Gli incontri cominciano alle 10,05.

Incontro con il viceprefetto vicario e con il sostituto procuratore della Repubblica di Ancona.

PRESIDENTE. Ringrazio innanzitutto il viceprefetto per l’ospitalità e per l’assistenza che è stata fornita alla Commissione in questi giorni.

Come sapete, questa Commissione si interessa del ciclo dei rifiuti. Vorremmo quindi avere uno sguardo di assieme su questo settore non soltanto sulla provincia di Ancona, ma sulla regione Marche, con riguardo alla regolarità della gestione del ciclo. Abbiamo riscontrato – e ne parleremo nel documento che predisporremo – che le Marche si presentano come una regione di transito per una delle nuove rotte, che definiamo rotta adriatica, per il traffico illegale di rifiuti. Poiché non ci risulta direttamente, vorremmo avere da voi conferma se sia o meno la sede di traffici in cui abbia una presenza significativa la criminalità organizzata.

Nelle Marche sono presenti diverse aree industriali e vi è stata una gestione dei rifiuti in alcuni casi poco convincente. Alcuni mesi fa, dopo un sopralluogo che effettuammo in provincia di Macerata presso un impianto di trattamento di rifiuti pericolosi, convocammo il magistrato competente per farne disporre il sequestro. Ieri, sempre a proposito della provincia di Macerata, abbiamo avuto notizia, riguardo ad aziende che operano nel settore del pellame e della produzione di scarpe, di una gestione di tali rifiuti che ha indotto la magistratura ad intervenire su gravi sversamenti di prodotti molto nocivi come il tricloretano.

Esiste pertanto una problematica di gestione corretta dei rifiuti, in particolare di quelli industriali e, nell’ambito di questi, di quelli pericolosi: se tale gestione non avviene correttamente, può provocare gravi danni all’ambiente e alla salute.

Vorremmo pertanto da voi un quadro informativo a livello regionale, rimandando ovviamente a eventuali supplementi scritti che potrete inviare alla Commissione qualora lo riteniate necessario.

CARMINE ROTONDI, Viceprefetto vicario di Ancona. Parlerò della situazione della provincia di Ancona, non disponendo di elementi diversi e non volendo generalizzare apprezzamenti che si riferiscono esclusivamente a questa provincia. D’altra parte, mi sembra di aver capito che la Commissione ha in programma di effettuare o ha già effettuato sopralluoghi anche nelle altre province, quindi ciascuna prefettura potrà riferire per la sua parte.

Per quanto riguarda la provincia di Ancona, la situazione ci risulta abbastanza tranquillizzante. Non sono emersi episodi come quelli cui faceva riferimento il presidente Scalia. Sull’argomento sono intervenute due direttive del Ministero dell’interno, una prima nel 1997, indirizzata agli organi di polizia e, per conoscenza, alle prefetture; una seconda nel 1999. Questo ha indotto ad una sensibilizzazione particolare degli organi di polizia.

Nel 1999, l’argomento è stato sottoposto anche all’esame del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica che, leggo testualmente dal verbale, concluse quanto segue: "Non ci sono indizi di implicazione della criminalità organizzata al riguardo. Ad ogni modo, sarà svolta un’attenta opera di investigazione per individuare eventuali misure di contrasto". Queste misure di contrasto sono state poi poste in opera, ma la conclusione è che dal 1997 in poi, ed anche prima, di episodi che colleghino la criminalità ai rifiuti non ne sono emersi.

Pertanto, riferendomi esclusivamente alla provincia di Ancona, posso dare risposte assolutamente tranquillizzanti.

PRESIDENTE. Ho parlato poc’anzi della rotta adriatica, dicendo che anche a noi non risulta una presenza della criminalità organizzata nei traffici illeciti dei rifiuti. Però la Commissione ha avuto una visione diretta di smaltimenti illegali in Abruzzo o in Puglia di rifiuti che passano per le Marche. Allora, mi rendo conto che è difficile riuscire ad intensificare i controlli sui trasporti, ma non citiamo la rotta adriatica casualmente: abbiamo avuto risultanze di traffici illeciti in Emilia e, tramite visioni dirette e documentazione in nostro possesso - come atti giudiziari che abbiamo seguito - abbiamo un’idea abbastanza chiara sull’argomento. Poiché difficilmente questi traffici avvengono per aereo, devono per forza passare sulla strada. Possiamo segnalare questo aspetto.

CARMINE ROTONDI, Viceprefetto vicario di Ancona. Non ho elementi per confermare questo timore: sicuramente la vostra sollecitazione ci indurrà ad adottare misure più mirate sulla situazione del porto, che è sempre oggetto di uno sguardo particolare, che per questo aspetto verrà approfondito.

PRESIDENTE. E poi c’è la A14, che è un grande canale di scorrimento di ogni tipo di merce e, probabilmente, anche di questo tipo di trasporti.

CARMINE ROTONDI, Viceprefetto vicario di Ancona. Diciamo che una situazione di pericolo potenziale potrebbe esserci, però al momento non sono in grado di dare riscontri; anzi, penso di poterlo escludere, per quanto mi risulta.

PRESIDENTE. Do la parola al sostituto procuratore della Repubblica.

IRENE BILOTTA, Sostituto procuratore della Repubblica di Ancona. La criminalità organizzata è presente nelle Marche con influenze da parte di altre regioni. Vi è la presenza di singoli basisti, di singoli personaggi che si insediano e organizzano in sede delle ramificazioni di queste organizzazioni, però a livello molto minore: non c’è un controllo diretto di queste organizzazioni, ma un controllo indiretto attraverso i loro rappresentanti in zona. Questo comporta che non hanno una forza tale da gestire discariche: per quanto mi risulta, non se ne è mai riscontrata nessuna, anche se il territorio si presta, perché all’interno delle Marche ci sono zone prive di controllo, e quindi in futuro è possibile che si realizzi questa gestione di discariche di rifiuti particolari.

Abbiamo assistito ad investimenti in strutture alberghiere e ricettizie e in terreni da parte di personaggi che sembrano prestanome di organizzazioni, ma siamo ancora alle avvisaglie, per cui al momento non si può dire che vi sia un’attività diretta a realizzare discariche di rifiuti da parte della criminalità organizzata: è possibile, ma al momento non è presente sul territorio al punto da realizzare disegni di questo tipo. I fenomeni gestiti sono quelli delle macchinette per il gioco d’azzardo, delle bische clandestine, del traffico di stupefacenti e di armi, oltre alla realizzazione di rapine su commissione delle grosse organizzazioni. Ma per il momento non si può parlare della gestione di discariche.

Circa la funzione di transito della regione Marche, abbiamo sempre constatato che è zona di transito per le sigarette di contrabbando, per le armi e per le sostanze stupefacenti: non mi risulta che sia mai stato constatato l’ingresso, sia attraverso il porto sia via terra, di rifiuti particolari, e soprattutto tossici e nocivi. Ritengo, infatti, che l’avrei saputo, anche se non sono addetta alla sezione inquinamento: prima di recarmi qui ho chiesto notizie ai colleghi che se ne occupano, ma non mi hanno fornito dati che consentano di affermare che sia stato accertato un transito di questi rifiuti.

Per quanto riguarda le imprese, il fenomeno è invece di vecchia data, perché imprese pure abbastanza importanti hanno realizzato discariche e all’epoca ne abbiamo anche sequestrate diverse, anche come stoccaggi provvisori di rifiuti tossici e nocivi. A parte il fenomeno API, che io non ho mai seguito personalmente, abbiamo avuto, per esempio, il caso della ex Montedison, di cui recentemente si è parlato. Questo fenomeno è stato da tempo seguito dai nostri uffici ma non è stato mai risolto, perché con gli strumenti legali che avevamo a disposizione si è arrivati a chiudere la vertenza giudiziaria iniziata circa dieci anni fa con sentenze di prescrizione e i rifiuti tossici e nocivi sono ancora lì e nessuno li porta via. Mi riferisco allo stabilimento ex Fertilgest di Monte Marciano: ve ne parlo perché si tratta di una questione che ho seguito io direttamente. All’epoca disposi il sequestro, ma i rifiuti tossici e nocivi sono ancora lì. Se non sbaglio, è presente anche arsenico.

Effettivamente, diverse imprese – ma per il momento è forse meglio una relazione scritta – realizzano questo tipo di discariche, ovviamente non ricollegabili a fenomeni di criminalità organizzata, come ho già precisato.

PRESIDENTE. Dottoressa, lei opera presso la procura distrettuale antimafia?

IRENE BILOTTA, Sostituto procuratore della Repubblica di Ancona. Anche: presso la procura ordinaria e presso quella distrettuale.

PRESIDENTE. Allora le dico, nella sua veste che riguarda la procura ordinaria, che abbiamo ascoltato il dottor Gubinelli, che ci ha riferito di indagini che stava seguendo non dico con un coordinamento ma con una consapevolezza comune: altre procure della Repubblica stanno seguendo la vicenda della riclassificazione del tar. Nei pressi di Ancona vi è una grande raffineria e un sottoprodotto della distillazione del greggio dai fondami della lavorazione è una sorta di morchia che contiene catrami acidi, appunto il tar, che noi riteniamo un rifiuto pericoloso, ancorché penda un quesito ad hoc avanzato dai magistrati sia presso la Corte di cassazione sia presso il Ministero dell’ambiente. Pertanto si pone l’esigenza di prestare attenzione sul tar. Inoltre, nel processo di gassificazione, alcuni elementi, i cosiddetti filter cake, residuano dei metalli pericolosi come il nichel e il vanadio. La procura di Ancona, nella persona del dottor Gubinelli, ha un’indagine aperta su questa vicenda. Ha qualche forma di contatto o di coordinamento su tale vicenda?

IRENE BILOTTA, Sostituto procuratore della Repubblica di Ancona. No, non sono al corrente dei termini dell’indagine.

PRESIDENTE. Sarà allora il procuratore ad avere una visione generale, speriamo.

Vi ringraziamo.

Incontro con l’assessore regionale al territorio e con il direttore generale dell’ARPAM.

 

PRESIDENTE. All’assessore Ottaviani chiedo di farci avere una documentazione contenente anche il piano regionale che potrà inviare alla Commissione. Adesso, invece, vorremmo rivolgervi alcune domande derivanti dai sopralluoghi che abbiamo effettuato in questi giorni e anche da una situazione precedente.

Per quanto riguarda l’impianto API di Falconara, abbiamo notato una sorta di contraddizione: il responsabile dell’impianto dice che smaltisce amianto presso la discarica Sogenus, che peraltro non sarebbe abilitata a smaltire amianto; i responsabili di q uest’ultima dicono invece di prendere solo Eternit. Vorremmo dunque capire quali controlli sono stati disposti e perché vi è questa contraddizione.

Un secondo aspetto riguarda il procedimento giudiziario aperto dalla procura di Ancona, nella persona del sostituto Gubinelli – ricordo che anche altre procure d’Italia si stanno occupando dello stesso tipo di problema -, sulla gassificazione del tar. Taluni magistrati hanno posto sia alla Corte di cassazione sia al Ministero dell’ambiente un quesito su come il tar debba essere considerato; ragionando sulla base delle classificazioni europee e sui contenuti del tar stesso, noi non abbiamo molti dubbi a ritenere che sia un rifiuto pericoloso. E’ anche vero che un impianto dedicato in cui non si deve spostare il tar - dato che dopo i liberali provvedimenti del CIP6 la produzione di chilowattora attraverso il gas così ottenuto è consentita - ma lo si gassifica direttamente è ampiamente remunerativo, al punto che le banche danno soldi a questo scopo, ma se si dovesse spostare il tar da una parte all’altra, si tratterebbe di un trasporto di un rifiuto pericoloso. Vorremmo quindi capire come avviene la gestione del tar.

Sempre nel procedimento di gassificazione compare il residuo costituito dai filter cake, che contengono metalli come il vanadio e il nichel (e forse anche il cromo, ma potrei sbagliare), sicuramente tossici. Come avviene la gestione dei filter cake, che tipo di controlli sono previsti?

Alcuni mesi fa, nel corso di un sopralluogo, convocammo il sostituto procuratore affinché disponesse il sequestro dell’Orim, in quanto vi era una gestione di rifiuti anche pericolosi. Al di là dei problemi dovuti ad un incendio, e separando questo aspetto dall’accumulo di bidoni di rifiuti pericolosi, ci sembrava si trattasse di una gestione molto discutibile. Ieri siamo tornati sul luogo e abbiamo notato con piacere che la situazione è decisamente più decente. Dopo i nostri sopralluoghi in Puglia è emerso che la Orim sarebbe il terminale di molti tipi di rifiuti pericolosi, che a questo punto riteniamo siano smaltiti correttamente: ma i controlli servono proprio a questo. In particolare, vorremmo capire se il famoso caprolattame di Manfredonia che via Orim dovrebbe arrivare alla Sogenus sia trattato con solfato di calcio o in altro modo.

La Sogenus smaltisce percolato di varie discariche usando almeno quattro impianti di depurazione diversi. Perché cambiano spesso il luogo di depurazione? Di che depuratori si tratta? Dai controlli cosa risulta su questo ciclo?

Sempre dalla Sogenus abbiamo saputo che la società Riccoboni ha presentato alla regione un progetto per un impianto di inertizzazione di rifiuti speciali da installare presso la discarica della Sogenus. Vorremmo sapere se vi è arrivata questa richiesta da parte di questa società e che valutazione date su tale autorizzazione.

Un altro paio di questioni è emerso dopo il sopralluogo alla Consmari di Tolentino. La situazione è un po’ strana: l’impianto, a confronto con altri analoghi che abbiamo visto in altre zone d’Italia, è messo abbastanza bene, anzi, rispetto alla capacità di carico di 200 tonnellate al giorno, ha un layout e una disposizione di spazi molto ampia (e quindi si può pensare di lavorarci molto sopra). Ci hanno detto che bruciano ogni giorno 60 tonnellate in un inceneritore; hanno un impianto di produzione di CDR ed uno di produzione di compost di qualità. Ciò che ci risulta oscuro è perché, dal momento che producono 12 tonnellate al giorno di CDR (almeno così dicono), potendo produrre molto più CDR, visto che la frazione secca che va in inceneritore ammonta a 60 tonnellate, non si potenzi la linea di produzione di CDR. Sappiamo della moratoria in cui è impegnata la regione, ma la nostra domanda è quasi banale: perché, invece di bruciare 60 tonnellate al giorno di RDF, di una parte secca dei rifiuti che ha un carico inquinante di gran lunga superiore a quello del CDR, non si potenzia la linea di produzione del CDR, sostituendo ad una alimentazione non ottimale una alimentazione migliore? Stando a quanto ci hanno detto, infatti, questo CDR, sebbene contenga ancora abbastanza umidità (circa il 30 per cento), è da oltre 5.000 calorie al chilo, e quindi sembrerebbe un buon combustibile. Tra l’altro, ci hanno raccontato che si stanno attrezzando per ulteriori dispositivi di abbattimento inquinanti, come, ad esempio, i filtri a manica. Perché bruciare 60 tonnellate al giorno di robaccia quando, all’interno dei vincoli posti dalla regione, si potrebbero mandare in alimentazione 30 o 40 tonnellate di CDR ben preparato, per di più con l’abbattimento ulteriore previsto grazie ai filtri a manica?

Cito poi un caso che si è verificato in provincia di Macerata e che riguarda, oltre alla magistratura, l’ARPAM. Mi riferisco ai calzaturifici, che hanno avuto sversamenti per molti anni, probabilmente anche illegali e clandestini, visto che sta agendo la magistratura, di inquinanti pericolosi nel sottosuolo, e forse nella falda: uno dei prodotti segnalatici è il tricloretano. Pertanto, vorremmo sapere quali controlli, indipendentemente dall’azione della magistratura, o magari su richiesta della stessa, sono stati eseguiti. Colgo l’occasione per chiedere all’assessore a che punto si trova con le bonifiche. Nel caso particolare, ci pare che in provincia di Macerata l’azione della magistratura, in un territorio dove vi è la presenza continua di moltissime aziende, consenta di rintracciare le responsabilità e di far valere una volta tanto il principio del "chi ha inquinato paghi", sempre molto difficile da far attuare. Vorremmo una visione più generale del piano bonifiche sapendo che i riflettori non sono stati accesi soltanto su questa area, ma anche su altre che devono essere risanate o addirittura portate a ripristino. Qual è lo stato dell’arte per quanto riguarda la programmazione regionale in materia?

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sono assessore regionale al territorio, perché di recente sono state unificate le competenze sull’ambiente e sui lavori pubblici. Sono di recente nomina, cioè da maggio dello scorso anno, e quindi forse non ho una visione completa della situazione regionale, che però credo possa essere in gran parte integrata dall’ARPAM, che soprattutto alle domande tecniche potrà rispondere in maniera molto precisa.

La regione ha deliberato il piano regionale che delega alle province molte funzioni di controllo e di programmazione sul territorio. Ma su questo punto siamo in ritardo, nel senso che le province, ad eccezione di quella di Macerata, che ha presentato il piano alla regione meno di un mese fa, sono ancora nella fase di predisposizione del piano.

Per quanto riguarda i rifiuti urbani, la situazione è abbastanza organizzata. Cominciando dalla provincia di Ascoli, vi sono due grossi centri di pretrattamento del rifiuto, uno a Fermo e l’altro ad Ascoli. Si tratta di impianti realizzati negli anni ottanta con fondi FIO portati a collaudo, finalmente, dopo un anno e mezzo. Sono soltanto in parte simili al Consmari, nel senso che non hanno la parte di combustione, ma soltanto il pretrattamento e la linea di compost. Questi due centri fanno capo, per ora, rispettivamente alle amministrazioni di Ascoli Piceno e Fermo. La proprietà è ancora regionale e dovranno costituirsi i consorzi di gestione degli impianti e delle relative discariche.

Sempre in provincia di Ascoli vi sono una discarica privata per rifiuti speciali, su cui ho poche informazioni, e altre discariche di cui alcune sono state chiuse, sia pubbliche sia private. Credo che l’attenzione sulle bonifiche sia alquanto scarsa, soprattutto per mancanza di risorse. Pertanto vi è un sistema di discariche, e non solo nella provincia di Ascoli ma in tutta la regione, con un piano di indagine fatto alcuni anni fa – credo dall’Aquater – che individuava circa 40 siti di discariche a suo tempo realizzate anche dalle amministrazioni che avrebbero bisogno di interventi. Purtroppo le risorse finanziarie dietro alle discariche sono di fatto inesistenti.

PRESIDENTE. Dietro al problema del risanamento e della bonifica. Mi permetto di segnalare immediatamente che, poiché ci troviamo nella fase cosiddetta discendente dei programmi di cofinanziamento a livello europeo, molte regioni che hanno questi problemi stanno agendo o hanno già agito perché una parte di questi fondi vada a coprire le spese per le bonifiche. Molte di queste discariche, infatti, sono di mano pubblica e comunque vi è un interesse pubblico. Tra l’altro, questi finanziamenti sono cospicui per l’Italia e il riparto dipende anche dai progetti che le regioni presentano.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Staremo molto attenti ai bandi che verranno fatti.

PRESIDENTE. E’ la regione che li promuove. Poiché la regione ha esigenza di risanare, e dato che penso che abbia partecipato al percorso dei cofinanziamenti in sede europea, è bene ricordare che questi fondi riguardano il settennio 2000-2006 e che forse c’è ancora tempo per far sì che una parte di questi finanziamenti possa essere rivolta alla soluzione di questi problemi.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Porremo certamente attenzione: verificherò questo aspetto che al momento… solo all’interno dell’obiettivo 2 mi risulta ci siano finanziamenti finalizzati alle bonifiche nell’asse 1, credo, e non sono sinceramente molti, anzi sono molto pochi, quantificando rispetto al bisogno. Però, se ci sono altre risorse, ben vengano.

PRESIDENTE. Diciamo che le vie del Signore sono infinite, perché poi c’è anche la possibilità di definire aree industriali che abbiano servizi-energia, servizi-rifiuti, all’interno di un progetto di quel genere – questo dipende dalla programmazione territoriale della regione, quindi proprio dal suo assessorato e da quello dell’industria –, come di interesse…

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Non solo, le preciso che chi mi ha preceduto ha identificato un’area, in particolare quella che va dal porto di Ancona fino alla bassa Valle dell’Esino, come ad alto rischio ambientale e quindi c’è un pronunciamento della regione in questo senso.

In provincia di Macerata, invece, abbiamo una grossa criticità del sistema, perché vi è il grande consorzio del Consmari che si sta in parte trasformando in pubblico-privato. La parte centrale è costituita dall’impianto che avete visitato. Vi è una lunga coda di contestazioni sui fondi FIO per quanto riguarda l’efficacia della spesa - il contenzioso non è ancora definitivamente chiuso – sul collaudo dell’opera, che doveva servire a tutto il bacino del maceratese, ma in realtà le capacità progettuali presentate all’inizio non corrispondono alle capacità attuali.

PRESIDENTE. Ci hanno detto che servono 51 comuni.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sì, 51 su 57.

PRESIDENTE. Quindi la quasi totalità dei comuni della provincia.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sì, questo è vero, anche se il sistema di produzione del compost, in base a com’era strutturato nella vecchia sistemazione, ottiene soltanto FOS, un prodotto non utilizzabile per altri scopi: non è un caso che hanno dovuto ricostruire la linea del compost, che adesso procede da sola grazie alla raccolta differenziata addirittura porta a porta, e l’esperienza è molto positiva, sempre con finanziamenti regionali.

PRESIDENTE. Ci era sembrato che si trattasse della provincia più vicina a realizzare un sistema integrato dei rifiuti solidi urbani.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sì, è vicina, ma ha delle criticità. La prima risiede nel processo di combustione, che è insufficiente. Però ripeto che c’è stata una scelta politica su cui sto lavorando insieme con il Consmari. Tra l’altro recentemente siamo andati a vedere altre esperienze europee in questo senso: a Vienna questi impianti sono al centro delle abitazioni e i dati di emissione dei fumi sono ottimi, direi eccezionali. Non si capisce allora perché il Consmari, che è a sufficiente distanza dalle abitazioni, trovandosi in campagna, incontri tante difficoltà da parte della popolazione. Su questo forte contrasto da parte della popolazione stiamo lavorando, innanzitutto mettendo a norma il più possibile questo impianto. Ecco perché bisogna spendere un miliardo e 300 milioni per i filtri a manica di cui ha parlato prima: anche se non è il miglior sistema di filtraggio in assoluto…

PRESIDENTE. Però si aggiunge…

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. …si aggiunge al sistema già presente, per cui dovremmo raggiungere obiettivi di qualità maggiori.

PRESIDENTE. Le popolazioni interessate oggi sono soggette, secondo i modelli di dispersione in atmosfera degli inquinanti, a ricadute che derivano dalla combustione di – insisto – 60 tonnellate al giorno di una parte secca non meglio qualificata.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Questa è una domanda a cui non saprei rispondere nel dettaglio, se non in una scelta della presidenza o della giunta, oppure del Consorzio: non so perché bruciano l’RDF e non il CDR.

PRESIDENTE. Questo perché gli impianti di produzione di CDR riescono a produrre…

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Probabilmente perché il CDR riescono a venderlo o a darlo via.

PRESIDENTE. Loro ci hanno detto di produrre queste 12 tonnellate al giorno di CDR che hanno problemi a conferire per il banale motivo che l’impianto a cui si erano rivolti, quello della società Ambiente (ex ENI) di Scarino è sotto sequestro. Ci risulta che questo impianto chiederebbe qualunque cosa da bruciare, se non altro per giustificare la sua esistenza, ma è sotto sequestro. Pertanto vi è questa situazione paradossale: un inceneritore che brucia quella che prima ho definito robaccia, una linea di produzione da 12 tonnellate al giorno che comporta uno stoccaggio per le prossime settimane di questo CDR… E’ un’osservazione banale ma, visto che ci sono dei soldi da spendere, si potrebbe potenziare l’impianto di produzione di CDR, triplicando l’attuale produzione con un investimento corrispondente, non mandando più a bruciare 60 tonnellate di robaccia. Dopo, forse, con l’aggiunta di ulteriori dispositivi di abbattimento, le popolazioni potranno essere più tranquille perché, con una necessaria opera di informazione, si dirà che invece di bruciare roba con pessime caratteristiche se ne brucia un’altra che ha delle caratteristiche migliori.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Non so risponderle sul perché di questa scelta, comunque lo verificheremo presto.

PRESIDENTE. Se non ho capito male, il Consmari è pubblico.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sì, è pubblico.

PRESIDENTE. Quindi il suo assessorato ha voce in capitolo.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Certamente. So che riuscivano a smaltire il CDR in maniera sufficiente… Il problema più grosso in quella provincia è costituito dalla sede di una discarica che in questo momento di fatto non hanno e questo determina una situazione di emergenza. Stanno conferendo in discarica nella provincia di Ascoli Piceno e in altre due discariche, una a Sant’Elpidio e l’altra a Fermo, ma sono in emergenza. Esiste un accordo di programma in provincia che dovrebbe portare alla realizzazione di due discariche temporanee, cioè ex discariche comunali che dovrebbero essere risanate - il progetto è in corso di approvazione presso il nostro servizio – abbancando ulteriori quantità, 95 mila metri cubi di materiale. Questa diventerebbe una risorsa di appoggio per il Consmari.

PRESIDENTE. L’osservazione banale è che le discariche sono previste come elemento residuale nelle direttive europee. Che nel 2001 si debba andare ad investire per fare altre discariche, quando sono pensate non tanto in un’ottica emergenziale, bensì in un’ottica residuale, risulta abbastanza contraddittorio, perché questi poi sono risorse che vengono sottratte al potenziamento della raccolta differenziata, al recupero e al riciclaggio. Oggi, con gli accordi che il CONAI ha fatto attraverso l’ANCI per 6 filiere, si configura la possibilità che davvero il rifiuto diventi un materiale riciclabile e non vada buttato in discarica.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Questo è il principio, ma la realtà dei fatti è che fino ad ora abbiamo delle province come quella di Pesaro che abbancano in discarica: fa una grossa raccolta differenziata, ma di fatto il resto viene abbancato tutto in discarica senza pretrattamento. Questo è il punto di criticità del sistema. Non stiamo investendo risorse regionali su questo aspetto, per carità, però molte discariche erano, e sono ancora, addirittura private, o società miste. Questo potrebbe essere il motivo per cui la realtà delle discariche è ancora appetibile e per cui ancora in qualche modo si preme su questo settore. Ripeto che questa è la provincia che in teoria avrebbe gli strumenti: innanzitutto bisogna mettere a norma questi impianti e poi avere almeno una discarica di appoggio, perché è fondamentale. La provincia ha fatto il piano, che sta per essere approvato dalla regione, ma la popolazione non vuole sentire parlare di discarica e quindi c’è una conflittualità difficilissima. Tanto per fare un esempio, cito la discarica di Potenza Picena…

PRESIDENTE. E’ in provincia di Macerata?

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sì, sto parlando della provincia di Macerata, che conosco bene perché sono di Recanati. Il sindaco di Potenza Picena si è trovata questa discarica da risanare da 20 o 30 anni con la possibilità di abbancare altri 90 mila metri cubi…

PRESIDENTE. Nella contrada Castelletta.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sì. Il problema è quello dei comitati, dei ricorsi, delle querelle. Non so cosa accadrà, perché immagino che, anche se riuscissimo ad arrivare ad un progetto di bonifica e abbancamento, probabilmente sarà impugnato. Ci sono difficoltà a trovare un punto d’appoggio e questo è il nodo fondamentale della provincia di Macerata, che si trova in una situazione di emergenza e difficilmente riuscirà ad individuare un percorso semplice per uscire da questa fase.

Nella provincia di Ancona la situazione sarà presto di crisi, perché la città non riesce a trovare un sito di appoggio. Avevo individuato un’area che però è stata rimessa in discussione per un vincolo paesaggistico. Presto, quindi, sorgeranno problemi. Il piano provinciale, che dev’essere ancora approvato dal consiglio, vede due ambiti ottimali, due discariche di appoggio: una è certamente la Sogenus, che è una delle poche o forse l’unica società mista pubblico-privata (che tra l’altro è anche 2B per quanto riguarda l’abbancamento), poi vi sono altre piccole discariche che però potrebbero esaurirsi nel giro di pochi anni se non si riesce a trovare un’altra localizzazione.

Anche la provincia di Ancona non ha un impianto di pretrattamento dei rifiuti.

PRESIDENTE. La provincia di Ancona ha sicuramente delle aree industriali.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Questo è forse il punto più delicato. Anche in seguito all’incidente del 25 agosto 1999 all’API, si è definita l’area che va dalla bassa Valle dell’Esino fino alla foce e al porto di Ancona come ad alto rischio. Ci sono infatti il porto, l’aeroporto, l’interporto, due stazioni ferroviarie sia merci sia passeggeri, una linea ferroviaria che passa all’interno della raffineria, delle discariche, una fortissima concentrazione industriale e infine il vecchio impianto della Montedison (a poca distanza dall’API, ma sempre lungo la costa), in cui, in seguito ad indagini compiute dall’ARPAM, è stato trovato di tutto. Si tratta pertanto di un’area a rischio notevolissimo. Vi è stato anche un grosso danno della falda acquifera dovuto a cromo: ancora oggi abbiamo dato contributi ulteriori per cercare di lavare…

PRESIDENTE. Sono previste delle dismissioni di impianti industriali in quest’area critica?

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Veramente c’è una richiesta di ulteriori 40 ettari di aree industriali. Dati i collegamenti con le infrastrutture, vi sono ancora appetiti del mondo economico-industriale per ulteriori insediamenti.

PRESIDENTE. Posso segnalare che è complicato pensare che impianti di pretrattamento dei rifiuti non possano essere collocati in un’ampia area industriale, a proposito degli elementi che poi configurano la soluzione del problema rifiuti. Gli impianti di pretrattamento di cui parlavamo prima sostanzialmente sono dei nastri trasportatori e non sono certo bombe atomiche.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Io e lei lo sappiamo.

PRESIDENTE. Lei mi sta dicendo che in aree industriali consolidate invece di dismettere vogliono farci altro e mi pare di capire che le popolazioni siano abituate a vivere situazioni molto più rischiose rispetto alla presenza di impianti a basso impatto ambientale che peraltro sono necessari perché i rifiuti da qualche parte vanno collocati, possibilmente non in discarica.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Condivido quello che lei dice, ma è un po’ difficile far condividere questa opinione dalla cittadinanza.

PRESIDENTE. Questo è un interrogativo cardine, perché se la cittadinanza – mi lascio andare ad un neologismo – accetta la centrale, raffineria ed altro, mi pare improbabile che si opponga ad impianti di pretrattamento, che, se presentati bene, non credo possano essere configurati come a maggiore impatto ambientale e sanitario rispetto alle domande che stanno arrivando alla regione per l’autorizzazione di altri tipi di impianto.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Condivido pienamente, anche se – ripeto – la conflittualità c’è e sicuramente vi è un problema di comunicazione.

PRESIDENTE. Non ci può essere solo sugli impianti di rifiuti!

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. No, però alcune cose sono consolidate. La raffineria nel pensiero comune è una realtà che nasce negli anni del dopoguerra ed è stata la città che poi – ahimè – si è allargata e avvicinata molto, come spesso succede.

PRESIDENTE. Non discuto, però chiunque può ragionare sull’impatto che ha una raffineria con la produzione di energia elettrica, col tar e tutti i residui di questo tipo di processo e altre cose necessarie alla vita civile della popolazione.

PIERLUIGI COPERCINI. Per le quali comunque vi è anche un indirizzo di legge…

PRESIDENTE. Che non è la discarica.

Gli sforzi che la regione fa per collocare in varie province delle discariche andrebbero integrati con sforzi analoghi per utilizzare le aree industriali nelle quali è più difficile incontrare opposizione da parte della popolazione, o sono tali per cui le opposizioni possono essere fronteggiate con argomenti molto convincenti, creando quindi del consenso per andare ad una raccolta differenziata che stenta a decollare dappertutto, un recupero e un riciclaggio di materiali a cui la raccolta differenziata è strumentale e così via.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Condivido con lei questa logica. Dicevo prima che alcune città europee hanno dentro la cinta cittadina anche lo stesso impianto di combustione. Non è possibile che qui da noi tutto sia bloccato da questo punto di vista!

PRESIDENTE. Non parta dalla cosa più difficile!

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Cito la più difficile per dire quanto l’argomento sia conflittuale.

Non è un caso che a Tavullia, dove si trova la discarica di Pesaro, il sindaco sta facendo tutte le opposizioni possibili ed immaginabili per un impianto di pretrattamento; non è un caso che anche questa mattina l’ennesimo sindaco è venuto da me per chiedere la revoca motivata di un’autorizzazione (ho dimenticato un passaggio non da poco).

Nella provincia di Macerata ci sono diversi insediamenti produttivi che si occupano di trattamenti di rifiuti speciali spesso provenienti da altre regioni, come la Orim o la Bonfranceschi di Loro Piceno nella quale, a quanto mi dicono, emergono due aspetti, quello autorizzatorio, nel senso che non stanno rispettando alcune autorizzazioni: su questo dobbiamo intervenire…

PRESIDENTE. Questo è l’elemento fondamentale, perché la fiducia delle popolazioni è basata su di esso. Il processo autorizzativo deve essere trasparente e i controlli devono essere rigorosi.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. L’altro aspetto è che trattano rifiuti non regionali ma extraregionali (che poi sono abbancati non so bene in quali discariche, ma certo non in quelle regionali). Ciò che lascia qualche dubbio è l’assetto societario, però su questo non indago io direttamente e sarebbe opportuno che venissero svolti alcuni accertamenti. Mi riferisco in particolare alle proprietà di alcune discariche o degli impianti che sono come scatole cinesi.

PRESIDENTE. Poiché questa è una Commissione d’inchiesta, può indicarci nomi e cognomi.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Una è la ditta Bonfranceschi di Loro Piceno, sulla quale so che la procura sta indagando. L’assessorato regionale non si muove perché la magistratura sta facendo i debiti accertamenti con la Guardia di finanza, poiché sembra, a detta anche del sindaco, che la proprietà di questa aziendina locale non sia più del signor Bonfranceschi ma di altri. Su questo stiamo aspettando l’esito di alcune verifiche.

PIERLUIGI COPERCINI. Ve ne sono alcune pugliesi?

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Non ne conosco la provenienza. Mi riferisco – la cito perché ne sono venuto a conoscenza: questa mattina avrei dovuto essere in giunta a deliberare l’autorizzazione che ho ritirato perché voglio maggiori informazioni – a società come la Senesi Srl che gestisce una discarica in località Morro Valle, i cui assetti societari sono per il 99 per cento di altra società. Si tratta di accertamenti che ho fatto tramite la camera di commercio.

Da questo punto di vista vi è una fobia da parte della cittadinanza e degli amministratori locali che suscita qualche allarme.

Nell’area di Falconara, vi è una situazione molto complessa, mentre nel pesarese vi sono minori problemi.

PRESIDENTE. Tranne quello del sindaco che non vuole un impianto di pretrattamento!

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Però ci sono società prevalentemente pubbliche, anche per quanto riguarda la gestione delle discariche; vi sono capacità di abbancamento in discarica; non vi sono impianti di pretrattamento e su questo le aziende si stanno organizzando presentando progetti alla regione; sono comunque indietro nell’attuazione del piano rifiuti. A quanto mi risulta, la situazione è abbastanza tranquilla.

PRESIDENTE. Nel quadro che lei ha tracciato, riscontriamo una delle preoccupazioni costanti della Commissione che riguarda il decollo di un sistema industriale per la gestione dei rifiuti. Se gli amministratori avessero da parte delle imprese pressioni analoghe a quelle che hanno per l’autorizzazione ai vari tipi di impianto per impianti volti a trattare e riciclare i rifiuti è probabile che le regioni sarebbero aiutate a gestire meglio questa partita. Abbiamo sempre notato un ritardo forte da parte delle imprese che ancora non hanno capito che i rifiuti si producono e si produrranno, in particolare se pensiamo agli speciali e agli industriali, non solo agli inerti da costruzione…

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sugli inerti abbiamo un accordo di programma.

PRESIDENTE. Sono più facili da gestire. Abbiamo visto nel maceratese una piccola società che ha un impianto buono e una gestione corretta, però tratta piccoli quantitativi. Sarebbe bello diffondere tecnologie di quel tipo che servono sicuramente a trattare rifiuti industriali, anche pericolosi. Però si tratta di una rara avis nel senso che poi che fine fanno i rifiuti solidi urbani rimane un interrogativo che ora poniamo, insieme agli altri, al direttore dell’ARPAM.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Sono direttore generale dell’ARPA Marche dal 18 ottobre 1999: si tratta di un organismo giovane (ha solo un anno e pochi mesi) ma è completamente operante sul territorio.

Si è parlato di controllo integrato: per me significa che ci dobbiamo mettere in contatto (contatti che già abbiamo molto stretti) con il NOE, ad esempio, e con tutte le forze di polizia che si occupano di controllo ambientale, in modo da integrarci.

PRESIDENTE. Ricordando che Ancona è un porto, penso che ciò valga anche per le varie autorità marittime, considerato che nei porti non vi è una particolare attenzione per la questione dei rifiuti, in particolare quelli speciali, aspetto che la Commissione ha ampiamente affrontato coinvolgendo anche in un gruppo di lavoro ad hoc i massimi responsabili delle autorità marittime. Comunque occorre del tempo affinché ciò si diffonda sul territorio.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Guardo in maniera ottimistica alla situazione marchigiana, una piccola regione dove ci si conosce tutti ed è facile fare squadra. Non ci vuole molto a mettersi d’accordo con l’autorità marittima e con la capitaneria per capire se vi siano flussi di traffico di rifiuti, o se, per esempio, vi siano rifiuti radioattivi. Si tratta di fare accordi tecnici molto veloci. Su questo vi è la massima disponibilità da parte dell’ARPAM.

Circa l’area ad elevato rischio ed i rapporti con l’assessorato e la regione, che sono molto stretti, posso dire che il 25 agosto 1999 vi è stato un incidente mortale e dopo due mesi le amministrazioni regionale, provinciale e comunale hanno detto che la raffineria interessata era incompatibile e doveva essere delocalizzata. A parere mio questo è un termine improprio perché di fatto hanno detto "Non ci deve stare", in quel momento storico. Nel frattempo è stato accelerato lo studio dell’area ad elevato rischio di crisi ambientale: vi è stata una delibera della regione (delibera n. 305 del gennaio 2000) ed è stato affidato a noi e all’ENEA lo studio – seguirà uno studio di carattere urbanistico ed economico – su quest’area. Intanto sono "scoppiati" altri problemi (siamo stati facili cassandre): non solo vi è stato un incidente, ma noi e l’agenzia nazionale per la protezione ambientale (dottoressa Tunesi) stiamo trattando quella raffineria come sito inquinato in maniera molto coordinata. Non sono facili i rapporti con la raffineria che a modo suo si difende.

Geograficamente finisce la raffineria e comincia un’altra area sulla quale abbiamo trovato cose pesanti, un’area della ex Montedison dove veniva trattata la pirite per la produzione di acido solforico con conseguente attacco della fosforite con acido solforico e produzione di perfosfati. Stiamo trovando i classici inquinanti di questa produzione e cioè mercurio, arsenico, cromo e rame e stiamo indagando su tutta la zona: messa in sicurezza e piano di bonifica.

In questo momento stiamo trattando contemporaneamente due grossi colossi, uno anche dal punto di vista economico, mentre l’altro riguarda qualcuno che ha comprato un’area a poco prezzo.

Non ripeto le cose molto precise che ha detto l’assessore su quest’area e concordo sul fatto che alcune cose "nere" si possono togliere e se ne possono mettere altre "grigie", o compatibili. Circa la compatibilità, sul versante della propaganda, stiamo portando avanti con l’agenzia nazionale per la protezione ambientale il progetto EMAS, però non siamo i consulenti dell’industria, siamo solo quelli che cercano di diffondere questa mentalità

PRESIDENTE. Progetto EMAS nel senso di cercare di convincere le imprese?

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Si tratta di un tavolo con imprese, sindacati ed associazioni di vario tipo in cui stiamo spiegando la convenienza di fare EMAS.

Per quanto riguarda l’amianto, non abbiamo avuto alcuna richiesta di indagine relativa allo smaltimento da parte della provincia di Ancona. Stiamo cercando di lavorare su programmi stabiliti dall’amministrazione provinciale, deputata al controllo dell’ambiente.

PRESIDENTE. Una richiesta viene da noi: attesa questa discrepanza tra l’API che sostiene di smaltire anche amianto – non materiali contenenti amianto – in una discarica Sogenus e questa che dice che al più arriva materiale contenente amianto, come l’Eternit, vi chiediamo di avere un’attenzione sul passaggio dall’API alla Sogenus.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Indagheremo in proposito. I trattamenti e le scoibentazioni vengono controllati dalle Asl in base ai piani di bonifica; comunque controlleremo, chiederemo la collaborazione ai colleghi delle Asl e andremo a vedere i registri.

PRESIDENTE. Esistendo l’ARPAM, perché l’attività di controllo è ancora in capo alle Asl?

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Perché la normativa sull’amianto prevede la competenza della Sanità. E noi siamo completamente a disposizione della Sanità: ad esempio, noi facciamo le analisi; a Pesaro disponiamo di un centro amianto per analizzare i prodotti che provengono da tutta la regione.

PRESIDENTE. Nell’ambito generale delle potestà di controllo tipiche del sistema ANPA-ARPA credo che sarebbe opportuno dare un’occhiata alla vicenda.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Circa il tar, se prendesse la strada dalla raffineria a qualche altra parte senz’altro potremmo dire che sta viaggiando un rifiuto. Circa il modo in cui abbiamo trattato il problema – la nostra è una funzione di controllo – sappiamo che esiste una discrepanza tra normativa sui rifiuti e normativa sui combustibili, per cui vi è un punto sul quale occorre mettere insieme i Ministeri dell’industria e dell’ambiente.

Sappiamo bene che abbiamo problemi che riguardano principalmente il nichel e il vanadio, come ha detto bene l’onorevole Scalia, e che esiste questo filtro. Stiamo indagando, insieme con il NOE, e lo abbiamo classificato come rifiuto speciale non pericoloso dopo avere sentito anche l’ANPA.

PRESIDENTE. Parla di filter cake?

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Sì.

PRESIDENTE. Mi pare non vi sia dubbio sul fatto che è un rifiuto pericoloso. Il problema è che ha del materiale riutilizzabile. Se il vanadio supera una certa percentuale - che ora è dettata da criteri di dimensioni e convenienza economica di chi lo ha in mano – diventa economicamente conveniente tirarlo fuori. Ciò non altera comunque la natura del rifiuto, anche se può essere utilizzato, come avviene per molti rifiuti pericolosi che si prestano ad avere, almeno per alcuni loro componenti, una nuova vita perché valgono sul mercato. Però la natura di rifiuti pericolosi non è messa in dubbio.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. In base al decreto Ronchi si considera la provenienza.

PRESIDENTE. Vi è anche il punto di vista sanitario.

Il composto nichel-vanadio è sicuramente cancerogeno: non abbiamo dubbi in merito. Poiché nei filter cake vi è anche questo composto, non conta il fatto che sia materiale recuperabile.

STEFANO ORILISI, Dirigente dell’ARPAM. Sul problema filter cake e tar, da un po’ di tempo stiamo svolgendo un’indagine, insieme con il NOE. Circa il primo, ci siamo subito posti il problema della sua classificazione, considerando in primo luogo la provenienza, cioè il processo produttivo che ha generato il rifiuto: si tratta di un processo di depurazione delle acque di lavaggio (grey water) a seguito dei processi di abbattimento che producono del fango, dove sono presenti metalli come ferro, (l’abbattimento viene fatto con ossidi di ferro), vanadio e nichel (interessanti ai fini del recupero), cianuri e altre sostanze. Abbiamo chiesto all’ANPA un’opinione sulla classificazione e la dottoressa Laraia ci ha detto che attualmente la normativa consente di classificarlo come 19 (in base alle tabelle del decreto Ronchi), cioè un rifiuto da processi di depurazione e in particolare un rifiuto speciale non pericoloso. L’introduzione del nuovo catalogo europeo dei rifiuti porterà inevitabilmente a cambiare questa classificazione.

PRESIDENTE. Poiché il decreto Ronchi è di recepimento delle direttive europee ed esistendo delle classifiche europee a cui credo sia inevitabile e corretto fare riferimento, i filter cake, per come sono composti, sono rifiuti pericolosi. Ha ragione anche la dottoressa Laraia, però qui ci troviamo di fronte ad una distonia del nostro sistema di classificazione.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Per quanto riguarda la Orim, ci informeremo sul discorso del caprolattame da Manfredonia via Orim e Sogenus e vi faremo sapere qualcosa.

Circa il percolato, non ci risulta niente di anomalo sugli impianti che lo stanno trattando, che hanno tutti l’autorizzazione per il trattamento dei rifiuti.

A proposito dell’impianto Riccoboni, recentemente è stato approvato il progetto e probabilmente ancora non c’è la formale autorizzazione per l’inertizzazione presso la Sogenus.

Consmari sarà oggetto di una particolare attenzione, che già ha in questo momento, perché ci stiamo attrezzando, su richiesta della provincia di Macerata (anzi con un accordo con la provincia ed un finanziamento ad hoc), per tre progetti per il controllo di alcune alghe tossiche nei laghetti Fiastra e Fiastrone, per studi continui per quanto riguarda le emissioni e la ricaduta nel territorio, con particolare riferimento alle diossime, per dare le massime assicurazioni alla popolazione.

PRESIDENTE. Poiché le diossine sono le più temute, sarebbe bene che l’inceneritore Consmari si attenesse ai parametri di legge: 0,1 nanogrammo al metro cubo, che rappresenta un livello cento volte inferiore a quello degli impianti di una generazione fa. Infatti, gli impianti più vecchi arrivano per norma a 10 nanogrammi al metro cubo. Quindi, passando allo 0,1 o al di sotto, come alcuni impianti sono in grado di garantire (spetta ai controlli verificare la corrispondenza tra la specifica di progetto e quello che effettivamente viene emesso), emerge un fattore 100 che va fatto presente anche nell’informazione che va data alla popolazione. Qui però torna il problema dell’alimentazione di quell’impianto.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Dobbiamo capire bene l’alimentazione, il ciclo tecnologico e i fattori emissivi ed essere sicuri che quello che misuriamo all’emissione, considerato che non esiste una strumentazione continua per le diossine, non si accumuli nel territorio in base ai nostri calcoli di ricaduta. Nelle zone in cui vi sono i venti prevalenti faremo anche l’analisi dei terreni.

Il terzo progetto che stiamo portando avanti, sempre nella provincia di Macerata, riguarda una vasta zona, quasi dieci chilometri quadrati, interessata da inquinamento da solventi clorurati: percloroetilene, tetracloroetilene, tricloretani. Ogni tanto hanno cambiato solvente e hanno provocato danni continui. Stiamo effettuando controlli a livello di inquinamento atmosferico; sta per uscire un piano di risanamento dell’aria che prevede anche questo tipo di interventi. Abbiamo messo una stazione ad hoc per il controllo dell’inquinamento atmosferico da questi solventi e stiamo tenendo sotto controllo numerosi pozzi e anche degli acquedotti, perché vi sono stati problemi di questo tipo.

ROBERTO OTTAVIANI, Assessore regionale al territorio. Sembrerebbe che all’interno di queste aziende abbiano scavato dei pozzi e inquinato la falda profonda. Non so quale tipo di progetto possa risanare quella zona. Anche sentendo gli uffici, a proposito di bonifiche, non so quali percorsi tecnici attuare da questo punto di vista; sembra che vi siano difficoltà.

PRESIDENTE. E’ un problema duplice: da un lato vi sono il controllo della falda, il risanamento e la bonifica; dall’altro occorre vedere dove confluiranno i rifiuti, perché se continua una gestione illegale e, per alcuni aspetti, criminale, bisogna non avere alcuna remora nell’obbligare le aziende che vogliono operare nel settore ad avere una gestione corretta di questi rifiuti che rappresentano qualcosa di più di una minaccia per la salute dei cittadini.

GISBERTO PAOLONI, Direttore generale dell’ARPAM. Occorre verificare anche la tecnologia e l’esistenza di tecnologie alternative come spesso avviene. Anzi, sto proponendo a livello nazionale uno studio di comparto del calzaturiero; ho avuto notizia – lo dico in anteprima all’assessore – che Legambiente ha ricevuto dall’ANPA questo tipo di sollecitazione, in particolare Legambiente della Lombardia dove saranno effettuati due studi sul tessile e sul calzaturiero che lì riguarda solo Vigevano mentre nella nostra regione riguarda una zona molto più grande; in quell’ambito sarà affrontato anche il discorso di qualità ecolabel. Se vi è gente di buona volontà, che venga fuori e ci dimostri che sta investendo su tecnologie migliori! Valuteremo anche questo.

Nel frattempo il controllo deve essere effettuato in modo da rassicurarci sul fatto che l’ambiente non sta peggiorando ancora di più, anzi, se possibile, che sta migliorando. Ovviamente poi chi è fuori norma sarà regolarmente denunciato, secondo la normativa vigente.

Circa le bonifiche, l’assessorato ci ha affidato il compito di aggiornare il piano e noi siamo partiti anche in questo campo. Abbiamo chiesto ai comuni e alle associazioni ambientaliste, come previsto dalla legge n. 471 del 1999, di informarci su eventuali altre situazioni critiche. Non ci vogliamo spaventare se scopriamo che il numero dei problemi sta aumentando. Si dovrà poi fare una selezione delle priorità.

Domani si riunirà il consiglio delle agenzie con all’ordine del giorno il tema delle bonifiche dei siti di interesse nazionale. Credo che dovremmo porre come interesse nazionale, a spese non della collettività ma di chi li ha provocati, i casi dell’API e dell’ex Fertigest.

PRESIDENTE. Abbiamo avuto un panorama sufficientemente ampio delle questioni. Potete rimanere in collegamento con la segreteria della Commissione per inviare eventuali ulteriori documenti o chiarificazioni.

Vi ringrazio.

 

Incontro con le associazioni degli industriali.

PRESIDENTE. Nell’ambito delle visite che stiamo facendo in tutte le regioni italiane abbiamo incontri con le associazioni degli industriali circa la materia dei rifiuti. Vorremo conoscere in proposito il vostro punto di vista, tenendo conto del fatto che la Commissione è profondamente convinta - e ha vari atti che lo testimoniano - che rispetto all’enorme mole di rifiuti o esiste una strategia industriale per un sistema integrato o difficilmente si riesce ad uscire dalle molte emergenze che anche in questa regione ci sono state segnalate.

MARCO RICOTTILLI, Direttore Assindustria Ancona. Signor presidente, esiste un’emergenza rifiuti dal punto di vista delle imprese, però per assurdo essa è ormai diventata fisiologica, come tutte le cose che si trascinano nel tempo.

Per quello che ci riguarda, l’emergenza rifiuti viene da due problematiche di fondo. Intanto sfatiamo il principio per cui le imprese non vogliono rispettare determinate norme, perché non è così. Noi come associazione di categoria ci battiamo per due obiettivi: in primo luogo perché le norme siano più semplici, nel senso che non vi è bisogno di avere un sistema di norme che ormai neppure un testo unico probabilmente riuscirebbe a gestire; ed in secondo luogo per superare la confusione nei controlli che crea grandi problemi alle imprese. Infatti, Carabinieri, Guardia di finanza, province, Asl sono autorizzati ad effettuare controlli. Va benissimo, ma essendo più soggetti ad agire su una stessa norma possono dare interpretazioni diverse, per cui il povero imprenditore si trova "appeso" e non sa a chi dare ascolto. L’unicità di controlli renderebbe molto più agevole l’applicazione delle norme.

Quindi, farraginosità e complessità delle norme e diversità dei controlli rendono questo discorso estremamente difficile.

Un altro aspetto è quello della sistemazione dei rifiuti. Vi sono difficoltà, peraltro comuni a tutto il paese, nel reperimento delle aree: mi riferisco ai rifiuti normali e non a quelli speciali, per i quali abbiamo una sede di conferimento che soddisfa le esigenze del territorio (Sogenus è un’entità nata dalla collaborazione fra pubblico e privato e rappresenta una soluzione egregia per questo tipo di problemi), o pericolosi.

Come ben sapete, tutti vogliono le discariche ma nessuno le vuole a casa propria. La discarica di Ancona è esaurita da tempo e non si è ancora riusciti ad individuare un’alternativa per i soliti motivi: si creano sommosse popolari e tensioni sul territorio. Tutto è comprensibile, tutto ha una logica ed una spiegazione, però spesso il problema del conferimento esiste.

PRESIDENTE. Lei, quando parla di farraginosità delle norme e di esigenza di un testo unico, spara sulla Croce rossa. Purtroppo è un vizio del Parlamento italiano quello di continuare a legiferare.

MARCO RICOTTILLI, Direttore Assindustria Ancona. Sulle norme del Parlamento italiano poi legiferano le regioni, deliberano le province, eccetera.

PRESIDENTE. La Commissione d’inchiesta come organo parlamentare può assumersi solo la responsabilità delle leggi nazionali, che evidentemente necessitano di un testo unico, ma purtroppo i testi unici sono poco popolari e sono molto faticosi. Probabilmente l’iniziativa dovrebbe essere presa dalla Presidenza del Consiglio. Si tratta comunque di un problema ultradecennale.

MARCO RICOTTILLI, Direttore Assindustria Ancona. Comunque il secondo problema è molto più grave.

PRESIDENTE. Sull’unicità dei controlli è bene chiarire che il sistema che vi è deputato è quello ANPA-ARPA; altri controlli dei NOE o della Guardia di finanza attengono all’attività di polizia giudiziaria che riguarda la libera iniziativa della magistratura. L’unicità dei controlli non esiste da nessuna parte. Negli Stati Uniti, che hanno il sistema più sperimentato di controlli con diverse agenzie per i diversi stati (l’equivalente della nostra ANPA), vi è comunque, a seconda del tipo o della gravità del reato, l’intervento degli organi di polizia locale o addirittura dell’FBI.

Si sta faticosamente mettendo a punto l’unicità dei controlli, essendo il sistema ANPA-ARPA, a livello nazionale, a meno della metà delle sue potenzialità, per quanto riguarda gli organici e la sua stessa istituzione, che ancora manca in un paio di regioni. Il direttore generale dell’ARPAM ci ha detto poco fa che nella regione l’agenzia è stata istituita poco più di un anno fa, per cui deve andare ancora a regime.

Per ciò che riguarda la reperibilità delle aree, mi è stata porta l’occasione per fare una riflessione insieme a voi. Anche in questo incontro, come in tanti altri precedenti, l’atteggiamento medio dei rappresentanti delle imprese è quello di vedere la questione rifiuti dal punto di vista delle imprese che li producono. E’ singolare che sia quasi sempre assente il punto di vista delle imprese che lavorano rifiuti. Nel senso più banale – ne parlavamo prima con l’assessore regionale al territorio -, ad esempio, le richieste autorizzative di molte imprese, anche in aree molto cariche di impianti, riguardano sempre nuovi impianti e tra queste scarseggiano quelle di impianti per il trattamento dei rifiuti. Questa è una singolarità, perché abbiamo una montagna incredibile di rifiuti a livello nazionale e aree di emergenza che riguardano non il già vessato sud del paese, dove le quattro regioni più importanti sono commissariate per l’emergenza rifiuti, ma anche province o regioni non commissariate. A fronte di questa situazione, esistono impianti di trattamento, selezione, produzione di compost e di cdr, termodistruttori, dei quali però c’è una carenza in tutto il paese, anche nel nord che sicuramente come media si trova più avanti e quasi a livello europeo tranne l’eccezione della Liguria. Allora i conti non tornano, nel senso che in media i rappresentanti dell’industria e delle imprese si vedono sempre come utenti della questione rifiuti, con problemi di smaltimento e conferimento (si torna sempre alla discarica che in base a leggi europee e nazionali è prevista solo come fatto residuale), e quindi non si parla della filiera del riciclaggio. Si parla sempre di rifiuti solidi urbani, però è bene ricordare, a proposito di carenze impiantistiche, che essi sono meno della metà dei rifiuti speciali, cioè di quelli prodotti dall’industria che, anche non considerando gli inerti da costruzione, sono molte decine di milioni di tonnellate all’anno che vanno gestiti e dei quali solo per la metà abbiamo da parte industriale assicurazione che sono oggetto di forme di autosmaltimento o lavorazione.

La Commissione ha rilevato che circa il 30 per cento dei rifiuti speciali (30-35 milioni di tonnellate all’anno) è sostanzialmente fuori controllo e fa parte di un mercato illegale in cui vi è ampio spazio per la criminalità organizzata, un mercato che abbiamo valutato fra i 12 mila e i 15 mila miliardi.

Cerchiamo sempre il massimo coinvolgimento del sistema delle imprese (abbiamo fatto un convegno a Milano la scorsa estate con un seguito qualche mese fa alla facoltà di economia dell’Università di Roma) non solo dal punto di vista della gestione corretta dei loro rifiuti, ma anche perché si sentano protagonisti della vicenda, altrimenti è difficile pensare a come affrontare un problema che fa registrare cifre come quelle che ho ricordato sommariamente.

MARCO RICOTTILLI, Direttore Assindustria Ancona. Lei ha toccato un tema estremamente ampio e delicato. Sempre a livello di riflessione, poiché non posso andare oltre, posso dirle che la sua considerazione è, oltreché corretta, condivisibile. Si tratta di un processo che fatica a mettersi in moto per alcuni motivi di tipo oggettivo e soggettivo. Ciò non vuol dire che il processo non sia da agevolare e sollecitare. La ragione oggettiva risiede nel nostro territorio (probabilmente in altre realtà la situazione è diversa) ed è legata alle caratteristiche del sistema produttivo: abbiamo troppe imprese piccole e diversificate per potere immaginare con facilità un tipo di processo che serva o all’autosmaltimento o a fare business in direzione lecita. La piccolezza delle imprese fa sì che i loro quantitativi siano sempre molto modesti, per cui fanno fatica ad aggregarsi con altri per la soluzione dello stesso problema. E poi la diversità, perché in settori in cui c’è una cultura industriale, in cui c’è una tipologia industriale più omogenea, le caratteristiche di questi rifiuti sono più omogenee, e quindi anche i sistemi di smaltimento sono più identificabili. Ma qui siamo in un tessuto molto diversificato, perché ci troviamo fra il distretto mobiliere al nord e il distretto calzaturiero al sud. I mobilieri producono tanti rifiuti ma tipologicamente ben identificabili, come le segature, e so che hanno avviato impianti di smaltimento organizzati per comprensorio. Nel sud vi sono tutti i comparti che operano intorno alla produzione di calzature. In questi comparti omogenei le masse dei rifiuti con caratteristiche simili sono una percentuale alta e quindi si può risolvere il problema in gran parte.

Il nostro comparto è invece estremamente articolato dal punto di vista delle tipologie produttive. È vero che il nostro territorio è fortemente legato alla meccanica, però, come sapete, questo è l’unico settore che si aggrega sulla materia prima e non sul prodotto finito. All’interno della meccanica si collocano i settori elettronico ed elettromeccanico, la tranciatura di lamiere, la produzione di macchine edili, la costruzione di imbarcazioni e così via. La piccola dimensione delle imprese unita alla forte diversificazione produttiva rende più faticoso e meno agevole il passaggio da soggetto passivo a soggetto attivo.

Vi è un altro elemento più soggettivo e anche più indiretto. In questo paese manca la mentalità di investire in settori che fino a poco tempo fa erano esclusivo dominio del pubblico. Non voglio toccare il grande tema delle privatizzazioni, perché non è questa la sede, però così come gli imprenditori fanno fatica ad immaginare come area di investimento la distribuzione dell’acqua piuttosto che quella del gas, la fanno anche ad immaginare di essere soggetti… qualcuno che comincia c’è, ma sono troppo pochi.

In questo territorio esiste anche un’altra questione – che non riguarda la Commissione -, quella concernente un assetto delle aree industriali, perché via via che si fanno aree industriali moderne esse vanno dotate di servizi, ivi compreso…

PRESIDENTE. Energia da rifiuti.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. Energia da rifiuti. Lo sforzo che stiamo facendo in questa direzione è alto, ma i risultati ancora non sono adeguati. È evidente che, nel momento in cui c’è trasparenza in queste cose e si comincia a chiarire bene la possibilità del privato in questi settori, si possono anche trovare mezzi finanziari da indirizzare in questa direzione piuttosto che in altre.

Questo sarebbe molto importante, perché la preoccupazione del "sommerso" (lo chiamo così con un eufemismo) esistente nel settore non vorremmo che arrivasse nelle Marche, visto che dietro certi metodi di gestione dei rifiuti arrivano altre cose. Questo è un territorio sostanzialmente felice, dove fra l’altro gli imprenditori operano in realtà molto più piccole, per cui il rischio che possono arrivare, attraverso questo canale, forme subdole di altro tipo lo avvertiamo fortemente.

Se certe nostre richieste a livello politico (fuori dall’ambito di questa Commissione) in materia di aree industriali, in materia di chiarezza nelle privatizzazioni dovessero funzionare, la nostra possibilità di indirizzare le imprese a dare una risposta, una soluzione ai problemi del territorio potrebbe aumentare in maniera significativa. Se questo non lo fanno i nostri associati, non appena le liberalizzazioni saranno completate saremo colonizzati dai grandi gestori di questi servizi che piomberanno qui dalla Francia e dalla Germania.

PRESIDENTE. Esatto. Lei ha fatto una descrizione puntuale e ha concluso sottolineando il rischio che avevo in mente anch’io.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. Che fra l’altro è il rischio minore, perché l’altro di cui ha parlato prima è anche peggiore!

PRESIDENTE. Siamo tra Scilla e Cariddi, nel senso che se il sistema delle imprese mantiene questa resistenza ad investire in settori come quello delle acque che lei ha citato come esempio, c’è la Des Eaux – tanto per fare un nome – che è pronta ad intervenire in ogni momento. Lei ha giustamente sottolineato che nella difficoltà di costruire un sistema integrato, quindi a forte valenza industriale, poi si aprono spazi incredibili per traffici illegali, e quindi alla criminalità organizzata, come denuncia costantemente questa Commissione.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. Purtroppo non le ho portate con me, ma potrei documentare con copie di comunicati stampa la nostra posizione a sostegno delle privatizzazioni in cui denunciavamo che la mancanza di chiarezza nelle privatizzazioni inibisce la crescita dell’offerta privata nel settore; se invece di seguire un processo a crescita lenta si fa un salto, dalla sera alla mattina arriva chi questo mestiere lo sa fare: la General Des Eaux è un esempio, ma non il solo.

PRESIDENTE. Esistono imprenditori che hanno rischiato: abbiamo in mente l’esempio di una piccola società che opera nel maceratese che si è calibrata su una buona tecnologia. Tratta volumi non particolarmente rilevanti – cinquemila tonnellate all’anno circa di rifiuti speciali e pericolosi – ma ha la capacità di ritirarli dalla costellazione delle tante, piccole imprese private: ci hanno parlato di conferimenti di soli quindici chili. È un imprenditore con buone capacità di correlazioni con laboratori di ricerca e istituti universitari, che conosce il tipo di processo che ha messo in opera, ne capisce i limiti e cerca di migliorarlo. Perciò un imprenditore di questo genere è in grado di inserirsi in questi settori.

Inoltre, visto che esistono nuovi strumenti di programmazione economica come gli accordi di programma e i patti territoriali, questo tipo di strumentazione economica è forse quello più idoneo per garantire che, al sorgere di nuovi distretti industriali, siano premiati con il corrispettivo finanziamento pubblico previsto coloro che facciano in modo che la gestione di tutti i servizi – da quelli energetici all’acqua e ai rifiuti – sia progettata all’interno del patto. Ho notato che questa leva in varie parti del paese funziona. Rispetto alla duplice difficoltà di avere una gestione corretta di questi servizi ma anche di lanciare i privati in un settore in cui esistono le resistenze che lei ci ha ricordato, questi strumenti di programmazione economica funzionano (alcuni meglio e altri meno). L’attenzione a far decollare distretti industriali con queste caratteristiche viene premiata dal fatto che questi patti sono progettati meglio di altri che non arrivano al cofinanziamento.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. La filosofia alla base di tutti gli strumenti di politica economica programmata è condivisibile, perché mette a disposizione risorse finanziarie che, all’interno di regole prestabilite, fanno sì che ogni territorio le utilizzi secondo i suoi bisogni. La verità è che questi strumenti sono ancora allo stato embrionale, almeno per noi. Attualmente abbiamo due patti territoriali in itinere, e forse uno riuscirà ad essere finanziato all’interno dei residui di quanto verrà fatto a livello nazionale (perché da un certo momento in poi i patti saranno gestiti a livello regionale), mentre il secondo avrà sicuramente questo destino.

PRESIDENTE. Quando parlo di accordi di programma penso anche alle disponibilità cospicue che esistono a livello regionale. Siamo nella fase discendente dei programmi di cofinanziamento in sede europea e, dato che per il settenio 2000-2006 sono previsti circa 100 mila miliardi tra quanto proviene dall’Europa e quanto deve cofinanziare il nostro paese, questo è un campo in cui l’interlocutore naturale è proprio la regione.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. Ha ragione, presidente: sono cose sulle quali stiamo lavorando intensamente, però la definizione del settennato è cosa non dico di ieri, ma delle settimane scorse.

I problemi derivano spesso dagli strumenti urbanistici. Se le dicessi cosa è stato combinato con il PTC emanato dalla provincia di Ancona pochi giorni fa in materia di assestamento delle aree industriali, rimarrebbe sconcertato. Mi rendo conto che questo è un territorio che si va riempiendo, anche se non siamo nel trevigiano, perché credo che da Venezia a Treviso non riescano a bagnarsi neanche i piedi, però anche noi…

PRESIDENTE. No, lì ancora ci riescono, è sulla costa di Genova che ci sono 16 chilometri ininterrotti di stabilimenti industriali, per cui uno il bagno lo deve fare a Boccadasse.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. Comunque lo strumento non è stato costruito secondo la filosofia di agevolare certe concentrazioni industriali in modo che laddove si sviluppino certe dimensioni ci siano le convenienze economiche a dotarsi di determinati tipi di servizi.

Ci si muove con una certa difficoltà, ma non c’è dubbio che la politica che l’associazione che rappresento sta sviluppando in questo periodo è quella da un lato di cercare di far nascere aree industriali nuove o rimodernizzate, dotandole di determinati servizi, dall’altro di fare in modo che un’industria dei servizi nasca sul territorio. Questo serve, infatti, ad evitare le colonizzazioni e anche le infiltrazioni: quanto più sorge un’imprenditoria…

PRESIDENTE. Serve anche a fare un business corretto.

MARCO RICOTTILLI, Direttore dell’Assindustria di Ancona. Certo, questo è il presupposto. Se nasce un imprenditore che gestisce rifiuti sul territorio, ed è una persona conosciuta che ha i suoi mezzi ed i suoi capitali, il rischio che arrivi un organismo non conosciuto o, peggio, un prestanome è minore. Le nostre preoccupazioni non riguardano solo la componente illecita che è dietro i rifiuti, ma anche che questa diventa un veicolo per un’infinità di altre cose.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo.

 

 

Incontro con i rappresentanti delle associazioni ambientaliste.

PRESIDENTE. Negli incontri che questa Commissione d’inchiesta ha a livello regionale cerchiamo sempre di acquisire il parere delle varie parti sociali e segnatamente delle associazioni ambientaliste, che spesso ci segnalano aspetti ed episodi di cui teniamo conto o per le nostre indagini dirette o per redigere documenti. Vi do pertanto la parola.

GIORGIO MARCENARO, Rappresentante di Ambiente e Vita. Desidero ringraziare la Commissione per averci convocato in questa occasione, dandoci la possibilità di parlare delle cose di cui ci siamo occupati e delle denunce che abbiamo fatto. Lascerò alla segreteria della Commissione una relazione scritta più dettagliata, mentre parlerò in particolare di due aspetti che sono stati oggetto di denunce, il primo dei quali riguarda la Orim di Piediripa (Macerata). Nonostante vi sia stato un traffico di rifiuti particolari, la Orim continua ad agire movimentando dei quantitativi di rifiuti enormi. Si parla di un’autorizzazione data per 3 milioni e mezzo di chili di rifiuti, cioè 3.500 tonnellate di rifiuti che si muovono (si tratta di 130 camion con rimorchio al giorno) sulla Civitanova Marche-Macerata. Questo rappresenta un grosso rischio, anche perché non so se ci si è resi conto da parte delle amministrazioni locali - che in questo caso sembrano latitanti perché invece la magistratura ha operato in maniera molto corretta e tempestiva - che operazioni di questo tipo comportano rilevanti rischi di incidenti, come è accaduto quando vi è stato l’incendio che ha impestato tutta l’area.

Il secondo caso è quello del tar all’API di Falconara. Non mi dilungo perché questo problema è stato ben sviscerato e il ministro dell’ambiente ha ormai formalizzato che lo stesso tar non è un combustibile, anche se residuo, bensì un rifiuto pericoloso. Assimilarlo alle biomasse o non considerarlo un rifiuto non è più possibile.

Ci lascia perplessi, però, il fatto che la raffineria API abbia ottenuto un’autorizzazione non molta specifica, perché è stata autorizzata ad un progetto ambiente, energia e territorio. Secondo noi sarebbe stato molto più limpido e chiaro se l’autorizzazione fosse stata per un impianto di gassificazione del tar, com’è poi adesso. Ci lascia perplessi soprattutto il fatto che si pone anche un altro problema, quello dei rifiuti dell’impianto di gassificazione, i cosiddetti filter cake, che sono pieni di vanadio e di nichel, sostanze ormai note come potenti cancerogeni. Che fine fanno? Come vengono trattati?

Ci domandiamo perché questa raffineria, questa società, questa compagnia petrolifera invece di usare il canale adoperato da altre compagnie petrolifere che usano lo stesso prodotto negli Stati Uniti o in Europa, opera (e non è la sola) secondo questa strada invece di recuperare meglio questi prodotti con dei piani di conversione spinta come fanno tutti. Non si porrebbe il problema attuale e allo stesso tempo recupererebbero prodotti di maggior valore. Come si sa, in un impianto di conversione spinta anche il tar può essere trasformato in prodotti più nobili, come la stessa benzina e lo stesso gasolio.

Per quanto riguarda i rifiuti industriali, vorrei parlare anche dell’azienda Bonfranceschi di Loro Piceno che, nonostante sia stato chiaramente evidenziato che opera in un certo modo (è stata anche condannata per abbandono di rifiuti lungo le strade, per sversamenti abusivi e per trasferimenti di rifiuti ad altre società come la Servizi Costieri di Porto Marghera o la Seven di Fossò, cioè società intestatarie di "stoccaggi provvisori" che non so se possano essere definiti in questo modo), continua ad operare con tutte le autorizzazioni di legge, fregandosene delle condanne e di tutto il resto.

Infine, vorrei parlare più in generale dei rifiuti nella regione Marche. Per quanto riguarda la Smea di Macerata, il suo presidente afferma che opera recupero della frazione organica, da rifiuti solidi urbani, probabilmente come compost, e recupero della carta. In effetti, le cose non sembrano stare così: forse si tratta di un recupero di imballaggi, non di carta.

Inoltre, poiché la Commissione d’inchiesta è stata così attiva e ha agito tempestivamente anche in altre regioni, le sottopongo il problema dei siti contaminati da rifiuti in tutta la regione. Faccio solo due esempi di aree contaminate dismesse, lo stabilimento ex Montedison e un vecchio impianto di porto Sant’Elpidio che produceva anticrittogamici. Sono impianti dismessi, anzi direi proprio abbandonati, che hanno determinato una situazione di inquinamento con arsenico. Si trovano nella stessa area della raffineria dell’API, creando quindi una concentrazione di inquinamento del suolo davvero abnorme. Purtroppo non siamo ancora riusciti ad effettuare una ricognizione a tappeto, che riteniamo debba essere assolutamente fatta nelle Marche. Ci sono, infatti, rifiuti abbandonati in vecchie fornaci, in vecchi stabilimenti dismessi, in cave, che sono alla mercé di tutti. Le amministrazioni locali ci sembrano veramente molto latitanti. La magistratura certe cose le ha fatte, ma le amministrazioni sembra non abbiano fatto molto.

Maggiori dettagli sulle osservazioni che desideravamo fare alla Commissione sono contenuti nella nostra relazione scritta. Ringraziamo la Commissione e lei, presidente, per averci ascoltato e siamo sicuri che, data la sua sensibilità, considererà con la massima attenzione questi problemi. Ci auguriamo che in futuro non dovremo più fare denunzie di questo tipo.

PRESIDENTE. Su alcuni dei punti che ha evidenziato posso darle risposte immediate. Per quanto riguarda la Orim, in virtù di un esposto che la Commissione fece l’estate scorsa dopo un sopralluogo, convocammo il magistrato pregandolo di sequestrare l’area. Ieri siamo tornati sul luogo e devo dire che la situazione non è che sia diventata rosea, però, rispetto a quella precedente, risulta molto diversa, nel senso che si comincia a vedere un principio di ordine. Ovviamente, c’è un’attenzione particolare sulle attività svolte dalla Orim, che mi sembra abbia incominciato a dare i primi frutti.

La questione del tar costituisce uno dei punti cui la Commissione ha dedicato sempre molta attenzione. Ai tempi della Erika e della presunta classificazione del piccolo laboratorio francese, convocammo un po’ tutti i protagonisti coinvolti nella vicenda, segnalando, tra i vari problemi, anche quello del tar. La questione fu riportata dalla stampa francese, mentre quella italiana se ne accorse quindici giorni dopo (ma questo attiene ad alcuni difetti del nostro sistema informativo). Su questa questione siamo stati in contatto con le tre procure che se ne stanno interessando. Pochi giorni fa abbiamo ascoltato i magistrati che seguono la vicenda sia per quanto riguarda il tar sia per quanto riguarda i filter cake. A proposito del tar, noi continuiamo a ritenere che esso vada classificato secondo criteri europei, quindi come un rifiuto pericoloso, ma esistono delle ambiguità che hanno motivato uno dei magistrati che abbiamo sentito, quello della procura di Cagliari, a porre un doppio quesito alla Corte di cassazione e al Ministero dell’ambiente. Tra le altre questioni che abbiamo sottoposto al ministro dell’ambiente, che abbiamo ricevuto in audizione pochi giorni fa, vi era anche questa.

Per quanto riguarda la ditta Bonfranceschi, essa è stata citata dall’assessore regionale come una società su cui esiste un’attenzione, che però per il momento è limitata ad indagini che stanno svolgendo i corpi di polizia giudiziaria. Lei ha parlato di una liason con la Seven, un’altra delle aziende… Se ben ricordo si trova a Fossò, e noi siamo capitati lì un giorno in cui era tutto pulito, non c’era nulla: poi, facemmo fare ai nostri consulenti una missione spot, senza preavviso, in modo da capire cosa succedesse per davvero.

Circa la Smea, prendiamo atto di quanto lei ci dice: vedremo.

Quello dei siti contaminati è un problema che abbiamo posto all’assessore. Il direttore regionale dell’ARPAM ci ha detto, a proposito degli stabilimenti ex Montedison (con inquinamenti da arsenico, mercurio, cromo e rame), che esiste una progettazione di massima per risistemare questa area a rischio ambientale. Si tratta quindi di un argomento già all’esame degli organi della regione.

Dell’area di Porto Sant’Elpidio, che lei ci dice essere inquinata da anticrittogamici, non ho sentito parola, ma rientra nell’attenzione che abbiamo richiesto all’assessore regionale e all’ARPAM nell’ambito generale della bonifica e del ripristino dei siti. Nel rapporto continuo che esiste fra la Commissione e i suoi interlocutori, segnaleremo anche questo aspetto.

GIORGIO MARCENARO, Rappresentante di Ambiente e Vita. Vi è un carico di inquinamento tutto in quella zona, che è proprio sfortunata.

PRESIDENTE. Sì, vi sono anche residui da lavorazioni del settore calzaturiero.

LUCA CONTI, Segretario regionale del WWF. Colgo l’occasione per donare ai membri della Commissione una pubblicazione che contiene la posizione ufficiale del WWF Italia sul problema rifiuti. Non entrerò nello specifico di singoli casi, che sono già stati richiamati da chi mi ha preceduto, ma farò un intervento sulla politica dei rifiuti a livello regionale.

Abbiamo apprezzato la legge regionale e il piano conseguente per quanto riguarda la necessità di privilegiare il recupero di materia rispetto al recupero di energia. Questo poi si è concretizzato nella moratoria, in vigore fino al 2003, per la costruzione di nuovi impianti di incenerimento. Purtroppo dobbiamo anche sottolineare che a questi intenti senz’altro meritori, che ci vedono dalla parte della regione, non è seguito un adeguato investimento per far sì che il recupero di materia si concretizzasse. Anche se ci sono casi, soprattutto nel pesarese, di una buona percentuale di raccolta differenziata, per tutti questi motivi siamo sotto i livelli posti dal decreto Ronchi. Pertanto, da questo punto di vista, è necessario lavorare molto e soprattutto investire molto, perché per realizzare questi obiettivi occorrono sia un investimento sia una campagna di sensibilizzazione dei cittadini, che il WWF fa nelle scuole, ma che dovrebbe essere continuativa nel tempo e più generalizzata.

Un caso emblematico è quello di Ascoli Piceno, dove è stata avviata una campagna di raccolta differenziata, anche con la separazione secco-umido, che però ha incontrato una resistenza da parte dei cittadini, che hanno considerato scomodi gli adempimenti previsti, visto che è mancata una campagna che elencasse i vantaggi per l’ambiente e anche per le tasche dei cittadini, che sono molto sensibili alle tariffe sui rifiuti.

La posizione del WWF è di ridurre i rifiuti prima di cercare di recuperarli e differenziarli. Nelle Marche in questa fase si pone il problema delle discariche, che per la maggior parte sono in via di esaurimento. Per la localizzazione di nuove discariche – conosciamo bene la sindrome "non nel mio giardino" – si incontrano resistenze da parte delle comunità locali. Nel maceratese si sono verificati dei casi, credo denunciati dalle autorità competenti, di sversamenti di rifiuti liquidi nei corsi d’acqua. Sembra che negli ultimi anni vi sia stata una riduzione di questo problema.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda gli aspetti di politica generale dei rifiuti nella regione, abbiamo sottolineato sia all’assessore regionale sia ai rappresentanti degli industriali l’esigenza che si proceda verso un sistema integrato in cui la raccolta differenziata è strumentale al massimo recupero e riciclaggio dei materiali. Nelle Marche vi sono alcune esperienze di raccolta differenziata, ma c’è ancora affanno e, soprattutto, si continua ancora a parlare di discariche, che devono invece essere considerate residuali.

È necessario dare continuità a questo tipo di tematica, direi di impegno civile, a partire dalle scuole. Sappiamo infatti che anche nelle Marche vi sono aree di emergenza. Ci rivolgiamo perciò alle associazioni ambientaliste perché la sindrome NIMBY sia superata: se sorgono opposizioni popolari addirittura per impianti di pretrattamento e selezione di rifiuti, io credo sorga un problema morale, perché non è pensabile di risolvere il problema dei rifiuti, che è l’altra faccia della medaglia dei consumi… non si può pensare di avere un certo livello di vita, che produce rifiuti solidi urbani e soprattutto speciali (che sono più del doppio, su base nazionale, di quelli urbani), e di smaltirli o in discarica o in un’altra regione. Su questo bisogna intervenire con forza, perché concerne un problema istituzionale e di corretto ciclo dei rifiuti, ma anche un problema morale: non condividerò mai l’atteggiamento dei cittadini che pensano che i rifiuti li deve gestire qualcun altro. Occorre quindi un’opera profonda e continua di rapporto con le popolazioni a partire dal momento più importante, che è l’educazione scolastica.

Sulla questione degli inquinanti nella provincia di Macerata cui faceva riferimento il rappresentante di Ambiente e Vita, devo dire che la situazione è complessa, perché il livello pregresso di inquinamento in falda dovuto alla presenza di molte aziende del settore calzaturiero è conseguente a una proclività molto disinvolta e, per le conseguenze che può avere, criminale nella gestione delle attività a valle della produzione. Esiste un serio problema di bonifiche e il problema del risanamento della falda acquifera è aperto. È bene che questo sia noto a tutti: il fenomeno è stato individuato e probabilmente i controlli oggi esistenti e le azioni della polizia giudiziaria e della magistratura dovrebbero mettere a riparo da ulteriori infrazioni, ma ciò che è stato consolidato costituisce un problema rilevante per quanto riguarda il risanamento delle acque e la bonifica del suolo e del sottosuolo.

PIERLUIGI COPERCINI. Il rappresentante del WWF ha espresso una certa soddisfazione sulla politica dei rifiuti a livello regionale. Ha citato come aspetto positivo la moratoria sui nuovi impianti di incenerimento. Vorrei che ci precisasse a cosa sia dovuta questa soddisfazione e se esista un piano di localizzazione e di costruzione di questi impianti, in quanto fino ad ora non ne ho avuto percezione.

LUCA CONTI, Segretario regionale del WWF. Credo che la moratoria implichi il fatto che oltre all’impianto di incenerimento del Consmari – che credo sia l’unico funzionante nelle Marche – non sono previsti, neanche come localizzazione, nuovi impianti. La soddisfazione del WWF è dovuta al fatto che secondo noi l’incenerimento, e quindi il recupero di energia ottenuto da trattamento di rifiuti, non è la soluzione ottimale per risolvere il problema dei rifiuti, perché questo recupero non è termodinamicamente valido, in quanto comunque svantaggioso. Dal punto di vista scientifico - è ricordato anche dalla pubblicazione del WWF Italia che ho consegnato - è dimostrato, infatti, che una plastica creata con dispendio di energia, di petrolio, e di risorse, nel momento in cui viene bruciata senza essere riutilizzata più volte comporta un depauperamento delle risorse iniziali, della materia utilizzata. Un uso limitato consente un recupero di energia nettamente inferiore al beneficio derivante dall’utilizzo ripetuto della stessa materia.

GIANFRANCO BORGANI, Rappresentante di Legambiente. Una breve premessa: le Marche hanno alle loro spalle una tangentopoli sui rifiuti. Legambiente da oltre dieci anni svolge un ruolo forte di segnalazione, di denuncia e anche di suggerimento rispetto al coinvolgimento di poteri illegali in questo settore. Quasi dieci anni fa furono rinvenuti in Calabria, in una fornace, rifiuti ospedalieri delle Marche. Da quel giorno il sistema ha indubbiamente fatto dei passi avanti: esiste una pianificazione e la difficoltà sta nel rendere questa pianificazione operativa.

Credo di poter dire che rispetto a quelle contaminazioni forti… Non parliamo di una tangentopoli che è evaporata non si sa bene come, perché ci sono state sentenze di condanna, ci sono state persone che hanno patteggiato la pena e quindi l’illegalità aveva un suo terminale all’interno della regione e di altri enti pubblici e questi fatti sono stati accertati. Una regione che vive un grande sviluppo e che viene portata ad esempio per il proprio modello vive le contraddizioni di chi ha alle spalle un territorio che ha offerto per questo sviluppo energia e risorse a costo zero. Allora il territorio in gran parte risulta contaminato da insediamenti non bonificati. Pensate che questa regione ha 246 comuni che fino a dieci anni fa avevano ognuno una propria discarica e se andiamo a vedere quali discariche sono state bonificate… absit iniuria verbis.

È stato segnalato il problema delle aree dismesse come quella della ex FIM di Porto Sant’Elpidio, che costituisce per noi una ferita aperta, o come quella dell’ex Montedison. A Porto Recanati la questione è non direi più delicata, perché anche il caso FIM lo è, però da segnalare, in quanto vi è un insediamento turistico di notevole livello proprio in prossimità dell’ex Montedison. Le terre classificate a suo tempo come contenenti rifiuti tossico nocivi furono perimetrate con la fettuccia bianca e rossa, ma nell’arco degli anni sono state dilavate e non si sa che fine abbiano fatto, cosicché l’insediamento turistico è sorto. Qualche punto interrogativo su quello che ci sarà lì sotto francamente ce lo poniamo.

PRESIDENTE. È sorto nell’area ex Montedison?

GIANFRANCO BORGANI, Rappresentante di Legambiente. In prossimità dell’area, nelle immediate vicinanze. C’è un vecchio capannone disegnato dall’architetto Nervi che è rimasto lì, perché si tratta di una preesistenza industriale che doveva essere tutelata, ma sotto il capannone sono rimaste queste terre, che sono anche nell’area circostante. Poi è sorto questo grosso insediamento turistico e tutto è rimasto così.

Il presidente ha parlato della contaminazione delle falde, che costituisce un’altra drammatica situazione tipica del modello marchigiano, del giustamente decantato modello marchigiano. Mi riferisco in particolare all’area della bassa valle del Chienti. Vi è stata una contaminazione prima da tricloretano e poi, dopo gli interventi che sono stati fatti, da percloroetilene, attualmente in atto. Lì bisogna che l’artigianato locale si renda conto che il suo modello non può diventare competitivo non pagando le risorse di cui stiamo parlando: i responsabili devono essere puniti, perché si parla di fenomeni molto gravi, di falde contaminate. Purtroppo, i processi sono stati chiusi in parte con patteggiamenti e in parte con prescrizioni e quindi a tutt’oggi non ha pagato ancora nessuno.

Ma noi riteniamo che anche altre aree delle basse valli non solo del Chienti ma anche del Potenza, soprattutto dove sono localizzati insediamenti con livelli produttivi molto alti di fondi per calzature, che utilizzano sostanze altamente tossiche, possano essere oggetto di fenomeni di questo tipo. Una zona che voglio citare, anche se non ci sono ancora elementi certi (proprio per questo occorre una valutazione attenta), è quella di Santa Maria in Potenza, nel comune di Porto Recanati, nella bassa valle del Potenza. Si trovano lì alcune aziende molto grandi che producono fondi in poliuretano: si sono formati comitati di cittadini che non ne possono più di respirare sostanze che provocano nausee e mal di testa, ma non sappiamo qual è la situazione delle falde, perché, a differenza di quanto è avvenuto per il Chienti, quelle non sono state monitorate.

PIERLUIGI COPERCINI. La situazione è del tutto simile a quella che ci è stata descritta…

PRESIDENTE. È sempre il settore calzaturiero.

GIANFRANCO BORGANI, Rappresentante di Legambiente. Sì, sempre settore calzaturiero, sempre quel tipo di componenti per scarpe, cioè il fondo in poliuretano. Parliamo di milioni di pezzi prodotti ogni anno. Naturalmente, le maestranze non hanno granché da dire, lavorano a ciclo continuo, non ci sono extracomunitari, ma si tratta di una situazione da verificare. Legambiente si associa alle perplessità sollevate da Ambiente e Vita circa situazioni puntuali e ci permettiamo anche noi di sottoporne due. La prima riguarda la Agroter Spa, un’azienda che ha sede a Mondavio.

PRESIDENTE. In che provincia?

GIANFRANCO BORGANI, Rappresentante di Legambiente. Pesaro.

Gli elementi che ha raccolto Legambiente ci hanno indotto a depositare presso il nucleo ecologico dei Carabinieri, in data 25 gennaio 2001, l’esposto-denuncia che vi produco, e che vi prego di leggere attentamente, riguardante la seguente situazione che è in fase di indagini preliminari: per molti anni, sicuramente dal 1992-1993 in poi, in almeno quattro comuni (Mondavio, Fratterose e altri due che sono indicati nell’esposto) la ditta di cui si parla ha utilizzato fanghi della depurazione e altri composti organici provenienti da tutta Italia come fertilizzante organico. Il nostro sospetto, corroborato da segnalazioni, denunce, esposti di cittadini di tutti e quattro i comuni, è che in realtà tutto si sia fatto tranne una corretta metodica di fertirrigazione. In realtà – faccio un’affermazione che può essere documentata e circostanziata nell’esposto e negli allegati che abbiamo prodotto –, sempre fermo restando che vi è una presunzione di non responsabilità fino a prova contraria, i territori utilizzati sono diventati delle discariche a cielo aperto di questa tipologia di rifiuto. Cioè, non rispettando la corretta metodologia agraria, quei territori non hanno avuto cicli di produzione agraria, ma sono stati utilizzati sostanzialmente come località di smaltimento.

Vi è poi il caso della Bonfranceschi che sarebbe opportuno la Commissione visitasse, perché, fermo restando che vi è un’indagine della magistratura per cui nessuno può dire nulla che non sia ispirato da provvedimenti formali, la ditta è stata autorizzata nel 1998 dalla regione Marche ad effettuare fasi di trattamento e di miscelazione di rifiuti anche in deroga al decreto Ronchi per un quantitativo che preoccupa Legambiente e cioè per 240 tonnellate al giorno che portano ad oltre 70 mila tonnellate l’anno. Basta vedere gli impianti di questa "dittarella" per capire che non è in grado di svolgere questo tipo di attività. In più la regione Marche recentemente l’ha diffidata – cosa che non capita spesso – ed i punti della diffida sono rimasti lettera morta, in particolare si diffidava la ditta a non svolgere le attività di manipolazione di rifiuti esternamente al capannone, sul piazzale, perché, come potete immaginare, non distanti da questa azienda vi sono delle abitazioni. Poiché il fenomeno si è ripetuto, in attesa dell’approvazione di un progetto che prevedesse l’ampliamento del capannone, la regione dovrebbe quantomeno rivedere l’autorizzazione perché il quantitativo a suo tempo concesso è veramente folle rispetto alle capacità di trattamento dell’azienda e comunque, a seguito della diffida, occorrerebbe verificare se esista o meno il presupposto per un ulteriore provvedimento di natura sanzionatoria.

Le Marche non possono essere disegnate come terra di smaltimenti abusivi; le situazioni che si riscontrano probabilmente sono puntuali e non assimilano le Marche ad altre terre, però siamo una regione di transito. Una richiesta che Lagambiente rivolge alla Commissione è quella di sollecitare i poteri dello Stato, la Guardia di finanza, la Polizia e i Carabinieri a verificare se la dorsale adriatica, con un transito così elevato di TIR dal nord verso il sud e viceversa, e in particolare lo snodo portuale (che già hanno visto altri traffici illeciti) non siano interessati dal fenomeno di cui parliamo. Non ci sono fatti specifici che ci spingono a dire questo, è solo una valutazione di ordine generale che potete fare anche voi: più del 50 per cento dei rifiuti industriali del nord scompare all’appello. E’ difficile che vadano verso il nord ed è probabile che vadano verso sud e, poiché le Marche dispongono di questo sistema, pur comprendendo le difficoltà ad intervenire perché non si può organizzare un controllo sistematico che bloccherebbe l’economia di transito della regione, sarebbe opportuno qualche controllo o monitoraggio sulle motrici per verificare ciò che transita. Si tratta di un’attività di intelligence che potrebbe fare emergere qualche brutta sorpresa.

Abbiamo un problema di corretta gestione del sistema di pianificazione che riguarda in particolare le volumetrie che il sistema regionale utilizzerà seppure con i limiti del decreto Ronchi e della direttiva comunitaria che prevede in prospettiva solo rifiuti inerti. La regione e in particolare la provincia di Macerata offre sede a molte aziende che si occupano di trattamento dei rifiuti. I rifiuti industriali arrivano senza limitazioni, vengono "regionalizzati" e poi quelli speciali vanno alla Sogenus - che essendo un impianto pubblico dotato di tutte le tecnologie fa i suoi piani e prende quello che può – e gli altri, quelli assimilabili (bisognerebbe verificare se siano veramente assimilabili, perché lo smaltimento in questo caso costa meno), in quattro o cinque anni hanno saturato le volumetrie delle discariche per RSU, perché, prima dell’attuale norma regionale, non vi era il limite del 20 per cento di smaltimento in tali discariche. Ora il problema non è quello di bacinizzare, perché sappiamo che la Corte costituzionale e l’Unione europea dicono che questa tipologia di rifiuto industriale non è bacinizzabile, ma è quello di far sì che il sistema di pianificazione, che già incontra difficoltà dal punto di vista dell’impiantistica (una nota dolente nelle Marche: le province di Ascoli e Ancona non hanno impianti né di trattamento né di smaltimento finale), non si saturi con rifiuti che provengono da fuori regione e che il limite del 20 per cento non sia verificabile nel momento dello smaltimento. Infatti, chi ci dice, dopo dieci anni di attività, che dentro una discarica da un milione di metri cubi di rifiuto il 20 per cento è assimilabile? Nella provincia di Macerata le volumetrie si sono saturate e stiamo andando nell’ascolano con grandi difficoltà per localizzare nuove discariche per la fase transitoria e definitiva. Quelle che avevamo sono state saturate da uno smaltimento che io definisco improprio rispetto al sistema di pianificazione.

Questo è grosso modo il ventaglio delle situazioni. Noi siamo in prima fila nella denuncia e nella segnalazione insieme con le altre associazioni ambientaliste, però facciamo la nostra parte anche dal punto di vista dei suggerimenti e delle indicazioni per far sì che si arrivi a fare sistema.

LUIGINO QUARCHIONI, Presidente regionale di Legambiente. Desidero rafforzare un concetto già espresso dall’avvocato Borgani, il quale ha detto correttamente che quella dei controlli è una questione nodale, anche se la regione non è nelle condizioni di altre del meridione, dove veramente i traffici illeciti sono un fenomeno preoccupante. Nonostante ciò, siamo una rotta adriatica di passaggio (ricordo quel 50 per cento di rifiuti industriali che manca) e abbiamo un sistema di distretti industriali diffusi, nel senso che vi sono piccoli siti industriali e artigianali in cui il controllo si scoraggia e si scoprono le magagne. La vicenda del tricloretano nasce da un piccolo sito e da nove imprese che smaltivano in modo illegale riversando il tricloretano nei pozzi costruiti all’interno delle fabbriche.

Per tutte queste ragioni, la costruzione di un osservatorio regionale sui rifiuti, com’è nell’esperienza di altre regioni, potrebbe essere uno strumento in più per tenere sotto controllo il sistema. Tale osservatorio dovrebbe avere un doppio ruolo di controllo e monitoraggio ma anche di coordinamento tra forze dell’ordine, ARPAM e enti pubblici.

Chiedo alla Commissione, per l’autorevolezza ed il ruolo istituzionale che ha, di mettere in piedi iniziative politiche volte a stimolare la regione Marche e gli organi competenti a strutturarsi con un organismo che possa tenere la regia e le fila di ciò che succede nel settore dei rifiuti.

PRESIDENTE. Lo scioglimento delle Camere è imminente, ma ciò non toglie che la complessa problematica delle discariche con il limite degli assimilabili al 20 per cento e il giro di rifiuti che avete descritto farà parte del documento sulla situazione marchigiana che sarà allegato alla relazione finale e con il quale riferiremo al Parlamento, al Governo e alle regioni cosa abbiamo trovato e che valutazione diamo delle diverse situazioni.

Circa i poteri dello Stato a proposito della rotta adriatica dei rifiuti e del fatto che una grande percentuale di rifiuti industriali è fuori controllo, la Commissione, con il documento approvato il 25 ottobre scorso ha sottoposto all’attenzione degli organi dello Stato questi aspetti su cui, attraverso una vasta indagine ed un coordinamento di informazioni abbiamo prodotto l’up to date della situazione dei traffici illeciti, sia quelli che hanno dietro le ecomafie, sia quelli attuati da ditte che si comportano in modo illegale. L’attenzione, quindi, è già stata richiamata, anche perché quel tipo di informazioni è stato rappresentato in un convegno successivo a Palermo in cui, alla presenza di tutti i comandi d’arma, qualcuno ha detto che lo Stato scende in campo contro le ecomafie. Quindi da questo punto di vista abbiamo fatto ciò che dovevamo fare e speriamo che sulle situazioni che abbiamo segnalato continuino ad esserci i riflettori accesi.

In particolare avete fatto presenti alcuni aspetti rispetto ai quali possiamo ancora fare qualcosa. Mi sembra che la Bonfranceschi ci sia stata indicata un po’ da tutti e comunque l’assessore ci ha detto che è molto attento in proposito. Anche noi, nei pochi giorni che abbiamo, cercheremo di acquisire elementi di informazione.

Ci avete segnalato anche la situazione di Santa Maria in Potenza per quanto riguarda il settore calzaturiero e la situazione dell’Agroter a Mondavio in provincia di Pesaro. Anche su questo, con qualche difficoltà considerata la ristrettezza dei tempi, avvieremo l’attività di indagine della Commissione; anche a Camere sciolte vi sarà la disponibilità a concludere con la relazione finale. Lo dico perché sappiate che siamo in limine litis.

PIERLUIGI COPERCINI. Vorrei alcune precisazioni sulla società Agroter. Ho letto brevemente la vostra denuncia, e gradirei sapere se gli spandimenti sul territorio continuino tuttora; se la società sia operante; se vi siano legami di proprietà o comunque di incrocio nel pacchetto societario tra la Siteco (la società che spande) e l’Agroter; chi nella pubblica amministrazione dovrebbe effettuare i controlli; se siano state effettuate analisi in profondità con carote.

GIANFRANCO BORGANI, Rappresentante di Legambiente. La Agroter è attualmente attiva ed il fenomeno prosegue anche se è mutato il tenore dell’autorizzazione a seguito dell’entrata in vigore del decreto Ronchi. Quindi, hanno mantenuto una vecchia autorizzazione per la fertirrigazione ma poi si sono rivolti alla regione per sottostare anche alla normativa Ronchi. Comunque, il fatto è che attualmente la ditta è in piena attività.

Non ci risulta che vi siano intrecci societari; sembra che questi terreni di notevole dimensione vengano presi in affitto di volta in volta con spese di qualche rilievo. Ci risulta che questi campi non abbiano annate agrarie regolari e quindi che da essi non si raccolga nulla, per cui di fatto si vanifica la filosofia definitiva delle normative.

Il terzo aspetto direttamente collegato con il precedente riguarda i controlli che sono stati numerosi, però non si sono spinti fino ad effettuare le verifiche che lei suggeriva e che noi abbiamo indicato nell’esposto-denuncia. Ci si è limitati a verificare lo spandimento relativo ad un giorno in un terreno e se ciò che veniva smaltito fosse compatibile con l’autorizzazione concessa. Questo probabilmente ha dato risultati positivi, altrimenti l’Agroter non avrebbe proseguito la propria attività. Sappiamo anche che vi sono stati procedimenti giudiziari e che i proprietari dell’Agroter sono stati assolti dalle imputazioni contestate. Quindi, anche qui, fino a prova contraria, ci limitiamo ad esporre una situazione. Ciò che sappiamo è che non è stata fatta una verifica in profondità, cioè che non si è verificato a 360 gradi se la normativa che prevede l’uso agronomico dei fanghi sia stata rispettata o meno. Questo è un aspetto sul quale abbiamo chiesto anche all’ARPAM di intervenire.

MARIA TERESA GIGLIO, Responsabile regionale di Ambiente e Vita. Mi associo a quanto detto fino ad ora e all’analisi approfondita della situazione delle Marche che però ha visto una disattenzione per quanto riguarda la città capoluogo. Sono d’accordo con il collega del WWF quando afferma che va fatta una campagna pubblicitaria per lo smaltimento e la raccolta differenziata dei rifiuti, però sollecito l’attenzione di tutti i colleghi sul fatto che le campagne pubblicitarie devono essere seguite da un controllo sull’iter che deve arrivare sino in fondo affinché poi non succeda ciò che è già avvenuto e cioè che i rifiuti si rimescolino.

Sottolineo anche la carenza delle amministrazioni in questo senso, perché sappiamo che il piano provinciale dei rifiuti, delegato dalla regione alla provincia di Ancona, è in discussione da mesi e che, per disquisizioni sulla scelta degli ambiti, ancora non è stato approvato. Ciò comporta un certo disagio. Penso che le amministrazioni debbano essere sollecitate in questo senso, poiché questi ritardi sono piuttosto importanti e comportano una serie di problematiche come quelle delle discariche che sono in via di esaurimento. Abbiamo visto bocciare una scelta per il vincolo paesaggistico sopraggiunto da parte del ministero, per cui ora sembra possibile una localizzazione. A questo punto è fondamentale una sollecitazione all’approvazione del piano.

MANLIO PACINI, Componente del consiglio regionale di Italia nostra. Ringrazio la Commissione e non ritengo di dover fare osservazioni ulteriori rispetto a quelle dei colleghi che condivido pienamente. Grazie.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo. Come sempre l’incontro con le associazioni ambientaliste è risultato ricco di informazioni, segnalazioni, punti di attenzione e di una capacità propositiva che vi chiediamo di impegnare fortemente anche sul fronte del rapporto con i cittadini, perché, al di là di situazioni in cui l’emergenza è grave, come attualmente in Campania, credo che il diffondersi della sindrome qui richiamata possa diventare, non in una regione come le Marche, campo aperto per il partito delle discariche dietro cui sta sempre la malavita organizzata.

Buon lavoro.

Gli incontri terminano alle 13.15.