con cui è definito, rischia di essere utilizzato in futuro anche nel corso di processi per reati di terrorismo e di mafia.
Alla luce di tali considerazioni, auspica un ripensamento della maggioranza ed una significativa modifica del provvedimento in esame.

Giuseppe GIULIETTI (DS-U), in segno di riconciliazione in un dibattito così aspro, senza condividere le ragioni della maggioranza, intende apprezzare la lealtà, l'amicizia e la riconoscenza che molti stanno mostrando verso il capo del Governo ed alcuni amici. Pur non condividendo affatto le ragioni di un simile atteggiamento, non può non scorgerne all'origine un positivo sentimento di affetto, così forte e cogente da elevare l'interesse particolare a norma universale.
Per trasformare un sentimento in legge occorre amore immenso o grande urgenza e quest'ultima è la più probabile. Il presidente Violante, con molta dottrina, ma anche con la malizia di chi non sa riconoscere i segni dell'amore in politica, propende per un interpretazione tutta politica, secondo la quale questa legge è destinata ad impedire che venga pronunciata una sentenza nei confronti di due uomini politici imputati di corruzione; la norma interferirebbe inoltre con i processi in corso. Tale interpretazione si basa certo su modelli di riferimento arcaici, che non


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tengono conto, come ha ben argomentato l'onorevole Cola, di cosa significhi «partito dell'amore», la cui fondazione ha cambiato la categoria del diritto facendo dell'amicizia un valore universale e recuperando modelli familistici e comunitari che assegnano al gruppo una funzione prevalente rispetto alla comunità nazionale e alla nozione di interesse generale, che viene così a decadere.
Scorge un filo che lega il falso in bilancio, le rogatorie, il conflitto di interessi fino alla legge Berlusconi-Gasparri sulle televisioni. Gli interessi di gruppo hanno sostituito l'interesse generale divenendo una priorità rispetto a temi considerati di minore rilievo come le pensioni, l'inflazione, la scuola, il lavoro. Ritiene che il testo non sia ispirato dalla volontà di proteggere qualcuno ma forse da considerazioni di politica estera, con l'intenzione di garantire Silvio Berlusconi alla vigilia della possibile assegnazione del prossimo premio Nobel.
Sempre secondo Violante, la legge Cirami è destinata ad impedire che la Corte costituzionale si pronunci sulle eccezioni sollevate dagli avvocati di Previti e Berlusconi. È personalmente contrario a fare i processi alle intenzioni e in fondo rappresenta un'apprezzabile innovazione medioevale la fortunata presenza in Commissione degli stessi avvocati, che possono così fornire in diretta e senza intermediazioni le valutazioni politiche e processuali. Una soluzione potrebbe essere quella di lasciare ferme le attuali norme ed introdurre eccezioni ad personam o per gruppo. Si rende conto che l'accusa di Violante è grave, ma gli è stata data una mano con la legge Berlusconi-Gasparri sulla televisione. A chi si meraviglia del sospetto che si voglia interferire sulla sentenza della Corte costituzionale riporta l'esempio dell'attesa pronuncia del 24 settembre su Rete 4, a fronte della quale è stata presentata in Consiglio dei Ministri una proposta che modifica il numero delle reti nazionali e i tetti antitrust. Si è trattato, a suo avviso, non di una volontà di interferenza ma di un'altra dimostrazione di affetto che ha portato la stessa Borsa a premiare il «partito dell'amore» facendo salire i titoli di Mediaset nonostante il periodo di crisi del settore. Il ministro interessato nega alcun nesso con la sentenza della Corte ma un sottosegretario non avvertito in tempo ha invece affermato il contrario. Rileva pertanto una coazione dell'Esecutivo a riproporre le stesse dinamiche e si chiede se non sarebbe invece il caso che fosse la stessa maggioranza a rivolgere un appello alla Corte affinché decida in tempi brevi.
Condivide le sollecitazioni al dialogo provenienti da più parti, ma è convinto che la presenza di due punti assolutamente non modificabili della Cirami e del provvedimento sulle televisioni, vale a dire la possibilità di interferire sui procedimenti in corso e l'intangibilità di alcune proprietà nel conflitto di interessi, renda indubbiamente difficile percorrere tale strada. Se così non fosse, tuttavia, invita la maggioranza ad accogliere la proposta di Violante e a bloccare l'iter del provvedimento. Sarebbe a suo avviso un enorme segno di forza che darebbe la possibilità a Berlusconi di sviluppare una vera e propria campagna di contro informazione.
Nell'attesa, invita la maggioranza a dare un altro segnale. Nel corso del dibattito si è assistito alla provocazione di alcune persone troppo zelanti, per esempio nel servizio pubblico radio televisivo, laddove è stata negata la diretta della manifestazione del 14 settembre. Il Presidente del Consiglio ha più volte spiegato che la piazza non gli fa paura e che rappresenta al contrario un vantaggio per la maggioranza in termini di voti. Ricordando peraltro alcuni interventi di Berlusconi a Piazza del Popolo nel corso della scorsa legislatura sul colpo di Stato, sul vuoto di legalità e sulla democrazia sospesa, si chiede per quale motivo, se è opinione diffusa che dimostrazioni di piazza come quelle dei girotondi facciano perdere voti all'opposizione, anche per svelenire il clima politico, non venga prevista una diretta di quattro ore a reti unificate della manifestazione di sabato. Con un operazione di generosità, mostrando la bruttezza della piazza, la maggioranza


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potrebbe dare un segnale di forza e ottenere un grande risultato. Inoltre, proprio perché il Presidente del Consiglio non ambisce interferire sui suoi processi, potrebbe ritirare personalmente la proposta di legge nel corso della diretta ottenendo tre effetti contemporaneamente: la fine dell'opposizione, indici di ascolto alle stelle ed un nuovo salto dei titoli in borsa. Teme che il finale non sarà questo, che alla fine l'interesse particolare avrà la meglio e che quello generale subirà un duro colpo. È infatti certo che la maggioranza stia costruendo le ragioni profonde della sua sconfitta nel paese e, almeno per questo, sente di doverla ringraziarla.

Nicola CRISCI (DS-U) rileva che la maggioranza considera il provvedimento in esame una conquista di civiltà perché sarebbe corrispondente alle vere priorità del paese che non coincidono con quelle individuate dall'opposizione, ossia l'occupazione, la scuola, la sanità, le pensioni, la sicurezza, la difficile situazione economica, la possibilità di conflitti internazionali, la crescente sfiducia verso il futuro. È in questo contesto che si comprendono le ragioni che hanno portato alla rapida approvazione del progetto di legge presso l'altro ramo del Parlamento, che lo ha licenziato in poco più di venti giorni, offrendo così un esempio di efficienza e capacità decisionale che dimostra in che modo si possano superare le regole, le consuetudini, la prassi di un Parlamento che per la maggioranza di centrodestra costituisce un fastidioso luogo di inutili discussioni che deve sempre più trasformarsi in istituzione che si limita a vidimare le leggi scritte in altri luoghi, possibilmente da uomini qualificati e preparati che, facendo magari parte del collegio di difesa del Presidente del Consiglio e dei suoi amici più fidati, sanno ben rappresentare gli interessi veri del paese.
È per queste ragioni che, negli intenti della maggioranza, bisogna andare avanti senza tentennamenti ed in fretta, evitando di dare spazio a chi dall'opposizione si ostina a non accettare il risultato elettorale e intende porre in essere meri atteggiamenti dilatori. In sostanza, i veri «pretoriani» in Parlamento non sarebbero gli uomini della maggioranza ma quelli dell'opposizione, vittime dei comunisti e della piazza, che seminerebbe odio e che avrebbe l'ardire di teorizzare che la legge in esame ha lo scopo di fornire un aiuto processuale al Presidente Berlusconi ed al deputato Previti, imputati di corruzione in atti giudiziari; un'opposizione che considera quella in esame una sorta di legge ad personam che degraderebbe la democrazia e minaccerebbe lo Stato di diritto, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'autonomia del potere giudiziario da quello politico.
Dichiara di non comprendere l'urgenza del provvedimento di non aver colto l'abissale vuoto normativo che lo stesso andrebbe a coprire, di non aver capito, inoltre, perché, interessando non singole posizioni processuali ma una larghissima platea di cittadini, non lo si discuta in Parlamento con procedure ordinarie e civili, evitando di ricorrere ad incomprensibili ed ingiustificate sedute notturne ed alla limitazione dei tempi di discussione. Nutre quindi il sospetto - in questo caso «legittimo» - che il provvedimento in esame serva solo a favorire le posizioni processuali di autorevoli parlamentari, mettendo nel contempo a disposizione della mafia e della camorra, come avvenuto per le leggi sul falso in bilancio e sulle rogatorie, uno strumento processuale che le organizzazioni malavitose sapranno usare adeguatamente per ritardare i processi e le giuste condanne.
La proposta di legge in esame resuscita un istituto di matrice medievale, uno strumento desueto, un istituto di archeologia processuale generico e per molti versi ambiguo che non aumenterà le garanzie dei cittadini ma minerà ulteriormente la fiducia nelle istituzioni, contribuirà a rallentare i processi e, forse, salverà dal giudizio alcune illustri personalità; renderà tuttavia più difficile il confronto istituzionale e democratico nel paese e fornirà un formidabile regalo alla malavita che potrà più facilmente riuscire ad insabbiare i processi.


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Esprime l'auspicio che i parlamentari della maggioranza si affranchino dalla loro condizione di «clientes», evitando di considerare il proprio mandato vincolato agli interessi del Presidente del Consiglio, e favorendo l'obiettivo di ripristinare la libera dialettica e, quindi, di evitare che si diffonda sempre più la convinzione che il Parlamento sia umiliato e piegato ai superiori interessi del Presidente del Consiglio e dei suoi sodali.
Ritiene, in conclusione, che la maggioranza non riuscirà a concretizzare il suo tentativo di imbavagliare il Parlamento, né quello di zittire e piegare il paese; le ragioni dell'opposizione sapranno saldarsi a quelle delle coscienze libere e democratiche per costruire un progetto di governo del paese. Invita quindi a ritirare il provvedimento, incostituzionale, inutile e dannoso, o - quanto meno - a sospendere l'esame in attesa dell'imminente decisione della Corte costituzionale, è chiamata a pronunciarsi su richiesta della Cassazione. Se la maggioranza modificherà il suo atteggiamento nel senso auspicato, il paese sarà aiutato ad affrontare le vere urgenze, comprese quelle della giustizia, con maggiore serenità e senza le lacerazioni che l'approvazione della legge sul legittimo sospetto determinerà inevitabilmente non soltanto tra maggioranza ed opposizione ma anche tra cittadini e Stato.

Piera CAPITELLI (DS-U) ricorda preliminarmente che il centrosinistra nella passata legislatura ha portato avanti con successo importanti temi in materia di giustizia nell'interesse della generalità dei cittadini, come nel caso del giusto processo. Invece le forze politiche del centrodestra, pur avendo contribuito al varo di alcune riforme nella passata legislatura, stanno ora procedendo in direzione opposta, secondo un vero e proprio processo di controriforma e di distruzione della legalità, com'è dimostrato dalla forzatura dei tempi delle procedure parlamentari con le quali si è voluto approvare al Senato il disegno di legge Cirami. Questa scelta ha inevitabilmente acceso in una larghissima parte degli italiani il sospetto che si stesse dando attuazione ad una manovra per impedire la celebrazione dei dibattimenti di Milano, trasferendo nell'attività legislativa le eccezioni dei difensori di imputati eccellenti. In un anno di governo la maggioranza di centrodestra ha creato un inedito riformismo finalizzato a rispondere ad interessi particolari, a tutto discapito dei contenuti, come è avvenuto in occasione dell'approvazione dei provvedimenti in materia di rogatorie internazionali, di falso in bilancio, di imposizione nelle successioni, di conflitto di interessi. Analogamente sta avvenendo per il legittimo sospetto, sottoposto dalla maggioranza all'esame della Camera nel tentativo di anticipare un pronunciamento della Corte costituzionale; tuttavia l'accelerazione impressa al lavoro parlamentare ha indignato fortemente l'opinione pubblica, coinvolgendo anche una parte significativa degli elettori di centrodestra.
Dopo aver richiamato il modo in cui ha avuto origine il provvedimento in esame, osserva come da ciò traspaia un'evidente volontà ostruzionistica verso i procedimenti in corso che, in quanto posta nelle mani del legislatore, configura un'interferenza nella sfera dell'autonomia di un altro potere, nonché un atto di forza intollerabile da parte della maggioranza parlamentare.
Auspica comunque che gli spazi di discussione negati al Senato e garantiti alla Camera consentano una discussione più approfondita e trasparente, osservando che l'opinione pubblica si è mobilitata sulla tematica oggetto del dibattito non perché le forze del centrosinistra agitino demagogicamente le masse, ma perché è chiaro il rischio che corre il sistema giustizia. Ricordando le motivazioni indotte dalla maggioranza a giustificazione dell'introduzione nel codice dell'istituto del legittimo sospetto quale motivo di rimessione, osserva che, secondo una autorevole dottrina, non esisterebbe alcuna violazione dell'attuale articolo 45 del codice di procedura penale rispetto alle previsioni contenute nella legge delega, configurandosi semplicemente un'interpretazione restrittiva di quest'ultima, come restrittiva era


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stata l'interpretazione dei presupposti della rimessione data dalla Corte costituzionale, nel senso di limitarla sostanzialmente ai casi in cui la libertà degli attori del processo fosse pregiudicata da gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo.
Il trasferimento del processo da una sede all'altra è un provvedimento assolutamente eccezionale, in quanto rappresenta una deroga al principio costituzionale secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. In ogni caso, se si vuole evitare il conflitto, la legge deve stabilire modo tassativo e secondo criteri rigorosi i presupposti della rimessione. L'articolo 45 così com'è formulato nel testo approvato dal Senato rappresenta, a giudizio di molti esperti, una soluzione pasticciata e pericolosa. Le forze di opposizione, che si sono sempre battute per scongiurare l'urgenza, la fretta e superficialità, si stanno ora battendo per un dibattito approfondito nel merito, che consenta di eliminare il pericolo che nel sistema giustizia entri il principio che la discrezionalità può discriminare i cittadini e creare un'area di privilegio ed impunità.
In Italia esiste una macroscopica situazione di conflitto di interessi, che la maggioranza parlamentare continua a negare a dispetto dell'evidenza, ritenendosi tutelata dalla sua preponderanza numerica in Parlamento; tuttavia i rapporti di forza nel paese non corrispondono agli equilibri parlamentari ed il centrodestra, pur avendo piena legittimità a governare, non ha ricevuto i voti della maggioranza dei cittadini. In ogni caso non può ritenere di aver avuto carta bianca per l'esercizio del proprio mandato e non può sottrarsi al confronto con i cittadini, né continuare a varare provvedimenti che, oltre a non essere inclusi nel contratto con italiani, sono volti a scardinare il sistema giustizia.
Ribadisce conclusivamente che il paese manifesterà con forza la propria preoccupazione, in nome del rispetto dei principi costituzionali, che hanno carattere universale e non sono affatto invecchiati.

Donato BRUNO, presidente, rinvia il seguito dell'esame alla seduta di domani, giovedì 12 settembre 2002, alle ore 9.

La seduta termina alle 23.05.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 13.35 alle 13.40.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Audizioni informali dei rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, dell'Organismo unitario dell'avvocatura e dell'Unione camere penali.

Le audizioni informali si sono svolte dalle 14.40 alle 16.50