Interrogazione 5-00704 Calzolaio: Rafforzamento attività istituti italiani di cultura all'estero.
Ringrazio gli onorevoli colleghi per i quesiti posti. Desidero innanzitutto sottolineare che concordo pienamente sull'importante funzione che gli Istituti Italiani di Cultura svolgono nel rappresentare all'estero l'immagine del nostro paese, nonché sulla necessità di coinvolgere, nella promozione della lingua e della cultura italiana anche le Regioni, gli Enti locali e la società civile nel suo complesso.
Concordo ugualmente sul fatto che, fino ad oggi, il funzionamento degli Istituti è stato rallentato da una allocazione delle risorse penalizzante, con fondi scarsissimi, ulteriormente decurtati dalle finanziarie degli ultimi anni. Aggiungerei, inoltre, che la programmazione delle attività poste in essere dagli istituti ha sofferto anche per la mancanza di appropriati obiettivi e di scarso coordinamento dal centro.
L'attuale Governo, cosciente della precaria situazione ereditata dai precedenti esecutivi, si è subito messo al lavoro dando innanzitutto impulso all'attività degli organismi previsti dall'attuale normativa, relegati finora ad una funzione meramente burocratica. Mi riferisco, in particolare, alla Commissione Nazionale per la Promozione della Cultura Italiana all'Estero che, praticamente inattiva da oltre dieci anni, ha elaborato, su mio impulso, fin dallo scorso mese di settembre, raccomandazioni contenenti gli indirizzi generali per la nostra politica culturale, i quali accolgono, innanzitutto, l'esigenza di coinvolgere Enti Locali, organizzazioni non governative e privati nella promozione culturale.
In tal senso il Ministero degli affari esteri la avviato un'intensa attività di cooperazione con le Regioni e diversi accordi esecutivi sono stati già firmati con tali amministrazioni, mentre molti altri sono in via di conclusione. Tali accordi, immediatamente operativi, hanno già permesso la messa in atto di diversi progetti comuni.
Inoltre, la Commissione ha deciso di indire gli «Anni tematici», ciascuno dei quali vedrà la nostra rete culturale impegnata nella promozione all'estero di aspetti diversi del nostro patrimonio e della nostra produzione culturale: l'anno 2002, ad esempio, è stato proclamato anno della moda e del design; il 2003 sarà l'anno delle tradizioni e delle culture regionali. L'obiettivo degli «Anni tematici» è anche quello di favorire, attraverso una politica di proiezione culturale all'estero, l'affermazione e la credibilità delle nostre imprese sul mercato globale.
Gli indirizzi di politica culturale della Commissione costituiscono il frutto del confronto e delle opinioni emerse tra i suoi componenti che rappresentano le più importanti istituzioni culturali del Paese, le Amministrazioni dello Stato e la società civile. A questi indirizzi si ispira la programmazione, e l'azione dei direttori degli istituti di cultura, nonché delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari.
Per quanto riguarda il personale degli istituti e in particolare i direttori, bisogna distinguere tra il personale di carriera, selezionato in base a criteri analoghi, a quelli adottati da equivalenti istituzioni straniere come il British Council, il Goethe Institut o gli Istituti Francesi, e i direttori cosiddetti «per chiara fama».
Nel primo caso si applicano le disposizioni di cui alla legge n. 401 del 1990,
integrate dalle norme contrattuali in vigore, che regolano la nomina e l'avvicendamento del personale nelle sedi estere.
Per quanto concerne, invece, la specifica categoria dei direttori cosiddetti «per chiara fama», di nomina politica, istituita dalla stessa legge del 1990, si tratta di una facoltà concessa al Ministro di inviare nelle sedi più prestigiose culturalmente, dieci illustri personalità. È a questa categoria che appartengono i direttori degli istituti citati dagli interroganti, intorno ai quali è stata sollevata recentemente, a mezzo stampa, una vivace polemica.
Ai sensi dell'attuale legge n. 401 del 1990, i direttori «per chiara fama» sono nominati per un periodo di due anni, rinnovabile, al massimo, per altri due anni. Tale rinnovo non è né automatico né scontato, come dimostrano i casi in cui non è stato accordato dai precedenti governi anche di centrosinistra.
Il mancato rinnovo dell'incarico, dunque, non si configura affatto come un giudizio negativo sull'operato dei singoli direttori, bensì può dipendere dall'esigenza di rinnovare l'immagine dell'Italia nel contesto socio-politico e culturale del paese ospitante.
Pertanto, i lusinghieri giudizi espressi da ristrette elites di paesi stranieri sull'operato di alcuni direttori di «chiara fama», pur costituendo un indicatore di cui tener conto, non costituiscono l'unico elemento di valutazione per i rinnovi.
Un valido direttore potrebbe essere sostituito da un altro, con un diverso profilo professionale, ritenuto maggiormente in grado di favorire la diffusione della cultura italiana in una diversa contingenza che vede emergere nuove priorità nella promozione culturale.
Al fine di realizzare un incisivo e duraturo rilancio della promozione culturale all'estero, il Ministero degli affari esteri ha elaborato un disegno di legge che riforma l'attuale normativa e prevede il rafforzamento della rete degli Istituti di Cultura, la modifica della composizione della Commissione Nazionale, per includervi una più completa rappresentanza della società civile, nonché un arricchimento delle sue competenze.
Il disegno di legge in questione prevede, inoltre, un sostanziale aumento dei fondi destinati alla promozione culturale, proprio per rilanciare le attività degli istituti come richiesto dagli interroganti.
Nel medesimo contesto, si mira altresì a rafforzare la funzione dei cosiddetti «chiara fama», per garantirne al meglio l'autonomia operativa in vista della realizzazione di progetti speciali di particolare rilievo e impatto culturale.
Missione di una delegazione parlamentare in Marocco (17-20 febbraio 2002).
Premessa.
Nell'aprile del 2000, il Re del Marocco, Mohammed VI, svolse una visita di Stato in Italia.
In quell'occasione, il Sovrano ebbe cortesemente ad invitare una delegazione congiunta, delle Commissioni affari esteri della Camera e del Senato a recarsi in Marocco, per avere una visione diretta della situazione di quel Paese.
Le Commissioni hanno accolto con gratitudine e piacere un invito che, tra l'altro, ha offerto la possibilità di migliorare le già eccellenti relazioni esistenti tra l'Italia ed il Paese maghrebino.
Dal 18 al 20 febbraio 2002 si è dunque recata in Marocco una delegazione congiunta delle Commissioni affari esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, composta, per la Camera, dal Presidente Gustavo Selva, dai deputati Giampaolo Landi di Chiavenna, Giuseppe Naro e Cesare Rizzi, e, per il Senato, dal Presidente Fiorello Provera, dai senatori Giulio Andreotti, Tana De Zulueta, Alessandro Forlani, Francesco Martone ed Enrico Pianetta.
La delegazione ha avuto la possibilità di incontrare il giorno 18, a Laayoune (Sahara Occidentale) i responsabili civili e militari della missione dell'Onu sul referendum (MINURSO) e il responsabile dell'ufficio di collegamento con l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. Nella stessa giornata, la delegazione ha incontrato, su espressa richiesta degli ospiti, il responsabile marocchino del coordinamento con la Minurso, Hamid Chabar, e il Governatore marocchino della regione, il Wali.
Gli incontri sono proseguiti a Rabat nelle giornate del 19 e del 20.
Il 19 la delegazione ha incontrato il Primo Ministro, Abderrahmane El Youssoufi, il Presidente della Camera dei rappresentanti, Abdel Wahed Radi, il Presidente della Camera dei Consiglieri, Mustapha Ouchaka, i Presidenti delle Commissioni affari esteri della Camera dei rappresentanti e della Camera dei Consiglieri, Bouzza Lamrani e Omar Adkhil, il Sottosegretario agli affari esteri Taieb Fassi Fihri e il Ministro delle finanze, privatizzazioni e turismo, Fathallah Oualalou.
Il 20 la delegazione ha incontrato il Ministro degli interni Driss Jettou, e il Presidente del Consiglio Consultivo per i diritti umani, Dahak.
Tutti gli incontri con gli esponenti marocchini si sono svolti in un clima di cordialità e franchezza reciproca, ed hanno sostanzialmente avuto ad oggetto tematiche riconducibili trasversalmente alla situazione dei rapporti bilaterali, alla questione dell'immigrazione e alla situazione nel Sahara occidentale.
Nei vari colloqui, infatti, tali argomenti, pur considerati secondo differenti punti di vista a seconda della responsabilità dei vari interlocutori, sono stati costantemente al centro dell'attenzione, ed è per questo che si ritiene opportuno incentrare tematicamente sulle predette questioni il prosieguo della relazione.
1) Le relazioni bilaterali.
In numerose occasioni, gli interlocutori marocchini (dal Presidente del Consiglio a quello della Camera del Rappresentanti, al Sottosegretario agli esteri) hanno sottolineato
con particolare enfasi la comune appartenenza dell'Italia e del Marocco all'area mediterranea, ad una comune cultura mediterranea, non mancando di evidenziare i legami storici che uniscono i due Paesi.
Del pari, è stato frequentemente ribadito l'ottimo stato delle relazioni bilaterali, che si sono arricchite negli ultimi tempi di nuove iniziative: dalla definizione, nel 1999, del programma di cooperazione triennale, al Protocollo sulle Consultazioni Politiche Rafforzate, all'Accordo di conversione del debito pubblico marocchino, questi ultimi firmati dai Ministri degli esteri al termine della rammentata visita del Re del Marocco in Italia nell'aprile del 2000 (il relativo importo, pari a 100 milioni di dollari, è stato destinato alla realizzazione di progetti di sviluppo nei settori dell'educazione, dell'approvvigionamento idrico, della costruzione di strade rurali, dei servizi sanitari di base, delle opere idrauliche. Come ha ricordato il Ministro dell'economia, il debito con l'Italia ammonta oggi a circa 500 milioni di euro, su un totale di circa 500 miliardi di dollari).
Sono state altresì ricordate la numerose presenze delle realtà economiche italiane in Marocco (dall'Eni alla Fiat, alle piccole e medie imprese; queste ultime sono spesso state richiamate come possibile modello di sviluppo di un'economia, quale quella marocchina, che trova nell'artigianato la principale base produttiva) ed il lavoro di collaborazione con le realtà locali ivi svolto dalle Organizzazioni non governative.
In definitiva, i nostri interlocutori sono apparsi molto interessati ad un'intensificazione dei rapporti e delle collaborazioni - sia sul piano economico (il Ministro dell'economia ha ricordata gli sforzi del Paese per attirare investimenti stranieri, che nel 2001 sono stati pari a 3,1 miliardi di dollari) sia su quello politico e culturale - con il nostro Paese.
Quest'atteggiamento marocchino, che ha trovato positivo riscontro e piena disponibilità da parte della delegazione, sembra basarsi su una pluralità di motivazioni, sia di politica interna che internazionale.
Di politica interna, sotto il duplice profilo del rafforzamento - anche mediante un più forte ancoraggio alla sponda settentrionale del Mediterraneo - del processo di riforma (su entrambi gli aspetti ora richiamati ci si soffermerà più diffusamente in seguito) recentemente iniziato nel Paese maghrebino e degli effetti, non solo economici, della globalizzazione (nel corso dell'incontro con i parlamentari della Camera dei rappresentanti è stato detto, tra l'altro, che il rafforzamento delle relazioni bilaterali può contribuire alla difesa dell'identità mediterranea in un mondo sempre più globalizzato).
Di politica estera in quanto, prescindendo dalla pressante questione del Sahara occidentale, il contesto geopolitico in cui è situato il Marocco postula il mantenimento e lo sviluppo di una rete di relazioni con diverse realtà sia dell'area mediterranea sia di quella maghrebina.
In questo contesto, le linee guida che sono apparse orientare la controparte nella tematica dei rapporti bilaterali sono sostanzialmente le seguenti:
viene anzitutto evidenziata l'opportunità di intensificare le relazioni economiche bilaterali. Questo non solo per favorire la crescita economica (tra l'altro, il Ministro dell'interno ha lamentato la difficile situazione vissuta dai Paesi economicamente «intermedi», essendo l'attenzione delle istituzioni internazionali - in particolare di quelle finanziarie - incentrata sui Paesi poveri) ma anche per diversificare tali relazioni, ritenute troppo incentrate sui rapporti con Francia (il primo partner commerciale) e Spagna, ex potenze coloniali;
il rapporto con l'Italia, dunque, viene inquadrato in un'ottica non solo economica ma essenzialmente geopolitica, e questo in relazione ed entrambe le aree in cui il Marocco è impegnato, ossia per il Mediterraneo occidentale (e dunque per i rapporti con l'Unione europea, dei quali si dirà in seguito) e per il Maghreb;
quanto a quest'ultima area - per la normalizzazione e lo sviluppo della quale
la mancata soluzione della questione del Sahara occidentale pesa fortemente - è stata molto apprezzata, come accennato la proiezione mediterranea e l'attività svolta dall'Italia per favorirne la stabilità (e qui vale la pena di ricordare che la stabilità della sponda meridionale del Mediterraneo è un interesse prioritario per il nostro Paese e di sottolineare - come pure hanno tenuto spesso a sottolineare i nostri interlocutori - che il Marocco rappresenta indubbiamente un fattore di stabilità dell'area);
le tematiche dell'area maghrebina si intrecciano con quelle dei rapporti nella zona del Mediterraneo occidentale. Anche qui, la diversificazione perseguita dal Marocco («non vogliamo solo confrontarci con Francia e Spagna») rende significativo il ruolo dell'Italia, anche in relazione ai rapporti del Marocco con l'Unione europea.
Quello delle relazioni con l'Unione europea è infatti uno dei temi cruciali della politica estera marocchina; il Marocco infatti partecipa all'esercizio euro-mediterraneo ed ha sottoscritto con L'Unione un Accordo di Associazione, entrato in vigore il 1o marzo 2000. In questa tematica (il tema è stato diffusamente oggetto di attenzione, ma è stato trattato principalmente negli incontri con il Ministro dell'economia, con il Sottosegretario agli esteri, ma anche con il Presidente della Camera dei rappresentanti e con i parlamentari) l'Italia è vista come una sorta di «ponte» verso le istituzioni comunitarie, con le quali i rapporti del Marocco oggi non sono ottimali.
In particolare, il Ministro dell'economia ha auspicato un maggior dinamismo dei rapporti con l'Unione (in generale, ma con particolare riferimento ai finanziamenti del Programma MEDA), ed il Sottosegretario agli esteri si è soffermato sul fallimento dei negoziati con l'U.E. per il rinnovo dell'accordo sulla pesca (il che ha provocato un «momento di difficoltà, non di crisi» nei rapporti con la Spagna, «l'Unione ha difeso al 100 per cento le rivendicazioni spagnole») il Paese a cui appartengono la stragrande maggioranza delle imbarcazioni che tradizionalmente pescano in acque marocchine.
2) La questione dell'immigrazione.
Il tema dell'immigrazione è stato un altro dei leit motiv degli incontri avuti dalla delegazione.
Il Marocco, infatti, è non solo Paese di emigrazione diretta, ma anche Paese di transito dell'emigrazione che dai Paesi sub-sahariani si dirige in Europa: i problemi connessi a questa situazione sono stati oggetto sia di accordi bilaterali tra l'Italia e Marocco sia di iniziative nell'ambito del ricordato Accordo di associazione con l'Unione europea.
La delegazione, che ha trovato un'ampia disponibilità al dialogo e al confronto da parte dei propri interlocutori, ha anzitutto cercato di chiarire lo stato di ratifica dell'Accordo tra l'Italia e il Marocco sul riaccompagnamento al confine dei cittadini e sul transito in vista dell'allontanamento. Si tratta di un Accordo fatto a Rabat il 27 luglio 1998 e diretto, in spirito di cooperazione, al contrasto della migrazione illegale, del quale non è ancora stata notificata la ratifica ai competenti organi italiani.
Al riguardo, si è anzitutto venuti a conoscenza che, in materia, nell'ordinamento marocchino non è prevista un'autorizzazione alla ratifica da parte del Parlamento (il Presidente della Camera dei rappresentanti ha fatto presente che tale istituzione esamina solo i trattati e gli accordi che determinano oneri per le finanze pubbliche) e il relativo atto è dunque di competenza dell'esecutivo. Ciò è stato confermato dal Ministro dell'interno, che ha tenuto a ribadire la volontà del Marocco di rispettare gli impegni.
Nel corso dell'incontro con tale Ministro, da parte marocchina è stato fatto presente che il problema si pone anche in relazione alle garanzie assicurate ai marocchini arrestati in Italia, e quindi questo specifico aspetto della questione coinvolge
non solo la materia della sicurezza ma anche quella del rispetto della dignità umana; sul tema, tuttavia, si sono avuti incontri fruttuosi con esponenti delle amministrazioni italiane interessate e sono in via di definizione soluzioni soddisfacenti. Peraltro, anche il Primo Ministro ha riconosciuto la disponibilità degli interlocutori italiani a lavorare per risolvere i problemi connessi all'immigrazione.
Sulle medesime tematiche, il Presidente della Commissione affari esteri della Camera dei rappresentanti ha sollecitato una semplificazione delle procedure per la concessione di visti d'entrata in Italia ai cittadini marocchini e ha auspicato che si trovino soluzioni ai problemi della comunità marocchina nel nostro Paese (individuati nel lavoro, la sistemazione, la regolarizzazione delle situazioni, nel mantenere i contatti con la cultura, la lingua e la religione del Paese d'origine).
Prima di illustrare la posizione marocchina in materia, quale emersa dai colloqui avuti dalla delegazione, appare tuttavia opportuno rammentare che, in sede comunitaria, il Consiglio europeo di Tampere, tenutosi nell'ottobre 1999, ha approvato il Progetto di piano d'azione per il Marocco presentato dal Gruppo ad alto livello «Asilo e immigrazione» (tale Gruppo ha la missione di individuare un approccio comune, integrato e interdisciplinare nei confronti dei principali Paesi d'origine e di transito degli immigranti e di chi chiede asilo ed è stato incaricato, tra l'altro, di elaborare piani d'azione per Afghanistan, Albania, Marocco, Pakistan, Somalia e Sri-Lanka, comprendenti analisi comuni sulle cause di afflusso, proposte per articolare congiuntamente la strategia di sviluppo e individuazione delle necessità di aiuto umanitario), il piano relativo al Marocco traccia un quadro globale dei processi migratori, enuclea le misure e le azioni attualmente previste e propone una serie di interventi nei settori della politica estera, dell'emigrazione, dello sviluppo e della cooperazione economica, individuandone le implicazioni finanziarie e l'eventuale linea di bilancio.
In materia, gli esponenti marocchini hanno invitato a tener presenti alcune oggettive difficoltà del loro Paese, oltre all'impegno dispiegato nel far fronte all'emergenza e alla collaborazione prestata.
In particolare, il Ministro dell'interno ha fatto presente che il Marocco stesso subisce un pesante flusso di migrazione clandestina (si tratta, come accennato, di cittadini di Paesi sub-sahariani che utilizzano il Marocco come transito verso l'Europa). Le frontiere del Marocco sono molto estese e difficilmente controllabili ed è indispensabile una cooperazione internazionale per un controllo veramente efficace; un non minor impegno internazionale, questa volta sul versante dell'aiuto allo sviluppo economico, è altresì necessario per combattere alle radici le cause dell'immigrazione. Il Presidente della Camera dei rappresentanti ha infatti fatto presente che «parte chi vuole vivere meglio», spinto dalla disoccupazione e dai problemi economici, attratto da un'Europa dove vivono già due milioni di marocchini.
3) Il Sahara occidentale.
3.1) Il quadro d'insieme.
La storia del territorio del Sahara occidentale, e il destino delle popolazioni che lì vivono, appare in qualche misura esemplare delle contraddizioni del processo di decolonializzazione e delle difficoltà che può incontrare e difatti incontra la comunità internazionale a risolvere problemi le cui radici sono talmente ramificate ed intrecciate da non lasciar spazio a soluzioni improntate univocamente e che non tengano debitamente conto, con un equilibrio assai difficile da raggiungere, delle ragioni degli uni e degli altri.
Vale dunque la pena di richiamare - sia pure in estrema sintesi e per sommi capi, in una situazione così complessa - le vicende che hanno portato all'attuale stallo. E questo anche perché le vicende storiche vengono richiamate dalle parti in contesa - e meglio si dirà della posizione
marocchina nel seguito - a giustificazione e fondamento delle rispettive posizioni.
Tali vicende hanno sostanzialmente inizio nel 1884, con l'instaurazione del protettorato spagnolo sul territorio che oggi chiamiamo Sahara occidentale.
In tempi a noi più vicini, traggono le mosse quando, a seguito della Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali di cui alla risoluzione n. 1514 del 14 dicembre 1960, l'Onu, con una serie di risoluzioni di quegli anni, ha identificato il popolo saharawi come una self determination unity e ha raccomandato l'organizzazione di un referendum per consentire alla popolazione autoctona del territorio l'esercizio del diritto all'autodeterminazione.
Nel 1973 venne fondato il Fronte Polisario, e il 16 ottobre 1975 la Corte internazionale di giustizia espresse un parere in cui veniva ribadito il diritto all'autodeterminazione del popolo saharawi. Comunque, il 23 novembre 1975, venne concluso a Madrid, tra Spagna e Marocco, un Accordo con il quale la Spagna si impegnava a trasferire l'amministrazione del Sahara occidentale al Marocco e alla Mauritania.
Il 27 febbraio 1976 fu proclamata la Repubblica araba Saharawi democratica (RASD) il 7 marzo fu formato in Algeria un governo in esilio e il 14 aprile venne concluso l'Accordo di spartizione tra Marocco e Mauritania. Nel 1979 la Mauritania si è ritirata dalla controversia.
Nel giugno del 1981, il Marocco accettò l'idea di un referendum, ma sulle condizioni del suo svolgimento si manifestarono numerosi ostacoli (il Marocco rifiutava un negoziato diretto con il Polisario ed insisteva affinché il referendum si basasse sul censimento spagnolo del 1974, ampliato con il ricorso alla testimonianza orale; il Polisario chiedeva il ritiro delle truppe definite di occupazione, il rientro dei profughi e l'istituzione di una amministrazione internazionale).
Le trattative si arenarono anche a seguito di una serie di incidenti militari culminati in conflitto negli anni 1986-87. Il conflitto ridiede vigore agli sforzi congiunti delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione degli Stati africani, sotto i cui auspici avvenne, nel luglio 1987, un riavvicinamento tra il Polisario ed il governo marocchino. Ripresero altresì i tentativi di negoziare una soluzione per lo svolgimento del referendum ed a tale fine venne svolta una missione tecnica dell'ONU nel novembre 1987.
Nell'agosto 1988 il Segretario generale dell'ONU annunciò un piano di pace che prevedeva il cessate il fuoco tra le parti e lo svolgimento di un referendum sotto il controllo dell'ONU. Il piano fu accettato senza riserve dal Marocco e fu approvato in linea di principio con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 621 del 1988, con la quale si chiedeva al Segretario generale di preparare un rapporto sulle modalità di svolgimento del referendum.
Tale rapporto, presentato al Consiglio di sicurezza il 18 giugno 1990, condusse alla risoluzione 658 del 1990, con la quale si prevedeva l'invio di una missione tecnica (MINURSO), ed alla risoluzione 690 del 1991, con la quale si dava avvio al piano di regolamentazione (the plan of settlement), pienamente accettato dalle Parti.
Ma lo svolgimento del referendum, che doveva tenersi nel 1992, si è nuovamente arenata sulla divergente interpretazione dei criteri di identificazione degli aventi diritto al voto, e la data del referendum è stata oggetto di ripetuti rinvii.
Nel 1997 venne svolta una sessione di negoziati, condotta dall'ex Segretario di Stato americano James Baker, nella veste di inviato speciale del Segretario Generale dell'ONU: a metà settembre fu annunciato a Houston il raggiungimento di un compromesso per l'adozione di un codice di condotta in vista della tenuta del referendum, conferendo all'ONU la responsabilità della fase transitoria, soprattutto per la registrazione degli elettori.
Gli Accordi di Houston prevedono i seguenti cinque criteri di identificazione per gli aventi diritto al voto, che sono:
i soggetti compresi nel censimento del 1974;
i soggetti che vivevano nel Sahara occidentale nel 1974, ma non erano compresi nel censimento;
i parenti stretti degli individui sopra menzionati;
i figli di genitori saharawi;
i membri delle tribù saharawi che hanno vissuto nel Sahara occidentale per almeno sei anni prima del 1974.
Il maggior ostacolo al procedimento di identificazione degli elettori è stato rappresentato dalla questione dei gruppi tribali individuati con le sigle H41, H51 e J51/52, sulla quale la posizione delle Parti si è dimostrata molto distante (si trattava di circa 65 mila persone, suscettibili quindi di influenzare il risultato del referendum, dei quali i marocchini avevano chiesto da tempo l'inserimento nelle liste elettorali, ma di cui i saharawi contestavano l'appartenenza alla loro etnia). Baker ha quindi proposto la ripresa immediata dell'identificazione dei richiedenti dei gruppi contestati che si fossero presentati individualmente.
Il 15 giugno 1999 sono iniziate le procedure per l'identificazione dei «gruppi contestati», ma la gran quantità di ricorsi presentati e l'esiguità del numero dei componenti la Commissione hanno contribuito a rendere più difficili il completamento delle procedure e la pubblicazione definitiva delle liste elettorali.
Nel 2000 sono stati avviati nuovi colloqui negoziali fra le Parti, sempre presieduti dall'ex Segretario di Stato USA Baker (cosiddetto «Houston 2»), ma l'esito dei colloqui è stato deludente. Baker ha promosso un nuovo tentativo di mediazione a Berlino il 28 settembre 2000, ma i colloqui si sono conclusi prima del previsto e con un totale insuccesso. Nel giugno 2001 Baker ha prospettato la possibilità di un compromesso in base al quale al Sahara occidentale, sempre sotto controllo marocchino, verrebbe concessa un'ampia autonomia. Secondo il nuovo Piano Baker, al Sahara occidentale spetterebbe la facoltà di legiferare attraverso propri rappresentanti democraticamente eletti, mentre al Marocco resterebbero i poteri in materia di politica estera e di difesa.
Alla fine di agosto del 2001 si è tenuto negli Stati Uniti (in Wyoming), un vertice di tre giorni in cui Baker ha tentato di convincere i delegati del Fronte Polisario a prendere in considerazione la soluzione dell'autonomia, piuttosto che quella dell'indipendenza. Tra l'altro, il Marocco non ha partecipato ai colloqui promossi da Baker, e il Polisario e l'Algeria hanno nuovamente respinto la proposta dell'ONU sull'autonomia del Sahara occidentale.
Ritenendo che la nuova proposta di Baker vada esplorata con più attenzione, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, su sollecitazione dello stesso Baker, ha chiesto al Consiglio di sicurezza una ulteriore proroga del mandato per risolvere la crisi nel Sahara occidentale. Con la Risoluzione 1380 del 27 novembre 2001, il Consiglio di Sicurezza ha esteso il mandato della MINURSO fino al 28 febbraio 2002.
Occorre peraltro segnalare che, proprio nei giorni che hanno preceduto quelli di svolgimento della missione della delegazione, si era diffusa la voce di una possibile soluzione del conflitto mediante una spartizione territoriale tra Marocco e Algeria.
Tale possibilità è stata smentita con decisione dalle autorità marocchine che hanno interloquito con la delegazione (e in particolare dal Sottosegretario agli esteri, che si è dichiarato sorpreso di tali voci; a suo dire, iniziative siffatte si pongono nel quadro del reale obiettivo geo-politico algerino, che è quella di ottenere uno sbocco sulla costa dell'Oceano Atlantico. Il Sottosegretario ha dichiarato che il Marocco è aperto, a tutte le soluzioni politiche nel quadro della sovranità marocchina) delegando ampia autonomia legislativa e amministrativa alla regione.
E proprio negli stessi giorni, alle Nazioni Unite è stato presentato il Rapporto del Segretario generale sulla situazione del Sahara occidentale che, in verità, delinea una prospettiva per più versi sconfortante (come, del resto è apparsa alla delegazione)
e, nel sottoporre varie opzioni alle deliberazioni del Consiglio di sicurezza, esprime la consapevolezza che nessuna delle opzioni prospettate appare ideale alle parti e ai Paesi interessati.
In occasione della presentazione del Rapporto, peraltro, si è registrata una nuova polemica tra i Governi marocchino ed algerino, che, tramite alcuni comunicati, hanno ribadito le rispettive posizioni.
Infine, il 27 febbraio, il Consiglio di sicurezza ha adottato all'unanimità una risoluzione con la quale proroga al 30 aprile il mandato della Minurso. Con lo stesso atto, il Consiglio ha espresso la sua intenzione di «considerare attivamente» le opzioni prospettate dal Segretario Generale.
3.1) Gli incontri con la Minurso.
Come accennato, nella giornata del 18 febbraio la Commissione si è recata a Laayoune - ossia nel territorio del Sahara occidentale - per incontrare i responsabili della missione delle Nazioni Unite sullo svolgimento del referendum (MINURSO), i cui risultati dovrebbero mettere la parola fine ad una drammatica vicenda che si prolunga ormai da oltre un quarto di secolo.
I colloqui svolti dalla delegazione, infatti, sono stati diretti non solo a prendere diretta conoscenza della situazione sul terreno, ma anche a chiarire le ragioni per le quali lo svolgimento del referendum viene sempre rinviato tanto che - anche dalla individuazione di soluzioni alternative recentemente emerse nell'attività diplomatica - la prospettiva di giungere ad una definizione della pendenza mediante lo svolgimento del referendum appare più una petizione di principio che non una concreta possibilità.
Prima di illustrare l'esito degli incontri svolti a Laayoune, è tuttavia opportuno rammentare che l'Italia è concretamente impegnata, con proprio personale, nella Minurso, alla quale fornisce 5 osservatori militari ed un addetto civile. Inoltre, 600 bambini saharawi hanno passato nel nostro Paese l'estate del 2001, 258 comuni italiani sono gemellati con comuni dell'area ed il campo di Tindouf, organizzazioni non governative italiane svolgono la loro attività nei campi di rifugiati. Infine, ma non da ultimo, nell'agosto dello scorso anno è stato formato un gruppo interparlamentare italosaharawi, al quale hanno aderito 42 deputati e 16 senatori.
La delegazione è stata accolta dal Rappresentante speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Sahara occidentale, ambasciatore William Lacy Swing, che ha ringraziato la delegazione per l'interesse mostrato nel voler conoscere l'attività della Minurso e la situazione dell'area. Il Rappresentante speciale ha inoltre sottolineato che la stessa presenza della Minurso evidenzia che lo status del territorio (ossia, in ultima analisi, la questione della sovranità) è ancora da definire.
L'ambasciatore Lacy ha quindi ricostruito la storia del conflitto e i compiti assegnati alla missione Onu. Sottolineando i punti di maggior criticità della situazione, ha evidenziato un fatto che ha molto colpito la delegazione, e che nel corso dei successivi incontri con gli esponenti marocchini è stato più volte evocato.
A tutt'oggi, 1.362 soldati marocchini sono detenuti come prigionieri di guerra, alcuni da oltre venti anni.
Tale fatto, come si diceva, ha molto colpito la delegazione, considerate la situazione militare e quella politica - entrambe consentirebbero senz'altro un atto non solo di umanità, ma anche di lungimiranza politica - e altresì l'abnorme durata della detenzione dei prigionieri di guerra e la considerazione in cui devono essere tenuti i diritti dell'uomo.
Al riguardo, l'ambasciatore Swing ha fatto presente che il rilascio dei prigionieri è condizionato, da parte del Fronte Polisario, al raggiungimento di un accordo, e di aver segnalato ai responsabili del Fronte che il mantenimento in prigionia dei soldati marocchini è un atteggiamento che si risolve contro il Fronte stesso.
La situazione sul campo è stata illustrata dal responsabile militare della Minurso
(la missione Onu ha anche il compito di forza di interposizione), il Brigadiere Generale Claude Buze. La missione militare può contare su 223 unità provenienti da 23 Paesi (5 dall'Italia, come s'è detto), ed i suoi specifici compiti derivano da due accordi militari, raggiunti rispettivamente nel dicembre 1997-gennaio 1998 e nell'aprile-marzo del 1999.
In base al primo accordo, alla forza Onu è affidato il compito di mantenere lo statu quo militare, quello di precisare le attività vietate nonché quelle che per essere svolte richiedono una previa domanda o notificazione, quello di stabilire le procedure per indagare sulle eventuali violazioni e quello di definire i diritti degli osservatori militari. Il secondo accordo pone in capo alla forza Onu il compito di ridurre i rischi derivanti dalle mine, segnalarle e distruggerle (al 5 novembre 2001 erano state individuate 847 mine e di queste 343 erano state distrutte; in media avvengono 6 incidenti all'anno a causa delle mine) e di far da tramite per lo scambio di informazioni.
Il Generale Buze ha fatto presente che la situazione militare è tranquilla, tanto che dal momento di assunzione della sua responsabilità di comando (ossia da due anni e mezzo) si è registrata solo una prova di violazione del cessate il fuoco, quando un mezzo del Fronte Polisario è saltato su una mina nella fascia di sicurezza (per una fascia di 5 chilometri dalla linea del cessato il fuoco non è consentita alcuna attività militare); in quel caso, peraltro, gli occupanti del mezzo si erano recati sul posto per avvertire alcuni nomadi proprio della presenza di mine.
Il Marocco impiega nell'area 120.000 soldati, mentre l'entità delle forze del Fronte Polisario varia a seconda dell'estensione o meno della mobilitazione ai combattenti locali ovvero anche a quelli che si trovano all'estero (in quest'ultimo caso l'entità delle forze è di circa 12.000 unità). Negli ultimi tempi, nessuna delle due parti ha modernizzato gli armamenti schierati.
Il Presidente della Commissione per l'identificazione, Omer El Sheikh, si è poi lungamente soffermato sulle ragioni che hanno determinato l'attuale situazione di stallo e che sono state sopra riferite. Il lavoro di identificazione si è concluso il 31 dicembre 1999, ma è stata presentata una tale quantità di ricorsi (oltre 130.000, l'89 per cento dei quali da parte marocchina: hanno fatto ricorso quasi tutti quelli non ammessi, e sono stati presentati ricorsi anche contro le ammissioni alle liste. Le principali motivazioni a sostegno dei ricorsi sono la mancata convocazione, l'impossibilità dl registrarsi, l'asserita possibilità di dimostrare nuovi fatti), il cui esame potrebbe essere svolto in un tempo variabile da nove mesi a due anni, come affermato dall'ambasciatore Swing.
Quest'ultimo ha proseguito osservando che l'accennata situazione di stallo nasce verosimilmente da una mancanza di volontà politica, determinata anche dall'esito winner takes all del referendum. In ogni caso, il lavoro della Commissione di identificazione ha raggiunto un risultato storico: per la prima volta è stato fatto un elenco degli abitanti dell'area.
Il responsabile dell'Ufficio di collegamento con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Kamal Abdel-Rhaman, dopo aver sottolineato che il lavoro in favore dei rifugiati è iniziato già nel 1975, si è soffermato sulle difficilissime condizioni di vita nei campi per i rifugiati.
In quello di Tindouf vivono circa 165.000 persone e la situazione alimentare è molto precaria; dopo aver evidenziato la necessità di reperire quanto prima 8.100 tonnellate di cibo - il cui costo ammonta a circa 3,5 milioni di dollari - e fatto presente che la Francia e la Spagna contribuiranno all'acquisto, il responsabile dell'Ufficio di collegamento ha auspicato che anche l'Italia voglia unirsi a questo sforzo.
Anche lo status dei rifugiati nel predetto campo è emerso più volte nel corso degli altri colloqui avuti dalla delegazione. È doveroso segnalare che, per i marocchini, i rifugiati sono trattenuti a Tindouf contro la loro volontà.
3.2) Il punto di vista marocchino.
La questione del Sahara occidentale è assolutamente centrale nella politica estera marocchina.
La soluzione di questo problema in termini accettabili e soddisfacenti per il Marocco - dall'intensità con cui è stata posta la questione, dalla sua frequenza negli interventi degli interlocutori della delegazione, dallo stesso modo così partecipe di parlarne - è infatti parsa una priorità per importanza e significato non riconducibile a nessun'altra vicenda della vita pubblica.
E questo accade perché la questione del Sahara occidentale per i marocchini è - come è stato ripetutamente esposto alla delegazione - una questione di riunificazione nazionale (il Primo Ministro ha anche rammentato le difficoltà del processo di unificazione italiana). Per i marocchini, il Sahara occidentale è «le province del Sud».
In estrema sintesi, i marocchini legittimano la sovranità del loro Paese sul territorio del Sahara occidentale sulla base della seguente ricostruzione degli avvenimenti storici.
All'epoca della colonizzazione il Paese (l'unico indipendente dell'intera regione) fu diviso in tre parti. L'attuale territorio del Sahara occidentale, oltre ad altri territori nel nord, alla Spagna, il nord (corrispondente, grosso modo, alla più gran parte del territorio attuale del Regno) alla Francia, altre zone furono poste sotto un'amministrazione internazionale.
La posizione marocchina sulla questione in esame, quindi, trae le mosse da una (più o meno asserita) originaria unità del Paese, frantumata dalla colonizzazione.
Occorre tuttavia ricordare, per doverosa integrazione di tale posizione, che nel già citato responso (Advisory opinion) del 16 ottobre 1975, la Corte Internazionale di giustizia ha notato come il protettorato spagnolo fu instaurato il 26 dicembre 1884 con un Ordine reale che proclamava, appunto, che il Re di Spagna prendeva il Rio de Oro (il nome della colonia) sotto la sua protezione sulla base di accordi raggiunti con i capi delle tribù locali (e che quindi non si trattava di terra nullius). Con la stessa pronuncia, la Corte ha altresì ritenuto che, pur esistendo a quell'epoca tra il Marocco e le tribù sahariane che abitavano l'attuale territorio del Sahara occidentale un legame di allegiance (fedeltà, obbedienza) senza che tuttavia fosse stabilito alcun legame di sovranità tra il Regno del Marocco e il territorio predetto.
In ogni caso, la mancata unione con il territorio del Sahara occidentale è vissuta dai marocchini come una profonda frattura dell'unità nazionale, come la mancata conclusione di un processo di ricostruzione della stessa iniziato dall'indipendenza nel 1956.
In particolare, i marocchini hanno ripetutamente tenuto a far presente che, come già è stato per le vicende della colonizzazione, anche quello che oggi, a loro avviso, è il processo di riunificazione è, in questo caso, ostacolato dalla situazione politica internazionale infatti, se il Paese fu colonizzato per soddisfare le brame e rispettare gli accordi tra le potenze coloniali, oggi non riesce ad essere riunificato completamente a causa della situazione internazionale vissuta fino alla caduta del muro di Berlino; in altri termini, il contrasto nato con l'Algeria al momento della cessazione della colonizzazione spagnola altro non rifletterebbe che la contrapposizione che in quegli anni divideva il mondo in due blocchi. Per effetto della guerra fredda, dunque, si sarebbe determinato un contrasto che non ha altra ragion d'essere oggi se non (come già ricordato) le asserite mire dell'Algeria ad uno sbocco sull'Oceano Atlantico (peraltro, in questo caso, il Marocco non avrebbe altri confini che con l'Algeria stessa).
La posizione attuale del Marocco, come pure già accennato, è quella di apertura a tutte le soluzioni politiche, nel quadro della sovranità del Marocco. Occorre aggiungere che le coordinate di base sopra illustrate del piano Baker (in sostanza la concessione di un grado molto ampio di autonomia al territorio del quale resterebbe
al Marocco la sovranità) si intrecciano assai bene con alcune delle riforme interne cui il Marocco ha posto recentemente mano per la regionalizzazione dell'amministrazione.
4) Altre questioni.
Non sì può concludere la relazione senza dar conto della posizione marocchina su alcune questioni di grande rilievo negli attuali scenari di politica estera. Si tratta, in particolare, della situazione in Medio-oriente e della lotta al terrorismo.
Quanto alla prima questione accennata, occorre nuovamente rammentare il ruolo stabilizzatore svolto dal Marocco nell'area maghrebina, che si raccorda alla tradizionale moderazione con la quale il Regno affronta le problematiche internazionali di maggior interesse. Quest'atteggiamento non viene smentito dall'atteggiamento nei confronti del Processo di pace in Medio Oriente; nel corso dei colloqui, la delegazione ha avuto modo di apprezzare tale atteggiamento, anche rammentando il ruolo svolto dalla diplomazia marocchina per il raggiungimento degli Accordi di Oslo. Peraltro, il Sottosegretario agli esteri ha osservato che per l'assunzione di una nuova ed analoga iniziativa, occorre comunque avere degli interlocutori cui rivolgersi, ed ha ritenuto che l'Unione europea possa ben contribuire alla soluzione della crisi. La posizione marocchina, comunque, è fortemente critica sugli atteggiamenti del governo israeliano.
Ugualmente, gli interlocutori della delegazione hanno ripetutamente ribadito la più ferma condanna del terrorismo.
Come ha affermato il Ministro dell'interno, il Marocco è impegnato e si impegna nella lotta contro il terrorismo: un vero musulmano non può che essere moderato.